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PRIMA SERIE

AVVERTENZA

l. Il volume XII della prima serie dei Documenti Diplomatici Italiani completa la documentazione relativa alla prima serie stessa (1861-1870). Giunge così a termine un lavoro iniziato da Walter Maturi nel 1952, poi continuato dal medesimo o da altri curatori. Walter Maturi pubblicò fra gli altri anche il vol. XIII e ultimo della prima serie, relativo alla fase acuta della crisi del 1870, cioè al periodo immediatamente precedente i mesi toccati dal presente volume. In tal modo, egli seguiva il medesimo criterio adottato anche per altre serie (si veda ad esempio la serie ottava), di anticipare l'edizione delle fonti riguardanti alcuni momenti critici fondamentali della storia delle relazioni internazionali in generale e della politica estera italiana in particolare.

Il vol. XII riguarda il periodo dal 6 ottobre 1869 al 3 luglio 1870. Esso consente la pubblicazione di una serie di documenti solo in parte già sfruttati dalla storiografia e concernenti sia aspetti della politica estera italiana, sia e soprattutto la genesi meno immediata della crisi franco-tedesca, già potenzialmente evidente negli anni dopo il 1866, ma avviata ora verso la conclusione bellica, con l'apparire della questione delle candidature alla successione al trono di Spagna. Si dice candidature, poiché uno dei temi che il volume illustra particolareggiatamente è quello della candidatura del giovanissimo duca di Genova, nipote del re d'Italia, fortemente sostenuta da Vittorio Emanuele Il, oggetto di un serrato negoziato, e di un consistente consenso da parte spagnola, ma respinta dalla famiglia, o meglio dalla madre del principe, a cagione della giovane età di questi e di altre concomitanti motivazioni che nella documentazione di questo volume sono esplicitate.

Il rapido formarsi di una convergenza degli stati meridionali germanici verso la forte politica bismarckiana, trova qui una vasta documentazione, che riferisce degli orientamenti esistenti nelle varie corti minori tedesche e delle esitazioni o delle spinte verso la formazione di un'unica entità statale germanica. Il riflesso di questo movimento è la crescente preoccupazione esistente in Francia e il tentativo di Napoleone III di rivitalizzare l'ipotesi di una triplice segreta con l'Italia e l'Impero Austro-Ungarico.

Un altro aspetto che domina questa documentazione è dato dai mutamenti di governo che hanno luogo in Italia e in Francia. In Italia, con la formazione del governo Lanza, si aveva, alla metà di dicembre, il ritorno di Emilio Visconti Venosta alla direzione della politica estera del paese. In Francia, con la formazione del governo «liberale ~ di Emile Ollivier con Napoléon Daru agli Esteri, aveva inizio la crisi istituzionale che avrebbe portato alle riforme in senso liberale delle istituzioni francesi e al plebiscito del maggio 1870, seguito con apprensione dagli italiani.

Infine il volume reca un'importante e non tutta conosciuta documentazione sui lavori del Concilio vaticano I il cui svolgimento venne seguito dal governo italiano quotidianamente, grazie alla collaborazione di emissari ufficiosi (come Tkalac e Kulczicki), dei quali si pubblicano tutti i rapporti aventi una qualche rilevanza sia politica, sia relativa all'adozione di nuovi principi (in particolare quello dell'infallibilità pontificia), che segnavano la sconfitta dei pur forti tentativi dell'episcopato meno intransigentista, di modificare gli orientamenti dottrinali di Pio IX.

Altre questioni seguitano a presentarsi in forme sempre nuove: come la questione tunisina; quella del debito pubblico egiziano; quella del primo insediamento italiano in Africa, con l'acquisto di impianti nella baia di Assab, da parte della compagnia Rubattino di Genova.

In generale, la politica estera del governo italiano, specie con il ritorno del Visconti Venosta al potere, tende a divenire più cauta e più attenta, ma meno condizionata dagli sviluppi della posizione francese. La pressione del re in tal senso appare per il momento allentata o contenuta; la preoccupazione di seguire da vicino la politica francese, diviene meno dominante. Si delinea meglio il v,entaglio di opzioni che la crisi, che molti avvertono come imminente, porrà all'Italia con la sua esplosione e con risultati di cui essa sarà la causa.

2. Il volume si basa principalmente, come i precedenti sulla documentazione conservata nell'Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri nelle serie seguenti:

I. Gabinetto e Segretario Generale: a) istruzioni per missioni all'estero;

b) corrispondenza telegrafica; c) carteggio confidenziale e riservato.

II. Divisione «Politica >:

a) registri copialettere in partenza; b) rapporti in arrivo.

III. Carte delle Ambasciate a Berlino, Londra, Parigi e Vienna.

IV. Eredità Nigra.

Numerosi documenti sono tratti da altri archivi: l'Archivio Centrale dello Stato (Carte Visconti Venosta), l'Archivio Visconti Venosta di Santena, la Biblioteca Comunale di Bologna (Carte Minghetti) e il Museo del Risorgimento di Torino.

3. Data l'importanza del periodo varii documenti erano già editi, integralmente o parzialmente, nelle seguenti pubblicazioni (tra parentesi l'abbreviazione usata nel testo):

Libro Verde 15 Documenti relativi alla uccisione del conte Alberto Boyl segretario della Legazione Italiana in Grecia e del cav. Lorenzo Chapperon già console d'Italia all'Assunzione comunicati dal ministro degli Affari Esteri (Visconti Venosta) nella tornata del 3 maggio 1870 (LV 15);

Libro Verde 16, Documenti relativi alla uccisione del conte Alberto Boyl segretario della Legazione Italiana in Grecia comunicati dal ministro per gli Affari Esteri (Visconti Venosta) 2° fascicolo (LV 16);

Libro Verde 21, Documenti Diplomatici concernenti la riforma giudiziaria in Egitto presentati dal Ministro degli Affari Esteri (Visconti Venosta) nella tornata del 26 gennaio 1875 (LV 21);

Libro Verde 34, Documenti DLplomatici presentati alla Camera dal Ministro degli Affari Esteri Mancini nella tornata del 12 gennaio 1882, Assab (LV 34);

Lettere e documenti del barone Bettino Ricasoli, a cura di M. TABARRINI e A. GOTTI, vol. X, Firenze, 1895 (Lettere Ricasoli);

Les origines diplomatiques de la guerre de 1870-1871, vol. XXVI, Paris, 1929 (Origines diplomatiques);

Le Carte di Giovanni Lanza, a cura di C. M. DE VECCHI DI VAL CISMON, vol. V, Torino, 1937 e vol. VI, Torino, 1938 (Carte Lanza);

P. PIRRI, Pio IX e Vittorio Emanuele II dal loro carteggio privato, Roma, 1961 (PIRRI);

Le lettere di Vittorio Emanuele II, raccolte da F. CoGNAsso, vol.. II, Torino, 1966 (Lettere Vittorio Emanuele Il);

A. TAMBORRA, Imbro I. Tkalac e l'Italia, Roma, 1966 CTAMBORRA);

R. MORI, Il tramonto del potere temporale 1866-1870, Roma, 1967 (MORI);

Carteggi di Bettino Ricasoli, a cura di S. CAMERANI, vol. XXVI, Roma, 1974 CCarteggi Ricasoli).

Alla preparazione di questo volume hanno collaborato la dott. Emma Moscati Ghisalberti per le ricerche, una prima selezione del materiale e l'apparato critico e la dott. Paola Amadei per l'indice dei nomi.

Ad esse va il mio più vivo e cordiale ringraziamento, per la competenza e la solerzia con cui hanno svolto il loro lavoro, che rappresenta la base indispensabile per ciascuno di questi volumi.

ENNIO DI NOLFO


DOCUMENTI
1

VITTORIO EMANUELE II AL CONTE VIMERCATI (l)

T. Valdieri, 6 ottobre 1869, ore 14.

Merci de votre dépeche (2), je rcmercie l'Empereur pour ce qu'il me fait dire, et de ce qu'il est pret à faire pour la Papauté. J'attends communication de son idée par rapport au traité, dites à l'Empereur que j'ai été une heure avec l'Impératrice, que je l'ai trouvée très belle et très aimable, j'aurais désiré entrer dans quelques détails avec elle mais je n'ai pas osé parce que Forcade de la Roquette était présent; je suis à Valdieri pour quelques jours, et le quinze ou le vingt je serai à Florence, je vous prie de me tenir exactement au courant de tout.

2

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL PROFESSOR SAPETO

D. Firenze, 6 ottobre 1869.

Le cose esposte dalla S. V. verbalmente e per iscritto hanno persuaso il Governo del Re deUa convenienza di fare esplorare certe località del Mar Rosso che potrebbero fornire all'Italia una comoda stazione in quel mare.

D'accordo col mio collega della Marina si è pertanto divisato di inviare in quella località il signor Cavalier Acton contr'ammiraglio in compagnia della

S. V., acciocché quel distinto ufficiale possa riconoscere se veramente, tanto al punto di vista militare, quanto al punto di vista della navigazione quei luoghi possano servire all'impianto dello stabilimento che si vorrebbe avere.

Epperò la S. V. accompagnando il signor Cavalier Acton in questa esplorazione, sentirà dal medesimo se sia o non conveniente sotto i due aspetti sovr'accennati l'acquisto delle località in quistione, ed in tale ipotesi conformemente alle intelligenze ch'Ella ha prcc:o col Ministero della Marina si potrà trattare l'acquisto medesimo in quelle condizioni specificate negli accordi passati fra

V. S. e quel Dicastero. A quell'effetto, Le invio qui unito il passaporto che le è necessario, ed una lettera di raccomandazione per gli agenti consolari italiani nel caso ch'Ella dovesse chiedere ai medesimi appoggio e protezione (3).

l

(l) -Da ACR. (2) -Cfr. serie I, vol. XI, n. 601. (3) -Sulla missione Sapeto cfr. i documenti pubbUcati in L'Italia in Africa, serie storica, vol. I Etiopia-Mar Rosso, tomo II Documenti (1859-1882), a cura di C. GIGLIO, Roma 1959.
3

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, QUIGINI PULIGA,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 965. Parigi, 6 ottobre 1869 (per. il 9).

Ho avuto occasione di intrattenere quest'oggi S. E. il Principe de La Tour d'Auvergne. Nel corso della conversazione il Ministro ImperiaLe degli Affari Esteri, che arrivava nello stesso momento da Saint Cloud, mi disse che l'Imperatore gli avea manifestata la sua intera soddisfazione pel ricevimento simpatico che l'Imperatrice avea ricevuto al suo entrare in Italia e sopratutto per quello che i Veneziani Le hanno prodigato durante il suo soggiorno colà. <L'Imperatrice, soggiunse S. M. l'Imperatore, mi ha informato ogni giorno tanto della sua ammirazione per la città, che ha trovato più bella di quanto ella aveva potuto immaginare, come degli attestati di riverenza e di simpatia che ella avea

ricevuto~.

S. E. il Principe de La Tour d'Auvergne mi ha anche ripetuto che S. M. l'Imperatore è ora intieramente ristabilito e riprende mirabilmente le sue forze e la sua attività.

Credo ad ogni buon fine dovere informare l'E. V. di questa parte della mia conversazione col Ministro Imperiale degli affari esteri.

4

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 472. Berlino, 7 ottobre 1869 (per. il 12).

Dans un entretien que j'ai eu au ministère des affaires étrangères, M. de Balan m'a fait connaitre quel était le point de vue de son Gouvernement en présence du différend entre la Turquie et l'Egypte, et cela après avoir soigneusement examiné les documents dont je lui avais donné communication confidentielle.

Le Cabinet de Berlin croit, comme nous, que l'indépendance administrative dont l'Egypte est avantagé parmi les provinces turques, doit etre maintenue dans un intéret européen. L'Egypte doit son essor dans ces derniers temps à cette indépendance qui accordait aux étrangers des libertés et des droits, et leur facilitait l'acquisition de biens immeubles, et l'établissement d'entreprises industriel1es et commerciales. Les Puissances ne sauraient admettre qu'une semblable autonomie administrative consacrée par nombre de firmans, vienne à etre limitée, en provoquant de fortes perturbations de tant d'intérets, de ceux nommément des colonies européennes.

Le Cabinet de Berlin est d'avis que par un contrale du budget, et par des entraves mises à des emprunts egyptiens, mais surtout par une atteinte qui serait portée au privilège de propre juridiction dont les étrangers jouissent dans ces contrées, il en résulterait un dommage essentiel des intérèts de ces dernieo:s. C'est pourquoi d'accord avec la France l'Angleterre et l'Autriche, il a cherché à agir avec instance pour le maintien du status quo du còté de la Porte comme du còté de l'Egypte, et comme nous l'avons fait, il continuera ses efforts dans cette direction. Comme du reste le Sultan ne projette pas des mesures de contrainte pour l'acceptation des conditions relatives au budget et aux emprunts egyptiens, et que d'autre part le Khédive assure qu'il observera les dispositiones des firmans, il semble qu'il y a en ce moment un temps d'arrèt dans le différend, lors méme qu'un accommodement forme! fasse encore défaut. Cette phase où tout reste en suspens ne parait pas étre défavorable.

D'après les derniers rapports reçus de Constantinople en date du 19 septembre la Porte, dans une circulaire qui n'a cependant pas encore été communiquée ici, n'insiste plus que sur la défense de contracter des emprunts, et croit par cela seui les rendre impossibles à l'étranger.

Tels sont les renseignements qui m'ont été fournis par M. de Balan. Si les vues qu'il exprimait se rapprochent des nòtres, elles ne sont pourtant pas aussi explicites que celles indiquées dans la dépeche de V. E. du 26 septembre n. 137 (1), et dans son annexe. Je l'attribue à la circonstance qu'ensuite de l'entente qui existe entre la France et l'Angleterre, le Gouvernement prussien veut se tenir dans une certaine réserve.

Malgré les apparences pacifiques de la situation générale, il est permis à la Prusse de croire que le Cabinet des Tuileries serait bien aise de trouver ici le défaut de la cuirasse. Il penserait l'avoir découvert du moment où il pourrait se procurer une alliance sérieuse. Il a fait dépendre bien des choses, à l'intérieur de son pas, de ce succès, qui plusieurs fois lui a échappé. Il a du y renoncer en Occident. Il faut du moins l'espérer. L'affaire du Luxembourg et tout récemment ,encore l'incident beige ont prouvé assez clairement que ses projets se heurteraient à l'opposition de l'Angleterre et de la Russie, opposition qui pourrait étre fatale à l'Empereur Napoléon, si une main habile savait l'utiliser. Aussi a-t-on vu le Gouvernement français tourner ses efforts vers l'Orient. Dans ces dernières années, dès que l'éternelle question orientale se produisait sous une de ses formes multiples, il s'en emparait, changeant sans scrupule d"attitude mais non de politique, car le but qu'il poursuivait était toujours le méme. L'objectif est en Occident. Il s'agit de gagner l'Angleterre à ses intéréts. Voilà le Téve, et il n'est réalisable qu'en Orient si on parvenait à mettre sur ce terrain l'Angleterre en suspicion contre la P,russe. C'est ce que le Comte de Bismarck doit empécher à tout prix, tout en cherchant en bon pilote à se tenir prét à braver l'orage. A ce point de vue on s'explique aisément la volte-face de la France lors des affaires de Crète, sa condescendance secrète à l'établissement d'un Hohenzollern dans les Principautés Unies de la Mol<do-Valdachie, établissement qui par contrecoup aurait pu rapprocher le Cabinet de Londres de celui des Tuileries. Et récemment la question a été bien plus grave en Grèce. La France avait de prime abord soutenu la Turquie et l'avait poussée aux me

sures extremes, non sans espére,r que la crise aboutirait à grouper d'un còtè l'Angleterre avec la France, et d'un autre còté la Prusse avec la Russie. M. Bourée ne s'en cachait pas à Constantinople. Le Prince Gortchakoff comprit (et il l'aurait compris m(:me sans qu'on eùt appelé d'ici son attention à cet égard) quel piège dangereux on tendait à Pétersbourg aussi bien qu'à Berlin. Il mit une sou;:dine pour amortir le langage des plus exaspérés du Général Ignatieff, et dans l'ensemble le Comte de Bismarck a joué en maitre.

Les dessous des cartes serait parfaitement le meme dans la comédie qui se représente maintenant, et dans laquelle le Vice Roi d'Egypte, joue le ròle de l'enfant prodigue. Les conditions sont différentes, mais le but auquel on vise serait le meme.

J'ai lieu de supposer que ces considérations entrent dans le courant des idées du Chancelier fédéral. S'il en est ainsi il est facile de se rendre compte de la prudence avec laquelle on aborde ici tout ce qui touche de près ou de loin à la. question d'Orient.

D'après les indications qui m'ont été données par un de mes collègues représentant d'une Grande Puissance, Nuba,r Pacha aurait quitté récemment Paris avec l'espoir qu'un compromis, dont j'ignore les termes, mais dit-on parfaitement acccptable, mettrait bientòt un terme au différend entre le Sultan et le Khédive, compromis qui serait approuvè et recommandé par la France et par l'Angleterre.

P. S. M. le Conseiller intime de Keudell est chargé de représenter la Confédération du Nord dans le Comité international de commerce qui, à l'instigation de la France, se réunira à Suez à l'occasion de l'inauguration de l'Isthme.

Le Comte de Kayserling, jusqu'ici Consul Général à Bukarest, est désigné pour le poste de Constantinople où il devra se trouver avant l'arrivée du Prince Royal de Prusse qui y est attendu le 22 octobre. La Sublime Porte a été pressentie sur ce eho ix; la réponse n'est pas eneo re arrivée.

(l) Cfr. serie I, vol. XI, n. 586, inviato a Londra con numero di protocollo particolare 137.

5

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 58/13. Londra, 7 ottobre 1869 (per. il 10).

Nella visita che ieri, ad ora tarda, mi fu dato di fare al signor Conte di Clarendon, ebbi occasione di tenergli parola delle attuali vertenze fra la Sublime Porta ed il Viceré d'Egitto. Appoggiandomi alle istruzioni fornitemi da

V. E., col suo dispaccio del 16 settembre p.p. n. 8, Serie Politica (1), il quale si riferiva al contenuto nell'altro dispaccio, del pr,edetto giorno 16, dalla stessa

E. V. diretto al Ministro del Re a Costantinopoli (2), misi Lord Clarendon a parte del di Lei modo di vedere in questa vertenza, della attitudine presa pres

so le due Alte parti interessate, e di quella che intendeva di seguire, non tralasciando di spiegarmi tanto a riguardo del processo d'intenzioni con cui erasi, per parte della Porta, iniziato lo spiacevole affare, quanto sul complesso delle domande che la Porta ha mosse, ed alle sue pretese verso il Khedivé.

Il signor Conte mi disse, dopo questa mia esposizione, che gli pareva che sostanzialmente il contegno tenuto dal Governo inglese, presso le due parti interessate in questa vertenza, non era dissimile da quello tenuto dal Governo del Re. Egli mi confermò quanto io ebbi già a notificare a V. E. nel mio rapporto del 7 agosto e nel telegramma del giorno 6 agosto (l) a riguardo del processo d'intenzioni che erasi mosso al Khedivé, nel quale questi s'era giustificato.

A riguardo delle particolari pretese e condizioni mosse dalla Sublime Porta, il signor Conte non entrò nell'esame di ciascuna d'esse ma, poste in disparte quelle che si riferiscono agli armamenti, al cui riguardo pare che fra le parti interessate siasi costituito un sufficiente accordo, e lasciata pure in disparte la pretesa comunicazione preventiva per l'appJ"ovazione dei bilanci presuntivl annuali, sulla quale la desistenza della Sublime Porta si sarebbe già o starebbe per verificarsi, egli si fermò specialmente sopra l'altra condizione J"iguardante i prestiti ohe il Khedivé divisasse di fare. Su questo il Viceré d'Egitto persisterebbe nel rifiuto, né finora pare che vi sia sintomo di accordo fra le parti ed, a riguardo della medesima, il signor Ministro espresse l'opinione che il Khedivé farebbe bene e dovrebbe accettare la domanda dell'Alto Sovrano. Secondo il suo avviso, l'enorme quantità di debiti contratti dal Khedivé, a grande aggravio dei propri sudditi, fa desiderare che vi sia posto un argine, il quale si troverebbe appunto attuando la condizione che la Porta esige dal Khedivé a questo riguardo.

Cogliendo questa occasione per andare un po' più a fondo in quest'affare, citai a Lord Clarendon il recente articolo del giornale La Turchia, noto per le ispirazioni e per le confidenze che riceve da quel Governo, nel quale articolo si consideravano le attuali divergenze fra la Porta ed il Khedivé e le condizioni e pretese del Sultano in relazione al nuovo stato di cose che sta per essere creato dal Canale di Suez. Quel giornale, facendo le tre ipotesi della neutralizzazione del Canale, della sua dipendenza dal Viceré e della sua dipendenza dalla Porta, conchiudeva a favore di quest'ultima, escludendo le altre due, e dicendo chiaramente che a questo scopo miravano le limitazioni di potere che la Porta voleva imporre al suo vassallo.

Notai come un tale stato di cose avrebbe avuto sostanzialmente ed inevitabilmente l'effetto di legare così intimamente per l'avvenire le differenze e le difficoltà che avrebbero potuto nascere per la navigazione nel Canale di Suez colla grande Questione orientale da renderle insepail"abili l'una dall'altra. Di fatti, dappoiché la Turchia avesse spodestato il Khedivé e fosse divenuta unica e vera disponitrice di tut'oo ciò che riguardasse la de.tta navigazione, ne verrebbe di conseguen:.~a che con Lei sola si dovesse sempre trovare in contrasto qualunque Stato per le differenze a cui la detta navigazione potEsse

dar luogo, ed in tutti questi casi la questione speciale, relativa alla navigazione del Canale, diventerebbe una questione Turca, come all'opposto ogni differenza

o divergenza colla Turchia, per soggetto estraneo aJ Canale, avrebbe fatto nascere delle difficoltà a riguardo della libera navigazione del Canale.

Di qual pericolo fosse il creare questo nuovo aspetto alla Questione orientale non è difficile il persuadersene, ed importar,e perciò che le facoltà ed i poteri del Khedivé fossero lealmente mantenuti nei limiti dei Firmani che li avevano sanciti, e delle loro razionali e legittime conseguenze. Sua Signoria senza scendere a specificazioni intorno alle sue opinioni a tale riguardo, non disconobbe la gravità di queste considerazioni, ed osservò che molte, e sventuratamente già troppe, erano le facce di codesta gravissima questione Orientale.

Dal complesso della conversazione avuta col Conte di Clarendon su questo soggetto, è mia convinzione che egli nutre pur sempre fiducia che questo spiacevole affare sarà composto ~n modo che, risolvendo e facendo cessa,re i nati dissensi, mantenga sostanzialmente le cose in istato abbastanza soddisfacente per tutti coloro il cui avviso e,ra che lo stato legale creato dai Firmani del 1841 si dovesse mantenere.

(l) -Cfr. serie I, vol. XI, n. 571, nota l, p. 524. (2) -Cfr. serie I, vol. XI, n. 571.

(l) Cfr. serle I, vol. XI, n. 505.

6

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 15. Therapia, 7 ottobre 1869 (per. il 15).

Ebbi occasione lunedì scorso di vedere il Gran Vizir e la conversazione cadde naturalmente sulla questione tuttora pendente f,ra la Sublime Porta ed il Khedivé d'Egitto.

Aali Pacha mi disse ch'ei vedeva con rammarico come S. A. il Viceré si ostinasse a non voler riconoscere il suo torto, e lasciasse tuttora senza risposta l'ultima lettera che gli aveva diretta per ordine del Sultano.

«Il Khedivé, ei soggiungeva, non solo cerca di tergiversare lavorando presso le Corti di Europa ed implorandone l'appoggio, ma approfitta di qualsiasi propizia occasione gli v,enga offerta pe·r far palese che tale appoggio gli è già acquisito. Infatti egli fa spa,rgere la voce che il Governo italiano si è dichiarato apertamente in suo favore, e che ha inviato una squadra in Egitto per fare una dimostrazione armata in sostegno della sua causa. Non dico questo perché io aggiusti fede a tali voci, ma per dimostrarle solo che il Khedivé non lascia nessun mezzo intentato per giungere al suo scopo, e che con lui non ci ha pr,ecauzione che basti».

RD.sposi parermi difficile che rumori sì poco verosimili trovassero molti creduli almeno fra le persone di buon senso; esser noto infatti che la R. Squadra italiana ha cominciato dal visitare parecchi altri porti dell'Impero Ottomano prima di rendersi ad Alessandria, ove è naturalmente chiamata dal gran fatto che ivi va a compiersi fra breve, e che tanto interessa le potenze marittime e soprattutto l'Italia.

In quanto al resto dissi al Gran Vizir aver motivo di credere che il Governo del Re non abbia peranco pronunziato alcun definitivo giudizio sul nodo della questione sul punto speciale in controversia; dover però esser note a Sua Altezza le preoccupazioni che il presente stato di cose aveva fatto nascere nell'animo del Governo del Re, le quali potevano ridursi ai due seguenti capi:

l) timore che da esso non sorgano complicazioni tali da mettere in pericolo la pace in Oriente;

2) apprensione per i gravi interessi italiani impegnati in Egitto, che correrebbero serio pericolo se la posizione eccezionale di cui esso ha goduto finora venisse ad essere in qualsiasi maniera alterata o circoscritta.

Il Gran Vizir rispondevami che né l'una né l'altm eventualità sarebbe da temersi se le grandi potenze europee volessero decidersi a non preoccuparsene di soverchio e a non dar quindi un indiretto incoraggiamento alla resistenza opposta dal Khédive.

«Il Generale Menabrea, ei continuava, in un colloquio avuto recentemente con l'Incaricato d'Affari della Sublime Porta a Firenze manifestava l'opinione che, negandosi al Viceré di Egitto la facoltà di contrarre imprestiti senza l'assentimento del Sultano, gli Italiani possessori di cedole del Debito egiziano venebbero a soffrire nei loro interessi. Io credo per contrario, e vorrei che il Generale Menabrea ne fosse egli pure convinto, che i capitalisti italiani e stranieri in generale non potrebbero che vantaggLarsi del freno salutare che la Sublime Porta impone ed ha sempre imposto ai Governatori dell'Egitto. Per quanto minore è in essi la facoltà di aggiungere debiti a debiti, altrettanto cresce nei possessori delle Cedole egiziane la sicurtà ed il valore dei loro capitali».

Risposi esser vero in teoria generale ciò che egli enunciava, ma .io oredevo che V. E. avesse fatto più particolarmente allusione all'eccessiva ingerenza che dalla Porta vorrebbe esercitarsi sulle finanze egiziane ed aJle perturbazioni, che essa quindi potrebbe cagionare nelle condizioni economiche del paese.

In ogni caso avrei fedelmente rife,rito a V. E. il nostro colloquio.

7

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA (l)

L. CONFIDENZIALE. Londra, 7 ottobre 1869.

Penso che Le sarà pervenuta la mia lettera del 3 corrente (2) relativa al discorso tenuto meco nel giorno stesso da S.A.R. il Duca di Genova e che avrà pur ricevuto il telegramma speditole e da comunicarsi al signor Marchese Gualterio in cui gli notificavo che il signor don Mottura non era venuto qui all'ul

timo arrivo del Principe Tommaso che era rimasto a Torino, e che qui trovavasi solo con S. A. il Conte dal Verme ed in cui soggiungeva che oggi stesso scl"iveva tanto a Lei che al predetto signor Marchese Gualterio (1).

Mi faccio un dovere di tenerLa informata delle cose posteriori alla predetta mia lettera delli 3 corrente. Ebbi or ora una lettera dal comune amico Marchese Gualterio in data del 2 corrente, nella quale, accennando alla necessità di prendere una ,risoluzione per dare una risposta definitiva al governo attuale di Spagna a riguardo della candidatura di S.A.R. il Duca di Genova al trono di quel paese, ed esprimendo che l'intenzione era di dare una risposta affermativa, m'incarica di ordine del Re di pregare il signor don Mottura di recarsi a Firenze. Lo scopo di questa chiamata sarebbe quello che il don Mottura ricevendo le opportune istruzioni anche direttamente da Sua Maestà ritornasse di poi a Londra presso il Principe e lo persuadesse a prestarsi con garbo e con animo sereno a quegli atti che sarebbero necessari per mandare ad effetto l'intento sopra indicato.

Sebbene non ignorassi che il signor don Mottura non em qui, pure nella possibilità di un suo recentissimo arrivo me ne assicurai ed il risultato è quello che risulta dal predetto mio telegramma.

Ma nella predetta lettera il Marchese Gualterio impegna me pure a prender parte attiva all'intento sopra indicato, ed al fine che ritornando, (o venendo) qui il signor don Mottura egli trovi il terreno ben preparato e sgombro da ostacoli. Oggi stesso rispondo al Marchese Gualterio indicandogli quale sia la mia posizione e quali i doveri che mi incombono in dipendenza della medesima. Gli significo, che, in seguito ana astensione che Ella mi disse che il governo del Re osservava ed intendeva di mantenere su questo soggetto, io mi era sempre creduto e mi credo in dovere di tenermi in simile astensione nella mia qualità di funzionario del governo che non posso svestire neppure per un momento; che, tostoché avessi ricevuto da Lei un ordine in contrario, e le opportune direzioni avendone Ella la costituzionale responsabilità, era mio dovere di eseguirlo, e che poteva essere sicuro, che lo avrei eseguito esattamente e lealmente. Lo prevenni che io scriveva anche a Lei, e lo pregai di intendersi con Lei cui avevo già scritto di un recente colloquio di Sua Altezza Reale con me.

Penso che l'amico Marchese Gualterio nella sua grande lealtà, riconoscerà che io, trovandomi nelle espostegli circostanze, non poteva agir diversamente, senza mancare al mio dovere senza scostarmi dalle indeclinabili norme costituzionali e senza impegnare il gove,rno stesso del Re col mio fatto in affare gravissimo nel quale assumerebbe una grande responsabilità, e ciò senza averne dal medesimo l'autorizzazione ed anzi contrariamente alle istruzioni datemi.

El1a vorrà, occorrendo, giustificarmi anche presso Sua Maestà, la quale credo di avere in questo modo lealmente servita, mantenendo la mia dipendenza dal suo governo.

Io ignoro assolutamente a qual punto si trovi questa pratica, e Le dico ciò unicamente perché Ella conosce pienamente la mia condizione alla quale l'astensione è perciò tanto •più necessaria per non guastar nulla, né in verità, ho molto

desiderio né bisogno di saperne di più ed ho sempre risposto a chi mi interrogava che io non ne sapeva nulla. E dal discorso di domenica di Sua Altezza mi parve che egli pure non sappia a qual punto sia questo affare dall'epoca in cui fu qui il signor Montemar.

Non posso tacere che, e per lo passato, e massime poi in questi giorni fui qui assediato da domande su questo soggetto, e che tutti, manifestando sensi di simpatia pel Principe finivano collo stesso ritornello cioè ripetendo le ide,e espresse dal Times nell'articolo che Le ho segnalato.

Non essendo l'ufficio mio quello di esprimere opinioni e tanto meno di dar pareri, ma sarebbe quello di eseguire gli ordini del governo Ella me li favorisca se lo crede e saranno eseguiti; ma Le confesso che se non ne avrà nessuno da darmi sarà in questo affare il meglio che io possa desiderare.

(l) -Da ACS, Carte VIsconti Venosta. (2) -Cfr. serle I, vol. XI, n. 599.

(l) T. 1829 dello stesso 7 ottobre, non pubbllcato.

8

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1833. Londra, 8 ottobre 1869, ore 16 (per. ore 19,30).

Veuillez me dire si l'an peut et si vous croyez convenable de tacher d'obtenir que le Times dise qu'il lui résulte que le Roi n'avait pris aucun engagement envers le Gouvernement espagnol à l'égard de la candidature du due de Gènes (1).

9

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, COLLOBIANO ARBORIO

D. 23. Firenze, 8 ottobre 1869.

La corrispondenza politica di codesta R. Legazione è pervenuta a questo ministero assai regolarmente. Essa comprende tutto il carteggio di tal serie sino al n. 104 incluso.

Le notizie che V. S. mi ha trasmesse meritavano la nostra attenzione per l'importanza che le medesime potevano avere riguardo ai rapporti esistenti fra altri Stati europei ed i vari Governi americani.

Dalla legazione di Sua Maestà a Berlino mi venne trasmessa copia di un carteggio assai interessante tenuto fm il signor Bancroft ed il Dipartimento di Stato federale relativamente al ristabilimento delle relazioni diplomatiche fra il Messico e l'Italia. Dalle corrispondenze scambiatesi risultano 1e buone disposizioni del Governo messicano al riguardo, non meno che l'amichevole

5 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. XII

premura della quale fece prova a nostro favore il Governo degli Stati Uniti in così importante e delicato affare.

Desidero che la S. V. esprima, in nome del Governo del Re, al segretario di Stato della Confederazione i sensi della nostra gratitudine per gli adoperamenti della diplomazia federale in questa occasione. Appena abbiamo saputo che le pratiche fatte al Messico erano state coronate di pieno successo, ci siamo affrettati di destinare ad Incaricato d'Affari e Console generale in quella Repubblica uno dei più distinti agenti, il quale ha già dato al Governo del Re non dubbie prove delle qualità che lo distinguono. Questi è il signor Cavaliere Cattaneo, ed il R. Ministero lo ha già sollecitato a recarsi alla sua destinazione persuaso, come lo è, dopo le dichiarazioni avute, ch'egli sarà benissimo accolto dal Governo messicano.

Vorrei che la S. V. facesse conoscere anche queste particolarità a codesto segretario di Stato, affinché egli veda qual seguito il R. Governo abbia dato alle pratiche per le quali gli Stati Uniti ci hanno prestato la loro amichevole cooperazione.

(l) Per la risposta cfr. n. 11.

10

IL MINISTRO A MADRID, CERRUTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1835. Madrid, 9 ottobre 1869, ore 9,15 (per. ore 15,55).

Ordre rétabli en Catalogne et Valence (1). Troupes restées fidèles. Eveques vont au concile. Point de circulaire du garde des sceaux. Il y aura circulaire du ministre des affaires étrangères aux agents espagnols semblable à celle ministère français.

11

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

T. 1019. Firenze, 9 ottobre 1869, ore 13,45.

Le Roi n'a jamais eu de communication officieUe avec le Gouvernement espagnol au sujet du due de Gènes. On lui a seulement parlé officieusement de la candidature du jeune prince au tròne d'Espagne. Le Roi a répondu qu'il ne s'y opposait pas, pourvu néanmoins que la demande ait lieu dans des conditions convenables.

Je crois qu'en tout cas, il est utile d'éviter des polémiques à ce sujet. Elles

ne font qu'exciter la presse hostile au détriment mème du prince que l'on

veut ménager.

lO

(l) Cfr. serie I, vol. XI, n. 602.

12

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. 72. Alessandria, 9 ottobre 1869 (per. il 15).

L'immediata partenza del postale non mi dà campo che dirigere brevissimo rapporto all'E. V. per rinnovarle la preghiera di perdonare la mia arditezza di aver espressa così chiaramente la mia opinione col telegramma di jeri (1), col quale annunziai che un viaggio di S. A. il Duca d'Aosta in questo momento a Costantinopoli distruggerebbe tutto il successo e posizione che abbiamo acquistata in Egitto. Credo però obbligo mio dover manifestare all'E. V. senza reticenza alcuna lo stato delle cose e la mia opinione che V. E. apprezzerà e giudicherà per quanto valgono.

Unitamente al dispaccio di V. E. S. A. il Principe ne ricevette un secondo dal Ministero della Marina che lo invita a fa,re con tutta la squadra una crociera dì quindici giorni sulla costa d'Africa di ponente.

Sua Altezza si è benignata darmene anche lettura senza che io esprimessi opinione alcuna, ho osservato che Sua Altezza è rimasta sorpresa di disposizioni così contraddittorie, essendo invitata con una dì andare a Costantinopoli, e con l'altra sulla costa d'Africa.

Non spetta a me dir parola sulle disposizioni del Ministero per la Marina.

Ho rapportato all'E. V. l'effetto prodotto nel paese per l'arrivo della R. Squadra, e pel conferimento del Gran Cordone della Corona d'Italia al Principe ereditario, e quali ne sono state le felici conseguenze. Si è data anche molta importanza alle missioni del Commendator Aghemo, e del Maggiore Charbonnau, e benché ne sia affatto sconosciuto lo scopo, pure dal modo come sono stati ricevuti e trattati dal Khedive, se ne è ritratta la convinzione che le loro missioni siena completamente riescite. Lo che è vero, ed essendo essi sul punto di ritornare in Italia, lascio ad essi di farne dettagliata reLazione al nostro Augusto Sovrano ed all'E. V. La ricezione reale fatta avant'jeri alla Duchessa d'Aosta, le dimostrazioni delle colonie, hanno vieppiù confermata l'opinione publica che il Khedive e l'Egitto si sentono legati di profonda gratitudine verso l'Italia.

Se in questo momento la squadra partisse, e particola;rmente se il Principe andasse a Costantinopoli, indubitatamente e il Khedive, e l'Egitto e l'opinione pubblica crederebbero che la squadra si allontana per pressione usata su di noi, e che il viaggio del Principe non avrebbe altro scopo che quello di andare a Costantinopoli pe;r giustificare l'attitudine del R. Governo. L'E. V. nella sua alta intelligenza ne vedrà tutte le immancabili e fatali conseguenze senza che io debba rendermene facile profeta. La nostra posizione diventerebbe in Oriente molto più secondaria di quello che era, e con molto più discapito d'influenza politica, d'interessi materiali, presenti e futuri.

L'E.V. si benignerà vedere in questo breve rapporto il compito di un devoto ed onesto suo subalterno.

(l) T. 1834, non pubblicato.

13

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AI COMMISSARI PER LA RIFORMA GIUDIZIARIA IN EGITTO, G. DE MARTINO E GIACCONE (l)

ISTRUZIONI. Firenze, 10 ottobre 1869.

È noto alle SS. VV. come nell'agosto del 1867 il Governo del Re ricevesse, per mezzo della sua Legazione in Pa,rigi, copia di un memoriale diretto da S. E.

Nubar Pascià a S. A. il Khedive e contenente l'esposizione di un progetto di riforma dell'ordinamento giudiziario dell'Egitto (2). Quella copia del memoriale era stata rimessa da Nubar Pascià stesso al R. Ministro in Parigi perché la comunicasse al Governo del Re, e per tal guisa si era evitata la solennità di una formale proposta nelle vie diplomatiche che l'Egitto, nella sua posizione verso la Porta Ottomana, non sarebbe forse stato abilitato a seguire.

La gravità delle proposte contenute nel memoriale di Nubar Pascià e la singolarità della forma colla quale le medesime venivano portate a notizia dei Governi interessati, fecero sì che il Governo del Re si astenesse sulle prime dallo emettere un'opinione qualsiasi che ne avesse potuto scemare la completa libertà di azione. E perché non sembrasse che il Governo di Sua Maestà ammettesse che la riforma giudiziaria in Egitto fosse tal cosa sulla quale le Potenze non avessero diritto d'ingerirsi direttamente, il R. Ministero faceva al riguardo ogni necessaria riserva.

Intanto il R. Governo, desideroso di circondarsi dei maggiori lumi possibili sulla sostanza delle proposte riforme, decideva di sottometterne l'esame a vari suoi funzionari particolarmente competenti nella materia, e li pregava di studiare i singoli quesiti analiticamente sotto due punti di vista diversi, cioè in confronto del diritto scritto e consuetudinario e sotto l'aspetto dell'utilità che ne ritrarrebbero gli affari italiani in Egitto.

Furono per tal guisa interpellati, oltre le SS. LL., anche il commendatore Bruno, già Agente e Console generale in Alessandria, il cavaliere Vignale, allora Console al Cairo, il cavaliere Spagnolini ed il cavaliere Verno::.1.i, il primo Console generale ed il secondo primo interprete a Costantinopoli.

Nello stesso mentre poi si procedeva a raccogliere informazioni sulle accoglienze che i vari Gabinetti avevano fatto alle comunicazioni del Governo vicereale.

Seppimo per tal maniera che la Gran Bretagna *allora impegnata nella guerra d'Abissinia* cercava di evitare di pronunciarsi apertamente lasciando però intendere di non essere contraria al principio di una riforma delle istituzioni giudiziarie in vigore. L'Austria non era premurosa di pronunziarsi ed il suo voto sembrava volere conformarsi a quello che avrebbe riunito la maggioranza dei suffragi delle altre Potenze. La Russia aveva invece dichiarato apertamente che, pronta ad accetta,re col tratto successivo le riforme serie che fossero introdotte nel Vicereame, non vedeva ragione di rinunziare subito ad

uno stato di cose ben noto per accettare un sistema incognito ed in ogni caso di applicazione difficile.

In Francia le proposte riforme avevano ottenuto una simpatica accoglienza; ma non volevasi dal Governo imperiale accettare il sistema nuovo, di cui si ignoravano gli effetti e le conseguenze, facendo anticipata rinunzia dei privilegi e degli usi antichi. Intanto era stata riunita in Parigi un'apposita Commissione per elatorare un rapporto sul merito delle proposizioni egiziane. Così, in Francia come in Italia, le questioni sollevate dall'Amministrazione egiziana nel suo progetto di riforma venivano sottomesse fin da principio allo studio di autorevoli persone.

*Le risposte fatte dai RR. funzionarii che il Ministero avea interpellati, più dissimili nella forma che nella sostanza potrebbero venire così compendiate:

Unanimi tutti nel riconoscere il fatto della sostituzione operatasi in Egitto di una legislazione consuetudinaria che allargava la sfera di azione della giurisdizione Consolare oltre il confine legale originariamente assegnatole dalle antiche capitolazioni, non lo sono meno nel respingere la nota di arbitraria ed abusiva colla quale Nubar Pacha aveva stigmatizzato l'indole della lamentata sostituzione procreata unicamente dalla legittima diffidenza sorta nell'animo di tutti indigeni e stranieri dalla lunga esperienza fatta della mancanza assoluta delle più indispensabili qualità nei giusdicenti egiziani.

Unanimi nello ammettere che si potesse addivenire per accordo comune delle potenze coll'Amministrazione del Vice-Re alla riforma dell'attuale regime giudiziario dell'Egitto, opinano tutti concordemente che alla inaugurazione di un sistema nuovo abbia da precedere quella radicale riforma delle leggi egiziane che valga meglio ad intornarle ai principii fondamentali delle legislazioni europee.

A parte le più accentuate ripugnanze del Commendatore Bruno nello annuire alla costituzione dei Tribunali misti civili e commerciali di prima e seconda istanza, proposta da Nubar Pacha in compenso delle guarentigie che assicura in Egitto allo straniero convenuto il beneficio del proprio foro a fronte anche dell'attore indigeno, è irrecusabile l'adesione degli altri interpellati alla conservazione degli esistenti tribunali commerciali misti ed alla istituzione dei tribunali civili misti sempre che nella loro composizione prevalga l'elemento europeo sull'indigeno si riscontri il concorso di ogni altra desiderabile guarentigia di moralità, di sapere e di indipendenza nel personale giudicante.

Non guarì dissimile è il voto degli interpeHati in ordine alle proposte relative alle riforme dei tribunali misti correzionali e criminali. *

Nella sostanza il voto dei regi funzionari interpellati dal Governo del Re non fu guarì dissimile da quello emesso dalla Commissione speciale riunita in Francia. Le conclusioni del rapporto della Commissione *qui unite in copia* contengono appunto l'enunciato di una serie di guarentigie che si dovrebbero chiedere all'amministrazione del Viceré prima di aderire ad alcune parziali rinunzie del diritto in vigore.

*Se anche mentre questi lavori preparatori aveano luogo il Governo Egiziano ci faceva consegnare un'altra scrittura contenente, come lo diceva il titolo, spiegazioni del l o progetto di riformr. dell'ordinamento giudiziario (An

nesso C) quel documento non richiedeva alcuna nostra risposta ed *il Governo del Re non istimò dovere rompere il silenzio *sino allora serbato * prima di venire in cognizione dell'andamento delle pratiche che si sapevano condotte in quel momento con molta attività presso altre Corti.

Non si tardò infatti a conoscere che l'esito di tutti quegli adoperamenti consisteva in una semplice promessa ottenuta a Parigi e Londra di fare esaminare le proposte riforme da una Commissione internazionale. Non sembravano però d'accordo i vari Gabinetti sul luogo dove fosse preferibile che la Commissione stessa si riunisse.

Interpellato in quel torno di tempo dal Governo prussiano sulle sue opinioni in proposito, il R. Ministero rispondeva che dagli studi preliminari appariva che un'opinione definitiva intorno ad un oggetto così difficile e complicato non poteva essere emessa se prima non venivano esaminate tutte le particolari questioni che vi si annettono; che già erasi potuto verificare che la soluzione da darsi a tali questioni era intimamente collegata cogli interessi che gli stranieri posseggono in Egitto; che utile appariva pertanto la riunione di una Commissione internazionale in Egitto per istudiarvi preliminarmente le proposte riforme; che per ultimo il Governo italiano riteneva non essere ancora venuto il tempo di preoccuparsi della scelta della città di Europa dove dovrebbe poscia riunirsi la Commissione incaricata di deliberare sull'accettazione o sul rigetto delle proposizioni già state attentamente studiate dalla prima Commissione.

Formulata per tal guisa la sua opinione, il Governo del Re non se n'ebbe più a dipartire, e, nel tratto successivo dei negoziati, ebbe la sorte di vedere che in ciò concordavano, almeno nei punti principali, anche gli altri Gabinetti. Di tale accordo si ebbe infatti la conferma, pochi mesi dopo, quando, a seguito di una discussione avvenuta nella Camera dei Comuni in Inghilterra, la quistione si fece alquanto più viva che non lo em stata per lo addietro.

Appianate certe difficoltà che sul principio aveva incontrate, Nubar Pascià faceva, nell'autunno del 1868, un viaggio presso le varie Corti europee per sollecitare l'adesione al progetto di riunire una Commissione internazionale in Egitto. Il mandato di questa Commissione sarebbe stato di esaminare le guarentigie che presenterebbero i tribunali egiziani, di deliberare sul miglior modo di compilare un Codice di procedura, e di modificare le leggi egiziane in guisa da renderle applicabili a tutte le questioni che sorgono fra indigeni e stranieri. Tale Commissione avrebbe cosi preparato, diceva Nubar Pascià, le risoluzioni definitive di tutte le parti interessate nella quistione.

Aderiva in massima il Governo del Re a tutte le misure che potevano contribuire a predisporre una riforma generalmente creduta necessaria. Simile decisione gli era suggerita dal desiderio che provava di facilitare in tutti i modi possibili lo sviluppo del progresso morale ed economico dell'Egitto, nonché dal desiderio di provvedere ai grandi interessi commerciali delle numerose Colonie italiane stabilite in quel paese. Epperò noi prendevamo atto in una nota del 5 ottobre 1868 (diretta a Nubar Pascià allora in Firenze) (l) del carattere puramente consultivo che dovrebbe avere la Commissione da riunirsi in Egitto ed a

questa, come avente tale carattere, davamo la nostra adesione promettendo di farvici rappresentare tosto che fosse convocata.

Mentre però, per effetto dei sopra descritti negoziati, si veniva a stabilire con precisione l'indole del mandato che i Governi volevano affidare alla Commissione progettata, ci perveniva dal Cairo un nuovo memoriale firmato da Scherif Pascià, nel quale, spiegando i motivi della missione affidata a Nubar Pascià, si entrava nel vivo delle quistioni relative alle riforme legislative e giudiziarie da introdursi.

Questa nuova comunicazione era questa volta diretta all'Agente e Console generale del Re in Alessandria, e poteva quindi aversi come un passo diplomatico che il Governo del Khedive faceva direttamente presso il Gabinetto di Firenze.

Molte e sensibili erano le differenze che passavano fra le cose esposte nella nota di Scherif Pascià e quelle contenute nelle comunicazioni di Nubar Pascià. Il

R. Governo segnalava queste differenze in un suo dispaccio al R. Agente e Console generale in Egitto, osservando che l'Italia aveva unicamente trattato sulle basi e nei limiti delle proposte di Nubar Pascià, che aveva così accettato soltanto la proposta fatta e di entrare in discussione sopra le riforme in genere che si potrebbero adottare in Egitto per vantaggio comune degli indigeni e degli stranieri. Soggiungeva poi il Governo del Re, in quello stesso dispaccio, che anche quella accettazione era subordinata pe,r parte sua alla condizione che la discussione anzidetta avesse luogo in una Commissione dei delegati delle Potenze principalmente interessate nella quistione della riforma giudiziaria.

Lo studio che aveva messo allora il R. Governo a non lasciarsi trascinare fuori dei limiti entro i quali erano stati circoscritti i negoziati con Nubar Pascià, non poteva a meno di suggerirgli un'altra categorica dichiarazione quando sul principio di quest'anno, S. A. il Khedive, nel discorso di apertura della Sessione del Consiglio dei Delegati provinciali, annunziava di aver ottenuta l'adesione della maggior parte delle Potenze ai principii della riforma giudiziaria. Con nostro dispaccio del 27 febbraio (1), si rettificava ciò che poteva esservi di meno esatto nelle interpretazioni alle quali quelle parole si prestavano, ed accuratamente si ristabilivano i termini precisi nei quali il Governo del Re aveva accettato la propostagli Conferenza senza pregiudicare in alcun modo la sostanza delle quistioni che nella Commissione dovevano essere preliminarmente esaminate.

E per una terza volta il R. Governo si vedeva nella necessità di ristabilire i termini nei quali egli aveva precisamente espressa la propria adesione alla riunione di una Commissione internazionale, allorché, nell'agosto ultimo passato (2), in risposta alla comunicazione fattagli dal Governo egiziano per invitarlo alla prossima riunione della Commissione internazionale, questo Ministero annunziava la decisione presa di farvisi rappresentare da due Commissari. Espressamente ripeteva allora il R. Governo che egli non voleva scostarsi dai termini nei quali erano state prese le preliminari intelligenze con Nubar Pascià quando questi, nell'ottobre 1868, si era recato in Firenze.

Le quali cose tutte si ricordano in questo luogo affinché chiaramente emergano agli occhi delle SS. VV. l'indole ed i limiti del mandato che il Governo

di Sua Maestà intende affidare ai suoi Commissari. Fu cura particolare del Governo del Re lo evitare di consentire che tale mandato possa essere ecceduto nei lavori della Commissione senza che altre intelligenze abbiano preceduto fra i Gabinetti principalmente interessati.

Stabilito così il confine delle attribuzioni che loro sono affidate, sarebbe qui il luogo di entrare nel merito delle singole quistioni che nelle varie scritture del Governo egiziano vennero proposte all'esame delle Potenze. Ma l'indole speciale ed il carattere puramente consultivo che i Governi hanno voluto attribuire ai lavori deUa Commissione della quale le SS.VV. faranno paJ"te, dispensano per ora il Ministero dal manifestare in proposito le sue idee. Queste infatti non potranno essere definitivamente enunziate se non dopo che la Commissione stessa avrà col suo voto rischiarato i vari punti di quistione intorno ai quali converrà poscia deliberare.

Ciò pe,raltro non esclude che il R. Governo debba s'in d'ora preoccuparsi del concetto generale che deve servire di guida ai suoi Commissari anche nello emettere il loro voto consultivo.

Alle SS. VV. sono noti gli elementi diversi dei quali Elleno dovranno tener conto nel formarsi le loro proprie opinioni. Non ignorano inoltre che grande sarà il peso delle deliberazioni consultive della Commissione di cui faranno parte. Nel voto che questa emetted vedranno infatti tutti i Governi una base sicura ed autorevole per le future loro decisioni circa le gravi quistioni che possono influire sugli interessi reali delle loro rispettive Colonie. Non sarà dunque mai soverchia la prudenza che dal canto nostro metteremo nello accostarci all'uno od all'altro degli avvisi diversi in cui si dividessero i voti dei Commissari delle altre Potenze. Giova però avvertire che con queste prescrizioni non si vuole escludere ogni eventuale iniziativa dei Commissari italiani in seno della Commissione. Anzi nel fare cadere la scelta di uno dei Commissar~ sopra un magistrato di grado elevato e così perfettamente cognito delle quistioni da discutersi, il Governo del Re intese assicurarsi una parte importante nei lavori che stanno per incominciare.

A tale riguardo, sebbene il R. Ministero non dubiti menomamente che fra 1 due suoi Commissari le intelligenze saranno abbastanza facili perché ne abbia a risultare un costante e perfetto accordo fra di loro, non è tuttavia fuor di luogo che si preveda anche il caso in cui fra le SS. VV. si produca, intorno a qualche punto speciale, una discrepanza di pareri.

E qui anzitutto occorre che le SS. VV. sappiano come il Governo di Sua Maestà si sia particolarmente preoccupato della posizione che verrebbe fatta al suo Agente e Console generale durante e dopo i lavori della Commissione, ove nei lavori stessi egli avesse una partecipazione molto attiva e incontrasse conseguentemente una proporzionata parte della responsabilità dell'esito finale dei medesimi. Non isfuggì al Governo del Re la considerazione che la posizione personale del suo Agente e Console generale potrebbe facilmente essere pregiudicata,

o rispetto alla Colonia, o rispetto al Khedive, dal contegno che egli serberebbe in seno a questa internazionale adunanza.

Troveranno quindi probabilmente i Commissari stessi più opportuno attenersi ad un partito che scemi almeno in parte gli inconvenienti sopra indicati, e que

sto partito sembra doversi facilmente ravvisare nelle intelligenze che potrebbero stabilirsi fra i due Commissari italiani per guisa che le discussioni siano di preferenza sostenute dal Commissario appositamente inviato in Egitto, riservandosi il

R. Ag,ente e Console generale di associarsi agiti atti che saranno il risultamento della discussione stessa. Tale contegno dei due Commissari apparirà d'altronde ben naturale a chiunque tenga conto che la specialità dell'oggetto delle discussioni implica di per sé che la massima parte della responsabilità delle deliberazioni da prendersi abbia a ricadere sopra quello dei Commissari che sarà stato inviato al Cairo come persona particolarmente competente nelle materie giuridiche che dovranno venire in discussione.

Appena poi sembra necessa,rio lo indicare come, a nostro avviso, sia indispensabile che i due Commissari si mettano perfettamente d'accordo sopra una linea di condotta da seguire nel corso delle deliberazioni, attalché, né in seno della Commissione, né fuori, apparisca mai una divergenza qualsiasi di avviso fra di loro.

A tal uopo potrebbero le SS.VV. tracciarsi fino dal principio un piano delle concessioni che per avventura sembrassero possibili, ed, accertatisi di incontrare l'appoggio dei Commissar,i delle altre Potenze, non dovrebbero lasciarsi sfuggire l'occasione di prenderne l'iniziativa perocché di questa potrebbe avvantaggiarsi sotto altri rispetti la posizione dell'Italia presso il Governo vicereale.

Ma in ogni ipotesi, ed in qualunque punto dei lavori che stanno ormai pe,r incominciare, dovrà ognora prevalere la considerazione dell'interesse ben inteso dei connazionali nostri stabiliti in Egitto o che vi esercitano un traffico importante. Quest'interesse, al quale partecipa tutto il nostro paese, vuol essere prudentemente e sagacemente tutelato, ed affinché così avvenga, il Governo di Sua Maestà si affida nello zelo e nell'intelligenza dei suoi Commissari ai quali sono dirette queste istruzioni.

(l) -Ed., ad eccezione dei brani fra asterischi, In L V 21, pp. 45-48. (2) -Cfr. serle I, vol. IX, n. 152.

(l) Cfr. serle r. vol. X, n. 566.

(l) -Cfr. serie I, vol. XI, n. 135. (2) -Cfr. serie I, vol. XI, n. 527.
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IL MINISTRO A CARLSRUHE, ARTOM, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 482. Baden, 12 ottobre 1869 (per. il 15).

Mi recai quest'oggi a Carlsruhe per conferke col Ministro degli Esteri, che non avevo veduto nelle ultime settimane essendo egli stato costretto dai dibattimenti delle Camere a sospendere il ricevimento del Corpo Diplomatico. Gli feci le mie felicitazioni per l'enorme maggioranza ottenuta dal Ministero nei due rami del Parlamento, ed osservai che se l'impressione prodotta all'estero, e specialmente in Francia dalle discussioni fosse stata meno sfavorevole io non avrei avuto che ad esprimergli la mia sincera soddisfazione delle vittorie ottenute sul partito clericale. Soggiunsi che il Governo del Re, assorto da altre questioni di politica estera ed interna, non mi aveva incaricato di fare alcuna comunicazione sopra l'allarme che per alcuni giorni si era suscitato in Francia per la politica badese; che egli doveva quindi riguardare come puramente confidenzi<tle e spoglia d'ogni carattere officiale ed ufficioso il mio linguaggio. Avendo avuto occasione di parlare a Baden con un gran numero di francesi di ogni classe, avevo potuto constatare quanto grande fosse ancora la suscettibilità della Francia per tutto ciò che accade al di qua del Reno e mi pareva di esser nel vero affermando che l'Imperatore dei Francesi fosse assai meno che il suo popolo disposto a correre i rischi d'una guerra. Sarebbe quindi, a parer mio, cattivo calcolo il credere

-o che la malattia dell'Imperatore gli abbia reso impossibile ogni ardita risoluzione, o che le concessioni liberali da lui fatte al Parlamento gli abbiano tolto l'autorità e la forza necessarie per opporsi a che la Prussia si stabilisca militarmente sulle frontiere francesi. Non andrebbe errato invece chi pensasse che il partito favorevole alla guerra sempre esistente alla Corte francese coglierebbe con grande piacere ogni pretesto che gli fosse offerto dalla polit>ica badese per rialzare con una energica iniziativa all'estero il prestigio del Governo Imperiale. Ora chi conosce la Francia per averla abitata qualche anno, sa quanto facilmente quella popolazione sia disposta a vedere uno sfregio alla sua bandiera nei discorsi -o negli atti degli uomini di Stato stranieri, i quali non mirano in realtà che a guarentire al proprio paese quelle condizioni di indipendenza e di unità realizzate dalla Francia. Non come Ministro del Re, ma come italiano dovevo far osservare al signor di Freydorf, che l'Italia di cui esso ha invocato l'esempio e di cui propone alla Germania di seguire le tracce, riesci a compiere la sua unità ed indipendenza, costringendo in certo modo il Governo francese ad essere suo complice nella serie di avvenimenti memorabili che condussero a questo grande risultato, e tenendo conto delle suscettibilità del carattere francese. Se il Granducato non fosse collocato lungo le frontiere della Francia, se avesse una posizione geografica analoga a qt~ella dell'Annover o della Sassonia, il pericolo non sarebbe così grave; ma, pur riconoscendo alla Germania il diritto di organizzarsi nel modo che le pare migliore e di non ammettere alcuna estera ingerenza, gli è tuttavia impossibile di non riconoscere nelle quistioni di frontiera e di contiguità territoriale una ragione di convenienza che deve modificare lo stretto diritto. Favorevole personalmente alla unione della Germania, e rappresentante d'un Governo la cui politica si informa ai principi di nazionalità, io ammetto la nobiltà dello scopo propostosi dal Governo badese: ma pare a me che il mezzo migliore per riuscire non sia quello d'insistere isolatamente dagli altri Governi del Sud per entrare tosto nella Confederazione del Nord. Questa insistenza imbarazza la Prussia che non può accettare l'offerta senza correre rischi d'una guerra colla Francia: essa accresce inoltre le antipatie bavaresi e wiirtemberghesi giacché quei Governi e quei popoli vedono nel linguaggio e nel contegno del Governo badese un modo di far loro violenza e di costringerli ad entrare in una organizzazione politica i cui patti, dettati il giorno dopo la guerra, pei soli Stati tedeschi del Nord, non tengono alcun conto delle esigenze speciali e delle tradizioni pa,rticolari degli Stati del Sud. A me pare invece che un vero uomo di Stato trovandosi a capo d'uno dei Governi meridionali, avrebbe una bella missione politica, e sarebbe quella di proporre pubblicamente un progetto d'un patto fede,rale più largo che convenisse egualmente ed al Sud ed al Nord della Germania. Se questo progetto ottenesse l'adesione di tutto il partito nazionale liberale, se questa iniziativa non potesse attribuirsi alla Prussia, ma fosse veramente risultato spontaneo d'un accordo fra i tre Governi meridionali, la Francia non avrebbe alcun pretesto per opporsi e l'Imperatore che proclamò sempre i

principii di nazionalità potrebbe calmare le eccessive bellicose suscettibilità del suo popolo. Quand'anche poi questo progetto di una più larga confederazione non ottenesse il consenso sia della Prussia, sia del Wtirtemberg o della Baviera, rimarrebbe sempre al Baden un mezzo di preparare la sua unione colla patria tedesca, meno pericoloso della sua isolata partecipazione alla Confederazione del Nord. Questo mezzo consisterebbe nel procedere ad accordi separati colla Prussia circa certe materie di legislazione, per esempio H Codice penale, le leggi sull'ist.ruzione, sull'assistenza pubblica, ecc. Con ciò si farebbe un progresso lento, ma efficace senza esporre l'Europa al pericolo di complicazioni che la Prussia stessa è la prima a voler evitare. Conchiusi il mio discorso ripetendo che queste idee mi sono affatto personali, che non fui incaricato da V. E. di esporre alcun avviso né dare alcun consiglio, ma che credevo dar prova dell'inte.resse sincero che nutro per questo paese e pel Governo di Sua Altezza Reale esprimendo francamente la mia opinione persona1e, e che non credevo errare pensando che avrei agito conformemente ai miei doveri, contribuendo in qualche modo ad evitare ogni pericolo di eventualità bellicose.

II signor Freydorf mi ringraziò con vera effusione d'animo dei miei conslgll. Mi disse che l'allarme dato dai giornali francesi non era che un giuoco di borsa, essere noto a Parigi che la Prussia non cangiò idea circa l'annessione separata del Baden, e che tanto esso quanto i suoi colleghi erano !ungi dal volersi esporre al pericolo di una guerra. Egli riconosceva la necessità di tener conto delle suscettibilità della Francia; credeva che queste fossero affatto ingiustiHcabili dal punto di vista del diritto; che anche nel fatto, poiché ormai l'esercito badese costituisce una divisione dell'esercito della Confederazione del Nord, poco deve importare alla Francia che l'uno piuttosto che l'altro dei reggimenti della Confederazione del Nord occupi Rastadt e questa pa.rte del Reno: l'unificazione essere un fatto compiuto sotto il rapporto militare ed economico; la Francia che non protestò finora, dovrebbe comprendere non esservi più alcuna ragione per impedire il resto. Soggiunse essere egli il solo Ministro degli Stati del Sud che abbia, nel suo portafogli, la formala d'una lega più larga fra H mezzodì ed il nord della Germania, essere egli dispostissimo ad accettare codesta idea, ma non credere di paterne prende·re l'iniziativa, perché tutto quanto egli proporrebbe sarebbe respinto dagli altri due Governi come troppo favorevole alla Prussia. Questa 'iniziativa potrebbe quindi convenire alla Baviera od al Wlirtemberg, ma non al Baden. Anche l'altra idea da me proposta, quella di fare accordi isolati colla Prussia per introdurre l'uniformità in certe materie di legislazione, incontrare praticamente ostacoli e nel1a Prussia stessa che non diminuirebbe con piacere la facoltà di mutare a suo talento la legislazione interna, e nella necessità che si av·rebbe di ottenere l'assenso di più Parlamenti ad uno stesso progetto di legge. Praticamente, diss'egli, il mezzo più semplice è l'annessione alla Confederazione del Nord; i patti della medes,ima potranno essere utilmente modificati quando tutta la Germania sia unita; intanto la via più spedita è quella di accettarla per base comune ai progressi ulteriori. Tuttavia, diss'egli, vi ripeto che noi non rifiutiamo di negozia.re per una confederazione più larga, ma poco crediamo alla sincerità della Baviera e del Wlirtemberg quando dicono di desiderarla. Ora noi avendo sottoposto il nostro paese a pesi finanziari e militari gra

vissimi pe,r unirei al Nord, non possiamo non far balenare agli occhi del Parlamento e del paese la possibilità di ottenere in un tempo più o meno prossimo tutti i vantaggi di una unione completa. L'unificazione militare ed economica, gli stessi passi fatti a malincuore dal Wilrtemberg e dalla Baviera su questa via, sono dovuti al nostro contegno ed al nostro linguaggio. Ma, ve lo ripeto, noi siamo ben lungi dal voler fare imprudenze e ciò c':le deve pienamente rassicurarvi si è che quand'anche noi fossimo troppo temerari, la Prussia non mancherà di fermarci in tempo e di toglierei la possibilità stessa di avventurarci nelle complicazioni da voi temute.

Chiesi allora al Ministro se la Francia avesse fatto qu:J.lche reclamo, o protesta. Egli mi assicurò di no, e mi disse che si era limitato a tenere col Ministro di Francia e coll'Incaricato d'Affari austr,iaco discorsi analoghi a quelli che tenne con me, con questa sola differenza, soggiunse egli, che a voi parlo naturalmente con maggiore franchezza ed espansione d'animo.

Riassumendo questo rapporto, della cui lunghezza chiedo perdono a V. E., ri~ulta chiaro per me che le dichiarazioni esplicite in favore dell'ingresso nella Confederazione del Nord, fatte dai Ministri nelle due Camere del Parlamento hanno per iscopo sopratutto di ottenere il voto del bilancio del Ministero della Guerra, sul quale vi sarà grande battaglia, ed inoltre di accarezzare il partito degli Offenburghesl, per averlo consenziente nelle questioni di politica interna. Pare poi che la Prussia non abbia mutato d'avviso, e che il Re, nei suoi discorsi col Granduca sia sempre contrario all'ingresso isolato del Baden nella Confederazione del Nord. Però non deve dispiacere a Berlino che i Ministri badesi continuino ad insistere pubblicamente in questo loro programma, perché ciò mette in imbarazzo gli autonomisti della Baviera e del Wiirtemberg, e favorisce lo sviluppo del partito nazionale. Inoltre la Prussia dev'essere lieta di dimostrare alla lt,rancia il suo amore alla pace, rifiutando di cedere alle istanze fatte così pubblicamente dai Ministri badesi. V'ha chi crede che v'abbia a Berlino un partito che incoraggia le tendenze annessioniste badesi, ed un altro che le respinge, e che entrambi questi partiti siano rappresentati alla Corte e nel Ministero Prussiano. La E. V. saprà meglio di me quanto vi sia di vero in ciò.

Il signor Freydorf, interpellato da me sulla importanza del ravvicinamento che ha luogo tra l'Austria e la Prussia, e sulle basi di questo accordo, non seppe dirmi nulla che valga la pena di riferire alla E. V.

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L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, QUIGINI PULIGA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 969. Parigi, 13 ottobre 1869 (per. il 15).

Ho ricevuto a suo tempo i dispacci di serie politica nn. 506 e 508 che l'E. V. mi fece l'onore di indirizzarmi in data del 27 e 28 settembre ultimo (1). Col primo di questi l'E. V. incaricavami di inter<~ssarc il Ministro imperiale degli

affari esteri ad intendersi con noi per prevenire le difficoltà che potrebbero insorgere qualora il Comitato esecutivo della commissione finanziaria tunisina pigliasse delle risoluzioni di massima prima della costituzione del Comitato di riscontro.

Col secondo V. E. si compiacque di informarmi della risposta da Lei data all'Agente tunisino, il quale era venuto a chiederle l'inserzione nella Gazzetta Ufficiale del Regno d'un avviso del Comitato esecutivo ai possessori di titoli al portatore emessi dal tesoro tunisino per diffidarli a farne la consegna, tra 11 l a ottobre ed il lo dicembre di quest'anno ad uno degli Agenti del Bey in Europa. L'E. V. mi facea conoscere le obiezioni che il Governo del Re credeva di dovere opporre a questa inserzione e chiedeva di conoscere l'opinione del Ministro imperiale degii Affari Esteri a tale riguardo.

Nell'ultima udienza che ebbi dal Principe di La Tour d'Auvergne ho intrattenuto S. E. dell'argomento di questi due dispacci. Il Ministro imperiale, che allora prese nota delle mie osservazioni e mi promise una risposta scritta, mi consegnò di fatti quest'oggi, in una nuova udienza, la Nota che ho l'onore di qui unita trasmettere all'E. V. (1). Dopo avermene dato lettura, il Principe di La Tour d'Auvergne mi ripeté anche verbalmente che la disposizione presa dal Comitato esecutivo è puramente preliminare e non impegna in nulla le decisioni future deìla Commissione che rimane sola investita del diritto di pronunciare sul merito delle reclamazioni dei creditori e che naturalmente non potrà esercitarlo prima di essere regolarmente ed intieramente costituita. La riscossione dei titoli speciali al portatore, di cui l'avviso del Comitato esecutivo chiede 1a consegna non ha altro scopo, mi disse il Principe di La Tour d'Aavergne, all'infuori di quello di preparare alla Commissione finanziaria quelli elementi utili per le sue indagini e per le sue deliberazioni senza il previo allestimento dei quali la Commissione, quando sia costituita, mancherelJlJe del più necessario materiale di lavoro.

Il Principe di La Tour d'Auvergn& aggiunse che il Governo imperiale sarebbe riconoscente al Governo del Re di non sollevare difficoltà per questa, secondo lui, necessaria disposizione del Comitato esecutivo, e che d'altronde egli per parte sua affrettava quanto meglio poteva la costituzione del Comitato di riscontro.

(l) Cfr. serie I, vol. XI, n. 589, note l e 2, p. 545.

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IL MIN!STHO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E lVUNISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 473. Berlino, 14 ottobre 1869 (per. il 17 ).

J·'ai l'honneur d'accuser réception de la dépèche série politique n. 138 (2) et de la circulaire du 3 courant (3) ainsi que de son annexe. A cette dernière se trouvaient joints les docurnents diplomatiques du n. 391 bis à 393; 395 à 403; 405 à 408; 410 à 423; 425 à 427.

J'ai vu hier M. de Thiele. Il comptait sur mon indulgence, en me p.riant d'ajourner toute discussion approfondie jusqu'à ce qu'il eut eu le temps de se remettre au courant des affaires après une absence de deux mois. Il s'est donc borné à effleurer certains sujets entre autres la visite récente à Vienne du Prince Royal de Prusse, non sans relever avec amertume le langage inconvenant de quelques journaux autrichiens. Le Comte de Beust s'était empressé il est vrai de faire donner ici lecture d'une dépeche exprimant dans les meilleurs termes combien l'Empereur François Joseph avait été satisfait de se rencontrer avec le Prince héréditaire. Mais cette dépèche ne contenait aucune allusion politique, comme si on avait voulu soigneusement éviter de donner à cette entrevue une portée allant au delà d'une simple démonstration de courtoisie. D'un autre còté, la détermination prise à la onzième heure par l'Empereur d'assister en personne à l'inauguration du Canal de Suez après avoir rendu visite au Sultan, à moins -disait le Sous Secrétaire d'Etat avec quelque ironie -qu'elle ne soit motivée par un extréme désir de faire plus ampie connaissance avec le Prince Royal qui voyagera dans les mémes contrées, pourrait ètre attribuée à un sentiment de jalousie. M. de Thiele n'a pas développé sa pensée, mais il est facile de la compléter, si on se rend compte de l'attitude plus accentuée adoptée, depuis 186G, par la Prusse dans les affaires d'Orient où elle va maintenant montrer son pavillon jusqu'ici presque inconnu dans ces parages.

Quoiqu'il en soit, il est de fait que le Prince Royal a reçu l'accueil le plus cordial à la Cour d'Autriche, et qu'il est le premier à le reconnaitre. Une gazette officieuse de Berlin, la Correspondance provinciale, déclare aujourd'hui que cette réception a complètement répondu à l'attente, et prouve combien à Vienne, comme à Berlin, on attache de prix à nouer plus étroitement les anciens liens d'amitié entre les deux Cours.

Dans ces circonstances, il est évident que la visite dont il s'agit ne comporte encore aucun résultat dans l'ordre politique proprement dit. Elle met fin cependant à une situation trop tendue dans ces derniers temps pour ne pas étre pleine de périls si elle s'était prolongée, et dans cette mesure elle ne peut que contribuer à l'affermissement de la paix.

(l) -Non si pubblica. (2) -Non pubblicato. (3) -Cfr. serie I, vol. XI, n. 596.
17

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. 62/14. Londra, 14 ottobre 1869 (per. il 17).

Nella conversazione che ebbi or ora col Conte di Clarendon, ho portato il discorso sul soggetto degli affari della Spagna, pigliando occasione dalle gravi lotte che il Governo del Reggente è obbligato a sostenere, e dal sangue cittadino che si versa in accaniti combattimenti in molte delle principali città di quel paese, i quali disordini, quantunque ora repressi, sono tali sintomi che non lasciano prevedere quale possa esserne lo scioglimento.

Il Conte di Clarendon, mostrandosi pure preoccupato assai di questo soggetto, mi disse essere quello il paese delle cose imprevedute, né essergli possibile, farsi un'idea abbastanza fondata di ciò che vi possa ancora accadere, né escluse la possibilità, da me messa innanzi, che, come in altri paesi, così pure colà, dopo grandi sventure e molto sangue versato, e come conseguenza dell'anarchia, 'Potesse la reazione alzare ancora potentemente la testa per fare una ristaurazione.

Per la prima volta il nobile Lord fece spontaneamente un'allusione alla candidatura di S.A.R. il Duca di Genova al trono della Spagna, dicendomi che riteneva che ogni idea a questo riguardo fosse deposta.

Mi parve opportuno di cogliere questa circostanza, che mi si parava innanzi, per ,allontanare ogni erroneo concetto a riguardo di ciò che era realmente intervenuto.

Me ne somministrarono gii elementi il telegramma speditomi ieri l'altro da V. E. a questo soggetto (1), la risposta fatta da Sua Altezza Reale allorquando ne fu interpellato, ed il telegramma spedito, dopo di ciò, da Sua Maestà al suo reale nipote. Dissi pertanto a Sua Signoria che molte cose erronee eransi dette e pubblicate su questo affare, che in sostanza esso era rimasto ed era tuttora nello stato di una semplice proposta per parte del Governo attuale della Spagna, e senza alcun carattere ufficiale. Per quanto riguardava S. A. R. il Principe Tommaso, che esso era stato sempre ben lungi dal desiderare quella corona, e che tale era sempre stata la disposizione dell'animo suo, anche quando si dichiarava in ogni caso disposto ad ottemperare al Capo della Sua Dinastia qualunque fosse stata la Sua deliberazione, confidando nel Suo affetto paterno.

Soggiunsi che nelle relazioni collo stesso PrLncipe, S. M. il Re non gli aveva mai manifestato che fosse Sua volontà che quel fatto si verificasse, essendosi la Maestà Sua limitata a lodare la deferenza che il Principe aveva mostrata a Lui ed alle determinazioni che, venendo il caso, avesse creduto di prende,re, ed a dire al Principe Cpur non escludendo la possibilità che il fatto si potesse verificare) che mai esso si sarebbe verificato, quando pur se ne fosse fatta al Re stesso la formale domanda, se non in circostanze ed in uno stato di cose che ne provasse la convenienz,a e la sicurezza.

Dissi che del pari nessun impegno a riguardo della Spagna era corso per parte del Capo della Dinastia; che, oltrecché nessuna comunicazione ufficiale erasi fatta, l'intenzione espressa da Sua Maestà a chi avevagliene officiosamente padato, era che, ove in avvenire ne fosse fatta la domanda, egli non vi avrebbe acconsentito se non avesse giudicato che in quell'epoca lo stato delle cose fosse tale da persuaderne la convenienza.

Per quanto poi riguardava il Governo, dissi che esso non aveva neppure avuto l'occasione di prendere impegno di veruna sorta, né di prendere parte attiva tin questo affare.

Il punto di vista prefissomi nello svolgere queste considerazioni fu di non escludere qualsivoglia avvenimento o definizione potesse ricevere questo

delicato affare, e di escludere nel tempo stsso qualunque idea che vi fosse un impegno qualsivoglia, anche solo morale, per parte di Sua Maestà, del suo Governo o dal Principe stesso la corona di Spagna fosse mai stata ambita.

Queste spiegazioni mi parvero pure opportune dal punto di vista di far riflettere, colla esposizione dei fatti, le ragioni per le quali, non astante le cordiali relazioni esistenti fra il Governo inglese ed il Governo italiano, non avesse mai avuto luogo alcuna comunicazione intorno a questo soggetto.

Il Conte di Clarendon mi disse che così appunto gli erano conosciute le cose. Soggiunse molte parole di lode pel Principe della cui bontà, del cui ingegno, e del cui amore per lo studio tutti parlavano molto favorevolmente, e conchiuse col dire che sarebbe veramente peccato che Egli, col favore di così belle e sin.golari circostanze, non potesse compiere i suoi studii.

In tutto questo discorso Sua Signoria si espresse, come al solito, colla più squisita e cordiale cortesia (1).

(l) Cfr. n. 11, in realtà del 9 ottobre.

18

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 63/15. Londra, 14 ottobre 1869 (per. il 17).

Essendomi intrattenuto col signor Conte di Clarendon a riguardo della vertenza fra la Sublime Porta ed il Viceré d'Egitto, ebbi principalmente di mira di provocare da Sua Signoria un apprezzamento sull'andamento e sullo stato eli quest'importante affare.

Il Conte di Clarendon non esitò a dire che lo stato e la piega di questa vertenza non erano punto buoni né soddisfacenti, né si astenne dal manifestare qualche preoccupazione a riguacrdo del medesimo. A suo avviso, la Porta era stata eccessiva nelle sue pretese, ed 11 Viceré troppo pertinace nelle sue ripulse.

Essendo scesi ad esaminare alcuno dei soggetti principali delle differenze ancora esistenti, egli non diede molto peso a quello che ha per soggetto le relazioni dell'Egitto colle altre Potenze, la quale sembra che Sua Signoria non consideri come seria difficoltà.

Ma non è così dei due altri punti, ancora indecisi, riguardanti i bilanci preventivi delle entrate e delle spese, e la facoltà di contrarre prestiti. A riguardo del secondo di questi punti nulla aggiunge né variò di quanto io ebbi già l'onore di significare a V. E. col mio Rapporto del 7 ottobre, N. 13 Serie Politica (2).

Rispetto ai bilanci non celò che gli pareva ragionevole la domanda della Turchia la quale era disposta a non insistere nella sua pretesa di conoscere e di volere assoggettati alla sua osservazione i bilanci annuali delle entrate

e delle spese, purché il Kedivé si obbligasse a non imporre nuovi e maggiori tributi.

Il Conte di Clarendon addusse ancora, a conferma della sua opinione, la gravezza dei tributi imposti dal Kedivé d'Egitto, le enormi e straordinarie spese da lui fatte, e quelle che ancora al presente va facendo e sta per fare in occasione delle feste per l'apertura del Canale di Suez, a riguardo della quale si espresse in termini tali da dinotare che egli ne aveva il concetto come di cosa non molto seria.

Feci presente al nobile Lord che, se per una parte non si poteva disconoscere la verità di quanto egli affermava a riguardo delle imposte e delle spese in Egitto, per l'altra però non parevami che fosse né giusto né buon rimedio quello di limitare i poteri del Kedivé più di quanto lo permettessero i Fi.rmani che avevano stabilito i confini della sua autorità. Questi Firmani avere sancito la sua libertà d'azione per ciò che .riguarda l'amministrazione interna dello Stato e questa libertà doversi considerare siccome g.randemente scemata e paralizzata togliendosi dalle mani del Kedivé i cordoni della borsa, che erano la condizione prima ed essenziale del1a libertà d'azione in ogni soggetto in cui si esercita l'autorità d'un gov.erno.

Sua Signoria non replicò specialmente a questa conside.razione e limitassi a persistere nella indicazione degli abusi che, secondo lui, hanno luogo in Egitto a riguardo delle imposte e delle spese, e ritornando sulle spese che si fanno per la festa dell'apertura del Canale (della quale mi parve alquanto preoccupato) non omise di scendere anche alla specificazione di alcune delle medesime qualificandole in termini alquanto severi.

Non dissimulò il Conte di Clarendon l'impressione poco favorevole che egli provava pel fatto che, durante questi dissensi del Sultano e del Kedivé, parecchie delle potenze d'Europa pigliassero parte colla presenza dei Capi degli Stati a quelle feste, passando dalle visite al Sultano a partecipare ad una funzione solenne presso il suo vassallo ribelle e citò specialmente l'Austria e la Francia.

Non avendo Sua Signoria fatto alcuna speciale allusione al viaggio di

S. A. R. il Duca d'Aosta ed essendosi limitato all'indicazione di alcuni Capi dei grandi Stati e ad un apprezzamento generale di questo soggetto in cui erano comprese le maggiori potenze d'Europa non mi parve opportuno di portare io stesso il discorso specialmente sul viaggio di S. A. R. il Duca d'Aosta.

Intorno a questo fatto generale, il Conte di Clarendon si espresse in modo da qualificarlo come una difficoltà ed una complicazione maggiore creata nella già difficile vertenza fra il Sultano ed il suo vassallo.

La impressione che ho riportata da questa conversazione è che Sua Signoria bramerebbe che il Kedivé fosse indotto a cedere alla domanda della Sublime Porta intorno ai soggetti che riguardano le spese e le imposte ed i prestiti, che vede a malincuore la resistenza del Viceré e scorge, con penosa impressione, un incoraggiamento a questa resistenza nell'intervento dei molti Governi alle feste per l'apertura del Canale di Suez, e parvemi che l'affermazione del nobile Lord che questo affare andava male, pigliasse principalmente la sua causa ed origine da questi fatti.

6 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. XII

(l) -Estratti di questo rapporto furono comunicati alle legazioni con circolare del 2 novembre. (2) -Cfr. n. 5.
19

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AI MINISTRI A BERLINO, DE LAUNAY, A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, A LONDRA, CADORNA, A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, E AGLI INCARICATI D'AFFARI A PARIGI, QUIGINI PULIGA, E A VIENNA, CURTOPASSI

T. 1024. Firenze, 16 ottobre 1869, ore 14.

Je reçois l'avis suivant de source authentique (l): «La Porte va intimer un ultimatum au Vice-Roi d'Egypte avec un terme pour se soumettre, expiré le quel le firman de 1867 serait déclaré nul. Le Vice-Roi répondra qu'il ne cède pas et qu'il considère l'ultimatum camme une déclaration de guerre. Il se prépare à soutenir ses droits par la force des armes ». Attendu la gravité de la situation faites en sorte de connaitre l'attitude qu'entend prendre la puissance auprès de la quelle vous étes accrédité soit pour prévenir un conflit soit dans le cas où ce conflit aurait lieu (2).

20

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 477. Berlino, 17 ottobre 1869 (per. il 22).

J'ai reçu hier au soir le dernier télégramme de V. E. (3).

Je me suis empressé dès ce matin de me rendre au Ministère des Affaires Etrangères pour tacher de connaitre quelle serait l'attitude du Gouvernement prussien. M. de Thiele m'a dit que sauf quelques i:ndices assez vagues fournis hier par l'ambassadeur Britannique, on n'avait reçu ici aucun renseignement qui révélat, camme le télégramme de V. E., une situation aussi grave dans le différend turco-egyptien. Les rapports officieles d'une date méme très récente parvenus de Paris et de Londres portaient à croire à un aplanissement très prochain. La dive,rgence de vues semblait étre limitée à la question des emprunts, et tout laissait présager une entente.

Le Cabinet de Berlin a préché sans cesse la conciliation. Il considérait un conflit à main armée camme une véritable calamité, et conformément à l'attitude qu'il a observée jusqu'ici et qui lui a valu maints suffrages, il ne manquera pas de s'associer aux démarches des puissances pour prévenir une telle catastrophe. Il ne saurait admettre que leurs efforts ne parviennent pas à conjurer les dangers de la crise, en l'empéchant d'aboutir à des conséquences extrémes.

Pour le moment M. de Thiele ne rc,uvait s'expliquer davantage notamment sur la ligne de conduite de son Gouvernement dans le cas où la question se viderait par les armes. Mais je crois ne pas trop m'avancer en indiquant que sa politique tendra à marcher de concert avec la France et l'Angleterre qui paraissent etre d'accord pour le maintien du status quo. Ce ne serait que si un semblable accord disparaissait, que la position deviendrait des plus délicates pour le Cabinet de Berlin. Je ne puis que me référer à mon rapport

n. 472 du 7 de ce mais (1).

(l) -La notizia era stata comunicata a De Martino dal Vicere di Egitto il quale l'avev~ ricevuta da Parigi (t. 1846, Alessandria, 15 ottobre). (2) -Per le risposte cfr. nn. 20, 21, 22, 23, 25 e 31. (3) -Cfr. n. 19.
21

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1856. Costantinopoli, 18 ottobre 1869, ore 15 (per. ore 19,50).

Reçu télégramme du 16 (2). Je puis vous assurer que rien n'a été arreté pour le moment à l'égard de l'Egypte, mais une mesure dans le sens de celle dont parle V. E. deviendrait probable si le Vice-Roi s'obstine à laisser sans réponse la dernière communication du grand vizir au nom du Sultan. Cette conduite qu'on caractérise ici d'insolente, irrite au plus haut point. On avait pensé d'abord à rendre autre firman pour la question des emprunts sans toucher à aucune des concessions personnelles au Vice-Roi. Il parait qu'on ne comprend pas ce qu'il veut dire par résister par la force car on ne songe à .l'attaquer.

Hier matin au grand diner donné à l'Impératrice le Sultan s'est approché de moi et m'a demandé avec empressement des nouvelles de Sa Majesté et le jour de l'arrivée du prince Amédée. L'Impératrice a retardé d'un jour son départ.

22

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1857. Pietroburgo, 18 ottobre 1869, ore 15,40 (per. ore 22,40).

Aucune nouvelle n'est arrivée jusqu'ici au Gouvernement russe en conformité de votre télégramme (2). M. de Westmann vient de me lire dépeche de Brunnow du 13, qui est, dit-il, dernière communication qu'il a relativement au différend turco-égyptien. A cette date impression de M. Brunnow, résultat d'une conversation avec Clarendon, était pacifique.

(l) -Cfr. n. 4. (2) -Cfr. n. 19.
23

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1855. Vienna, 18 ottoòre 1869, ore 17,30 (per. ore 19,30).

Le baron Hoffmann avec lequel j'ai parlé en l'absence de Beust, m'a assuré que malgré les rumeurs bien sérieuses qui arrivent de tout còté au sujet de l'ultimatum de la Porte rien d'officiel ne revient encore à son Gouvernement ni de Constantinople ni d'Alexandrie. Il ne croit pas qt:e le Gouvernement ottoman veuille lancer une pareille intimation pendant la série des visites royales qui a actuellement lieu sur le Bosphore. «Le cas échéant, m'a-t-il ajouté, mon Gouvernement ne prendrait aucune résolution sans consulter ceux de Londres, Pari:s et surtout de Florence avec le quel nous avons tant d'intéréts communs en Egypte ».

J'ai lieu de croire que le Sultan qui accompagnera l'Empereur aux Lieux Saints tachera de le dissuader de son voyage en Egypte. Ambassadeur ottoman travaille aussi en ce sens.

24

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 16. Costantinopoli, 18 ottobre 1869 (per. il 27).

Ho ricevuto il riverito Dispaccio del 2 del corrente mese (serie politica

n. 16) (l) e ringrazio V. E. delle importanti nozioni, che in esso si è compiaciuta favorirmi sul modo con cui vien riguardata dal R. Governo, tanto dal punto di vista de' nostri particolari interessi quanto sotto l'aspetto della politica generale in Europa, la questione tuttora pendente fra la Sublime Porta ed il Khedivé d'Egitto.

Veggo dal detto dispaccio che V. E. si è pure compiaciuta prendere in seria considerazione la mia proposta per una conferenza europea come mezzo più acconcio a risolvere la quistione; e sebbene l'E. V. non respinga assolutamente ed in limine una tale idea, pur nondimeno è di avviso che non convenga pel momento al R. Governo di prenderne l'iniziativa, sì perché la nostra partecipazione ad essa potrebbe essere contrastata, sì perché l'esito delle sue deliberazioni potrebbe non essere conforme ai nostri desideri ed ai nostri interessi.

(l} Cfr. serie I, vol. XI, n. 593.

Non nell'intendimento d'insistere oltre misura sul progetto da me vagheggiato, ma nel solo scopo di rendere a V. E. esatto conto del vero stato delle cose sento il dovere innanzi tutto di rassicurarla sul primo dubbio. Da quanto mi è dato scorgere sulle attuali disposizioni della Po,rta a nostro riguardo io non credo che essa farebbe alcuna seria opposizione alla nostra ammissione alla Conferenza.

Per quanto avversa essa ora si mostrasse ad ogni ingerenza europea nell'attuale sua vertenza con l'Egitto, se le grandi potenze riescissero a mettersi d'accordo sulla opportunità di riunirsi in Conferenza, la Sublime Port,a finirebbe con aderire a tale decisione, ed in questo caso il nostro concorso non potrebbe esserle sgradito, posciaché noi vi propugneremmo il mantenimento dello statu qua.

Fermi su questo terreno, in cui dovremmo incontrare! con la maggioranza delle altre potenze, io non credo che dovremmo molto preoccuparci dei risultati della Conferenza. La quistione relativa alla facoltà di contrarre imprestiti è per noi, checché se ne possa dire in contrario, di ben lieve importanza. Ho letto attentamente il rapporto indirizzato a V. E. dal R. Agente e Console Generale in Alessandria in data de' 16 settembre (1), e a dir vero non vedo qual connessione possa stabilirsi fra tale facoltà consentita o rifiutata, e gli interessi dei nostri connazionali residenti in Egitto.

Egli tesse in breve la storia economica ed amministrativa dell'Egitto da Mehemet Ali in poi, mostrando tutti i progressi che vi si sono compiuti sotto l'egida del regime eccezionale, di cui quel paese ha finoira goduto. Or siccome egì:i è notorio che fino al 1867 i Governatori di Egitto non mossero mai alcun dubbio sul loro obbligo di munirsi della approvazione della Porta per contrarre imprestiti, ciò proverebbe assolutamente il contrario di quanto ora vuolsi dal Viceré sostenere; ciò proverebbe che la prosperità dell'Egitto non è punto dipendente dalla maggiore o minor facoltà che si potrebbe avere d'ingrossarne il debito pubblico.

Ed in quanto alla latitudine illimitata, che dicesi conceduta in Egitto alla giurisdizione estera, è forse la Porta quella che ne reclama ora la modificazione

o la restrizione?

D'altronde V. E. mi permetterà di esprimerle il convincimento che qualunque pur si fosse il danno, che potesse derivare ai nostri materiali interessi dall'esito della Conferenza, danno peraltro a cui non credo siamo per alcun modo esposti, esso sarebbe in ogni caso assai lieve in confronto del grande vantaggio che ritrarremmo dalla nostra partecipazione ad un congresso relativo alle cose d'Egitto. La nostra influenza morale tanto in Egitto come in Costantinopoli ne guadagnerebbe a mille doppi.

V. E. mi fa pure l'onore nel mentovato Dispaccio di chiedere il mio avviso, desunto dalle osservazioni che sono in grado di fare sopra luogo, sul partito che sarebbe da preferirsi nel caso che il R. Governo dovesse pronunciarsi fra le due opposte tendenze che si manifestano riguardo all'Egitto, fra quella cioè

che vorrebbe ricondurre quella contrada nella condizione ordinaria di ogni altra provincia e quella che ne vorrebbe promuovere l'assoluta indipendenza.

Col mio rapporto del 27 settembre u.s. (n. 13) (l) che mi lusingo Le sia pervenuto ho già implicitamente risposto alla domanda di V. E.

Egli è certo che a noi non converrebbe punto favorire la prima tendenza, ma ho detto già all'E. V., che essa non potrà mai destare se-ri timori dappoiché è destinata dalla forza stessa delle cose a rimanere com'è al presente allo stato di pura utopia.

E in quanto alla seconda siccome essa non potrebbe altrimenti effettuarsi che con mezzi violenti ed il distacco violento dell'Egitto segnerebbe forse la caduta dell'Impero ottomano, a me pare che non essendo noi preparati per sì grave crisi, non dovremmo per nulla adoprarci ad accelerarne lo scoppio. Egli è perciò che io sarei d'avviso che mettendo da banda e scoraggiando sì l'una che l'altra tendenza, noi dovremmo fare tutti i nostri sforzi perché trionfi la media fra di esse, cioè a dire lo statu quo.

Parmi che questa linea di condotta sarebbe non solo la più confacente ai nostri interessi ed alla nostra dignità, ma avrebbe il gran vantaggio di essere la più facile e la più schietta.

(l) Cfr. serie I, vol. XI, n. 572.

25

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1862. Londra, 19 ottobre 1869, ore 18,30 (per. ore 21,30).

Je viens d'entretenir lord Clarendon sur les affaires d'Egypte. Milord m'a dit que comme c'est par le firman de 1867 que le Sultan a accordé au Vice-Roi la faculté de contracter des emprunts, point sur le quel ce dernier ne veut pas céder, la Sublime Porte ne menacerait pas son vassal d'une annulation de ce firman, mais seulement de sa suspenslon. Quoique la France paraisse très mécontente de cette détermination lord Clarendon n'est pas d'avis que les puissances aient le droit d'intervenir, les firmans en question ne leur ayant pas été officiellement communiqués comme le fut celui de 1841. Milord n'envisage point cet incident comme précurseur d'hostilités mais il n'en méconnait point la gravité et il m'a assuré que le ròle de l'Angleterre consistera à recommander la conciliation entre les deux còtes. Mon opinion est que malgré l'intérèt que l'on peut avoir à représenter un parfait accord entre la France et la Grande Bretagne dans cette question, l'attitude des deux Gouvernements n'est pas identique, et j'ai cru saisir que Clarendon voudrait que la France se montràt plus énergique envers le Vice-Roi.

(l) Non pubblicato nel vol. XI, serie I.

26

IL MINISTRO A MADRID, CERRUTI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1863. Madrid, 20 ottobre 1869, ore 11,15 (per. ore 15,40).

Député Caderet en proposant hier au soir remerciements pour l'armée et l'escadre a proposé aussi d'hater l'élection du monarque. Le général Prim s'est assoc1e à la proposition et s'engage à présenter question aussitòt que possible. Détails par écrit.

27

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. u. 70/18. Londra, 20 ottobre 1869 (per. il 25).

Questa mattina il Morning Post ha pubblicato una lettera del signor Taylor, Membro del Parlamento, diretta al signor Otway, Sottosegretario del Foreign Office per la p3!rte politica, intorno alla prigionia che soffre in questo momento il signor Nathan, suddito inglese, in Italia (l).

Penetrato dell'importanza che potrebbe avere l'indole di questa lettera per fuorviare la pubblica opinione, che regna arbitra in Inghilterra, ho creduto mio dovere di recarmi officiosamente dal signor Otway per chiedergli informazioni su questo soggetto.

Il signor Otway cominciò col manifesta•rmi ch'egli non aveva, in alcuna guisa, autorizzato il signor Taylor a pubblicare la lettera di cui si tratta, e che deplorava di avere il suddetto adottata quella misura, mentre, al contrario, g!i aveva dichiarato di non volere entrare in co.rrispondenza con lui su tale incidente; ma in quanto al fatto in sé, il Sottosegretario mi fece noto essere purtroppo vero, e che erano state finora infruttuose le pratiche per rompere gli Indugi e fa·r giudicare prontamente dai tribunali il detto signor Nathan.

Il signor Otway mi soggiunse che il Governo Inglese non disconosce punto il diritto che può avere il Governo italiano di imprigionare qualunque individuo estero attenti alla pubblica tranquillità, però egli si mostra inquieto del lungo tempo ch'è trascorso senza che sia stata accettata la domanda del detto individuo di dar cauzione, o che ne sia seguito il giudizio dei magistrati.

Convinto, coll'esperienza che ho di questo paese, dell'importanza di siffatto soggetto, e, onde evitaa:e che i giornali di qui ·incomincino le loro polemiche e che pubblichino, come è da temersi, delle esagerazioni, di cui la lettera del

Signor Taylor, che acchiudo al presente (1), può dare un'adeguata idea, mi credo nell'obbligo di informare V. E. dell'accaduto, affinché Ella possa nel suo altro senno, ordinare quei provvedimenti che giudicherà più opportuni.

P.S. Acchiudo una lettera particolare pe.r il Signor Commendator Blanc.

(l) Giuseppe Nathan era stato Imprigionato con l'accusa di aver partecipato a moti mazzlnlan!.

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L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, QUIGINI PULIGA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 977. Parigi, 20 ottobre 1869 (per. il 22).

Il noto redattore del Pays, Paul de Cassagnac, pubblicÒ in questo giornale, nel numero del 19 corrente, un articolo intitolato «Le Prince Napoléon empereur » che produsse qui una grande sensazione. Lo scopo dell'articolo è sufficientemente indicato dalle ultime sue parole. «La Francia, dice il signor Cassagnac, non riconoscerebbe il Principe Napoleone per Imperatore, poiché essa lo conosce». Vi si ritrova la solita violenza di stile di quello scrittore che però può sembrare strana trattandosi d'un principe ch'è sì prossimo al trono di cui il Pays, « Journal de l'Empire» vantasi essere uno dei maggiori sostegni.

Mi duole di non essere in grado di poter immediatamente inviare all'E. V. quel numero del detto giornale, giacché stamane non mi fu possibile di procurarmene un solo esemplare né nei chioschi dei boulevards, né presso l'ufficio e la stamperia del Pays, tanta fu la curiosità ch'esso sollevò nel pubblico. Spero tuttavia di farlo seguire. Intanto accludo qui il numero del 20 che sotto il titolo: « Que ferons-nous » contiene un'altra ingiuriosa protesta contro

S. A. Imperiale. In risposta a questi attacchi, il Journal officiel contiene oggi una breve nota in cui è detto che << il Governo vide con profondo rammarico le violenze dirette dal giornale Le Pays contro un Principe della famiglia imperiale».

Stimo mio debito di segnalare pure all'attenzione dell'E. V. un articolo che ha tratto alle cose d'Italia, stampato nell'odierno Liberté qui annesso, sotto il titolo «La crise italienne ».

29

IL MINISTRO A MADRID, CERRUTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1868. Madrid, 21 ottobre 1869, ore 18,20 (per. ore 1,30 del 22).

Conseil des ministres a décidé hier au soir à l'unanimité de présenter sans retard projet de forme élection du monarque. Le général Prim a de nouveau porté le due de Génes dans le conseil des ministres.

(l) Non si pubblica.

30

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1870. Costantinopoli, 21 ottobre 1869, ore 22,30 (per. ore 6,30 del 22).

Le plan qui parait arreté dans les conseils de la Sublime Porte vis-à-vis de l'Egypte est de faire passer les fetes pour l'ouverture du canal, et si jusqu'alors on n'a pas eu de réponse satisfaisante du Vice-Roi, le Sultan par un nouveau f1rman déclarerait nul celui de 1867 et dirait de revenir à ceux de 1841.

31

L'INCARICATO D'AFFARI A PARIGI, QUIGINI PULIGA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 978. Parigi, 21 ottobre 1869 (per. il 24).

S. E. il Principe di La Tour d'Auvergne ritornò quest'oggi da Compiègne pel ricevimento settimanale del Corpo diplomatico.

Ho intrattenuto il Ministro imperiale del telegramma che l'E. V. m'aveva fatto l'onore di dirigermi in data del 16 corrente (l) e che segnalava il pericolo di prossime complicazioni nella questione turco-egiziana. Il Principe di La Tour d'Auvergne mi confermò le cose che m'erano state dette dal signor Desprez e ch'ebbi l'onore di riferirle col mio rapporto di questa serie n. 976, in data del 19 corrente (2). Egli mi disse che i rapporti pervenuti al Governo imperiale dal signor Bourée, Ambasciatore di Francia in Costantinopoli, non mostravano la situazione tanto minacciosa come la si era giudicata in seguito alle comunicazioni fatte a Londra da Musurus-Pascià, e che v'era tuttora fondata speranza di vedere benevolmente accolti dal Sultano i consigli di moderazione che le potenze non cessavano di dargli.

In conformità di quanto già il signor Desprez mi aveva detto, S. E. mi ripetè che gli avvisi avuti dal Governo imperiale non coincidevano con quello che accennava la seconda parte del telegramma suddetto di V. E., relativamente alle intenzioni di resistenza manifestate dal Viceré ed a' suoi preparativi bellicosi. Nondimeno il Governo imperiale diede al suo Agente in Egitto l'incarico di consiglia,re al Khedive la massima p·rudenza e di pregarlo a non esprimersi in senso irritante ed a non annunziare progetti di resistenza armata, prima perfino d'avere ricevuta l'intimazione prevista.

(l) -Cfr. n. 19. (2) -Non pubblicato.
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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO

D. 35. Firenze, 22 ottobre 1869.

Appena ebbi ricevuto n telegramma (l) col quale Ella mi annunziava essere pervenuta in Egitto la grave notizia dell'intenzione della Porta di intimare al Khedive un termine perentorio per risponder·e all'ultima lettera del Gran Vizir, noi ci siamo affrettati di verificare se, nel succedersi delle varie fasi dell'incidente turco-egiziano, fossero venute in alcuna guisa modificandosi quelle prime disposizioni dei Gabinetti europei che sin dal principio chiaramente s'erano palesate.

Importava infatti al Governo del Re di conoscere esattamente il pensiero degli altri grandi Stati in presenza delle difficoltà che l'atteggiamento della Porta avrebbe potuto suscitare, qualora il Khedive avesse veduto in un ultimatum che gli fosse diretto un'aperta e manifesta volontà di imporgli colla forza ciò a cui egli non sembra volersi arrendere spontaneamente.

Ed innanzi a tutto occorreva che da noi si sapesse con precisione se le intenzioni attribuite alla Porta esistessero realmente, e se imminente fosse il pericolo di vederle realizzare.

Le informazioni che sovra tutti questi punti sono pervenute recentemente al Ministero non fecero che confermare l'opinione che noi ci eravamo già fatta al proposito.

A Costantinopoli si vede con dispiacere che l'ultima lettera del Gran Vizir sia rimasta sin qui senza alcuna risposta. La condotta del Khedive a questo riguardo eccita nei consigli del Divano imperiale un sentimento di profonda irritazione che certamente non può contribuire ad appianare le insorte difficoltà. Scartati gli altri punti di quistione e limitata la discussione soltanto alla facoltà di far prestiti senza l'approvazione della Porta, non pare probabile che il Governo del Sultano voglia pigliare delle risoluzioni eccedenti quanto è strettamente necessario pe.rché siffatta quistione s'intenda sciolta nel senso da lui voluto. I flrmani del 1841 e 1866 non ver•ranno abrogati né in alcuna parte derogati. Per ottenere l'intento che la Porta si propone di conseguire, basterà che essa emani una nuova disposizione del Sultano colla quale, spiegando ed interpretando il firmano del 1867, si dichiari che per esso non s'intese mai concedere al Viceré il diritto di contrarre prestiti senza riportarne preventiva autorizzazione del Gran Signore.

Posta in questi termini, e pare che così la si porrebbe a Costantinopoli, la quistione fra la Porta ed il Khedive si presenterebbe sotto tale aspetto che difficilmente potrebbesi intendere come la medesima presterebbesi a costituire un vero e proprio casus belli, a meno che S. A. il Viceré non volesse assumere la grave responsabilità di aprire egli stesso le ostilità. Non sarebbe infatti probabile che la Porta volesse imporre al Khedive l'accettazione esplicita

del nuovo firmano, ed in tal caso non si comprenderebbe come e contro chi l'Egitto avrebbe a resistere colla forza. È questa una condizione di fatto che, secondo noi, giova non perder di vista, tanto più se si considera che mentre una deroga od una parziale modificazione dei firmani del 1841 e del 1866 dovrebbero essere comunicate ai Gabinetti europei, che della situazione creata da quei firmani hanno preso atto, non così avverrebbe quando si trattasse di una solenne interpretazione che il Sultano volesse dare al firmano del 1867, perocché di quest'ultimo le Potenze europee non ebbero, pe'l." quanto ci risulta, alcuna ufficiale comunicazione per parte della Porta. Furono accordi presi fra il Sultano e il Khedive, i quali contribuirono certamente a rinvigorire quella posizione particolare che i va'l."i Gabinetti europei hanno sino.ra riconosciuto all'Egitto; ma sta in fatto che alle potenze non fu mai chiesto né di approvare, né di prendere atto delle nuove concessioni che con quell'ultimo firmano venivano fatte al Viceré.

Insistiamo in particolar modo sovra questa circostanza pe.rché V. S. deve sapere che la medesima appare di non lieve importanza al Gabinetto di Londra che in questa vertenza come in va·rie altre riflettenti l'Oriente, si mostra sempre più risoluto a non uscire dagli stretti limiti di quanto i trattati e gli atti internazionali hanno stabilito circa le medesime. Nel qual rispetto assoluto delle convenzioni esistenti e della condizione di diritto da queste risultante, non puossi a meno, per verità, di vedere una sicura guarentigia di un procedere più lento ma più certo di tutte le quistioni verso la naturale loro soluzione, perché per tal guisa si evitano segnatamente le precipitose ed intempestive deliberazioni, lasciando la cura al tempo ed alle circostanze di matura.re i mutamenti che poi s'impongono da per sè, quando sono divenuti necessari.

Né converrebbe supporre che questa politica dell'Inghilterra non trovi favori in altre Corti. Per due principalissime mgioni vi ade.risce la Prussia, la quaie non ha alcun interesse che si accendano pel momento quistioni che, trascendendo i limiti dei paesi orientali dove nascerebbero, potrebbero creare altre complicazioni europee. Non v'ha più persona di senno che non comprenda come il Gabinetto di Berlino abbia ogni vantaggio da spera·re, per gli inte'l."essi che lo toccano più da vicino, nell'amicarsi sempre più la Gran Bretagna, sempre propensa a mostrarsi favorevole verso chi a lei strettamente si unisce nelle quistioni orientali.

Coloro poi che conoscono le fasi anterio·ri delle quistioni che toccano più direttamente alla costituzione dell'Egitto, sanno apprezzare i sintomi che già si posseggono per determinare quale sarebbe la probabile condotta della Russia nella vertenza attuale. L'astensione che si dice a Pietroburgo essere la politica dell'Impero nel conflitto fra il Sultano e il Khedive, tradisce il desiderio di rinnovare, se ne fosse il caso, oggidì la politica che la Russia aveva adottato nel 1840.

Rimangono, è vero, l'Austria e la F·rancia, alle quali generalmente si attribuisce l'intenzione di procedere d'accordo nelle principali quistioni d'interesse generale europeo.

Ma l'appoggio della Francia, qual questa sembra disposta ad accordarlo al Khedive, per continuare, anche in questa circostanza, le tradizioni della

sua politica ed assecondare certi suoi particolari interessi, difficilmente si estenderà fino a pronunciarsi in un senso diametralmente opposto a quello dell'Inghilterra, ed è infatti notevole l'insistenza del Gabinetto delle Tuileries a ,raccomandare a Costantinopoli come al Cairo, la più grande moderazione, raccomandazione questa, che fa palese il suo vivo desiderio che non s'abbia per ora ad alterare sensibilmente lo statu quo dell'Egitto rimpetto alla Porta.

Ora per chi rifletta quanto un siffatto contegno del Gabinetto delle Tuileries sia diverso da quell'atteggiamento risoluto che il medesimo seppe prendere in altre circostanze ed in altre quistioni, lo stato attuale delle cose deve suggerire certe considerazioni che naturalmente debbono anche affacciarsi a quegli altri Governi che mostrarono in occasioni recenti particolare simpatia per l'Egitto.

A tutto ciò vuolsi aggiungere che il viaggio che l'Imperatore d'Austria sta per intraprendere prima a Costantinopoli, poi in Siria e Palestina, e finalmente all'Istmo di Suez, è tal fatto che potrebbe avere conseguenze politiche eccedenti le attuali previsioni. In ogni caso già si sa che a Costantinopoli si attribuisce una importanza politica non indifferente a quel viaggio e le notizie avute portano a credere che la Porta si appresti a trarne ogni possibile profitto nel senso della politica di cui il Gran Vizir è pur un valente sostenitore.

Epperò, la S. V. ben deve comprendere come in presenza di uno stato di cose, quale venni sopra delineandolo, il Governo del Re non possa, nell'interesse vero dell'Egitto, che ripetere le raccomandazioni già fatte perché si trovi modo di comporre le difficoltà presenti senza che sorgano nuove e più spinose complicazioni.

L'intervenzione delle potenze non uscirebbe secondo ogni probabilità dal limite degli adoperamenti diplomatici. Giova tener conto delle disposizioni che si recherebbero da ciascèma di esse in un convegno che venisse proposto, ed a nostro avviso non conviene perder di vista che quando la maggioranza dei suffragii si pronunciasse in favore delle pretese della Porta la situazione dell'Egitto si troverebbe considerevolmente pregiudicata dal voto col quale verrebbe determinata la sua situazione attuale rimpetto alla Porta, anche sotto quei rispetti intorno ai quali le Potenze non ebbero fin qui a vincolare in alcuna guisa la propria opinione.

Sulla quale ultima considerazione desidereremmo che V. S. fermasse particolarmente l'attenzione del Governo vicereale, perocché la medesima ci sembra degna di seria meditazione quando si pensi come a determinare il contegno dei varii Gabinetti possano contribuire circostanze affatto estranee agli affari egiziani e per la loro natura mutabili, indipendentemente da ogni soluzione che potesse avere al presente la vertenza sorta tra l'Egitto e la Porta.

Quindi il Governo del Re invita la S. V. a rinnovare presso il Viceré ed il suo Governo quelle pratiche che possono contribuire a fargli adottare temperamenti conciliativi, che, mantenendo le cose nello statu quo, impediscano che la sostanza della quistione, inopinatamente sorta, venga inopportunamente pregiudicata.

Noi ci lusinghiamo che S. A. il Khedive troverà nei consigli che il Governo del Re gli ha dato in questa circostanza una prova sicura dell'interesse che c'ispira l'Egitto ed il suo Governo. Ed è in questa persuasione che noi stimiamo dovergli far presente il nostro modo di giudicare l'attuale situazione delle cose, e saremmo ben contenti di sapere dalla S. V. che tale nostro giudizio ed i suggerimenti che ne emergono saranno stati apprezzati nel senso amichevole che noi intendiamo di dare ai medesimi.

(l) Cfr. n. 19, nota 1.

33

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1884. Malta, 26 ottobre 1869, ore 12 (per. ore 16,50).

Le Bey a répondu à notre seconde note affirmant plus que jamais le droit du comité exécutif d'agir sans contròle dont les fonctions seraient reduites presque à rien. Sans entrer en discussion le consul anglais et moi, nous allons répliquer confilmant nos déclarations précédentes. Le consul français en apparence se tient à l'écart, mais sous main appuye et encourage le Bey à la résistance. Nous avons demandé de suspendre toute mesure de finance jusqu'à plus amples explications de la part de nos Gouvernements. Mais l'Italie et l'Angleterre ne comptent pour rien à Tunis. Le Bardo est entrainé par les mauvais conseils et je doute fort, au point où en sont les choses, que pour soutenir notre droit et notre honneur il faudra recourir à d'autres moyens que les protestations.

34

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1886. Costantinopoli, 26 ottobre 1869, ore 13,30 (per. ore 19,15).

La visite du prince Amédée a fait ici le meilleur effet. Le Sultan en est enchanté et il s'efforce de combler Son Altesse de toutes les attentions possibles. Au diner intime donné hier à Son Altesse Royale et au prince de Prusse il y avait seulement les legations d'Italie et de Prusse et les grandes dignitaires de la Porte. Aujourd'hui Son Altesse Royale est invitée à assister à une revue au ministère de la Guerre et ce soir elle me fera l'honneur de venir à diner à la légation à Therapia. Vu que le temps se maintient constamment beau, demain matin San Altesse est invitée à déjeuner chez le Sultan, elle ,recevra après la colonie italienne qui est allée à sa rencontre hier avec quatre bateaux à vapeur, et parait décidée à partir demain soir. Le prince de Prusse repartira

après demain. Le Sultan ayant appris que le Prince attendait aux DardanelIes l'arrivée de la «Sesia» pour continuer voyage pour Constantinople, avait donné ordre par télégraphe de laisser passer la frégate «Rome:., amis dans l'intervalle la « Sesia» étant arrivée Son Altesse Royale est venue ici avec elle.

35

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 480. Berlino, 26 ottobre 1869 (per. il 29).

Durant les quarante huit heures passées à Berlin par le prince Gortchakoff qui retourne à S. Péte·rsbourg, j'ai eu avec lui deux entretiens. Comme Lord Clarendon dans son dernier discours à Watfort, S. E. montrait de la confiance dans le maintien de la paix. Elle prétendait meme que le Ministre Britannique n'aurait pas témoigné une semblable confiance, si elle n'avait été corroborée par les conversations qu'il avait eues avec le Chancelier de l'Empire à Heidelberg. Au reste les relations se sont beaucoup améliorées entre la Russie et l'Angleterre. Les deux Ministres des Affaires Etrangères semblent apporter dans la direction qu'ils impriment à leur politique cette ancienne sympathie qui régnait déjà entre eux au début de leur carrière. Des brouillards obscurcissent encors, il est vrai, la situation, mais ils sont moins intenses que l'année dernière à pareille époque, car tout induit à croire qu'aujourd'hui aucune Puissance ne veut la guerre. En France nommément, l'opinion publique y est décidément contraire, et serait par conséquent assez peu disposée à suivre le Gouvernement, si celui-ci cherchait à échapper aux embarras intérieurs par une diversion à l'étranger. On ne saurait d'ailleurs se faire à Paris aucune illusion sur le mouvement irrésistible qui pousserait l'Allemagne à accomplir son unification, le jour où ses frontières se~aient menacées. Le Chancelier se Iouait d'ailleurs de ses relations avec la Prusse appelée à prendre une piace de plus en plus importante en Europe. Il attachait peu de valeur au langage de certains organes de la presse russe qui préchaient une croisade contre les allures de cette Puissance.

II marquait aussi sa satisfaction du choix du Général Fleury pour remplacer le Baron de Talleyrand.

Quant à l'Autriche, le prince Gortchakoff estimait qu'elle avait été suffisamment punie de son ingratitude envers l'Empereur Nicolas, et il paraissait ainsi avouer qu'il n'avait pas décliné les avances du Comte de Beust pour de meilleurs rapports auxquels a préludé la nomi:nation du Comte Choteck. Je doute fort cependant, quoique S. E. n'y ait fait aucune allusion, que le Cabinet de S. Pétersbourg voie d'un bon oeil le voyage de l'Empereur François Joseph en Orient.

Pour ce qui nous concerne, le Prince se rendait compte de nos difficultés, mais il désirait nous voir bientòt prendre un ròle plus accentué parini les Grandes Puissances. Il s'en promettait d'heureux résultats pour !es intérets mutuels de la Russie et de l'Italie. Il rappelait en meme temps ses regrets que notre pays n'eut pas adopté le système d'une confédération. Telles avaient été ses préférences en 1859. Je me suis borné à répondre que ce serait là une discussion oiseuse, puisque les événements et la volonté nationale ava1ent résolu cette question dans un tout autre sens, et que nous ne consetirons point à remnter le cours de l'histoire. Il a aussi parlé du Concile Oecuménique. D'un cote, il prévoyait que cette assemblée, comme les girandoles qu'on allume sur la Coupole de S. Pierre, après avoir brillé d'un éclat passager, s'étendrait dans l'obscurité. Mais il ne pouvait se défendre d'énumérer parmi les conséquences d'un samblable état de choses, celle qu'un certain parti à Rome subordonnant les intérets reliqieux à des aspirations immodérées du pouvoir, ne travaille à fomenter des troubles chez les Gouvernements peu disposés à admettre son ingérence dans les affaires d'Etat souverains et à faire bon marché

de leurs droits.

Relativement au différend entre le Sultan et le Khédive, la Russie se tenait à l'écart. Elle ne pouvait toutefois s'empecher de remarquer combien la Turquie était devenue arrogante depuis le Traité de Paris de 1856, et depuis ses derniers succès contre la Grèce, succès dus en grande partie aux oscillations de la politique française en Orient.

Si le Pdnce Gortchakoff augurait dans un sens favorable à la conservation de la paix, il se disait moins rassuré sur les menées des partis révolutionnaires et socialistes qui consp1raient contre les pouvoirs établis et ébranlaient les bases de la civilisation. Le Roi de Prusse partageait ses appréhensions. Des manifestations récentes, congrès des ouvriers, grèves, prouvent jusqu'à quel point les agitateurs sefforcent d'établir une agitation solidaire entre les différentes contrées de l'Europe. Ce sont là des indices très graves. Ce sont en · quelque sorte des flammèches d'un volcan en ébullition, et dont les laves mettront la société en dange,r si les Gouvernements ne s'appliquent pas sans relàche à en détourner le cours. Ce sont eux qui devraient prendre l'initiative, car ce sont là de ces questions qui doivent etre réglées d'en haut et non d'en bas. Sous ce rapport ils ne sauraient trop s'occuper à développer le bien etre des peuples dans la limite du ,raisonnable, tout en veillant consciencieusement à vivre entre eux en bonne harmonie. II est évident que dans ce siècle du veau d'or, un des meilleurs moyens de captiver les masses, serait celui d'alléger le fardeau des impòts si considérablement accrus par les frais qu'occasionne l'entretien des armées sur un quasi pied de guerre. Ce semit là un bienfait vivement senti par les populations qui dès los seraient moins accessibles aux doctrines subversives. Ce serait en meme temps un nouveau gage du maintien de la tranquillité en Europe. A ce point de vue, il était évident qu'un désarmement, un retour à l'ancten pied de paix serait une mesure des plus recommandables. Le Chancelier avait touché cette corde dans ses entretiens à Bade avec le Roi de Prusse.

Sa Majesté tout en abordant la discussion sur ce sujet délicat, laissait entendre que la Prusse -lors meme qu'elle réduirait ses forces d'une manière

très sensible, à la condition de n'etre pas la seule à désarmer pour ne pas se trouver à la merci d'un coup de main, ne saurait pour autant changer son organisation milltaire elle meme. Cette institution née presque spontanément de l'élan patriotique du peuple, à savoir l'obligation de chaque citoyen au service, est un principe fondamenta! en vigueur depuis une soixantaine d'années. Libre à chaque pas de l'adopter.

Tels sont les renseignements que j'ai recueillis dans mes entretiens avec le Prince Gortchakoff. Ils intéresseront peut etre V. E.

A propos de désarmement, une proposition dans ce but vient d'etre présentée à la Chambre des Députés de Prusse. La présence à Berlin d'un membre du Parlement Britannique M. H. Richard qui appartient en meme temps à la société de la paix à Londres, n'est pas étrangère à cette motion. Mais elle n'a pas chance d'etre adoptée quelque soit le désir de réagir contre l'exagération des charges militaires. En effet, le parti libéral national et memes les conservateurs peuvent combattre àans les affaires intérieures la politique du Comte du Bismarck, les uns trouvant qu'il ne fait pas assez, les autres qu'il s'avance trop, mais la majorité de la Chambre lui prete son appui dans tout ce qui touche aux questions étrangères. Or tout porte à croire que le Gouvernement se tiendra dans une extreme réserve. Il s'agit d'ailleurs d'une question de la compétence exclusive du Parlement fédéral. Demander une telle chose dans les circonstances actuelles de l'Europe, ce serait presque vouloir réaliser une utopie, car la situation, si tant est qu'elle soit meilleure, est encore voilée par trop de nuages pour en dégager l'inconnu. Ce ne sera que lorsque personne ne sera plus intéressé à rester armé, que le désarmement deviendra général et spontané. Sera-ce avant ou après une guerre? Si les passions ne l'emportaient trop souvent dans la vie des Nations comme dans la vie des individus, sur les conseils de la raison, depuis longtemps déjà on aurait réalisé l es reves de Bernardin de S. Pierre (l).

36

IL MINISTRO A CARLSRUHE, ARTOM, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. VIII. Carlsruhe, 26 ottobre 1869.

Il dispaccio circolare serie politica N. IV che l'E. V. mi fece l'onore di indirizzarmi il 5 ottobre (l) non mi pervenne coi suoi annessi che pochi giorni or sono: ed oggi solo potei recanni a Carlsruhe per conferire con S. E. il Ministro degli Esteri sull'importante argomento di cui quel documento tratta. Il Barone di Freydorf mi pregò di !asciargli copia del medesimo per porla sotto

gli occhi di S.A.R. il Granduca. Io non credetti di potere ade·rire a questo desiderio, ma presi sopra di me di dar lettura al Ministro degli Esteri del dispaccio di V. E. Mi sarebbe stato invero impossibile di esprimere in modo così acconcio ed autorevole le ragioni che indussero il R. Governo ad acconsentire ai Vescovi italiani di recarsi a Roma, senza però che codesta facoltà 'implichi un'approvazione preventiva delle decisioni conciliari •e scemi in alcuna guisa la libertà che al Governo rimane di guarentirsi contro le possibili usurpazioni del partito ultramontano. Il Ministro Granducale degli Esteri fece plauso alle idee svolte nel dispaccio di V. E.; mi disse che il Governo Badese serba non dissimile contegno, in quanto che non impedisce a Monsignor Kubel, Vicario capitolare di Friborgo, di recarsi a Roma, e si riserva di rifiuta.re ave occorra il suo consenso all'introduzione nello stato delle decisioni conciliari, e non è alieno neppure di unirsi più tardi agli altri Governi per respingere d'accordo le usurpazioni alle quali il Concilio potrà servi.re ad un tempo di strumento e di pretesto.

Chiesi al signor di Freydorf se il disegno su cui il Principe d'Hohenlohe ed il Conte di Bismark parevano essersi accmdati, di promuovere per parte di tutti i Governi tedeschi un atto collettivo di rimostranza rispettosa presso la Santa Sede, affine di .render nota officialmente a Roma l'inquietudine prodotta nelle popolazioni cattoliche di Germania dal programma del Concilio, fosse stato posto ad effetto. Il Ministro degli Esteri mi rispose sapere bensì che codesto disegno era stato accarezzato a Berlino durante il soggiorno colà del Principe Hohenlohe per le sedute del Parlamento doganale; ma credere che nulla siasi fatto finora. Quanto a lui poteva assicurarmi che niuna comunicazione in tale senso era stata indirizzata al Gabinetto di Carlsruhe né da Monaco né da Berlino. Alla mia domanda se avrebbe difficoltà di associarsi a questo passo qualora ne fosse richiesto, rispose che probabilmente non ne avrebbe alcuna: non potere però pronunciarsi fin d'ora sov.ra una proposta di cui non conosceva ·i termini precisi.

Del resto il Barone di Freydorf non è guarì propenso ad attribuire molta importanza né ai pericoli che le decisioni del Concilio possano avere per le popolazioni tedesche, né all'opposizione che i cattolici di Germania, il clero e l'episcopato tedesco potranno fare alle tendenze del partito ultramontano. A parer suo le esorbitanze clericali, benché sancite dal Concilio, non accresceranno di molto la forza del partito ultra-cattolico, né potranno turbare durevolmente l'ordine pubblico. Ebbi già l'onore di esporre a V. E. il concetto che qui si fa dell'associazione cattolica di Pforzheim, della quale si lodano le buone intenzioni, senza però che le si accordi il significato d'un fatto importante nell'ordine politico o religioso. Secondo il signor di Freydorf non avrebbe neppure un gran valore il movimento operatosi negli animi dei cattolici di Bonn, Treviri e Coblenza, e il manifesto dei vescovi riuniti a Fulda, cito le parole del mio interlocutore, fu redatto con sì fina abilità che vi si può leggere bianco e nero come più talenta. Sarebbe poi, sempre a detta del signor di Freydorf, una grande illusione il credere che i segnatari di quel manifesto vogiiano o possano fare a Roma un'opposizione efficace alle esigenze del partito della Civiltà cattolica, né più ragionevole sarebbe il credere che vi abbia

7 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. XII

alcuna probabilità di fondare una Chiesa cattolica nazionale tedesca, indipendente più o meno dal Papato. Le intemperanze clericali ripugnano per certo a quella libertà del pensiero che il popolo tedesco pone in cima a tutte le altre, ma siccome manca a quelle la sanzione del potere civile, e senza questa niuna esigenza della gerarchia può riescire a scemare di fatto la libertà individuale, non v'ha pressione sufficiente per eccitare un moto unanime di rivolta contro una tirannide che è e rimarrà almeno in Germania puramente dottrinale. Le moltitudini quindi non si commuovono gran fatto né per né contro il concilio: alcune anime pie, non ancora tacche dalla indifferenza filosofica vorrebbero condurre la Corte di Roma a migliori consigli: una parte del Clero è certo di questo avviso, ma non ha né il coraggio né l'autorità necessaria per far prevalere questa tendenza. In un paese poi in cui le due confessioni religiose si trovano continuamente a contatto, è naturale che il clero cattolico, sia bensì più illuminato e s'informi a maggiore moderazione, ma eviti cionullameno ogni passo che lo conduca a separarsi dal centro del cattolicismo, dal quale attinge il suo appoggio sia rispetto al Governo sia rispetto al clero protestante. Ed in genere può dirsi che in Germania chi si separa dal cattolicismo ufficiale o si arruola fra i liberi pensatori, o si converte alla confessione protestante. Il partito cattolico liberale potrà quindi avere in Germania molti ammiratori, senza formar forse mai, come potrebbe avvenire in altri paesi, una organizzazione intermedia facente argine da un lato alle tendenze ultramontane, dall'altro alla propagazione dei principii di Lutero o di Calvino, ed a quella dell'indifferentismo filosofico.

Espongo, sviluppandole, le opinioni del signor Freydorf. Non conosco abbastanza le condizioni del rimanente della Germania per dire a V. E. se e quanto sia esatto il giudizio del Ministro badese degli Esteri. Ma pa,rmi di poter consentire con lui in questo almeno, che non v'ha vera agitazione religiosa né oltremontana né liberale in GeJ:mania. Si discute ben più di politica che di religione anche quando si parla per o contro il Concilio e se in Italia il Sillaba, le encicliche, 1e straordinarie riunioni episcopali mirano sovratutto a dar nuovi puntelli al potere temporale, in Germania si tende ad impedire il compimento dell'unità sotto gli auspici della Prussia, a fa,r rientrare l'Austria nella politica tedesca ecc. L'intelletto di queste popolazioni non è più così propenso alle discussioni teologiche, e persino la metafisica ha perduto gran parte del suo impero. Dal 1848 in poi le tendenze positive le esigenze pratiche della vita prevalsero anche in Germania sulle altre. Non che sia mancato l'amore allo studio, né la devozione illimitata alla scienza: ma le discipline della fisica, della chimica, della storia naturale e, nel campo delle scienze morali, la storia, la filosofia comparata ecc. attirarono quasi esclusivamente a sé le menti degli studiosi tedeschi. E sarebbe superfluo il rammentare l'enorme sviluppo ch'ebbero negli ultimi decenru le speculazioni agricole, industriali e bancarie in tutti i paesi tedeschi cosicché l'idealismo, che pareva ormai avere ultimo rifugio fra i concittadini di Schiller e di Hegel, è gravemente in pericolo di non potere più oltre difendersi contro l'invasione del positivismo economico e scientifico. Queste condizioni generali della società sono naturalmente poco favorevoli allo sviluppo di un grande movimento religioso.

(l) -Del contenuto di questo rapporto venne informato Caracciolo con d. 69 del 3 novembre. (2) -Cfr. serie I, vol. XI, n. 596.
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IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. 154. Vienna, 26 ottobre 1869.

Le notizie che oggi corrono per Vienna intorno ai fatti di Cattaro sono piuttosto gmvi. L'insurrezione lungi dall'essere vinta, si è ingagliardita ed è venuta crescendo in audacia ed in forza. il Bollettino del Generale austriaco che annunziò che dovette per l'imperversare del tempo ritirarsi fu accolto poco benevolmente dalla pubblica opinione. Si sussurra anzi ch'egli sia stato costretto ad abbandonare le posizioni prese, non dal vento, ma dagli insorti, che strano a dirsi sono armati coi fucili di ultimo modello che la incauta generosità del Governo austriaco forniva al Principe del Montenegro in questi ultimi mesi. E' opinione di molti che i fatti delle bocche di Cattaro non debbono considerarsi come una semplice sommossa di contadini renitenti alla leva, ma come il principio di una grande insurrezione slava, fomentata dai partigiani e dall'oro del gove·rno ,russo. Certo è, e ciò è molto più grave, che alcun segno di insubordinazione e di ostilità si è visibilmente manifestato fra i soldati di nazionalità slava. Io non so fino a qual punto queste paure dei cittadini viennesi sieno attendibili; questo so soltanto, che in cospetto alle elezioni polacche, alle agitazioni boeme, di cui le terrò parola in un distinto rapporto, ed alla insurrezione dei boccnes1, 1a parwnza dell'Imperatore e l'assenza dei principali Ministri sono severamente censurate. Ma di tutto ciò la informerò più minutamente in altra mia comunicazione, allorquando avrò raccolto notizie positive e sicure intorno alle condizioni interne dell'Impero Austro-Ungarico.

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IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 155. Vienna, 27 ottobre 1869.

Il Barone di Altenburg mi ha comunicato la lettera che V. E. ha diretto al Barone di Ki.ibeck, e mi ha formalmente annunziato che l'abboccamento fra Sua Maestà il Re N.A.S. e Sua Maestà l'Imperatore d'Austria avrà luogo a Brindisi negli ultimi giorni di Novembre.

Le consuetudini diplomatiche adottate pressoché da tutti i paesi, ed i recenti esempii, mi autorizzano a chiedere a V. E. la licenza di recarmi a quell'epoca io pure a Brindisi, desiderando assistere ad un fatto che cenamen~e non sarà senza importanza per l'avvenire del mio paese, contribuendo a rendere più efficaci e più solidi i vincoli che già uniscono fra loro l'Impero Austriaco ed il Regno Italiano (l).

(l) Menabrea rispose con d. 95 del 2 novembre che poiché l'incontro fra i due Sovrani non doveva aver luogo sul territorio austriaco non era necessario che Pepoli vi assistesse.

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IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 156. Vienna, 27 ottobre 1869.

Ho creduto mio debito di chiedere a S. E. il Conte di Beust un abboccamento prima che egli si recasse a Pesth per accompagnare Sua Maestà l'Imperatore nel suo viaggio in Oriente. Ed avendomelo egli graziosamente accordato, mi sono studiato d'indagare quali recondite ragioni abbiano contribuito a fare adottare una deliberazione che ha a buon diritto destato l'universale sorpresa.

Il Conte di Beust, interpellato da me direttamente, mi ha risposto che dal momento che la Francia, la Prussia, l'Italia inviavano membri della famiglia sovrana all'apertura del Canale di Suez, l'Austria non poteva tenersi in disparte. Egli poi, adottata la massima del Governo, aveva fatto osservare a

S. M. l'Imperatore, che infinite questioni di etichetta si sarebbero sollevate fra un Arciduca ed i Reali Principi di Prussia e d'Italia. La sua augusta presenza invece avrebbe troncata ogni difficoltà. L'Austria avrebbe infatti così presieduto a questo convegno della Civiltà e dell'Industria in Oriente; ed avrebbe in questo modo chiaramente mostrato all'Europa che l'Austria intendeva prendere con salda mano la direzione delle questioni orientali.

Queste parole mi confermarono nel concetto che io mi era fatto, cioè che il Conte di Beust vedendo che non si poteva opporre alla influenza prussiana in Germania, volgeva d'accordo col Conte Andrassy lo sguardo verso l'Oriente. E discorrendo con lui, raccolsi pure non pochi altri indizii su questo mutamento, fra i quali, a mio credere, hanno somma importanza le parole acerbe che il Cancelliere dell'Impero rivolge in ogni opportunità alla politica inglese.

Aggiungerò poi che avendogli io chiesto se l'Imperatore era fermamente deciso ad andare all'apertura del Canale di Suez, ad onta delle influenze diplomatiche turche, che pur si agitavano per distoglierlo da quel viaggio, mi rispose con molta vivaci~à: «L'Imperatore va in Oriente col solo scopo di anda,re a Suez: la sua presenza a Costantinopoli non è che un incidente del suo viaggio».

Io gli espressi la speranza che avrebbe colla sua presenza potuto sciogliere la questione turco-egiziana. Al che mi rispose che lo desiderava altamente, e che questo desiderio non era stato certo fra le ultime ragioni che avevano consigliato il viaggio.

E non posso chiudere questo rapporto senza esprimere la mia pe·rsonale opinione.

Ad onta delle aspre censure che la stampa ha indirizzate al Cancelliere dell'Impero intorno a questo viaggio, io credo che egli abbia molto abilmente afferrata l'occasione di affermare la influenza austriaca in Oriente. A mio avviso, questo fatto è il prologo di una nuova politica, ed è la naturale conseguenza del riavvicinamento colla Prussia; e niuno certo vorrà negare che se l'Imperatore d'Austria giunge personalmente a comporre il conflitto fra la Turchia e l'Egitto, egli potrà ritornando a Vienna applaudirsene come di una efficace vittoria.

La stampa però del partito tedesco è impaurita, ed incomincia a gridare contro la soverchia influenza ungherese, e a dubitare della possibilità di governare l'Impero col Dualismo.

Non mancherò di tenere informata V. E. se si produrranno incidenti intorno al viaggio dell'Imperatore...

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IL MINISTRO A MADRID, CERRUTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1892. Madrid, 28 ottobre 1869, ore 14 (per. ore 20).

Demain ou après demain soir aura lieu sèance de la majorité monarchique au complet préparatoire vote monarque. Je télégraphierai plus amplement ce soir ou demain (1).

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IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 983. Parigi, 28 ottobre 1869 (per. il 1° novembre).

La giornata del 26 corrente ch'era stata indicata e scelta da una frazione del partito avanzato per una dimostrazione in Parigi contro il Governo imperiale, si passò con molta tranquillità. Non solo l'ordine non venne turbato, ma non fu un solo istante minacciato. Parigi non mutò in quel giorno il suo aspetto ordinario. Qualche raro gruppo di curiosi disseminati nel circuito della piazza della Concordia si disperse di per sé, senza che la forza pubblica abbia avuto a mostrarsi. L'Imperatore, venuto apposta da Compiègne a Farisi, ritornò ieri a Compiègne. Fu accolto a Parigi con non dubbi segni di simpatia nel giardino delle Tuileries ove si mostrò il 26, e così pure la sera precedente al teatro. Vero è che la dimostrazione era stata sconsigliata dalla grande maggioranza della stampa anche di quella dell'opposizione, e degli stessi deputati di sinistra conosciuti per i più avversi al Governo. Vero è ancora che il Governo aveva preso tutte le necessarie precauzioni, non in segreto, perché la cosa si sapeva, ma senza pubblicità e senza mostrare inutilmente un apparato insolito di forze. Le truppe erano consegnate. Al Corpo legislativo s'era provveduto con forze considerevoli di polizia, collocate nel cortile del palazzo. La cavalleria stazionata a Versaglia e nei dintorni di Parigi era pronta a mettersi in sella. Ogni misura di pronta e sicura repressione era stata esa

sorata.

minata, maturata ed allestita. Ma nessuna mostra di milizie armate fu spiegata in pubblico. Non v'è dubbio che tutto questo contribuì alla conservazione d'un ordine perfetto nella città durante il giorno 26. Ma sarebbe meno esatto e men giusto l'attribuire questo risultato alle sole circostanze accennate di sopra. Una parte importante di questo risultato, la principale forse, si deve attribuire anche al buon senso della popolazione parigina, e a quello della popolazione della Francia intiera, le quali si dichiararono e colla voce della stampa e con quella dei rappresentanti del paese ricisamente avverse, almeno in gran maggioranza, ad inutili e pericolose dimostrazioni. Il Governo imperiale esce da questa prova più rinforzato che indebolito, checché si dica dalla stampa interessata a demolirlo. Il male vero, la vera debolezza del Governo imperiale stanno altrove. Sempreché la questione è trasportata sulle pubbliche strade e nelle piazze, essa è e sarà risolta indubitabilmente a favore del Governo. Sempreché l'opposizione dal terreno legale si fuorvia nei tentativi di rivolta e di disordine pubblico, essa è sicura d'essere battuta prima ancora dalla disapprovazione dei cittadini che dalla forza armata, la quale è pur sempre tutta intiera e disciplinata nelle mani dell'Imperatore. La difficoltà sola e grave sta nella situazione parlamentare. A dire il vero, dopo il mio ritorno, non trovai che questa difficoltà siasi aumentata; ma non fu nemmeno diminuita. L'Imperatore Napoleone sembra oramai risoluto a camminare nelle vie costituzionali. I progetti di Senatus Consulto e di legge che si stanno preparando, sulla nomina dei Maires, sull'istruzione primaria gratuita, ed altri,

sono una prova delle intenzioni liberali di Napoleone III.

Ma non basta che la Corona sia animata da queste intenzioni. È necessario che il Ministero responsabile, ,chiamato ad effettuarle, ispiri fiducia al paese ed alla Camera; è necessario ch'esso esca per dir così dalle viscere stesse della Camera elettiva, e sia consacrato dal suo costante e solido appoggio. Il presente Ministero francese non è in queste condizioni. E benché in verità nessun altro Ministero potrebbe esserlo finché il Parlamento sia aperto e la Camera abbia potuto pronunziarsi su qualche grave questione, è tuttavia evidente che il Ministero attuale quale è composto non riescirà ad avere le condizioni normaU d'un ministero costituzionale. Vi sono nel Ministero alcuni elementi buoni, anche nel senso parlamentare. Altri invece, che in circostanze e tempi diversi sarebbero stati eccellenti, non sono più appropriati alle esigenze presenti.

Anche poi senza contare il difetto d'origine nell'attuale ministero, v'è in esso una mancanza manifesta di queLlo spirito di solidarietà che suole caratterizzare un Consiglio di Ministri nei paesi retti ad ordini costituzionali. Di qui la necessità d'un cambiamento di ministero o almeno di una profonda modificazione ministeriale per l'apertura o poco dopo l'apertura del Parlamento.

Se non che la difficoltà col traslocarla non si scioglie, ed è a prevedersi che

la Corona si troverà per la formazione di un vero Gabinetto costituzionale di

fronte ai più serii imbarazzi. Questi imbarazzi hanno una doppia origine, una

cioè nella deficienza d'uomini nella Camera i quali abbiano l'autorità, l'espe

rienza e le condizioni necessarie per sedere nei consigli della Corona e per con

durre il Parlamento; e l'altra nel modo e nel sistema con cui furono fatte le

elezioni generali. Queste elezioni furono fatte col sistema delle candidature uffi

ciali, sotto l'impero d'una costituzione che fu distrutta, sotto l'impulso d'idee diverse da quelle che ora trionfano. Ne nasce quindi una grande confusione ed un gran turbamento nella situazione della maggioranza della Camera elettiva. In fondo questa maggioranza, la maggioranza numerica, non domandava le concessioni liberali che furono fatte dall'Imperatore. Le concessioni furono chieste da una minoranza, furono ottenute da questa. La conseguenza di questa singolare situazione si è che se la Corona chiama al Governo gli uomini di questa minoranza, se sceglie i suoi consiglieri fra i centosedici che sottoscrissero la celebre interpellanza, questi corrono il rischio di trovarsi di fronte ad una maggioranza ostile. Se per contro la Corona sceglie i suoi ministri nella maggioranza che fu il risultato delle candidature ufficiali, essa andrebbe contro tutto il nuovo movimento che provocò la 'fiforma e ne fu il risultato. Tuttavia sembra che siccome le idee e i principii stanno sopra al numero, il solo savio partito a pigliare sia quello di formare un Ministero che sia consono al nuovo ordine di cose. E penso che così avverrà, sia per elezione dell'Imperatore stesso, sia per necessità della situazione. Ma d'altro lato, siccome l'Imperatore rifugge, con ragione, dall'idea di dover ricorrere a nuove elezioni, e siccome colla Camera presente un Ministero di centro sinistra non può guarì lusingarsi di avere una maggioranza sicura, l'E. V. vede come anche questa soluzione sia piena di difficoltà e di pericoli. In altri paesi, o più maturi alla vita parlamentare, o meno corrivi a spingere le conseguenze logiche alla loro ultima estremità, o meno travagliati daUa necessità di continui cambiamenti, questi ostacoli sarebbero meno gravi, questi pericoli meno temibili. Ma in Francia, in mezzo a partiti irreconciliabilmente divisi, separati da tutta la distanza che corre tra le tendenze legittimistiche e clericali, e le violente ed insensate avidità del socialismo, essi mutuano da queste speciali circostanze una gravità eccezionale che renderà all'Imperatore Napoleone assai ma,lagevole il Governo in questa nuova fase del suo regno. Per buona ventura la sua salute si è ristabilita in modo molto soddisfacente, ed egli può di nuovo in tutta la pienezza delle sue facoltà dar prove di quelle qualità di Governo che gli valsero ed ottennero incontestati e grandi successi, e delle quali ha ora bisogno di far uso più che in alcun altro tempo. Un fatto che fino ad un certo punto diminuisce le inquietudini del presente stato di cose si è che nessun partito importante vuole una rivoluzione violenta in Francia. In ciò son tutti d'accordo, tranne una piccola frazione dell'estremo partito repubblicano e socialista.

È questa una circostanza avventurata della quale il Governo imperiale può grandemente giovarsi nella sua condotta attraverso le difficoltà del momento.

(l) Con t. 1893 del 30 ottobre Cerrutl avvertì che la votazione avrebbe avuto luogo nella

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IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 984. Parigi, 28 ottobre 1869 (per. il 1° novembre).

Nella conversazione che ebbi quest'oggi col Ministro Imperiale degli Affari Esteri, S. E. mi tenne parola della vertenza turco-egiziana. Da quanto mi disse il Principe di La Tour d'Auvergne, risulta che questa vertenza non fece alcun passo nella via di un accomodamento. 11 Ministro imperiale continua a consigliare da parte sua lo stretto mantenimento dello statu quo. Soltanto, siccome il Sultano pretende che-il Viceré, allorquando contrasse il suo ultimo prestito nel 1868, gliene parlò espressamente, l'Imperatore Napoleone fa la proposta che il Viceré pigli l'impegno di agire così anco per ogni P<festito futuro, cioè di parlarne o di scriverne confidenzialmente al Sultano. Tale suggerimento fu pure comunicato a Lord Clarendon, il quale, prima di rispondere, si riservò di conferirne col signor Gladstone.

Non esito ad esprimere l'opinione che questa transazione sarebbe accettata se le potenze volessero d'accordo e con fermezza raccomandarla ed appoggiarla presso le due parti direttamente interessate.

Il Principe di La Tour d'Auve.rgne mi disse pure che finorra il Governo Imperiale non ricevette ancora alcun avviso che il Sultano debba recarsi in Egitto.

P. S. Il Signor Sackville West, Incaricato d'Inghilterra in assenza di Lord Lyons, mi disse oggi che Lord Olarendon approvava ed appoggiava il suggerimento dell'Imperatore Napoleone, qui sopra accennato.

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IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. IX. Vienna, 29 ottobre 1869.

Rammentando il desiderio ch'Ella mi ha ripetutamente espresso di essere informato esattamente e minutamente della linea di condotta che il Governo Austro-Ungarico intende seguire nella questione del Concilio, ho creduto, nell'assenza del Conte di Beust, di dovermi indirizzare al Ministro Giskra al quale mi ~legano personali vincoli d'amicizia.

Egli mi ha dichiarato che le istruzioni date al Conte di Trautmannsdorf dal Cancelliere dell'Impero gl'impongono di rimanere assolutamente estraneo alle deliberazioni del Concilio, non occultando però al Cardinale Antonelli che il Gabinetto di Vienna non avrebbe tollerato che i diritti della podestà civile fossero disconosciuti ed offesi ed anzi avrebbe immediatamente protestato. Seppi puranco dal medesimo Ministro che queste istruzioni m·ano state definitivamente adottate di pieno accordo fra i Gabinetti Cisleitano e Ungherese entrambi risoluti a mantenere integ.ralmente il comune programma. In quanto ai Vescovi confessò ignorare ancora il numero di quelli che si sarebbero recati a Roma, e ignorare sovratutto se fossero disposti a rassegnarsi in silenzio alle esigenze della Curia Romana. In ogni modo egli mi rinnovò la promessa di ragguagliare intorno a ciò il Governo italiano appena lo avesse potuto fare con sicurezza.

Il Nunzio che ho veduto or sono ailcuni giorni mi disse che tutti i Vescovi

che non erano trattenuti o dalla vecchiezza o dalle infermità avevano premu

rosamente accolto l'invito del Sommo Pontefice di recarsi a Roma.

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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI

D. 18. Firenze, 30 ottobre 1869.

Il carteggio politico di codesta R. Legazione mi pervenne regolarmente sino al n. 17 inclusivamente. Ho preso in attenta considerazione così i ragguagli in esso contenuti come gli apprezzamenti coi quali Ella li accompagnava.

La vertenza turco-egizia sembra ormai entrata in una fase più calma e nella quale sarà perciò più agevole trovare un componimento. La medesima si è inoltre semplificata a segno da non più presentare altro che un punto solo di divergenza, quello cioè .relativo alla facoltà incondizionata di contrarre prestiti, che il Khedive pretende avere e che la Sublime Porta gli contesta.

Tutto ciò che concerne questo punto ancora in discussione può riassumersi così:

Pretende il Khedive che nelle generiche espressioni adoperate nel firmano del 1867 sia compresa anche la concessione di far prestiti e sostiene che tale sua interpretazione venne confermata dalla Porta allorché nel 1868 l'Egitto contrattò un prestito senza chiedere il permesso del Governo ottomano.

Quest'ultimo invece si fonda sul significato restrittivo delle espressioni usate nel firmano del 1867 e vi applica le regole dell'interpretazione propria del diritto singolare. Ed a conferma di ciò dichiara che il Khedive avea fatto conoscere al Sultano il progetto di prestito fatto nel 1868 prima che questa operazione venisse eseguita.

A questo che può dirsi lo stato vero della causa, devesi aggiungere una circostanza degna di tutta l'attenzione delle Potenze che s'interessano alla conserrvazione dello statu quo fra Costantinopoli ed il Cairo. E tale circostanza consiste nell'obbligo assunto dall'Egitto nel contratto di prestito del 1868 di non ricorrere nuovamente al credito pubblico prima che siano trascorsi almeno quattro anni.

Ora il togliere ad una vertenza qual è quella discussa fra il Khedive e la Porta, il carattere d'urgenza che potrebbe avere, equivale ad assicurarne la soddisfacente soluzione. Non sarebbe infatti concepibile la condotta di un Governo che ricorresse a mezzi violenti per risolvere in massima una quistione che in pratica non può avere conseguenze vicine e che si presta a qualunque indugio senza che il diritto delle parti contendenti possa menomamente venir pregiudicato.

Un siffatto riflesso ci sembra d'indole tale da persuadere facilmente il Governo del Sultano deU'opportunità di prescindere da ogni passo che potesse aver per effetto di eccitare per parte del Khedive una resistenza più decisa dalla quale nascerebbero inevitabili complicazioni.

L'atteggiamento delle varie potenze ha dimostrato che tutte s'interessano a mantenere lo statu quo dei rapporti esistenti f•ra Costantinopoli ed il Cairo. Ciascuna di esse ha fatto sentire consigli di moderazione tanto alla Porta quanto al Khedive. Da questa condotta dei varii Gabinetti dipende in gran parte ciò che già si è ottenuto nel senso di appianare le insorte difficoltà.

Noi crediamo che il solo punto di quistione ancor sussistente potrebbe venir risoluto ove la Porta si accontentasse della promessa che il Khedive facesse al Sultano di parlargli o di scrivergli confidenzialmente per informarlo dei progetti di prestiti che venissero fatti in avvenire. Prenderebbe con ciò il Khedive l'impegno di fare al Sultano per i futuri prestiti egiziani comunicazioni analoghe a quella che la Porta afferma esse,re stata fatta pel prestito del 1868. Un suggerimento in questo senso sarà probabilmente dato dalla Francia alle due parti e noi speriamo che verrà trovato da entrambe accettabile come quello che ha per effetto di non alterare le condizioni dello statu qua fra la Porta e l'Egitto, nel tempo stesso che porrebbe termine alla vertenza.

La autorizzo pertanto a parlare in questo senso a S. A. Aalì Pacha appoggiando l'idea sovr'espressa come quella che può condurre ad un componimento che incontrerebbe l'approvazione di tutti coloro che nell'evitare le intempestive ed inutili discussioni vedono il miglior mezzo per allontanare le complicazioni che potrebbero considerevolmente nuocere agli interessi politici e commerciali che sono impegnati in Oriente.

E qui giova ch'io soggiunga che da informazioni sicure risultò al R. Governo che l'atteggiamento preso dall'Ambasciatore di Francia a Costantinopoli allorché si unì ad altri rappresentanti esteri per rivolgere insistenti rimostranze al Khedive acciocché questi cedesse alle domande della Porta, non incontrò l'approvazione del Governo dell'Imperatore il qua,le senza disconoscere il valore dei diritti della Porta, è come noi fermo nel credere che la situazione creata col consenso del Governo ottomano in Egitto debba essere rispettata come quella che intimamente si collega con interessi importanti dei Governi e delle colonie europee.

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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. XXI. Berlino, 30 ottobre 1869.

M. d'Arnim, Ministre de Prusse à Rome, partant aujourd'hui mème pour retourner à san poste après une absence de plusieurs mais, j'ai jugé à propos de sonder le terrain pour connaitre quelle pouvait ètre la substance de ses instructions.

Voici ce que j'ai appris dans un entretien que je viens d'avoir avec M. de Thile.

Ainsi que V. E. en était informée, le Prince de Hohenlohe, après avoir entendu l'avis des principales facultés théologiques en Bavière sur différentes questions qui leur avaient été soumises, se proposait d'engager les Gouvernements Allemands à exposer par un mandataire spécial à Rome, leurs idées relativement au Concile oecumemque. Ce mandataire aurait dù déclarer confidentiellement qu'un empiètement sur les droits de l'Etat, trouverait un terrain des moins favorables en Allemagne. Le Comte de Bismarck semblait d'accord pour la réalisation de ce projet. Mais une démarche du Président du Conseil Bavarois faite à une époque antérieure pour amener également une entente avec les autres Puissances en Europe, n'ayant pas obtenu un plein succès, et méme ayant rencontré dans quelques Cours un accueil assez froid, à Munich comme à Berlin on a renoncé à la combinaison qu'on avait d'abord en vue. Les deux Cabinets se tiennent donc maintenant sur la réserve.

Au reste le but qu'ils se proposaient a été en grande partie atteint, quoique d'une manière indirecte, par les manifestations d'un ce.rtain nombre de catholiques de Coblence et de Bonn, par la réponse de la faculté théologique de Munich, et en dernier lieu par la lettre pastorale collective adressée à leurs diocésiens par les Evéques Allemands lors de leur réunion à Fulda. Ce mandement, tout en employant les formes les plus prudentes, et les plus respectueuses pour le Saint Siège, n'est pas moins significatif et indique assez le ròle de conciliation et de modération que le haut clergé de ce Pays Templira au sein du Synode.

V. E. connait l'avertissement donné avant la réunion de l'Assemblée de Fulda à l'Evéque de cette ville (rapport n. XX) (1). Je sais par M. de Thile que le Roi de Prusse, à son passage très prochain en Silésie, verra le Prince Archevéque de Breslau un des membres les plus distingués de l'Episcopat, pour répéter les mémes recommandations. Au reste, d'après ce qui m'a été dit par le Sous-Secrétaire d'Etat, on ne saurait mettre en doute que les Evéques Allemands s'appliqueront à prévenir les excès de l'ultramontanisme, car méme le plus ardent, d'entre eux, M. de Ketteler, Evéque de Mayence, se montre alarmé des tendances trop envahissantes de ce parti.

Dans ces circonstances, le Gouvernement Prussien a estimé que la meilleure instruction à donner à M. d'Arnim, -et il n'en a pas d'autres -était celle de se borner à observer la marche du ConcHe, et à référer sur tout ce qui se rattachait à ce grave intérét politique, social, et religieux. Telle sera également la conduite du Gouvernement français, à en juger d'après la circulaire du Prince de la Tour d'Auvergne du 8 Septembre. Il s'abstiendra entre autres de recourir à un délégué spécial dont la présence aurait l'inconvénient d'engager la liberté d'action de la France.

M. de Thile m'a demandé quelle serait notre attitude. J'ai répondu qu'il était facile de s'en rendre compte en suite des communications que j'avais déjà été dans le cas de faire ici; que le dernier document y relatif portait la date du 30 Septembre dernier (Circulaire du Garde des Sceaux publiée dans le Journal Officiel) (2). Tout en ne mettant pas obstacle à ce que nos Evéques interviennent au ConcHe, nous avions fait réserve absolue et expresse de nos résolutions ultérieures sur tout ce qui pourrait léser les lois du Royaume et les droits de l'Etat.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. serie I, vol. XI, n. 596, allegato.
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IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 160. Vienna, 30 ottobre 1869.

Io non mi era male apposto (l) esprimendoLe il dubbio che i fatti delle Bocche di Cattaro fossero molto più gravi di quanto i primi giorni si credeva, ed affermando che le popolazioni slave avevano afferrato il pretesto della questione della leva per incominciare un'insurrezione da molto tempo apparecchiata. Il Ministro Giskra si mostrò ieri sera meco profondamente preoccupato di questa questione e delle conseguenze che ne potevano risultare per la sicurezza dell'Impero. Egli mi confessò che nell'ultimo scontro tre ufficiali e 17 soldati avevano perduta la vita e che 64 erano stati feriti, tra i quali il colonnello che comandava la fazione. Fra alcuni giorni saranno raccolti in Dalmazia oltre 10.000 soldati ed il Governo confida di potere soffocare l'insurrezione e domare i ribelli, a meno però che questi non si colleghino coi Montenegrini e coi Rajah dell'Erzegovina. In questo caso diventerà necessaria la cooperazione del Governo turco e ciò complicherà assai la questione. Finora i confini militari sono tranquilli, ma il Governo teme che la tempesta si apparecchi sotto questa calma apparente.

Noi non accusiamo, aggiunse il Ministro Giskra, il Governo russo di avere direttamente rinfocolate le ire slave, ma è fuori di dubbio che i partigiani ed i fautori di esso si sono mescolati cogli insorti fornendo ad essi armi e danaro. E questi fatti sono per se medesimi tanto evidenti che il Gabinetto di Pietroburgo ha dovuto, per salvare la propria fama, preoccuparsene, sciogliendo la propria responsabilità, e facendo dichiarare dal suo Incaricato d'affari al Gabinetto di Vienna ch'egli disapprovava altamente questi moti inconsulti e che aveva dato ordine esplicito ai suoi Agenti di cncorrere coi loro consigli e colle loro dichiarazioni a mantenere l'ordine e dissipare ogni pericolosa illusione. Il Ministro Giskra colse l'opportunità di questo colloquio per dichiararmi che egli era molto soddisfatto del contegno del partito italiano in Dalmazia che aveva, in questa circostanza, lealmente appoggiato il Governo. Il Ministro dell'Interno conchiuse dicendo che Sua Maestà era partita con grandissimo rammarico e che certo non avrebbe pensato a irsene in Oriente se avesse potuto prevedere i casi di Cattaro. Ora Egli era stato costretto a partire dalla pubblicità data alla sua deliberazione, molto più che correva voce che il partito russo avesse fatto scoppiare quei torbidi per impedirgli appunto di recarsi in Oriente, forse temendo ch'Egli colla sua augusta presenza non avesse ivi restaurata ,]'influenza e l'autorità del Governo Austro-Ungarico.

(l) Cfr. n. 37.

47

IL MINISTRO A MADRID, CERRUTI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1896. Madrid, 31 ottobre 1869, ore 12,59.

Nuit dernière il y a eu deux votations; dans la première le due de Genes n'a eu que v o ix 117 pour et 63 contre; dans 1a seconde, 11 membres marquants du parti de l'union libérale se sont ralliés à la majori.té. Les 52 voix contre le due de Genes, ne sont pas précisément pour le due de Montpensier, mais seulement opposées au due de Génes. Le registre demeure ouvert aux votes des députés.

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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AI RAPPRESENTANTI DIPLOMATICI ALL'ESTERO

CIRCOLARE R. Firenze, 31 ottobre 1869.

Ella troverà qui unito copia di un Rappo·rto che pervenne al Governo del Re dalla sua Legazione in Bruxelles. Le cose in esso esposte si riferiscono all'agitazione rivoluzionaria che si estende a molta parte dell'Europa, e contro la quale i Governi costituiti sono tutti egualmente interessati a prendere efficaci provvedimenti.

Non è desiderio nostro che la S. V. faccia al ·riguardo un'apposita comunicazione a codesto Governo; ma noi vorremmo che, presentandosene l'occasione, Ella gli facesse conoscere che noi ci preoccupiamo non meno degli altri Stati di un pericolo che crediamo essere comune a tutti, perché minaccia l'ordine sociale fors'anche più che la costituzione politica de' va,ri paesi.

ALLEGATO

BARRALA MENABREA

R. CONFIDENZIALE 147. Bruxelles, 7 ottobre 1869.

Une correspondance diplomatique de Paris que l'on vient de me communiquer, et dont je crois devoir sous toutes réserves faire part à V. E. s'exprime ainsi:

Depuis la maladie de l'Empereur et en vue d'une rechute qui peut étre mortelle, les partis radicaux s'agitent beaucoup non seulement en France, mais dans toute l'Europe. Tandis que les partis monarchiques restent inactifs en présence de l'oeuvre de dissolution sociale, les républicains s'organisent, propagent leur influence sur les masses et se préparent à une lutte suprème contre l'Empire et tout le système monarchique en Europe.

La Police de Paris a découvert des conciliabules de démocrates Français, Italiens, Espagnols, Allemands qui se réunissaient dans ces derniers temps rue Scribe et se concertaient sur les plans à suivre pour !aire triompher en France et dans le reste de l'Europe le mouvement républicain. Les chefs de ces conciliabules ont communiqué des lettres de Mazzini qui donnait des conseils. En cas de mort de l'Empereur des soulèvements éclateraient simultanément à Paris, à Lyon et à Marseille et dans certaines villes d'Italie (non désignées). Les tentatives d'insurrection qui ont lieu dans ce moment en Espagne sont les premiers résultats des plans concertés dans ces réunions.

La correspondance termine en disant que les chefs du parti démocratique sont tout à fait contraires au projet d'une maniféstation pour le 26 Octobre prochain qui dans leurs prévisions n'aboutirait à rien. Ils croient plus habile de réserver toutes leurs forces pour attaquer le Gouvernement dans les discussions qui commenceront le 29 Novembre et aux quelles ils sont résolus à imprimer le caractère des plus grandes violences et scandales parlementaires.

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IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 161. Vienna, 31 ottobre 1869.

Ieri si leggeva in tutti i giornali che una convenzione militare era stata firmata tra l'Austria e la Turchia allo scopo di reprimere efficacemente l'insurrezione dalmata. Questa notizia essendo in aperta contraddizione coi discorsi tenuti meco dal Ministro Giskra, ho creduto d'indirizzarmi al Barone di Altenburg per conoscere la verità sopra un fatto che certamente sarebbe molto g.rave.

Il Barone di Altenburg mi ha risposto ch'egli poteva assicurarmi che nessuna convenzione era stata firmata fra la Turchia e l'Austria e che, per ora, egli credeva che non vi fossero stati neppure aperti negoziati a questo proposito.

Il Ministro della Guerra dell'Impero reputava che l'insurrezione dalmata non fosse cosa di molto momento e si riprometteva di domarla prontamente. Gli insorti eransi raccolti in due soli punti, e, accerchiati daUe forze austriache, egli non dubitava che fossero presto per sottomettersi. Al Ministero degli esteri la questione dalmata è giudicata come una semplice sommossa di contadini e, a quanto sembra, si ritengono esagerate le paure ed i sospetti dei giornali locali. L'Incaricato di affari russo ha voluto ieri leggere al Barone di Altenburg una lettera indirizzata dal Principe di Montenegro al Console russo a Zara. Non ho d'uopo di dirLe che le espressioni contenute in questa lettera disapprovano energicamente l'insurrezione e s'informano tutte a sensi di affetto e devozione pel Governo austriaco.

Io Le confesso, signor Ministro, che non so dividere pienamente la fiducia del Barone di Altenburg e credo che in ogni modo il Governo austriaco non reintegrerà cosi prontamente in Dalmazia la propria autorità come egli mostra meco di credere.

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L'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1898. Alessandria, 1° novembre 1869, ore 8,33.

Vice Roi cède aux conseils de modération, et ayant reçu du grand vizir une lettre relative à la nomination d'un vice-consul anglais, il en profitera pour répondre aussi à la dernière lettre du grand vizir sur les prétentions de la Sublime Porte, et demandera que l'examen et la définition du seui point litigieux de l'autorisation pour les emprunts, soit remise plus tard quand les passions seront calmées, ne pouvant en faire pour quatre ans.

51

IL MINISTRO A MADRID, CERRUTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1899. Madrid, 1° novembre 1869, ore 13,35 (per. ore 18,20).

On m'assure que Topete ne quitte pas le Ministère. Jusqu'à présent le ministre des affaires étrangères et le garde des sceaux pas encore nommés (1). Serrano appuie la candidature du due de Gènes. Ton des journaux de l'opposition est beaucoup adouci. L'Impartial assure que les votes pour le due de Gènes étaient hier soir 141.

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IL CONSOLE GENERALE A NIZZA, GALATERI DI GENOLA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. RR. S. N. Nizza, 1° novembre 1869 (per. il 3).

Col mio rispettoso rapporto al n. l Serie Contabilità ho già avuto l'onore di partecipare all'E. V. il mio arrivo in questa residenza il 27, e l'assunzione della direzione del servizio nel giorno seguente, 28 dell'ultimo passato Ottobre.

Credei bene di mostrare premura di mettermi in relazione colla prima Autorità della Provincia, signor Prefetto Gavini di Campile, epperciò gli feci tosto domandare di fissarmi il giorno e l'ora del mio ricevimento. Il signor Prefetto me la indicò pell'indomani 29.

Il medesimo mi accolse con gran cortesia e mi espresse, con molta espansione ed a lungo, i suoi sentimenti di simpatia verso il R. Consolato e gli Italiani.

Eccole, Eccellentissimo Signor Conte, in brevi parole compendiato il senso della dichiarazione politica del signor Gavini.

Essere egli sincero partigiano dell'Unità d'Italia e desiderare agli Italiani ogni prosperità. Esigere però che dagli Italiani, residenti nella sua provincia, siano rispettate le Leggi del paese.

Chiudere l'orecchio a quanto gli Italiani dicano fra di loro in privati convegni, contro la Francia, ma non voler permettere che, colla loro condotta e coi loro pubblici discorsi, provochino e feriscano le suscettibilità dei Francesi.

Essere stato obbligato ad espellere una mezza dozzina di Italiani agitatori, che però ora quasi tutti poterono rientrare, ad eccezione di un certo Abate Cregnetto, i1 cui desiderio di ritornare a Nizza sarà esaudito, disse il Prefetto, quando prometta di starsene tranquillamente lontano da politiche agitazioni.

Chiaramente mi dichiarò il p,refetto, e prego l'E. V. di fissarvi un momento l'attenzione sua, che egli avversava il progetto di questi Italiani di organizzare una Società di Beneficenza a motivo che dessi, radunandosi regolarmente, non si sarebbero, al suo opinare, trattenuti dall'occuparsi di politica e di sognare la possibilità del ritorno di Nizza all'Italia. Il signor Prefetto pronunziando tal frase mi fissò profondamente in viso, ma credo che l'avrà trovato impassibile, senza traccia di approvazione o di disapprovazione del suo dire.

Soggiunse finalmente il signor Gavini, che il mio predecessore, che egli moltissimo apprezzava, subiva l'impressione d'influenza e di paure tali che, mentre desiderava di restarsene in Nizza, instantemente pregava lui, Gavini, perché intercedesse presso l'E. V. e facesse uffizi presso il Ministro Nigra onde essere rimandato all'antico suo posto d'Algeri. Il signor Gavini stesso rimarcò la stranezza della cosa, cioè, che egli, Prefetto, che era soddisfattissimo di

S. Agabio, e forse troppo agli occhi da parte di questi Italiani, fosse richiesto a domandare l'allontanamento del signor S. Agabio, quasi che avesse gravemente a dolersene.

Presi a mia volta la parola mettendo ad opportuno profitto quella poca pratica degli affari che potei forse altrove acquista,re (giusta quanto l'E. V. ebbe la bontà di scrivermi nell'ossequiato Dispaccio Riservato del 22 ottobre p.p.) (l) la qual pratica avendomi convinto da lungo tempo, che ad un R. Agente sia Diplomatico che Consolare, di fresco a,rrivato in una residenza, è d'immensa utilità, per ingenerare tosto nell'animo delle locali autorità la persuasione che desso, al carattere modesto e conciliante e di forme sempre cortesi, accoppiò buona dose di fermezza e di consistenza, quando la difesa dei giusti interessi delle persone e delle cose degli Italiani la richiedono, mi feci a rispondere con queste frasi:

Promettere dalla mia parte al signor Prefetto, che use,rei di tutta l'influenza morale della mia carica per tenere sulla via della moderazione e di prudente tranquillità quegli Italiani, se ve ne sono di tali, che volessero, per avventura, allontanarsene, insultando al Governo stabilito o promuovendo disordini;

Che mai avrei assunto davanti le Autorità loc,ali la difesa di una causa della cui giustizia io non fossi ben persuaso.

Che ad estranee influenze, non legittime, qualunque esse possano essere, io non era capace di piegare, e che non prendendo mai consiglio dalla paura, vana tornava sopra di me ogni intimidazione.

Che però quando l'animo mio era penetrato della legittimità e giustizia di un reclamo di un mio concittadino, io soleva prenderne con calore il patrocinio e di non desistere fino a tanto che ne avessi il giusto esito conseguito. Aggiunsi immediatamente che con vivissima soddisfazione io fin da quel momento prevedeva dai sentimenti amichevolissimi, che il signo.r fuefetto mi aveva espresso per gli Italiani, che pronta e facile sarebbe stata l'accoglienza delle mie ben fondate domande a favore dei miei connazionali.

Quanto poi all'idea della fondazione di una Società di Beneficenza Italiana in Nizza, con approvazione del Governo Imperiale, francamente dichiarai che quando siano prese le opportune precauzioni nello statuto fondamentale, perché tale società di Beneficenza non si trasformi, in progresso di tempo, in Club politico, io non avrei saputo come farvi opposizione, essendo raccomandato dal Governo del Re ai Suoi Rappresentanti Diplomatici e Consolari all'Estero, di promuove.rne ovunque l'istituzione, tanto per sentimenti di umanità quanto altresì per sollevare delle spese di sussidj e rimpatrj il pubblico Erario.

Soggiunsi quindi, che per deferenza personale verso di lui, il Prefetto, che opina pella dilazione di tale istituzione, io mi sarei astenuto dal farmene l'iniziatore ed il sollecitato.re, sempre inteso che non avrei respinto la progettata Società di Beneficenza Italiana, qualora mi si presentasse da competente numero di rispettabili Italiani.

Intense le rinnovate assicurazioni del signor Prefetto della intiera sua disposizione a prendere in considerazione le mie domande, ne lo ringraziai vivamente ·e presi da lui commiato nei modi i più amichevoli e cortesi, ed ora sto facendo le visite d'uso agli altri funzionarij, Capi di qualche pubblica amministrazione, coi quali, per diretta od indiretta ragione, si ha interesse di essere amici, per giovare, quanto maggiormente possibile, in ogni contingenza, a questa Colonia, affidata alla mia tutela.

P. s. Invoco l'indulgenza di V. E. pelle correzioni fatte ·in questo rapporto occorse per la fretta, e che non può più essere ricopiato pell'ora tarda.

(l) Cerruti comunicò con t. 1903 del 2 novembre che Martos aveva accettato il portafogUo degU Esteri.

(l) Non pubblicato.

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IL MINISTRO A MADRID, CERRUTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1904. Madrid, 2 novembre 1869, ore 21 (per. ore 6,20 del 3).

Probablement Montemar part bientòt pour Florence, s'il en est le cas différez réponse. Dites que pour mieux juger on attend son arrivée. Députés adhésion sont 142. On vient de m'assurer qu'ils seront 172. Prim compte sur deux gros tiers de majorité définitive Cortes. Demain je télégraphie.

8 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. XII

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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA,

AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

D. 141. Firenze, 2 novembre 1869.

Il R. Governo fu assai sensibile alle dimostrazioni di simpatia delle quali furono oggetto in Prussia il Generale di Robilant ed il Capitano Besozzi. Secondoché V. S. ha giustamente avvertito quelle manifestazioni, lusinghiere senza dubbio per gli egregi personaggi ai quali erano dirette, hanno però ancora più speciale importanza siccome p'l"ove del pregio in cui è costì tenuta l'amicizia dell'Italia. Voglia, Signor Ministro, esprimere a codesto Gabinetto la nostra più sincera riconoscenza ed attestare che siffatti sentimenti sono da parte nostra cordialmente ricambiati.

Nella occasione del passaggio per l'Italia di S.A.R. il Principe Reale di Prussia, S.M. il Re ha pensato di fare cosa gradita al Pdncipe ponendo a sua disposizione quello stesso generale di Robilant che era stato poco dianzi costì ospite gradito. Di questa e delle altre dimostrazioni di cui fu oggetto Sua Altezza Reale durante il suo tragitto l'Altezza Sua parve assai soddisfatta. Ed anzi l'Altezza Sua degnossi farne particolare menzione, indirizzando a parecchie riprese le parole al R. Console ad un pranzo dato ai funzionari pubblici di Corfù, ed al quale il Cav. Trabaudi Foscarini era stato graziosamente invitato. Sua Altezza Reale disse tra le altre cose che il giorno innanzi (il giorno stesso del suo arrivo in Corfù) aveva ricevuto un telegramma très aimable di S.A.R. il Principe Umberto. Soggiunse che sarebbe passato assai volentieri a Napoli nel viaggio suo, ma che se ne era trattenuto pensando che ciò sarebbe stato un disturbo per le loro Altezze Reali le quali stanno attendendo un grande avvenimento. Sua Altezza Reale manifestò la sua intenzione di fermarsi a Napoli al suo ritorno da Suez, ed indicò anzi la data precisa del 10 dicembre come quella del suo arrivo in detta Città.

Anche S.M. il Re Guglielmo si è mostrata assai soddisfatta dell'accoglienza fatta in Italia all'augusto suo figlio. Il R. Ministro in Carlsruhe riferisce che essendo stato invitato a pranzo da Sua Maestà, la Maestà Sua colse questa occasione per dirgli quanto era stata sensibile alle dimostrazioni di simpatia prod,igate al Principe Reale a Venezia e lungo la penisola.

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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI

D. 92. Firenze, 2 novembre 1869.

Per regolarità di corrispondenza, reputo opportuno farle conoscere il senso di una comunicazione fattami vari giorni or sono da S. E. il Barone di Kiibeck relativamente alla vertenza turco-egiziana.

L'Inviato austriaco mi diede lettura di un dispaccio del suo Governo nel quale era espresso il convincimento che mercè i consigli dati dall'Austria, dalla Francia, e dalla Gran Bretagna, un accomodamento amichevole avrebbe avuto luogo fra la Porta ed il Kedive. Lo stesso dispaccio accennava alle disposizioni particolarmente favorevoli dell'Inghilterra verso la Porta, disposizioni che sarebbero suggerite a Lord Clarendon, più di tutto, dal timore che, ove le potenze esercitassero un'azione troppo viva a Costantinopoli, il Gran Vizir Aali-Pascià si dimettesse dalla carica. Sembrerebbe che in Inghilterra tale eventualità sarebbe considerata come una grave disgrazia per la Turchia. Allorché il Barone di Ktibek mi lesse questo dispaccio del Conte di Beust, erano già a mia notizia e gli adoperamenti diplomatici fatti a Costantinopoli dai tre rappresentanti di Austria, Francia ed Inghilte.rra, ed i passi che, in seguito alle disposizioni date da questi ultimi, avevano fatto gli agenti di quelle Potenze presso il Kedive. La comunicazione della quale l'Inviato austriaco in Firenze era stato incaricato, non aveva quindi che il carattere di una informazione retrospettiva, e non sembrava destinata ad altro se non che a riscontrare che fra l'atteggiamento dell'Italia e quello dell'Austria, nella vertenza egiziana non esistevano sensibili differenze.

Considerando infatti che tale doveva essere lo scopo del Gabinetto di Vienna nel farci fare quella comunicazione dopo che già s'era associato alla Francia ed all'Inghilterra per fare con esse le pratiche anzi accennate, pensai che dal canto nostro bastava che io informassi S.E. il Ba.rone di Kubeck di quanto dall'Italia si era fatto per allontanare ogni pericolo di complicazioni maggiori

o di cambiamenti dannosi agli interessi europei impegnati in Egitto.

Noi abbiamo agito, diss'io, indipendentemente dalle altre Potenze, e mossi unicamente dal desiderio di tutelare, con gli interessi particolari dell'Italia quem generali che dipendono dalla conservazione dello statu qua nei rapporti fra l'Egitto e la S. Porta. Avevamo perciò raccomandato al Kedive di mostrarsi deferente ve•rso il Sultano, ed al Divano Imperiale avevamo dimostrato la necessità di fare prova di sentimenti conciliativi. Non avevamo stimato opportuno di occuparci delle singole quistioni che si agitavano fra le due parti, ma non avevamo taciuto che la condizione di quasi assoluta autonomia di cui l'Egitto era in possesso da anni aveva creato interessi gravi ai quali dovevamo estende.re la nostra protezione. Molti inte•ressi italiani sarebbero stati profondamente lesi da un cambiamento sostanziale che si fosse prodotto nella situazione politica dell'Egitto rispetto alla Porta Ottomana. È in questo senso, soggiunsi, che noi abbiamo considerato la quistione S·ino dal primo suo nascere, e siamo ben lieti di riconoscere che anche in questa occasione lo scopo che ci siamo proposti di conseguire era identico a quello cui miravano in sostanza le pratiche fatte dalla diplomazia austriaca a Costantinopoli ed al Cairo.

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L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 79/23. Londra, 2 novembre 1869 (per. il 6).

Da che rivolsi a V. E. il mio ultimo Rapporto sugli affari d'Egitto ho avuto un abboccamento al Foreign Office col signor Otway il quale mi confermò le cose dettemi da Lord Clarendon e da me a Lei riferite.

Il Sottosegretario di Stato si trattenne meco a lungo sulle probabilità che avrebbe il presente conflitto fra il Sultano ed il Kedive di complicarsi al punto di provocare una rottura di ostilità, ed egli, al pari di Mylord, non crede che una tale eventualità sia da paventarsi ed è di parere che le potenze avrebbero influenza da impedire una tale calamità, qualora la controve,rsia assumesse un carattere ancora più minaccioso di quello che possiede al presente.

Il signor Otway sembrava quasi inclinato a supporre che la momentanea sospensione di ogni discussione, dovuta alle feste per l'ape,rtura del Canale di Suez, potesse dar luogo a qualche favorevole incidente di natura a migliora,re le relazioni fra la Porta e il suo vassallo.

In termini prudenti ma assai significanti, egli fece cenno dell'attitudine diversa da quella dell'Inghilterra mantenuta dalla Francia in tale affare e queste osservazioni portarono il discorso sulle vedute del Gove,rno britannico circa le rispettive posizioni del Sult3ino e del Kedive, circostanza che fornì occasione al signor Otway di parlarmi con molta schiettezza. Reputo perciò che potrà riuscire di qualche interesse per l'E. V. di avere qui un breve cenno di questa conve,rsazione.

Egli dissemi che non con ogni torto la Porta non contentavasi delle semplici protestazioni di vassallaggio contenute nella risposta del Viceré ma che,

o realmente allarmata dalle velleità d'indipendenza di quest'ultimo e dai suoi potenti apparecchi militari, o intenta solo a premuntrsi contro ogni possibile futuro sopruso, era risoluta ad imporre tali condizioni al Kedive da metterlo nella impossibilità materiale di contemplare qualsiasi disegno ambizioso contro l'autorità del suo Signore.

Dopo alcuni riflessi sul diritto che agli occhi del Governo britannico esiste dal lato del Divano Imperiale in questa ve,rtenza, il signor Otway si palesò meco in guisa da farmi comprendere che, ciò non astante, l'Inghilterra aveva sinceramente il desiderio e l'intenzione, ora che il Viceré era stato severamente richiamato all'osservanza dei suoi doveri, di esercitare la sua influenza a Costantinopoli onde indurre il Governo ottomano a moderare le sue pre.tese.

Infatti se i diritti della Porta trovano in Inghilterra i più caldi difensori e se Lord Clarendon, sia per inclinazioni personali che per antiche tradizioni politiche, è gelosissimo di mantenere intatto tutto ciò che si rife.risce all'alta Sovranità del Sultano, fa pur d'uopo considerare che sarebbe interamente contro l'opinione pubblica di questo Paese se il Viceré venisse lasciato in balia della Porta e ridotto alle funztoni di un s~emplice Pascià. Imperocché è bensì vero che gli uomini politici inglesi fanno gran caso della differenza che corre fra la posizione dei due Principi della Serbia e della Moldo-Valachia e quella del Kedive, e che considerano l'Egitto quasi come una provincia dell'Impero ottomano, ma nello stesso tempo i meriti d'Ismail pascià, non che l'immenso impulso da lui dato al commercio ed all'industria, vengono riconosciuti e nessuno qui bramerebbe di vedere intervertiti gli ordini, e l'attività civilizzatrice che caratterizza l'amministrazione del Cairo, smrogata da quella sì proverbialmente inetta che ha sede in Costantinopoli.

Si è per tale ragione che credo che le cose dettemì dal signor Otway circa la convenienza di consigliare al Sultano a mostrarsi meno esigente, esprimano esattamente i sentimenti del Gabinetto britannico.

L'apprezzamento dato dall'Inghilterra agli ultimi episodi della questione d'Oriente può definirsi nel modo seguente. Colle note sue teorie sulla conservazione dell'integrità dell'Impero ottomano, non è senza soddisfazione che essa lo vede sorgere dalla sua consueta apatia e rivendicare la sua autorità colà ove pare minacciata. Per cui nella stessa maniera che applaudì ai suoi successi ottenuti in Creta ed in Grecia colle armi e colla diplomazia, non sconobbe ora il diritto del Sultano di muovere delle rimostranze al Viceré, ed il fondamento che, entro una data misura, le medesime posseggono. Ma è anche egualmente convinto dell'imprudenza che vi sarebbe di lasciare che il Sultano ostinandosi nelle sue esagerate domande spingesse ad aperta ribellione un Principe che regge un Paese nella cui amministrazione tutta l'Europa è interessata. L'Inghilterra vuole perciò mantenuto lo statu quo che ricevette la sanzione delle potenze. Conseguentemente se essa crede essenziale che i diritti della Porta sull'Egitto vengano mantenuti non ha nessun desiderio di vedere menomati i privilegi accordati dai Sultani ai loro Viceré per mezzo d'un atto solenne.

Del resto ecco qui appresso il vero concetto della politica inglese circa l'accusa mossa dal Divano Imperiale al Kedive di aver fatto preparativi militari da nulla giustificati fuorché dal celato disegno di sottrarsi all'Alta Sovranità del suo Signore.

Gli uomini di Stato di questo paes·e consci dell'opposizione, anche armata, che vi farebbe l'Inghilterra non ammettono che la possibilità dell'indipendenza dell'Egitto possa venir collocata fra le quistioni del giorno né tampoco fra quelle destinate a scoppiare in un periodo abbastanza vicino da doversene preoccupare sin d'ora. A questo proposito rammenterò umilmente all'E. V. come durante la mia ultima reggenza di questa R. Legazione io osservassi nella mia corrispondenza sulle cose d'Oriente, massime quando lord Stanley aveva la direzione del Foreign Office, che sebbene diventasse ogni giorno più dubbio se la Gran Bretagna, malgrado le sue tradizioni, si sarebbe in futuro sobba;rcata ad una seconda guerra di Crimea, non se ne poteva dire altrettanto per qualsiasi complicazione riguardante puramente l'Egitto. E' questo un punto che tocca troppo da vicino i suoi interessi indiani perché la cosa possa essere altrimenti. Persuasa dunque che l'indipendenza di quel Vicereame non presenta nemmeno una probabilità, l'Inghilterra bramerebbe che il Sultano ciò comprendesse e considerasse quale sufficiente guarentigia dei suoi diritti, mentre vorrebbe che nell'istesso tempo il Kedive apprezzasse la necessità di sottomettersi lealmente ad un tale stato di cose contentandosi dei vantaggi che gli vennero concessi.

Quanto ho qui avuto l'onor.e di espo.rre è l'opinione di molti personaggi politici coi quali ho cercato appositamente d'abboccarmi, e queste idee che ho procurato di sviluppare rappresentano anche i giudizi stati portati dagli organi più influenti della stampa sull'attuale conflitto turco-egizio.

Desioso, per quanto sta in me, di rischiarare l'E. V. sul corso probabile che terrà il Governo della Regina in siffatto affare, ho pensato che questi ragguagli potevano forse servire al mio scopo, e nella speranza di non essermi completamente ingannato...

57

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. XVI. Parigi, 4 novembre 1869.

Con dispacci di serie politica nn. XIV e XV, in data dei 20 e 22 ottobre ora scorso (1), il Signor Conte Puliga, Incaricato d'Affari di Sua Maestà durante la mia assenza, ha avuto l'onore di riferire all'E. V. il corso da esso dato alla circolare indirizzatagli dall'E. V. il 3 ottobre scorso (2). Siccome però nella breve conversazione che il R. Incaricato d'Affari aveva avuta con S. E. il Principe di La Tour d'Auvergne, non aveva avuto campo di sviluppare a lungo a questo Ministro il contenuto della circolare stessa, così ho creduto agire secondo le di Lei intenzioni richiamando l'attenzione del Ministro imperiale degli Affari esteri su quel documento e svolgendogli per intiero le considerazioni nel medesimo contenute.

Il Principe di La Tour d'Auvergne ascoltò la mia esposizione e ne prese nota. Si riservò di meditarvi sopra, specialmente su quella parte che accenna all'occupazione del territorio pontificio per parte di forze este,re, e di fare all'occorrenza le sue osservazioni.

Il Principe di La Tour d'Auvergne, senza entrare per ora in discussione sul merito delle considerazioni da me espostegli, constatò che la deliberazione presa dal Governo di Sua Maestà di non impedire la gita dei vescovi italiani a Roma concordava nel fatto coll'identica deliberazione presa dal Governo imperiale.

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L'INCARICATO D'AFFARI A WASHINGTON, COLLOBIANO ARBORIO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 114. Washington, 4 novembre 1869 {per. il 25).

Ho l'onore di segnarle ricevuta del dispaccio che l'E. V. mi ha indirizzato in data dell'8 ottobre ultimo Serie Politica n. 23 (3), e dei documenti ad esso annessi.

In conformità alle istruzioni impartitemi, mi sono recato dal Signor Hamilton Fish e gli ho espresso i ringraziamenti del R. Governo pei buoni ufficii prestati dal Governo degli Stati Uniti pel ristabilimento delle relazioni diplomatiche fra l'Italia ed il Messico, e gli ho fatto conoscere in pari tempo la nomina del Cavalier Cattaneo.

Il Segretado di Stato mi ringraziò di tale comunicazione, e mi disse che era lieto di aver potuto in quest'occasione affermare i sentimenti d'amicizia esistenti fra i due Governi.

Il signor Mariscal Ministro del Messico in Washington, appena ebbe notizia dal suo Governo del ristabilimento delle relazioni coll'Italia, si è recato a farmi visita, ed avendolo io informato della nomina del Cavalier Cattaneo, egli mi assicurò che il R. Rappresentante sarà accolto con molto favore dal suo Governo.

(1) -Non pubblicati. (2) -Cfr. serle l, vol. XI, n. 596. (3) -Cfr. n. 9.
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IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 990. Parigi, 5 novembre 1869 (per. il 7).

Benché poco o nulla sia trapelato nel pubblico rispetto a progetti di modificazioni nella composizione del Ministero f.rancese, posso tuttavia accertare l'E.V. che questo progetto ha esistito e che il signor Emilio Ollivier venne a Parigi a quest'effetto invitatovi da S. M. l'Imperatore che gli spedì espressamente il sig. Duvernois, le cui relazioni col Gabinetto particolare di Sua Maestà sono conosciute.

Il signor Ollivier si abboccò a Compiègne coll'Imperatore. La cosa si tenne e si tiene segreta. Prego pe·rciò l'E.V. di voler considera.re questa notizia come affatto confidenziale. Il risultato del colloquio fu negativo, non perché ci fosse disaccordo intorno ai principi!, ma perché si presentarono difficoltà intorno alla sc·elta delle persone che dovevano mantenersi od entrare nel Consiglio dei Ministri. È quindi probabile che il Ministero si presenterà quale è ora costituito dinanzi alla Camera.

Del resto il Governo sembra prevedere la possibilità di un tentativo di sommossa nelle vie di Parigi, e si tiene pronto a sedarlo con vigore. E siccome, se questo fatto accadesse, una situazione nuova potrebbe emergerne, così si crede opportuno di rimandare a più tardi l'esecuzione del progetto d'un cambiamento

o d'una modificazione ministeriale.

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IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 163. Vienna, 6 novembre 1869.

Essendosi nuovamente sparsa la notizia che a Costantinopoli fosse stata firmata una convenzione militare fra l'Austria e la Turchia per reprimere i moti di Cattaro, mi sono nuovamente recato dal Barone di Altenburg per intrattenerlo su questo argomento, onde esattamente informare V. E. in proposito. Al Ministero degli Esteri non fu inviata dal Conte di Beust nessuna comunicazione, ma il Gabinetto di Sua Maestà trasmise al Ministro della Guerra un dispaccio che annunziava che per accordi presi tra i due Governi, le truppe

austriache avrebbero potuto inseguire sul terdtorio ottomano gli insorti, e che i Generali turchi erano intenzionati a prendere tutte quelle misure che fossero state stimate necessarie per reprimere l'insurrezione.

Particolari informazioni da me attinte a fonti d'ordinario bene informate, mi lascerebbero credere invece che al Ministero degli Affari Esteri sia stata trasmessa una copia intiera della convenzione.

Certo è che il Governo russo è in grande sospetto per questo fatto, ed è preoccupato delle complicazioni che questo trattato può far sorgere nel Montenegro. Il Barone di Altenburg a questo proposito pure mi disse che il Governo austriaco non aveva mai pensato ad occupare quel piccolo principato, ed a creargli degli imbarazzi.

Le notizie di Cattaro oggi suonano più favorevoli alle truppe imperiali, che hanno, a quanto dicesi, ripresa l'offensiva.

P. S. Si annuncia ricevuta dei dispacci ministeriali Serie Politica fino al

n. 97 inclusivo.

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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 481. Berlino, 7 novembre 1869 (per. il 10).

Le Général Fleury en se rendant à S. Pétersbourg s'est arreté 48 heures à Berlin, Il n'a vu ni le Roi, ni M. de Thiele. L'ayant rencontré d'une manière tout à fait fortuite, et ayant ainsi eu l'occasion de recueillir quelques unes de ses impressions sur la situation générale, je crois à propos de les communiquer à V. E.

L'Empereur s'est montré très content de l'accueil fait à Venise à l'Impératrice par le Roi, par le Gouvernement, et par la population. Son passage sur notre territoire pouvait donner lieu à quelque démonstration regrettable, et cela pour des motifs ou des prétextes plus ou moins plausibles. L'Italie a nouvellement fait preuve de bon sens et de tact dont la Cour des Tuileries lui sait gré. C'est un indice de plus d'un apaisement des esprits, tel que le comporte d'ailleurs une situation générale pacifique. L'opinion publique en France est, il est vrai, d'une nature assez mobile mais l'Empereur désire sincèrement le maintien de la paix. A moins d'une provocation directe de la part de la Prusse personne ne songe à une rupture.

J'ai exprimé ma satisfaction d'entendre ce langage, mais je faisais en meme temps observer à mon intelocuteur que quels que fussent les efforts et meme l'intérèt de la Prusse de modérer le mouvement d'unification en Allemagne, une propagande dans ce sens s'opérait par la fo,rce des choses. C'était en quelque sorte comme ces atterrissements produits par des alluvions et dont la marche est peut-ètre jusqu'à un certain point soumise au calcul.

Le Général Fleury avait confiance dans la sagesse du Comte de Bismarck que une fois déjà, lors de l'affaire du Luxembourg, avait su prévenir un redoutable conflit. Il partageait au reste mon avis sur la difficulté voire m~me l'impossibilité de s'opposer à la longue et d'une manière ef>ficace aux transformations qui se préparent en Allemagne, soit pour arriver à une Confédèration plus étendue, soit meme à un Empire. Sous ce rapport la France prendrait peut-etre plus facilement son parti d'un Empire d'Allemagne ou d'un Royaume de Germanie, que d'une Prusse proprement dite, do.nt le militarisme s'étendrait à tout ce vaste territoire. En d'autres termes, la Prusse devrait non point absorber l'Allemagne, mais se fusionner dans celle-ci. S. E. souhaitait seulement qu'un tel fait ne s'accomplit pas de son vivant, Elle paraissait dire: « Après moi le déluge ». L'essentiel, répétait-elle, c'est qu'on évite avec soin tout ce qui aurait l'air d'une provocation, et que si on ne peut arr~te.r le travai! d'infiltration des idées et des aspirations, on cherche du moins à lui ménager une graduation aussi lente qu'habile.

Le rappel de S. Pétersbourg du Baron de Talleyrand a donné lieu à maints commentaires. Le plus vraisemblable quand on connait combien il était peu sympathique au Prince Gortchakoff, c'est qu'on ait voulu à Paris, par ce changement diplomatique amener de meilleurs rapports entre les deux Gouvernements. Je sais d'ailleurs par le Prince Gortchakoff que le Général Fleury est

persona grata.

Si je suis bien informé, M. de Talleyrand était prévenu depuis à peu près une année, qu'il devrait quitter S. Pétersbourg. L'Empe·reur Napoléon lui m~me le lui aurait annoncé dans un entretien à Compiègne, en énonçant l'intention de le transférer à Berlin où il a laissé d'excellents souvenirs d'une première mission. Tout en se montrant pret à servir son pays dans ce poste, ce diplomate aurait laissé entend·re que vu sa parenté dans ce pays, et vu surtout les témoignages de parfaite bienveillance dont il avait été l'objet à cette Cour, il lui répugnerait cependant de suivre des instructions qui ne se;raient peut etre pas favorables au maintien des relations pacifiques avec le Cabinet de Eerim. L'Empereur aurait répondu qu'il comptait bien continuer à vivre en bons termes avec cette Puissance, mais qu'il espérait que de son còté elle saurait lui épargner des embarras dans sa politique de concili:ation.

Si Sa Majesté n'a pas rcnoncé à son projet, ce serait la meilleure confirmation des vues manifestées par le Général Fleury.

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IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1918. Costantinopoli, 9 novembre 1869, ore 16,50 (per. ore 22,15).

La lettre du vice-roi n'a pas répondu à l'attente. Il ne propose rien et maintient son droit de contracter de3 emprunts sans l'autorisation préa.lable. J'ai vu hier le grand vizir et je lui ai prurlé dans le sens de la dernière dépeche de V. E. (1). Il m'a dit que les ambassadeurs de France et d'Angleterre lui ont fait des propositions analogues, quoique moins explicites, pusqu'ils parlent de communication verbale et officieuse que le vice-roi pourrait faire et non d'une lettre confidentielle au Sultan. Mais à son grand regret il ajouta ne pouvoir prendre en considération aucune de ces propositions, car il s'agit d'une question de principe. .Il a conclu en disant que le Sultan était décidé à trancher la question par un nouveau firman qui fera cesser toute espèce de doute. J'ai lieu de croire que ce firman sera rendu après les fetes pour l'ouverture du canal.

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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI, VIGLIANI

D. Firenze, 11 novembre 1869.

Al momento in cui i vescovi italiani sono in procinto di recarsi a Roma per prender parte al Concilio ecumenico indetto per il prossimo mese di dicembre, il sottoscritto desidererebbe sapere dal suo onorevole Collega il Ministro di Grazia e Giustizia da quali sentimenti sia animato in generale l'Episcopato Italiano e se fra i membri di questo ve n'abbia alcuno che abbia già dato prova di qualche deferenza verso l'autorità civile mostrandosi disposto ad assecondarne l'azione in quanto questa potrebbe spiegarsi in così grave occorrenza.

Importerebbe infatti che si stabilissero (se è possibile) ad imitazione di quanto altri Governi praticano, certi rapporti con taluno fra i prelati che interverranno al Concilio anche perché le riserve espressamente fatte dal Gove·rno del Re d'ogni suo diritto abbiano eventualmente ad avere qualche pratico valore.

Nell'episcopato degli altri paesi si sono formati, a quanto si riferisce, certi partiti abbastanza bene caratterizzati intorno alle principali questioni che si suppongono destinate alle prossime trattazioni del Concilio Vaticano.

Se un simile fatto si fosse prodotto in Italia, riuscirebbe utile averne notizia pe•rocché dal medesimo si potrebbe trarre qualche non lieve vantaggio nel senso di prevenire le conseguenze temibili delle eccessive risoluzioni che si sono, non senza fondamento, annunziate.

Sulle quali cose tutte, chi scrive chiama l'attenzione dell'onorevole suo Collega il Ministro della Giustizia e dei Culti interessandolo a fargli conoscere quanto al proposito gli risulta, non meno che l'esito delle indagini e pratiche ch'egli stimasse opportuno di fare (2).

(l) -Cfr. n. 44. (2) -Per la risposta cfr. n. 97.
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L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 88/29. Londra, 11 novembre 1869 (per. il 19).

In assenza di Lord Clarendon, il quale non assisteva al banchetto del Lord Mayor, il signor Gladstone toccò nel suo discorso la questione della politica estera. Poche ma significanti furono le parole da lui proferite su tale argomento.

«Un'arrogante intrusione confido sarà sempre da noi evitata, un intrigante ed ambizioso desiderio di ese•rcitare influenze sarà spero sempre abbandonato; ma ogni Ministro è obbligato di coltivare i sentimenti di vera fratellanza verso quei paesi coi quali siamo stati uniti da amichevoli legami, ed io non oserei davanti un'assemblea di Inglesi rinunziare a tali sentimenti. Fortunatamente siamo dispensati nelle nostre relazioni con le altre nazioni di propagare alcun programma favorito per la migliore di tutte le ragioni, cioè a dire che non abbiamo nessun programma da propagare; ma senza pretendere ad influenza alcuna penso che siamo obbligati in ogni opportunità di tentare ogni sforzo di conciliazione in tutte le controversie che panno sorgere in tutte le parti del mondo, mi rallegro nel pensare che in più d'una occasione il mio nobile amico che tiene ora il portafoglio del Foreign Office, da che è ritornato al potere ha avuto la soddisfazione di riceve.re i più spontanei e sentiti ringraziamenti da Governi esteri per l'utile ufficio che egli ha sostenuto di comporre le loro reciproche divergenze».

Queste dichiarazioni del primo Ministro, l'enfasi colla quale annunziò che l'Inghilterra non aveva nessun programma suo proprio da diffondere e colla quale proclamò il principio di fratellanz·a. che deve unire le nazioni, è una conferma di quella politica di assoluto non intervento che da alcuni anni trova favore in Inghilterra presso gli uo;nini di Stato appartenenti alla scuola moderna.

La stampa non ha mancato di accogliere vivamente tali parole e di notare il fatto che forse era la prima volta che il Capo di un governo anteponeva la solidarietà delle nazioni civili, fondata sui loro interessi reciproci, alla alleanza dei Sovrani fondata sui vincoli esistenti fra loro, che non ha guari ancora formava il solo patto riconosciuto dalla diplomazia; mentre ha poi rilevato con piacere che l'opera della Gran Bretagna non verrà mai meno colà dove potrà esercitare un'influenza di pace.

Checché ne sia delle dichiarazioni sentimentali del signor Gladstone, le quali però sono l'espressione si:ncem d'una gran parte dell'opinione pubblica dell'Inghilterra, desse giunsero però in un momento in cui appunto vaghi rumori e conghtetture sulla possibilità d'un ravvicinamento fra Francia e Russia, qui trasportati dalla stampa del Continente, suggerivano ad un giornale di Londra, di molto peso e scritto da uomini politici assai influenti, la riflessione che il recente andamento delle cose sul Continente non era certo tale da esse·re riguardato con molta soddisfazione dal Governo Inglese. Questi rumori trovano la loro origine da un articolo della Gazzetta di Mosca il quale considerava l'invio del Generale Fleury a Pietroburgo come il primo passo diretto a staccare la Russia dalla Prussia non che a stabilire un accordo fra i Gabinetti delle Tuileries e di Pietroburgo circa la questione d'Oriente e conchiudeva consigliando urgentemente al Principe Gortchacow di stringere un'alleanza fra la Francia, l'Austria e l'Italia.

Da un altro lato il Constitutionnel di Parigi pubblicava quasi contemporaneamente vari commenti tntorno ad una corrispondenza pervenutagli da Londra nella quale veniva annunziato (V. E. comprenderà senza ch'io glielo accenni con quanto poco fondamento) che il Governo Inglese si preoccupava delle voci corse sulla possibilità dell'abdicazione dell'Impe.ratore Alessandro, a cagione della sua debole salute e di quella dell'Imperatrice, e delle tendenze anti-Prussiane ed anti-Inglesi che si manifestavano a Pietroburgo, additando come sintomo di questa situazione il recente viaggio del Principe Gortchacow nella Germania meridionale ed i consigli da lui dati agli uomini di Stato del Wiirttemberg contro gli 1nconvenienti della supremazia Prussiana.

Ciò detto per quanto riguarda la Russia -e queste pratiche del Cancelliere dell'Impero non sono inverosimili, se si considera l'allarme che crea in Russia lo sviluppo che prende la marina della Confederazione del Nord nel Baltico -il corrispondente di Londra del Constitutionnel aggiungeva, all'indirizzo della Gran Bretagna, che « la Russia è la sola po.tenza che abbia il potere di attaccare l'Inghilterra dal suo lato debole, cioè dal Iato dell'India. La Russia è anche la Potenza ch'abbia compiuto importanti vittorie dopo la guerra di Crimea. Che cosa sono le piccole provincie germaniche annesse dalla Prussia nel 1866 se si pa·ragonano ai vasti territori sull'Amour e nella Tartaria che la Russia ha incorporati nell'interesse della civilizzazione cristiana ed eurnpea? ».

Il diario inglese, da me sopra mentovato, osserva che non è difficile di trovare la spiegazione di siffatte apprezzazi:oni nel fatto che la stampa semiufficiale Francese si sforza continuamente a provare che «la Chapitre des accidents » sta facendo per la Francia ciò che una politica estera più vigorosa le avrebbe certamente ottenuto.

Circa poi questa comunanza d'interessi che il pubblicista parigino fa sembiante di stabilire fra la Prussia e l'Inghilterra, rassegnerò a V. E. quanto è a mia cognizione. Quando scoppiò la guerra fra P.russia e Austria Lord Russell era Primo Ministro e Lord Clarendon aveva il po.rtafoglio degli esteri.

Recenti ricordi della guerra di Danimarca, per l'affezione che ispira la Principessa di Galles, rendevano impopolare la causa dei P.russiani. Ma mutarono i tempi. I successi degli Hohenzollern, la loro moderazione nella vittoria e l'immenso avvenire aperto alla Germania dalla battaglia di Sadowa produssero un gran cambiamento che si manifestò in mille guise e nella stampa e nella opinione pubblica.

Venuto il signor Gladstone al potere alla caduta del Gabinetto Derby

Disraeli V. E. ricorderà come io le esponessi che l'ex-Cancellie·re, nel chiamare

Lord Clarendon al Foreign Office, aveva fatto chiaramente i suoi patti di

poter dare egli stesso nelle grandi quistioni estere la direzione alla poLitica del Ministero e ciò onde neutralizzare all'uopo le viete tendenze, che, a torto

o a ragione, venivano attribuite all'a,ttuale Segretario di Stato per gli Affari Estevi.

Il risultato fu che le relazioni fra la Prussia e l'Inghilterra non furono mai più cordiali. La Gran Bretagna non paventa l'ingrandimento marittimo della Germania del Nord perché i loro inte·ressi non saranno mai in opposizione, e dimostrò questi suoi sentimenti coi buoni uffici esercitati a Vienna onde migliorare le relazioni fra la Prussia e l'Austria.

È vero che essa a ciò era anche spinta dalla simpatia che qui ispira la saggezza colla quale procede la monarchia Austro-Ungadca. Ma una prova più significante ancora venne data recentemente in occasione della visita del Principe Federico a Vienna. Tutta la stampa Britannica si credette in dovere di rappresentare al Governo di Francesco Giuseppe che cercherebbe invano un più utile alleato del Re Guglielmo, che un'alleanza con Francia e con Russia gli fornirebbe il mezzo di vendicarsi della Prussia ma che una tale vittoria per mezzo d'aiuto straniero, quantunque di natura da essere acclamata dai piccoli Principi della Germania, non Io sarebbe di certo dal popolo.

Tali sono le espressioni che dipingono lo spirito da cui sono animati i rapporti della Gran Bretagna colla Confederazione del Nord.

Ciò premesso passerò ora ad analizzare i commenti che fa il giornale di Londra al quale alludo in questo rapporto sull'eventualità d'una alleanza Franco-Russa.

Da qualche tempo, ei dice, non vi è stato vero ostacolo ad un'alleanza fra Francia e Russia. La guerra di Crimea serrvi le esigenze momentanee della politica di Napoleone III ma quella gran lotta non fu che un intermezzo nella politica generale della Francia. Ora un'alleanza colla Russia po.trebbe servire ad uno scopo simile a quello che ispirò la guerra di Crimea, cioè ad operare una diversione, ed ove venisse offerta alla Russia essa di certo l'accetterebbe.

Agendo la Francia e la Russia pienamente d'accordo e senza opposizione, le rispettive tendenze delle due Potenze potrebbero essere facilmente armonizzate sulla base di lasciare il campo libero all'influenza Russa nell'Impero Ottomano mentre la supremazia francese si estenderebbe in Egitto.

La questione d'Oriente contiene indubitamente elementi bastevoli a svegliare timori ad ogni istante sia sotto uno o sotto un altro aspetto, e si sono vedute prima d'ora delle combinazioni che possedevano meno ragioni di essere di questa.

Le riflessioni che precedono, osserva lo scrittore inglese, non sono che delle congetture, ma non si può negare che la probabilità che havvi che queste cose vengano contemplate dalle Potenze che vi sono direttamente impegnate conceda loro molto peso. L'idea d'un riavvicinamento fra Pietroburgo e Parigi favorisce le mutue aspirazioni dei due Governi e spiega ambo le

adulazioni rivolte da certi giornali francesi alla Russia e la notevole e ognor crescente freddezza fra la Russia e la Prussia.

L'articolo che svolge quanto ho avuto l'onore di esporre all'E. V. conchiude dicendo che una tale coalizzazione potrebbe purtroppo essere un incidente ben formidabile per l'Inghilterra. E che quantunque esista in essa un sì forte

sentimento di tenersi all'infuori delle complicazioni del Continente, potrebbe un giorno trovarsi costretta dai suoi più vitali interessi ad uscire dall'inazione e dall'isolamento.

Conscio dell'attenzione colla quale l'E. V. segue tutto ciò che può rife·rirsi alle probabilità d'un accordo di vedute fra i due Imperi di Francia e di Russia, argomento che formò oggetto d'un dispaccio di codesto Ministero durante la mia ultima reggenza, ho voluto per debito di esatta informazione rassegnarle l'eco che qui hanno trovato le voci sparse a quel riguardo, aggiungendo che, se havvi una Potenza di cui l'Inghilterra diffida in Europa, dessa è certamente la Russia.

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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 485. Berlino, 13 novembre 1869 (per. il 24).

Malgré les avertissements donnés par les autorités prussiennes dans quelques districts du Schleswig Nord (rapport n. 460) (l) les chefs du parti danois ont réussi à faire couvrir par 27.470 sign.atures une adresse au Roi de Prusse pour demander l'exécution de l'article V du Traité de Prague. La députation arrivée à Berlin pour présenter cette adresse à Sa Majesté a vainement cherché à obtenir une audience. Le Ministre de l'Intérieur lui méme n'a pas consenti à la recevoir, et s'est borné à répondre par écrit, et d'une manière très laconiquement négative, à la pétition.

La députation aurait également échoué jusqu'ici dans ses tentatives pour induire quelques membres du Parlement à prendre en main ses intéréts et à provoquer une déclaration du Ministère à ce sujet.

Ce résultat quelque regrettable qu'il so[t en tant qu'il tient toujours en suspens une question que tous les amis de la paix voudraient voir résolue d'une manière equitable, ce résultat, dis-je, était cependant à prévoir. En effet aux yeux de ce Gouvernement l'interprétation de l'article précité est de la compétence exclusive des puissances contractantes, et tout individu qui agirait de son propre chef pour amener un démembrement de la Monarchie serait passible des peines portées pa,r la loi.

A moins de vouloir se mettre à la merci des événements, et en quelque sorte à la disposition de l'imprévu, il semblerait qu'il n'y aurait pour le Danemark que deux voies à suivre: ou se contenter de quelques districts exclusivement danois à l'extréme frontière du Schleswig: ou, s'il prétend à un maximum, consentir, selon la manière de voir du Cabinet de Berlin, à pro

mettre les garanties demandées pour l'élément allemand mélé aux populations dont le territoire serait rétrocédé. Or le Cabinet de Copenhague ne veut aucune de ces combinaisons, comme s'il voulait attendre que quelque grave complication européenne lui permit d'obtenir gain de cause sans condi1lions.

Mais c'est là un calcul fort sujet à caution. Quant à l'Autriche nommément, la seule puissance qui, à còté de la p,russe, ait un titre légal à faire valoir pour l'interprétation du Traité de Prague, son extreme réserve prouve assez qu'elle ne songe pas pour Ie moment du moins, à intervenir activement. Aussi dans le cas où la députation réaliserait l'intention de recourir en seconde instance au Cabine,t de Vienne, il ne serait guère probable qu'elle aurait là plus de chances qu'ici de parveni,r à ses fins.

En attendant, quoi qu'on en dise, il est de fait que l'élément aUemand s'infiltre peu à peu dans les contrées en litige, et gagnera peut étre un jour le Jutland. Quelles que soient les aspirations patriotiques, elles cédent parfois le pas aux intérets matériels, qui ont une si grande influence surtout dans notre siècle éminemment positif. Or dans cet ordre d'idées le temps à lui seul travaille bien plus pour l'Allemagne que pour le Danemark. Un grand pays comme celui-ci en contact avec un Etat qui lui est inférieur sous tant de rapports, finit tòt ou tard par exercer une puissance d'attraction presque irrésistible par tous les moyens à sa disposition.

Ainsi j'ai déja parlé d'un projet chaudement appuyé ici de construire un port dans l'ile de Romae, et une digue qui le relierait à la terre ferme. Cette ile est située vers le Nord du Schleswig et exclusivement habitée par une population de la meme origine que dans le Jutland. Un tel port est une nécessité dans ces parages où chaque année on signale des désastres, parce que les batiments n'y trouvent pas de mouillage assez sO.r quand ils sont contraints de faire une relache, soit pour cause de mauvais temps ou pour toute autre fortune de mer. Le Gouvernement danois n'avait jamais rien fait pour y venir en aide à la navigation. Le Gouvernement prussien au contraire s'en occupe sérieusement, et un capitaliste des plus entreprenants, M. Strausberg, aurait déjà, m'assure-t-on, offe,rt de se charger des travaux dont les frais sont évalués à une quinzaine de millions de thalers.

(l) Del 15 settembre, non pubbllcato nel vol. XI serie I.

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IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, BLANC, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

T. 1039. Firenze, 14 novembre 1869, ore 14.

Aujourd'hui ou demain la Gazette Otticielle publiera décret amnistie pour crimes politiques, Nathan sera compris. Je vous enverrai toutefois réquisitoire du ministère public afin que vous puissiez prouver au Gouvernement britannique qu'il y avait amplement lieu de procéder contre ce sujet anglais.

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IL MINISTRO A COPENAGHEN, RATI OPIZZONI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 89. Copenaghen, 14 novembre 1869 (per. il 20).

Questa Legazione col dispaccio n. 82 in data del 9 settembre (1), ha trasmesso all'E. V. l'indirizzo che gli abitanti del Nord Sleswig intendevano presentare al Re di Prussia. Infatti ultimamente la deputazione ad hoc si recò in Berlino, dove non fu ricevuta da nessuno. Acciocché meglio appaia tutto il processo del fatto, ho stimato di inviare qui unita (fatta tradurre in francese) la relazione che ne ha dato il giornale ufficioso di qui Cl).

Che il Re di Prussia non abbia voluto ricevere detta deputazione egli era ben naturale il prevededo, dirò anzi di più il Re di Prussia non poteva riceverla. Però onde conservare le forme, non inasprire gli animi, e fors'anche onde fa,re minore impressione sulle suscettibilità dei Gabinetti esteri non contrari alle aspirazioni danesi, il Conte d'Eulenburg avrebbe potuto ricevere la deputazione e dare alla stessa una polita risposta valendosi di parole e forme di dire le quali nell'ambigua interpretazione avessero una ritirata in cui salvarsi fedele alle promesse e bisognando poter onestamente nulla attendere del promesso, ma potendosi facilmente in tal modo far nascere delle erronee illusioni che avrebbero servito di addentellato a nuove deputazioni, il Governo prussiano preferì sortir lealmente d'imbarazzo sacrificando completamente le forme.

Mi sono diggià ripetuta.mente pronunziato nei miei dispacci in merito a quella lamentevole questione del Nord Sleswig; il solo lato debole di quella questione si è che la Danimarca manca completamente di mezzi materiali. Al punto di vista teoretico e di razionalità la questione potrebbe appena esistere. Infatti i 27.470 segnata,ri, che sottoscrissero quest'ultimo indirizzo al Re di Prussia e che sono tutti di età superiore ai 21 anni, rappresentano una popolazione di circa 200 mila anime. Cercandone dunque il rapporto per cento si trova che gli abitanti del Nord Sleswig si sono pronunzli!ati per la loro riunione alla Danimarca nella proporzione di 85 a 90 per 100. Anzi precisamente nell'isola d'Alsen e nel Sundevald la proporzione è di più che 90 per 100. La nazionalità danese è pertanto nel suo pieno diritto, ma d'altra parte, gratificando il Gabinetto di Berlino anche delle più eque intenzioni il Governo prussiano è nell'impossibilità di realizza.rle. 1n Prussia, Camera, giornalismo, opinione pubblica ed armata impediranno sempre che si ceda ai nati dello Sleswig. Non mi fermo su questo punto, mentre più competentemente l'E. V. ne sarà informata dalla R. Legazione in Berlino.

A meno di eventuali conflagrazioni future tra le grandi potenze, eventualità che sarebbe ben poco prudente di desiderare, la questione dello Sleswig è a mio parere una questione giudicata e finita. E non sono il solo di questa opinione. Dirò confidenzialmente all'E. V. che ieri precisamente ho potuto aver

notizia da questa Legazione inglese del dispaccio, o per dire più esattamente del senso del dispaccio, che la Legazione inglese a Berlino spediva a Londra in merito a questa ultima fase della questione Nord Sleswig. Lo scrivente vi si pronunziava in un senso identico ai miei apprezzamenti di qui. Anzi per dir di più, aggiungerò che lo stesso Conte Frys non nasconde con tutti il suo presentimento in questa questione.

Durante la fase percorsa dal soggiorno della deputazione dello Sleswig in Berlino, il signor di Quaade profittando di un congedo che per azzardo gli arrivava a proposito, soggio.rnò in Danim!llrca. Lo vidi giorni sono e mi disse che si renderà al suo posto solo verso la fine di questa settimana.

Si era detto che la deputazione dello Sleswig dopo Berlino si sarebbe resa a Vienna, non dò fede alcuna a questa probabilità. Il Gabinetto di Vienna non è certo malcontento che la questione resti aperta ma non intende punto di esservi frammischiato troppo di sovente e tanto meno in modo clamoroso. Inoltre a riguardo di questioni simili a questa dello Sleswig il Governo austriaco non è poi un cavaliere sans peur et sans réproche. È un incidente per così dire diggià vecchio, ma non 'si può dimenticare che all'art. V del Trattato di Praga si potrebbe contrapporre che dura ancora la protesta che la Francia e l'Inghilterra hanno fatto sull'annessione di Cracovia.

(l) Non pubblicato nel vol. XI serie I.

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L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1928. Londra, 15 novembre 1869, ore 20,45 (per. ore 22,20).

Le Foreign Office éprouve beaucoup de satisfaction pour l'acte de clémence qui libère M. Nathan (1). Dès que je recevrai son dossier je ne manquerai pas d'appeler l'attention du Gouvernement anglais. J'ai cru pouvoir annoncer l'arrivée de ce témoignage de sa culpabilité.

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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. 487. Berlino, 15 novembre 1869.

Dans un entretien récent avec M. de Thiele, j'ai appelé son attention sur le langage qui m'avait été tenu par le Prince Gortchakoff (rapport confidenti:el n. 480) (2) sur l'agitation révolutionnaire qui se propage en maintes

9 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. XII

contrées de l'Europe. Le Chancelier de l'Empire avait signalé ce fait au Roi de Prusse, qui, de son còté, avait reconnu à certains égards les dangers de la situation. J'en avals renciu compte à mon Gouvernement, qui venait de m'écrire qu'il se préoccupait à son tour d'un tel état de choses, menaçant plus encore l'état social que la constitution politique des différents pays.

Tel est le biais dont je me suis servi, pour communiquer à ce Cabinet la dernière partie de la dépéche de V. E. n. 144 (1), sans faire aucune allusion directe au document y annexé.

Le Sous Secrétaire d'Etat m'a dit que son Auguste Souverain ne lui avait pas soufflé mot d'un semblable langage tenu par le Prince Gortchakoff, et de ses conseils pour que les Gouvernements s'appliquent à détourner le cours de cette propagande subversive. M. de Thiele ajoutait que Sa Majesté ne saurait partager ces sortes d'appréhensions pour ce qui concerne la Prusse, parce que elle est en mesure de repousser toute atteinte aux droits de l'Etat, et toute démonstration en dehors de la légalité. Il ne niait pas cependant, d'après certains indices, que les partis démagogique et socialiste cherchassent aussi à exercer sur les masses en Allemagne leur influence pernicieuse.

Il savait, entre autres, qu'un comité révolutionnaire, réuni dernièrement à Brunswick et disposant de certaines ressources pécuniaires, avait décidé de se transporter à Stiittgart, qui deviendrait ainsi le centre de ses travaux et un foyer d'agitation. Le Cabinet de Berlin avait cru devotr en prévenir confidentiellement le Gouvernement Wurtembergeois, pour qu'il se tint sur ses gardes.

M. Benedetti, en parlant ici du mouvement des esprits en France et de certains plans dont le but est assez manifeste, n'y attache que peu d'importance Je me souviens de son optimisme peu avant les dernières élections au corps législatif, et je l'avais signalé à V. E., en émettant un jugement diamétralement opposé. Il ne sort, il est vrai, de son ròle en montrant, ou plutòt en affectant, une telle confiance dans les conditions de stabilité de l'Empire.

(l) -Cfr. n. 66. (2) -Cfr. n. 35.
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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 515. Firenze, 17 novembre 1869.

Fu con vera soddisfazione che io ho preso cogmzwne di quanto ella mi scriveva nel di Lei rapporto del 4 corrente (2) circa il perfetto accordo esistente fra il Governo francese ed il nostro sul modo di evitare le difficoltà alle quali dava luogo il ,ritardo avvenuto nella nomina dei due commissari francesi

destinati a far parte del comitato di riscontro nella commissione finanziaria di Tunisi. Vedeva in quell'accordo una guarentigia degl'interessi di tutti i creditori ed una non dubbia prova dell'impegno col quale il Principe La Tour d'Auvergne si proponea di far mantenere inviolate quelle condizioni che, lungamente discusse fra i Gabinetti interessati, condussero i ,medesimi a stabilire fra di loro quelle prenmman mtelllgenze cne 11 tley aveva espressamente dichiarato di voler rispettare nell'istituire una commissione finanziaria.

Senonché dai rapporti che noi riceviamo da Tunisi apparirebbe che colà diversamente si interpretano le clausole sulle quali esiste fra l'Italia e la Francia il più perfetto e preciso accordo, e che le ripetute rimostranze fatte al Bardo dal R. Agente e Console Generale per far accettare dal medesimo l'interpretazione che solo è conforme alle intelligenze corse f,ra i due Governi abbiano sinora incontrato una recisa opposiziOne per parte dell'Amministrazione tunisina.

Ella potrà, Signor Mlntstro, prenaere esatta informazione dello stato delle cose leggendo i documenti che vanno uniti a questo mio dispaccio. Le riserve fatte dal signor Pinna bastando per ora a preservare ogni diritto dei creditori e ad allontanare ogni pericolo che si possa presumere ora

o poi che dal R. Governo siano ammesse anche tacitamente le nuove pretese del Bardo, noi ci siamo astenuti dal muovere presso quest'ultimo passi più attivi ed energici. Consideriamo che la manifestazione dell'opinione concorde dei Gabinetti possa o.ttenere dal Governo di Tunisi un soddisfacente risultamento e nella medesima npomamo perciò la nostra intera fiducia.

È in questo senso ch'io La prego di parlare con S. E. il Ministro imperiale degli Affari Esteri sollecitando dal medesimo l'invio d'istruzioni all'Agente francese in Tunisi affinché venga rimosso ogni dubbio che colà si cercasse di lascia.r sussistere sulla perfetta intelligenza che esiste f.ra i Governi per ciò che concerne il mandato da compiersi dal Comitato internazionale di riscontro.

(l) -Cfr. n. 48, inviato a Berlino con protocollo 144. (2) -Con r. 989 del 4 novembre Nigra aveva comunicato che la Tour d'Auvergne «aveva scritto a Tunisi per suggerire che il Governo stesso del Bey, senza l'intervento della commissione esecutiva, la quale non può ancora funzionare attesoché la sezione di controllo non è ancora completata, annunziasse il termine prescritto ai detentori di titoli di credito non dipendenti da pubblici contratti, per la presentazione dei titoli stessi».
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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 489. Berlino, 17 novembre 1869 (per. il 24).

M. Benedetti, récemment de retour à son poste, a rapporté comme le Général Fleury {l) des impressions rassurantes pour le maintien de la paix. Ce n'est pas en effet en pleme cnse intérieure, que son Gouvernement songerait à se lancer dans 1es aventures belliqueuses. Il reste, il est vrai, le danger que pour échapper aux embarras, l'Empereur ne se croit un jour dans la nécessité de chercher à noyer ses mécomptes dans I'iv•resse de la gloire militaire.

Mais, sauf cette éventualité qu'il convient de ne pas perdre de vue, la paix européenne ne court aucun risque prochain tant que la F,rance ne fera rien pour la compromettre. Ce ne sera certes pas la Prusse qui lui fournira des motifs légitimes de plainte. Je ne parle pas de prétextes qu'on trouve toujours sous la main quand on veut troubler les eaux comme l'enseigne le fabuliste. N'ayant rien su empècher qua:nd peut ètre il en était temps encore, on devrait se résigner à Paris à laisser l'Allemagne s'organiser au gré de ses besoins et de ses intérèts. En achetant à ce prix l'amitié de la Prusse, la France réparerait bien des fautes, préviendrait des complications redoutables. Au reste le Comte de Bismarck garde une attitude prudente, et s'il se prononce par ses organes officiels ou officieux, c'est plutòt pour modérer que pour exciter le mouvement des esprits. D'un autre còte, il est évident que jamais les nations n'ont eu plus de raisons qu'ajourd'hui de se concentrer sur elles mèmes et de ne pas trop s'immiscer dans ce qui se passe chez les autres. Il n'y a pas jusqu'à l'Angleterre qui n'ait à améliorer sa position surtout en Irlande.

V. E. est à mème de contròler les dispositions des différents Cabinets. Quant à celui de Berlin, je sais qu'il vise et s'applique à vivre en bonne intelligence avec ses voisins, et avec les voisins de ses voisins. Il a cependant, on ne saurait le nier, un tort, celui de ne pas mettre plus d'empressement à remplir les clauses de l'article V du Traité de Prague. Mais c'est là une de ces affaires dont la solution est devenue extrèmement épineuse parce que les Gouvernements soit à Berlin, soit à Copenhague doivent tenir compte dans leur propre pays de l'opinion publique dont les prétentions, ainsi qu'il arrive presque toujours en pareil cas, dépassent la juste mesure. Mais, à part le Danemark, le Comte de Bismarck se loue des ses relations avec les Puissances.

Il y aurait cependant à faire également une exception pour l'Autriche.

A son passage à Vienne, le Prince Royal se proposait de renouer de meilleurs rapports avec la Cour Impériale. Comme le disait le Chancelier Fédéral, il préférait ces militaires brutaux qui dégainent et marchent sur vous, à une polémique de journaux ou à certaines dépèches qui vous criblent de coups d'épigle. Si l'on voulait à Vienne en venir à une rupture mieux vaudrait s'abo,rder l'arme au poing, que de poursuivre des escarmouches peu dignes et des plus fastidieuses.

Comment a-t-on répondu à l'initiative conciliante de la Prusse?

Je sais de source certaine que si l'Empereur François Joseph réussit à donner à l'accueil un caractère affectueux, on lui en sait gré précisément parce qu'on se rend compte qu'il a su se maitriser. Mais Sa Majesté évita soigneusement, quoique le Prince lui en fournit l'occasion, d'aborder de près ou de loin le terrain politique. Ni au premier abord, ni dans la suite, l'Impératrice ne sut trouver un mot aimable. Les Archiducs et les Archiduchesses eurent un ai,r des plus empruntés. Ils furent à peine polis. L'un d'eux lié d'ancienne date avec l'Auguste Visiteur qui ma,rquait le désir de passer l'éponge sur les événements de 1866, interrompit brusquement l'entretien pa,r une expression des moins parlamentaires. Bref, malgré les avertissements donnés par le Chef de la Famille, l'accueil a été empreint de beaucoup de réserve et mème de froideur, ce qui aurait pu gèner la contenance du Prince Royal si un homme

d'esprit et de tact il n'eut feint de ne s'apercevoir de ri:en. Il a paru vers cette époque dans le Journal des Débats un article très exact sur ce sujet à tel point qu'on l'aurait cru dicté par une personne de la suite de Son Altesse Royale.

Le Prince se flatte toutefois d'avoir brisé la glace, au moins vis-à-vis de l'Empereur qu'il ne rend nullement responsable de la conduite de l'entourage. Ses Ministres avaient reçu le mot d'ordre de se conformer au sentiment qui avait inspiré l'invitation Impériale. Une dépeche du Comte de Beust chargeait le Comte de Wimpffen d'exprimer au nom de son Souverain, au Roi Guillaume combien la visite du Prince avait laissé un bon souvenir. Sa Majesté accordait une audience à l'Envoyé d'Autriche pour lui dire de son còté toute sa reconnaissance. Mais, à son tour, Sa Majesté s'est abstenue de toucher à la politique.

L'avenir nous démontrera ce que vaut en réalité cet échange de courtoisies. Mais il est un fait qu'on a beacoup remarqué ici, quoiqu'on ne l'ait pas autrement relevé, c'est que dès le 4 novembre la Freie Presse publiait un article des plus mordants et meme des plus insultants pour la personne du Roi de Prusse, à propos de l'ordonnance religieuse mentionnée dans mon rapport

n. XXII (1).

Il résulte de ces détaiis que, malgré certaines apparences, le rapprochement désiré autant par le Roi Guillaume que par l'Empereur François Joseph n'a pas fait de progrès très sensibles et que leurs Gouvernements sont à peu près restés dans le meme état de soupçon et de méfiance réciproque. La Prusse aura du moins, par ses avances, mis les bons procédés de son còté.

On persiste ici à croire que le Comte de Beust n'a pas encore renoncé à ses tendances rancuneuses. V. E. en a une preuve dans la communication confidentielle qu'Elle a bien voulu me faire par sa dépeche n. 140 (2) d'un rapport du Comte Greppi, contenant des données assez significatives dans cet ordre d'idées. D'ailleurs auprès du Wiirtemberg comme auprès de la Bavière, le Chancelier Impérial se démene au possible pour nuire à la Prusse, en chercant à donner à l'article IV du Traité de Prague une interprétation au moins prématurée pour ne pas dire davantage. Son programme -il l'a avoué l'automne dernier à un de mes collègues -est avant tout celui d'empècher une alliance entre la France et la Prusse, et entre celle-ci et l'Italie. Tel est l'objectif principal de sa politique. Il voudrait isole,r le Cabinet de Berlin pour l'amener à composition. Il se louait au plus haut degré de ses excellentes relations avec nous, comme s'il avait acquis la persuasion que notre !intimité s'était très affaiblie avec l'allié de 1866. Il se montrait d'ailleurs plein de confiance dans le présent et dans l'avenir de l'Empire, dans les progrès rapides de sa régénération. En meme temps il parlait avec orgueil du ròle que sa nouvelle patrie jouait chaque jour dans la diplomatie européenne, ròle qui ne pourrait que grandir. Le langage du Chancelier trahissait une si forte dose d'assumnce, que son interlocuteur très au fait des ressources de la Monarchie austro-hongroise, tacha non sans peine de cacher un sentiment de surprise. C'est qu'en effet les difficultés intérieures de cet Etat lui assignent

une piace plus modeste à l'étranger. C'est là en m~me temps la meilleute garantie contre le retour d'une guerre qu'ici on ne recherche nullement, mais qu'on accepterait sans crainte, parce qu'on est entièrement prèt à l'affronter au besoin.

V. E. saura mieux que moi quel est le véritable courant des idées et des projets de la Cour Impériale. Mais il est à présumer dans les conjonctures actueUes où chacun désire la paix, que si le Comte de Beust a des a.rrièrepensées de rentrer par quelque porte secrète en Allemagne, elle ne lui sera ouverte ni par les Allemands ni par les Puissances Etrangères, pour peu que celles-ci aient conscience de leurs véritables intér~ts. Un des arguments par Iesquels Ies gens Ies plus scrupuleux ont été induits à se prononcer contre l' Autriche en 1866, a été celui qu'elle était impuissante à faire le bien pour ses confédérés, et que dès lors elle avait signé elle m~me sa condamna.tion, et une exclusion qui devait s'opérer de force puisque le Cabinet de Vienne ne consentait à aucune transaction.

Je me résume. En admettant, et il n'est pas permis de le nier à la légère, que l'Empereur soit ·sincère dans son désir de réconciliation, il faudra, avant qu'on ait la m~me confiance dans son Gouvernement, que celui-ci fournisse des preuves de bon vouloir plus convaincantes que celles obtenues jusqu'ici par de simples formalités d'étiquette et de courtoisie. Au reste, je le répète, vu la situation intérieure de l'Autriche surtout au point de vue militaire, tant qu'elle sera réduite à ses propres forces, il n'y a point de motif sérieux de douter du maintien de la paix, quelles que soient Ies velléités attribuées, à tort ou à raison, à quelque membre de son Ministère. II convient donc que Ies autres Puissances, tout en ne négligeant rien pour vivre en bons termes avec le Cabinet de Vienne, évitent de lui Iaisser croire qu'un appui ne lui ferait pas défaut en cas de conflit où il serait l'agresseur. Agir de la sorte surtout de la part de la France, ce serait rendre un grand service aux intér~ts généraux de l'Europe.

(l) Cfr. n. 61.

(l) -Cfr. n. 73. (2) -Del 27 ottobre, non pubblicato.
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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 4.92. Berlino, 17 novembre 1869 (per. il 24).

Dans ses entretiens M. de Thile avait plus d'une fois fait allusion à la

candidature de S. A. R. le Prince Thomas au tròne d'Espagne. Je m'étais

borné à répondre par quelques généralités, en me retranchant derrière mon

ignorance complète sur une semblable question.

Mais, après avoir reçu la dép~che de V. E. n. 145 (1), et son intéressant

annexe, j'ai cru pouvoir m'exprimer absolument dans le mème sens que

notre Ministre à Londres vis-à-vis de Lord Clarendon, à savoi·r dans un sens

qui ne préjuge en rien Ies décisions éventuelles de notre Auguste Souverain.

On avait supposé dans le Corps diplomatique que mon collègue d'Espagne, malgré ses dénégations, s'était rendu secrètement à Varzin pour parler de cette affaire au Comte de Bismarck, mais M. de Thile suppose que sa course mystérieuse avait plutòt pour but d'exposer au Chancelie,r Fédéral l'état d'une question qui tient aussi beaucoup à coeur au Cabinet de Madrid, celle de Cuba (1). Je suis assez disposé à partager l'avis de M. de Thile, car on doit savoir en Espagne que les Etats-Unis d'Amérique sont dans les meilleurs rapports avec la Prusse, camme avec la Russie. Il ne serait dane pas improbable que M. Rascon elit été chargé de s'assurer également du bon vouloir de cette Puissance. Mais d'un autre còté, il est évident qu'on s'e tiendra ici sur une grande réserve.

(l) Protocollo per Berlino del dispaccio citato nella nota l, p. 24.

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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. XXII. Berlino, 17 novembre 1869.

Un courrier de Cabinet prussien est parti le 14 de ce mais pour Rome porteur d'une dépéche résumant les directions ve,rbales tracées à M. d'Arnim, durant san dernier séjour à Berlin, sur l'importante question du Concile Oecuménique.

Les considérations suivantes déjà connues par le Saint Siège en suite des avertissements donnés par le Roi de Prusse à l'Evéque de Fulda et au Prince Evéque de Breslau (rapport n. XXI) (2) sont développées dans ce document.

Le Cabinet de Berlin pour tout ce qui est du ressort du domaine purement religieux, n'a qu'un intérét secondaire dans les prochaines délibérations du Concile. D'un autre còte sans vouloir préjuger les dispositions de cette assemblée, il a confiance dans les vues modérées et conciliantes de l'Episcopat Allemand. Il veut espérer qu'on saura prévenir à Rome tout empiétement sur les droits de l'Etat. Mais s'il était déçu dans son attente, et qu'un conflit se produisit entre les deux Pouvoirs, il saurait l'aborder sans crainte. La constitution et les lois du Royaume fournissent des moyens plus que suffisants pour combattre avec succès les prétentions inadmissibles. Une phrase très accentuée indique que l'appui de la représentation nationale ne ferait pas défaut, le cas échéant, pour sauvegarder les principes du Gouvernement.

M. d'Arnim, ainsi que je l'ai mandé par mon rapport précité, devra suivre les travaux conciliaires, et en référer d'une manière suivie et exacte.

Tels sont les renseignements qui m'ont été fournis par M. de Thile quand j'ai cru devoir lui donner lecture confidentielle, le 13 courant, de la dépéche

de V. E. du 5 octobre, n. V remise il a peu de jours à cette Légation par le courrier Anielli (1). Je m'y suis décidé précisément pour établir notre point de vue mieux que je n'eusse pu le faire de mémoire. S. E. m'a vivement remercié de lui avoir lu un document plein d'actualité et d'intérèt, mais sans faire aucune observation sur le fond mème de la question puisqu'il se référait à des entretiens précédents sur le mème sujet, et aux instructions qui devaient ètre expédiées le lendemain à l'Envoyé de Prusse à Rome, instructions d'ailleurs qui sauvegardent, comme la circulaire de notre Garde des sceaux du 30 Septembre (2), les lois du Royaume et les droits de l'Etat.

Il n'a pas ·relevé entre autres le passage relaMf à la présence de troupes étrangères sur le territoire romain. A ce propos je lis dans le document diplomatique n. XCVII que, selon l'avis également du Comte de Beust, le meilleur moyen d'assurer l'indépendance des délibèrations de l'Assemblée oecuménique, serait celui d'obtenir le retrait de la garnison française, et qu'il avait mème secrètement insistè à Paris dans ce sens. Quant au Gouvernement Prussien, quelles que soient ses sympathies à notre égard, il croit devoir se tenir sur une plus grande réserve, d'une part pour ne froisser en rien les sentiments de ses populations catholiques, et d'un autre còte parce que ses ouvertures n'auraient guère de chances d'ètre accueillies avec quelque faveur par le Cabinet des Tuileries. De telles ouvertures bien loin de servir nos intérèts provoqueraient des soupçons, augmenterai:ent les répugnances, et fourniraient à ses adversaires le prétexte de réclamer contre l'immixtion de cette Puissance.

A ce propos, il est le cas de rappeler un incident qui se rattache de très près aux événements de Octobre et Novembre 1867. Le bruit courait alors que le Comte de Bismarck appuyait sous mains les projets garibaldiens, ou du moins qu'une correspondance s'échangeait directement entre lui et M. Rattazzi. Rien de semblable ne résulte à cette Légation. Quoi qu'il en soit, on en prit ombrage à Paris, et ce fut là, au dire de M. Benedetti, un des motifs qui mit nn aux hésitations de l'Empereur pour l'intervention. Mais dans cette crise, M. de Bismarck pour nous prouver son bon vouloir dans la mesure où il pouvait s'en promettre un bon effet transmettait aux Ministres de Prusse à Saint Pétersbourg, Londres, Vienne et Florence des instructions mentionnant le cas où la question prendrait un caractère menaçant pour l'intégrité de notre territoire. En pareille occurrence les Puissances Européennes devraient aviser. Je ne sache pas qu'à cette époque l'Autriche ait pris une atMtude semblable, précisément parce qu'elle était trop engagée dans le courant français dont elle espérait profiter pour exercer sa rancune contre la Prusse. Et meme plus tard .lorsqu'il s'agissait de réunir une conférence, le Comte de Beust dans ses démarches et dans ses publications du Livre Rouge, s'écartait très sensiblement des assurances antérieures données à notre mission à Vienne.

Je ne veux point pour autant meUre en doute son désir de vivre avec nous dans les meilleurs termes, mais il est permis d'admettre qu'alors, camme peut-etre aujourd'hui encore, nous n'entrons dans ses calculs qu'en seconde

ligne, après la France, et pour autant que ces calculs s'accordent avec ceux de cet.te Puissance.

Après cette digression, je reviens à ce qui m'a été dit par M. de Thile. Les Eveques du Royaume semblent toujours sous l'inspiration des principes tracés avec sagesse et modération dans le mandement de Fulda. On compte ici qu'ils persévéreront dans cette voie, d'autant plus qu'ils seront soustraits à l'influence ultramontaine du Cardinal de Reisach dont l'état de santé est désespéré. Il paraitrait meme qu'il règne à Rome plus de calme dans les esprits, une sorte d'apaisement qui contraste avec l'agitation qu'on croyait remarquer dans ces derniers temps dans un certain entourage du Souverain Pontife.

Une ordonnance récente du Roi Guillaume institue en Prusse un anniversai·re à célébrer chaque année dans les temples protestants pour honorer la mémoire du réformateur Luther, qui aux yeux des ses fervents adeptes passe pour avoir donné à l'Allemagne en meme temps que la liberté r.eligieuse, les premiers germes de la liberté civile et politique. La meme ordonnance annonce éga1ement dans les synodes convoqués séparément dans chaque Province des délibé.rations très importantes pour la constitution de l'Eglise, et destinées à la préserver des dangers qui la menacent. Quelques journaux voulaient y voir une sorte de concile protestant destiné à contrebatancer les tendances qui se feraient jour à Rome.

M. de Thile m'a déclaré qu'il ne s'agit que d'une question purement intérieure et n'ayant aucun rapport avec le Concile oecuménique. D'après des renseignements que j'ai recueillis, ailleurs qu'au Ministère des Affaires Etrangères, le Conseil Supérieur Ecclésiastique très préoccupé des doctrines hardies qui se sont produites l'automne dernier à Berlin dans une assemblée protestante, avait jugé à propos de conseiller à Sa Majesté quelques mesures propres à ranimer les croyances religieuses. La convocation des Synodes Provinciaux a en outre pour but d'introduire d'une part certaines modifications dans l'organisation de l'Eglise Evangélique, et d'autre part de chercher à fortifier aut!lint que possible entre tous les consistoires le lien extérieur d'une meme Eglise, malgré la diversité des croyances. Dans le Hanovre nommément la grande majorité relève de la vieille constitution Luthérienne (Altlutheraner), tandis que dans la plupart des autres provinces il existe pour le culte Evangélique (c'est ainsi qu'on désigne l'union des Eglises luthérienne et réformée qu'il fut donné au Roi Frédéric Guillaume III de réaliser en 1836) des consistoires nommés par le Roi. Il leur a été délégué des pouvoirs très étendus tels que la nomination des pasteurs dans les paroisses de patronnage Royal, confirmation des ceux présentés par d'autres patrons ou par les communes, surv·emance de l'enseignement religieux dans l'instruction primaire et secondaire, ainsi que du dogme et de la lithurgie, administration des biens de l'Eglise, etc., etc., Au reste vu la liberté de confession, de réunion, d'exercice public ou privé du culte, liberté garantie par la Constitution, et tout prussien ayant le droit de sortir de l'Eglise dans laquelle il est né, pour passer dans une autre ou meme pour rester en dehors de tout lien religieux, il ne saurait etre question d'imposer aux dissidents des décisions quelconques. Mais on voudrait introduire plus d'uniformité entre les différents consistoires et obtenir de leur part plus

de soumission au ConcHe Supérieur Evangélique qui forme une Autorité supérieure, qui juge les litiges et exerce ainsi une action très g.rande, trop grande meme depuis que le parti piétiste est parvenu à s'emparer de ce pouvoir excessif. Ce régime soulève de fortes critiques dans le camp libéral qui reproche à l'Orthodoxie de commettre de graves abus. Il se pourrait que les synodes provinciaux, soit pour confirmer leurs résolutions, soit pour chercher à mieux s'entendre, fussent autorisés à nommer des délégués à un synode centra!. Dans ce cas surtout il ne serait pas improbable que quelque membre de cette Assemblée ne saisit l'occasion pour se prononcer dans le meme sens de la déclaration adressée aux protestants par le Conseil Supévieur Evangélique à l'époque de la convocation du ConcHe Général à Rome. v. E. se souviendra qu'alors cette Autorité invoquant Luther et les Articles de Smalkalde, protestait « contre les droits que le Saint Siège s'arrogeait sur toute la Chrétienté, contre ses prétentions de nier la légitimité de la confession des protestants, et de demander leur retour pur et simple à l'Eglise Catholique personnifiée par le Pape ».

Ces jours derniers le Bourgmestre de Trèves, député au Parlement m'a fait demander en faveur de l'Eveque de cette ville, à la veille de partir pour Rome, une recommandation pour les employés de nos douanes. Je me suis empressé de la lui remettre en l'accompagnant d'une lettre très courtoise. Il est de notre intéret d'user de bons procédés vis-à-vis de l'Episcopat de ce Pays. S'il ne partage pas entièrement notre manière de voir, il est du moins relativement parlant, animé d'un esprit plus conciliant et moins acerbe dans ses doctrines que bien d'autres membres du haut Clergé. V. E. jugera peutetre à propos de faire transmettre des ordres analogues aux Autorités préposées aux frontières.

P. S. En suite d'une lettre de recommandation du Ministre des Cultes à Berlin, j'ai égaiement délivré un lascia passare pour nos douanes à l'Evèque d'Ermeland.

(l) -Nel 1868 era scoppiata a Cuba l'insurrezione contro gli spagnoli detta «guerra dei dieci anni», a cui partecipavano insieme i fautori dell'autonomia. quelli dell'indipendenza e quelli dell'unione agli Stati Uniti. (2) -Cfr. n. 45. (l) -Cfr. serie I, vol. XI, n. 596. (2) -Cfr. serie I, vol. XI, n. 596, allegato.
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IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. R. 65. Berna, 17 novembre 1869 (per. il 20).

Non appena ebbi ricevuto l'ossequiato dispaccio di questa serie n. 39, riservato in data dell'll di questo mese (1), concernente la Nota che vi andava congiunta in copia, colla quale il suo Collega dell'Interno portava a notizia di

V. E. quanto di recente gli veniva, con speciali rapporti significato dal Prefetto di Como, intorno al probabile presente soggiorno di Giuseppe Mazzini nel Cantone del Ticino, -mi sono recato al Palazzo federale ed in assenza del Presidente della Confederazione, ho comunicato il tenore della precedente Nota al Consigliere federale, signor Kntisel, preposto al Dipartimento di Giustizia e Polizia, che come è già ben noto a cotesto Ministero, si è in ogni occa

sione mostrato disposto a secondare!, e ne ho avuto la promessa, che il Consiglio federale non dimenticherà di fare quanto sarà da lui, per verificare qual credito possano meritare le informazioni su cui si fondano i rapporti del Prefetto di Roma, cui egli non aggiustava gran fede.

L'egregio magistrato mi esponeva le ragioni del suo dubitare, deducendole da ciò che, essendosi sparsa la voce, verso la fine d'ottobre ultimo scorso, mentre l'Assemblea federale era ancora rj_unita, che la pe.rsona di cui è caso fosse ritornata tn quel Cantone, il Dipartimento di Giustizia e Polizia ordinò le più accurate indagini per venire in cognizione del fondamento che fosse pe.r avere simile voce, e che dopo ciò il Consiglio federale e,ra rimasto convinto che il famoso cospiratore non fosse allora nel Ticino, né tampoco si trovasse in Svizzera.

Il mio interlocutore aggiunse però, che ritenuta la facilità con cui la Svizzera può essere traversata e la sua Polizia delusa, egli non mancherebbe di tener d'occhio quel Cantone per mantenere, ove fosse mestieri, forza alla risoluzione recentemente presa dall'Autorità federale, per serbare, in quanto sarà da lui, nncolumità delle .relazioni di vicinato coll'Italia.

Non ho lasciato ignorare al signor Kntisel gl'indizi che si possono trarre dagli apparecchi che si fanno a Lugano nella casa Petrucci al fine di ricevere un convegno per opera di cospirazione contro l'Italia senza fare istanza alcuna a questo riguardo, poiché riunioni di simile natura non possono impedirsi con provvedimenti preventivi in nessuno Stato libero.

(l) Non pubbllcato.

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L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 94/33. Londra, 18 novembre 1869 (per. il 21).

Riferendomi al già più volte citato Dispaccio dell'E. V., di questa Serie

N. 11 Riservato (1), ho l'onore d'informarla che, circa i reclami mossi or fa qualche tempo dalla Porta contro la presenza di Agenti rumeni presso alcune Corti, l'Inghilterra è d'avviso che la quistione dell'invio all'estero di detti Agenti da parte di Principi sottomessi all'alta Sovranità del Sultano è stata definitivamente risolta dalla decisione presa ultimamente dal Divano imperiale rispetto al Kedive. Vale a dire che questi non abbia facoltà di trattare qualsiasi materia politica con un Governo straniero tranne pe.r mezzo dei Rappresentanti ottomani. Così dunque, se il Principe Carlo mandasse un Agente in questo paese onde porsi in comunicazione col Fo·reign Office sopra qualche vertenza che si riferisse, anche in via remota, all'ordine politico ed uscisse strettamente dalla cerchia dei puri oggetti commerciali, come per esempio accordi ferroviari, postali e simili, desso non verrebbe ricevuto se non fosse presentato .ed appoggia.to dall'Ambasciatore turco. Ecco qual è in questo il punto di vista del Governo inglese.

D'altra parte però sono in grado di assicurare all'E. V. che in tutte le questioni riflettenti la Rumenia havvi un momento di sospensione. La convenzione recentemente pattuita dalla Russia col Governo rumeno ha schiuso la via ad un nuovo stato di cose e l'Inghilterra, come altre potenze, sta ora aspettando a vedere quali saranno le conseguenze che siffatte stipulazioni sortiranno.

V. E. rammenterà come, durante la mia ultima reggenza, Ella mi desse incarico di chiedere a Lord Clarendon qual giudizio facesse di tale Convenzione, allora non ancora conchiusa, e come Sua Signoria mi dichiarasse di non saperne nulla esprimendosi poi ostilissimo ad ogni idea non solo di abolire ma anche semplicemente di sospendere le Capitolazioni. Quantunque un po' tardi, sembra però che gli Agenti britannici finirono per dare informazione al Foreign Office di quegli accordi di cui io, da tanto tempo prima, d'ordine dell'E. V., teneva parola al Segretario di Stato per gli Affari Esteri della Regina ed ho avuto ora l'onore di esporle il modo al quale il Governo inglese si atteggia circa questo fatto.

Il signor Otway, che spontaneamente entrò meco in conversazione su questo argomento, mi disse ch'era impossibile di formarsi al presente un criterio sull'opportunità di seguire l'esempio della Russia e che conveniva attendere ad essere illuminati dai risultati dell'esperienza.

Conchiudeva quindi coll'abbiezione solita di questo Gabinetto allorché si tocca la quistione delle Capitolazioni del Principati Danubiani, abbiezione la quale nel tempo mi veniva anche sollevata da Lord Clarendon, cioè che, se si fa una concessione alla Rumenia a quel riguardo, non se ne potrà negare altrettanto alla Porta con grave scapito degli interessi dei sudditi esteri residenti in Turchia.

(1) Non pubblicato.

76

IL MINISTRO A MONACO DI BAVIERA, MIGLIORATI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. RR. P. Monaco, 21 novembre 1869 (per. il 24).

Il dispaccio che l'E. V. mi fece l'onore d'indirizzarmi sotto il n. 35 di questa serie (l) contiene un criterio giustissimo sulla situazione di questo paese, ed Ella, Signor Conte è nel vero dicendomi che dall'esito finale della crisi parlamentare che traversa la Baviera possa dipendere l'avvenire, e mi permetterei di aggiungere, la soluzione di non poche e gravi questioni d'interesse europeo.

Già è qualche tempo da un collega mi venne parlato in modo confidenzialissimo e sotto condizione del più assoluto segreto dell'esistenza del progetto, di cui tratta il rapporto del R. Inviato a Stoccarda in data del 19 settembre u.s. (2). Mi si diceva che in previsione di certe eventualità, e fra queste si alludeva a quella della crisi parlamentare che si vedeva sorgere in Baviera, era nata presso qualche Gabinetto l'idea di cogliere il destro della caduta inevi

tabile dell'attuale Gabinetto, onde avviare la Germania meridionale verso una politica che .rinforzasse il mantenimento della propria autonomia e la rendesse più indipendente verso la Confederazione del Nord: il perno pertanto di una tale idea consisteva, come ritengo esista tuttavia, nel progetto di far scomparire le suscettibilità e le diffidenze che esistono purtroppo tra il Wiirtemberg e la Baviera, e per ottenere quest'intento sembra non vi fosse miglior partito se non quello di far chiamare il signor di Varnbuhler alla Presidenza del Gabinetto di Monaco; le poche, ma credo esatte informazioni, che ho potuto procurarmi a questo riguardo non mi autorizzano tuttavia a credere che il re Luigi abbia fatta sin'ora alcuna proposta al Ministro del Re Carlo. Sarei piuttosto inclinato a credere che il Re del Wurtemberg ne abbia nell'ultima sua venuta qui intrattenuto il Re Luigi in modo però superficiale, e non abbia invece lasciato sfuggire l'occasione per influenzare a questo riguardo qualche altro personaggio bavarese, conosciuto per non essere troppo ligio alla Prussia; il Principe di Hohenlohe che domandava in quell'occasione di essere ricevuto dal Re Carlo, non ebbe invece certo a felicitarsi del contegno di Sua Maestà verso di lui, il colloquio fu brevissimo e mi si dice improntato di una freddezza rimarchevole.

Or sono pochi giorni conversando col Conte Ingelheim intorno alle cose della Baviera gli domandai se non pensava che la caduta probabile dell'attuale Gabinetto avrebbe potuto rimettere sul tappeto il progetto di chiamare il Barone di Varnbuhler a dirigere le sorti di questo paese; il mio collega austriaco mi manifestò la più profonda sorpresa per un tal fatto, e mi diede la sua parola che non ne aveva mai inteso parlare. Io credo il Conte Ingelheim uomo di una perfetta lealtà, per cui non potrei permettermi di dubitare della verità delle sue dichiarazioni; ciò a mio avviso proverebbe una cosa ed è che l'Austrta essendosi proposta di tenersi all'infuori di una influenza diretta nelle cose della Germania, il Conte di Beust avrà in quest'affa,re avuto ogni più gelosa cura di non lasciar trapelare una tale idea agli Agenti diplomatici austriaci e tanto più se come dicesi egli è realmente l'autore del proge.tto di cui ci occupiamo, debbo frattanto constatare che la diplomazia austriaca in Baviera si astiene colla massima circospezione dall'ingerirsi nelle cose del paese, e non trascura occasione per rendere ciò palese agli occhii di tutti.

Prego l'E. v. di accogliere in modo tutt'affatto confidenziale e riservato tanto i fatti che le apprezziazioni che mi permisi di sottopo·rLe in questo mio rappoocto...

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. serie I, vol. XI, n. 578.
77

IL MINISTRO A MADRID, CERRUTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1936. Madrid, 23 novembre 1869, ore 14 (per. ore 17,20).

Général Prim a dit cette nuit dans une réunion majorité que la maladie du Roi et l'absence du président du conseil de Florence ont empeché avoir nouvelles, mais que la parole du Roi subsiste toujours.

78

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1937. Londra, 23 novembre 1869, ore... (per. ore 18,20).

Ce matin M. Rapallo a publié une lettre dans le Times (1), avec sa signature pour prouver sa présence à Londres mise en doute par la presse espagnole, et pour contredire l'assertion de cette dernière que le Times n'avait aucune autorité pour faire au sujet du due de Gènes les communications qui parurent. M. Rapallo affirme que cette déclaration était parfaitement correcte.

79

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABRF.A

R. 47. Belgrado, 23 novembre 1869 (per. il 28).

I fatti di Dalmazia (2) risvegliarono l'interesse delle popolazioni della Serbia. Il linguaggio delle gazzette non solamente, ma eziandio dei personaggi politici rivela apertamente la simpatia verso quegl'insorgenti, e se quegli ultimi condannano come inopportuno il movimento, cercano di giustificarlo biasimando l'amministrazione austriaca.

Ebbi col Signor Ristic un importante colloquio sopra questo argomento. Lo richiesi della risposta che erasi data ad alcuni Montenegrini che chiedeano soccorsi pecuniarii al Governo serbo per cor,rere a combattere in Dalmazia. Dissemi che i sussidii eransi negati e che erano quelle persone state esortate a non distogliersi dalle loro faccende; ed il motivo di questa risoluzione non essere freddezza verso i popoli della medesima schiatta, ma la certezza che a nulla varrà il sangue che spargesi. Queste medesime esortazioni furono con un messaggero inviate al Principe Nicola del Montenegro; si è così sicuri che quand'anche quell'insurrezione potesse mantenersi ritta per alcuni altri mesi, essa non troverà sostegno efficace nel Governo della Serbia. Si aprì jeri una pubblica sottoscrizione per soccorsi alle famiglie dei combattenti; il sentimento nazionale sarà scosso, e questo è un male; esso cercherà cento modi di manifestarsi, ma non si andrà più oltre.

Non solamente secondo il giudizio di questi uomini politici, ma parimenti secondo l'opinione del Governo ungherese, la responsabilità di quella insur,rezione ricade sopra il partito militare che tenta in Austria di oppo:rsi al pre

sente indirizzo della politica di quella Monarchia. In Ungheria giudicasi che la consolidazione del Regno non è possibile se non quando i popoli Slavi in esso compresi siena interamente soddisfatti: in questa via parmi siena gli Ungheresi inclinati ad andare fino all'estremo possibile del discentramento. L'insurrezione dalmata, come ogni altro avvenimento il quale minacciasse di prop<~garsi fra tutti gli Slavi del Sud, è oggetto di serio timore per l'Ungheria, e ciò che accresce quest'apprensione e che fa in loro nascere il sospetto che la fazione la quale cerca di rovesciare il presente assetto della monarchia AustroUngarica non sia del tutto innocente, si è che alcuni fatti da accurate inform::t?.ioni resi certi, indicano che l'odio dell'Unghe.ria fu seminato nelle popolazioni insorte.

Come altra volta avevo l'onore di scrivere a V. E., l'Ungheria, sempre allo scopo di dare soddisfazione agli Slavi del Regno, aveva aperti negoziati per la riunione della Dalmazia al Regno di Croazia. Parrebbemi ovvio che oggi quel disegno fosse ripigliato ad esame come conseguenza della cattiva prova fatta dall'amministrazione cisleitana.

Non solamente si fa in parte responsabile dei fatti dalmati il partito militare di Vienna, ma lo si accusa di fomentare il malcontento che si propaga nei confini militari non ancora trasmutati. In essi nacque e si rafforza ogni giorno un partito il quale non vuole la riunione alla corona croata se non dopo aver assunto a nuovo esame la convenzione di compromesso che unisce quella alla corona di Santo Stefano. Credo che quell'agitazione non è minacciosa, ma lo diverrebbe quando da un altro lato incominciasse un serio sollevamento dei Jugo-Slavi. Qui finiscono le accuse degli Ungheresi.

I Se·rbi dal canto loro (di ciò parlavami jeri stesso il Reggente signor Blasnavatz) imputano a quello stesso partito di non aver abbandonato il disegno d'invadere la Bosnia e l'Erzegovina. Domandai naturalmente se il sospetto fosse in alcun modo avvalorato: non esservi alcun fatto nuovo, risposemi, ma i piani e le carte essere sempre pronti e studiati al ministero della guerra. «Spero, ripresi, che il mio collega Austriaco non av.rà sfuggita occasione di smentire simili disegni, e ch'egli l'abbia fatto in modo ufficiale». Il signor Blasnavatz confeTmommi ciò che sapevo, dicendomi che simili assicurazioni furono date al Governo della Serbia.

V. E. Tammenterà forse che spargevasi la voce alcun tempo fa di un accordo fra l'Austria e la Turchia, mercé il quale l'Austria ricevev·a la facoltà di perseguire gl'insorti sul territorio del Montenegro. Quella notizia, ed a ragione, inquietò i Reggenti; se la Porta si crede in diritto, diceano essi, di concedere all'Austria d'invadere un P·rincipato che gode un'indipendenza maggio.re della nostra, essa non dubiterà all'occorrenza di arrogarsi un simile diritto in odio alla Serbia. Ordinassi al rappresentante serbo a Costantinopoli di assumere informazioni, ma giunse oppo.rtunamente un'ufficiale smentita da Vienna.

Rimammi ora per compiere la cronaca politica di questo Principato a menzionare le conseguenze che questi uomini di Stato scorgono dietro una possibile lotta fra la Turchia e l'Egitto. La Sublime Porta sarebbe costretta a sguernire di soldati sia la Bosnia che l'Erzegovina e dovrebbe allora esse.re contenta di prendere ad esame una proposizione della Serbia, colla quale ques.ta

offrirebbe di amministrare quelle provincie sotto la sovranità della Turchia. Di questo disegno, oggettivo che non perdesi mai di vista, cominciasi di nuovo a discorrere accademicamente, sempre protestando non solo del desiderio, ma della necessità imperiosa di non sciogliere i legami fra la Serbia e la potenza Alto-sovrana mercè i quali l'indipendenza quasi assoluta del Principato è pa,rte integrante del presente diritto pubblico europeo.

Forse di questi discorsi, come in altra occasione accadde, e della sottoscrizione in favore delle famiglie degli insorti dalmati e di alcuni pretesi movimenti di nuove bande bulgare, farassi gran caso e rumore all'ambasciata francese a Costantinopoli; io posso assicurare che al presente dal canto del Principato non sorgerà alcuna nuova complicazione; che vi si desidera di mantenersi tranquilli, e che si cederebbe solo dopo molto contrasto e spinti dalla sola necessità, ad un movimento generale.

(l) -La lettera del marchese Rapallo, secondo marito della duchessa di Genova, affermava che 11 principe Tommaso non avrebbe mai accettato la Corona di Spagna. (2) -Cfr. nn. 37, 46 e 49.
80

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

T. Firenze, 25 novembre 1869, ore 13,20.

Sa Majesté a été grandement surprise de la lettre du marquis Rapallo (1). Elle vous charge d'inviter le marquis Rapallo à rentrer immédiatement en Italie et d'écrire au Times que le Gouvernement du Roi ne reconnait au marquis Rapallo aucun titre pour s'ingérer dans les affaires qui regardent les princes de la famille royale de Savoie (2).

81

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1939. Costantinopoli, 25 novembre 1869, ore 16,45 (per. ore 19,15).

Dans un grand conseil qui a eu lieu hier à la Sublime Porte on a lu et approuvé un projet de firman qui va etre publié bientòt et par lequel toutes les clauses et exigences contenues dans la première lettre du grand vizir au viceroi seront rendues obligatoires.

(l) -Cfr. n. 78. (2) -Questo telegramma venne comunicato a Cerruti perché ne desse lettura confidenzialmente al ministro degli esteri spagnolo.
82

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. Londra, 25 novembre 1869, ore 18,55 (per. ore 21,20).

Je vais exécuter immédiatement les ordres de Sa Majesté (1). Dans le cas où le marquis Rapallo refuserait d'écrire au Times dans les termes précis de votre dépeche je le ferai moi-meme avec ma signature à moins que je ne reçoive ordre contraire de V. E. Gette déclaration résout heureusement une situation que les indiscrétions du Times avaient rendu insoutenable. Le ministre d'Espagne sort de chez moi où il était venu me demande.r si le marquis Rapallo était réellement à Londres afin d'en info.rmer son Gouvernement tellement la lettre du marquis avait paru nullement vraisemblable.

83

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. Londra, 25 novembre 1869, ore 23.

Voici Ja réponse du marquis Rapallo:

Quoiqu'il eùt l'intention de partir pour Florence au commencement de la semaine prochaine en obéissant à Sa Majesté il anticipera son départ, il ne croit pourtant pas pouvoir écrire au Times attendu, dit-il, que son seul motif en lui adressant la lettre qui vous est connue a été de satisfaire au désir du due de Genes qui par un billet de sa main lui a exprimé sa résolution de refuser la couronne espagnole. Le marquis écrit au Roi et j'attends les ord,res précis de V. E. si elle juge à propos que je fasse quelque chose (2).

84

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, BLANC, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI

D. 15. Firenze, 25 novembre 1869.

Dal signor Paget ci venne comunicato che il Gabinetto di Saint James, dopo uno scambio inf,ruttuoso di comunicazioni col Governo francese per ottenere che i tre Governi principalmente interessati negli affa·ri di Tunisi

10 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. XII

dirigessero una nota identica al Bey sulla necessità della partecipazione del Comitato di riscontro ad ogni atto del Comitato esecutivo, avea dovuto spedire all'agente britannico in Tunisi nuove istruzioni, nelle quali tale suo punto di vista è mantenuto. Il Governo inglese ha inoltre incaricato quel suo agente di dichiarare ch'egli non considerava come perentorio il termine fissato dal Comitato esecutivo per la presentazione dei titoli del debito tunisino all'iscrizione ordinata con Decreto del Comitato stesso, aggiungendo però che il signor Wood dovea sempre agire in mondo conciliante, pur mantenendosi fermo nel contegno prescrittogli dalle sue istruzioni.

(l) -Cfr. n. 80. (2) -Menabrea telegrafò il 26 novembre alle ore 12,30: «C'est vous qui devez écrire au Times dans le sens de ma dépèche d'hier ».
85

IL MINISTRO A MADRID, CERRUTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. CONFIDENZIALE 38. Madrid, 25 novembre 1869 (per. il 30).

Da qualche tempo nulla più Le riferii intorno alle adesioni alla candidatura del Duca di Genova pel trono di Spagna. Questa mia riserva, come V. E. avrà compreso, era cosa naturale, dacché altre questioni urgenti avendo assorbito l'attenzione del Governo e delle Cortes, non si trattò più della questione della candidatura, la quale aspetta d'altronde la sua soluzione da eventi che devono ancora maturare. Mi limitai perciò a riferire a V. E. per telegrafo la nuova assicuranL~a data dal Generale Prim nella sera del 22 andante ai suoi colleghi della Maggioranza, che egli continuava a ritenere come tuttora sussistente l'impegno eventuale preso da Sua Maestà di dare il suo consenso alla accettazione del giovane Duca di Genova (l).

Intanto un articolo del Times, qui riprodotto dal telegrafo, notificava che

il marchese Rapallo aveva dichiarato che il Principe Tommaso né ora né mai

accetterebbe la Corona di Spagna. Da principio si credette qui inventata questa

asserzione; ma jeri mattina giunse un telegramma chiaro esplicito che ripro

duce la lettera del marchese Rapallo, e mi consta che il Ministro Spagnuolo a

LondTa confermò per telegrafo !.'autenticità di questa lettera.

Non ho bisogno dirLe, Signor Mtnistro, che penoso effe•tto abbia qui pro

dotto questa improvvida pubblicazione; perché o il marchese Rapallo non e·ra

autorizzato né da Sua Maestà né dalla Duchessa di Genova, né da V. E. a fare

questa dichiarazione, -ed è quanto meno strano che assuma il carattere

autorevole d'interprete di Alte Intenzioni in un argomento di tanta entità,

o il marchese Rapallo aveva le confidenze del Re e del Govevno ed è allora inesplicabile come le abbia comunicate ad un giornale prima che V. E. le facesse giungere pel mezzo da Lei creduto opportuno a S. A. il Reggente.

Ieri verso sera il Signor Martos Ministro degli Affari Esteri venne espres&amente a vedermi e a spiega.rmi la dolorosa sorpresa del Governo spagnuolo

per queste imprudenti pubblicazioni che risvegliano le passioni dei partiti.

Mi disse aver •telegrafato per parte sua al Signor de Montema,r, e mi pregò

con istanza di telegrafare senza indugio a V. E. per ottenere qualche schiari

mento e volle che gli permettessi di dichiarare d'urgenza quest'invio, che

diffatti venne operato con prefe,renza a qualunque altro.

I giornali favorevoli alla candidatura del Duca di Genova, ma specialmente l'Iberia e l'Imperial non potendo più negare l'esistenza della lette,ra, si limitano a di:r~e che il marchese Rapallo non ha autorità alcuna in queste cose, e che la sua lettera non merita akuna considerazione.

Ecco quanto ho creduto doverLe riferire su questo spiacevole incidente che ha prodotto sull'animo del Generale Prtm e del Signo·r Martos la più sgradita impressione.

(l) Cfr. n. 77.

86

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1942. Londra, 26 novembre 1869, ore 13,15 (per. ore 18,50).

En répondant aux extraits des journaux de Madrid parvenus ici hier qui mettent en doute l'autorité des communications du marquis Rapallo par conséquent des déclamtions du Times, ce dernier commet l'imprudence de publier dans son numéro de ce matin que son autorité se fonde sur des lettres du due de Gènes et de sa mère qui lui furent expressement soumises. Le marquis part demain matin.

87

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, BLANC, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 518. Firenze, 26 novembre 1869.

Abbenché dalle comunicazioni scambiatesi f·ra il Gabinetto di Parigi ed il nostro si potesse supporre che >l'azione concorde dei rappresentanti delle Potenze a Tunisi basterebbe a vincere le difficoltà opposte dal Governo del Bey relativamente all'interpretazione delle clausole del decreto riguardante il Comitato di riscontro, cionondimeno non sembra che l'Agente di Francia presso il Bardo abbia assunto quel contegno che sarebbe stato conforme alle dichiarazioni fatteci dal Governo imperiale.

Le informazioni che abbiamo ricevute a questo riguardo recano che quell'Agente afferma di non ave~r in proposito alcuna istruzione da Parigi e si mantiene apparentemente in una grande riserva lasciando che il Comitato di esecuzione nel quale siede l'Ispettore francese continui i suoi lavori tenendo sino a 4 sedute per settimana.

Siffatto contegno pe.r parte dell'Agente di Francia deve necessariamente incoraggiare il Bey nel proposito di volere che il Comitato esecutivo funzioni prima che il Comitato di riscontro si sia costituito. Ne abbiamo una prova in un atto recente, emanato da quel Comitato, per la riscossione delle pubbliche entrate. La S. V. troverà in una relazione del R. Agente e Console Generale di cui Le invio copia (1), ogni ragguaglio relativo a questo nuovo incidente, sul quale La prego chiamare l'attenzione di S. E. il Ministro imperiale degli Affari Esteri, dimostrandogli l'urgente necessità che ogni equivoco venga tolto di mezzo in questa quistione col fare vedere chia.ramente al Bey di Tunisi che non sono illusorie le intelligenze e ch0 sono serii ed efficaci gli accordi presi fra i Governi interessati per ciò che concerne la costituzione dei due Comitati che formano parte integrante della Commissione finanziaria.

Noi abbiamo fiducia che le dichiarazioni già fatteci dal Governo imperiale intorno a questo affa,re formeranno la base delle sue decisioni anche in questa circostanza, e così saremo lieti di veder confermato quell'accordo che agli occhi nostri è pur sempre la migliore guarentigia degli interessi rispettivi dei sudditi dei due paesi.

88

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, BLANC, AL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI

D. 98. Firenze, 26 novembre 1869.

L'inviato d'Austria ci annunziò oggi che il suo Governo unitamente alla Turchia avea riconosciuto l'opportunità di cercare un componimento delle difficoltà esistenti fra la Porta e l'Egitto coll'emanare un firmano spiegativo dei ftrmani anteriori al quale il Khedive non sarebbe stato obbligato di rispondere con appositi atti. Si salverebbero così tutte le suscettibilità, ed il firmano verrebbe dal Governo Ottomano recato a semplice notizia delle Potenze.

È desiderabile che il Governo Austriaco nel mettersi così d'accordo con

quello della Sublime Porta abbia tenuto conto delle manifestazioni concordi

degli altri Gabinetti i quali si mostrarono solleciti della conservazione dello

s~a~u quo nei rapporti esistenti fra l'Egitto e le altre parti dell'Impero del

.Sd.;ruo. Dobbiamo quindi supporre che il firmano spiegativo che l'a Porta

p,:oporrebbe di pubblicare non ·riuscirebbe ad una restrizione dei diritti de'

quali il Khedivé ebbe sin qui incontestato possesso. Se dovesse essere altrimenti

noi non potremmo accostarci ad una opinione che è manifestamente contrada

a quella che abbiamo a parecchie riprese espressa nei carteggi ufficiali di

questo ministero.

Oltre a ciò non siamo convinti dell'opportunità di incoraggiare la tendenza della Sublime Porta a seguire H sistema di non concertarsi più preventivamente coi Gabinetti europei, ma bensì di limitarsi a far conoscere a questi ultimi gli atti che interessano la politica generale quando tali atti sono già compiuti. Dal canto nostro ci siamo ognora adoperati in un senso opposto a siffatta tendenza che ha per effetto di scemare l'efficacia dell'azione europea, in un momento In cui questa ha mostrato di essere una delle più sicure guarentigie della conservazione della pace e della tranquillità dell'Oriente.

Gradirei che la S. V. uniformasse a questo nostro modo di vedere i propri discorsi tostochè le verrà fatto di esprimersi in proposito con chi regge codesto Ministero imperiale degli Affari Esteri.

(l) R. 139 del 9 novembre, non pubblicato.

89

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, BLANC, AL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI

D. 99. Firenze, 26 novembre 1869.

Il giorno 6 di questo mese il Signor di Klibeck mi aveva annunziato che, a norma delle intelligenze prese, S. M. l'Imperatore d'Austria si troverebbe di passaggio a Brindisi nei giorni 29 e 30 di questo mese dove si sarebbe potuto incontrare con S. M. il Re Nostro Augusto Sovrano.

La grave malattia di Sua Maestà, ora felicemente superata, ha impedito che il Re potesse intraprendere un viaggio così faticoso quale sarebbe stato quello di Brindisi; ma la Maestà Sua non volle tuttavia rinunziarvi in modo definitivo se non che in questi ultimi giorni cedendo alle rimostranze rispettose dei medici che gli consigliano di aver riguardo alla preziosa sua salute.

D'ordine del Re feci pertanto conoscere in via telegrafica, a S. M. l'Imperatore in Alessandria d'Egitto ed all'inviato austriaco in Firenze il rincrescimento che Sua Maestà provava nel non poter trovarsi al convegno prestabilito.

90

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, BLANC. ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO

D. 38. Firenze, 26 novembre 1869.

Il Ministero ha ricevuto in questi dì varie comunicazioni importanti circa le difficoltà tuttora sussistenti fra la Sublime Porta ed il Kedive.

Mentre il Governo .inglese ci faceva sapere che d'accordo colla Francia consigliava alle due parti di met•te.rsi d'accordo accettando che il Kedive domandasse in occasione di nuovi prestiti l'assentimento deUa Porta, il Governo austriaco ci faceva dal canto suo conosce.re che egli unitamente alla Turchia avea stimato opportuno che per mettere fine alle difficoità anzidette il Sultano emanasse un firmano spi:egativo dei precedenti al quale il Kedive non sarebbe costretto di corrispondere con appositi atti e del quale il Divano darebbe semplice comunicazione alle Potenze.

In tale stato di cose ci giungeva •la notizia che già si fosse prepa,rato in Costantinopoli un firmano nel quale sarebbero riprodotte le domande stesse che il Gran Vizir avea esposto nella sua prima lettera al Kedive (1). Le notizie avute portano a credere che questo firmano sia già stato approvato dal Sultano in un Gran Consiglio appositamente tenuto e che il medesimo sarà spedito al Cai:ro appena partiti i rappresentanti stranieri che vi si •recarono per l'ape·rtura del Canale di Suez.

Queste notizie sono gravi. La mancanza d'un accordo più preciso fra le potenze complica certamente la situazione. La S. V. continuando ad adoperarsi nel senso delle istruzioni già avute e tenendo un linguaggio molto conciliativo contribuirà, lo spero, con efficacia a rimuovere il pericolo di maggiori complicazioni. Intanto però Ella dovrà procurare di conosce.re ben esattamente quali siano l divisamenti del Kedive nella nuova fase della quistione che attualmente si agita fra lui e la Sublime Porta.

91

IL MINISTRO A MADRID, CERRUTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1947. Madrid, 27 novembre 1869, ore 13,45 (per. ore 18,05).

Les journaux d'opposition reconnaissent marquis Rapallo non autorisé à prendre la parole pour prince de la maison de Savoie, mais ils affirment que Montemar et les déclarations de la Gazette Otficielle d'Italie ne détruisent l'assurance du marquis Rapallo au Times que la duchesse et le due de Gènes refusent candidature. Ces journaux reproduisent décla,ration du Times que malgré ces engagements Sa Majesté italienne ne peut pas forcer san neveu, et que l'Espagne ne peut pas accepter un Roi couronné malgré lui. Ces arguments ont produit quelque impression.

(l) Cfr. n. 81.

92

L'INCARICATO D'AFFARI A LONDRA, MAFFEI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. Londra, 27 novembre 1869, ore 14,30 (per. ore 19,15).

Le ministre d'Espagne m'écrit en cet instant pour me témoigner sa satisfaction et pour me dire qu'il allait annoncer par télégraphe à Madrid la publication de ma lettre dans le Times. Ce journal l'a en effet imprimée sans ajouter de commentaire en faveur de Rapallo avec qui il a fait cause commune dans cette occasion. Ce n'est pas pourtant sans beaucoup de difficulté que j'ai obtenu ce dernier résu1tat.

93

IL MINISTRO A MADRID, CERRUTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. VII. Madrid, 28 novembre 1869.

Le varie modificazioni che subì in questi ultimi mesi il Ministero Spagnuolo gli hanno fatto differire l'invio ai suoi Agenti Diplomatici all'estero d'una Circolare relativa ,al Concilio.

Trovandosi ora vicina l'epoca della riunione dello stesso, il Governo ha creduto preferibile lo scriveTe a due soli dei suoi Agenti all'Estero, cioè al Ministro presso la Corte di Baviera ed all'Incaricato d'Affari in Roma. So pemltro che queste due lettere furono litografate e comunicate a tutti i Rappresentanti Spagnuoli all'estero.

Ecco quanto ho potuto sapere ckca il loro contenuto.

Al Ministro accreditato in Monaco si dice che se mai venisse posta in campo la questione dell'infallibilità del Papa in absoluto, potrebbero nascerne gmvi conflitti col dar lena allo spirito invasore del clero, ,e che non meno strano sa,rebbe il tentare di convertire in decreti le gravi proposizioni del Sillaba, locché sarebbe una vera dichiarazione di guerra senza tregua fra il Cattolicesimo e i diritti politici del nostro tempo. Aggiunge che ciò malgrado conviene lasciare la maggio,re libertà di azione alla Chiesa Cattolica per evitare qualunque malevola spiegazione delle decisioni del Concilio. Termina dicendo che se gli eventi venissero a confermare i sospetti enunziati dal Ministro di Baviera, sarebbe allora giunto il momento di opporre alla forz,a collettiva cattolica, la esistenza di altra collettività, e che in tal caso la Spagna non vacillerebbe un momento nel secondare le elevate mire del Gabinetto di Monaco.

Nella lettera diretta all'Incaricato d'Affari a Roma, dopo alcune osservazioni sulla forma con cui fu convocato, si esprimono timori desunti dal profondo segreto con cui le Congregazioni Conciliari hanno nascosto finora i

lavori preparatorii e dall'attitudine della Chiesa in questi ultimi tempi contro certi atti politici fondati nella sovranità popolare.

Qui pure si parla della questione dell'infallibilità personale e della p,robabile sanzione degli anatemi fulminati dal Sillaba contro le idee della civi1tà contemporanea.

Si aggiunge che ove la Chiesa invada il dominio dei poteri civili, H Governo Spagnuolo troverà nel proprio diritto, nell'opinione pubblic,a e nelle leggi, i mezzi di respingere qualunque intrusione. Il Governo Spagnuolo del resto non crede necessaria l'adozione di misure preventive. La Spagna non pone ostacoli agli atti legali di alcuna Comunione religiosa e spera che la saggezza della Santa Sede e la prudenza dell'Episcopato Cattolico renderanno superflua qualunque misura possa alterare la buona armonia che ha sempre esistito fra i due poteri.

Queste due lettere portano la data del 19 novembre e furono spedite j,eri l'altro.

94

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 171. Vienna, 28 novembre 1869.

La situazione creata nel mezzogiorno della Dalmazia dai moti insurrezionali colà scoppiati or fa un mese, sulla quale ebbi già opportunità di richiamare l'attenzione di V. E. con miei precedenti rapporti (1), ha assunto in questi ultimi giorni un'importanza a parer mio, più grande di quanto vuolsi generalmente attribuirle all'estero.

Le notizie infatti pervenute dal teatro dell'insurrezione ci dimostrano l'insuccesso completo toccato alle armi imperiali, tanto nei loro scontri coi ribelli, quanto nell'operazione diretta all'approvvigionamento del forte di Dragagly. Lo Stato Maggiore stesso del Corpo di occupazione a detta dell'ultimo rapporto ufficiale, avrebbe corso pericolo di essere fatto prigioniero dagli insorgenti, e sarebbe stato costretto di rifugiarsi a Cattaro.

Queste gravi notizie, che non possono essere tacdate di esagerazione perché venute alla luce per via ufficiale, hanno fornito alla stampa viennese ampio argomento di censura sulla condotta del Governo, e mentre tutti i periodici della città sono unanimi nel riconoscere la fiacchezza delle misure di repressione fin qui adottate, i medesimi non che l'opinione pubblica in generale sembrano nel tempo stesso accettare ogni rovescio, per quanto strano ed imprevedibile, come una conseguenza naturale dell'attuale stato di debolezza della Monarchia.

Intanto parlasi del richiamo del generale Ausperg, Comandante le truppe in Dalmazia, e del suo collocamento a riposo, né si conosce fin ora chi possa venire chiamato a succedergli.

Chiunque egli sia però è ormai indubitato, secondo l'opinione di persone competenti, che nessun risultato soddisfacente si potrà attendere dalla continuazione del piano sin ora seguito, essendo addimostrato che per soffocare l'insurrezione conviene condur,re determinatamente le operazioni sul ter,ritorio montenegrino, senza che l'attitudine che una grande potenza sarebbe eventualmente per assumere di fronte ad un tal fatto abbia in alcun modo ad arresta,re la piena libertà d'azione del Governo Imperiale, indispensabile a tale scopo.

La Neue Freie Presse non esita a considerare il Montenegro come il focolare della insurrezione dal quale armi, munizioni, e provviste vengono somministrate in gran copia agli insorti, ed eccita il Governo ad appigliarsi senza ambagi a quella determinazione.

Non mancherò di ragguagliare l'E. V. sulle ulteriori fasi che i movimenti bocchesi sarll!nno per attraversare...

(l) Cfr. nn. 37, 46, 49, 60.

95

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1953. Parigi, 29 novembre 1869, ore ... (l) (per. ore 18,40).

Le discoms de l'Empereur que vous recev,rez aujourd'hui par le télégraphe a été bien accueilli. La salle applaudit surtout là où il dit qu'il répondait du maintien de l'ordre. Le discours peut se résumer ainsi: à l'intérieur, liberté et ordre, pas de réaction et pas de révolution; à l'étranger paix et développement de la civilisation. Il a fait mention du télégraphe transatlantique, du chemin de fer, du tunnel des Alpes, de listhme de Suez et du Concile, à propos duquel l'Empereur a dit qu'il espérait qu'il en sortira une oeuvre de sagesse et de conciliation.

96

IL MINISTRO A MADRID, CERRUTI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1954. Madrid, 29 novembre 1869, ore 11,50 (per. ore 20).

Si mème intention entre mère et fils existe, rien ne serait encore compromis. On pourrait faire valoir ici adroitement toute la valeur d'épanchements réciproques avant de prendre une grande décision. Cela affirmerait modestie et maturité du jeune prince. Essentiel connaitre nature correspondance.

(l) L'ora di partenza non è Indicata.

97

IL MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA E DEI CULTI, VIGLIANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

N. RR. 13063. Firenze, ... (l) novembre 1869.

I sentimenti dell'Episcopato Italiano in generale, non giova il dissimularlo, sono propensi alla Santa Sede, cui questo Episcopato è unito più strettamente per ragioni della maggiore vicinanza e della influenza che per questa circostanza esercita sul medesimo con maggior intensità la stessa Santa Sede, non che per motivi di tutela e di interesse, dopoché [sic] le infelici condizioni fatte al Clero dalle ultime Leggi sull'Asse ecclesiastico, i Vescovi si sono indotti naturalmente a stringersi più dappresso al loro Capo per av·erne la tutela e protezione che veniva loro mancando da parte del Governo.

Se taluno vi ha che nutra devozione al Governo è d'uopo che si tenga molto guardingo e circospetto per non divenire sospetto e inviso alla Curia Romana.

In questo stato di cose difficilmente si potrebbero, secondo l'avviso dell'E. V. (2) prendere intelligenze e stringere rapporti con la parte dell'Episcopato che non si creda avversa al Governo, intorno al modo di condursi nel Concilio sulle questioni che possano interessare la società civile e 1e patrie instituzioni, massime dopo che il Ministero ha stimato di tenersi non solo in una riserva, ma anzi in una astensione perfetta fino a dirsi estraneo ad ogni autorizzazione che da alcuni Prelati veniva spontaneamente domanda.ta pe.r recarsi al Concilio, le quali domande porgevano opportuna occasione a entrare coi richiedenti in qualche corrispondenza e spiegazione sull'argomento.

Ora è quasi impossibile di poter accertare officialmente, se i Vescovi nostri che si porteranno al Concilio. saranno disposti a dar prova di deferenza all'Autorità civile, •e se di ·essa seconderanno l'azione, quando occo.rra, nelle discussioni del Concilio.

In via non officiale fino ad oggi, niuno dei Prelati del Regno fecemi sentire il desiderio di comunicare con me prima di recarsi a Roma, se si eccettui il degnissimo Arcivescovo di Milano (3) che mi fece sentire privatamente come recandosi fra breve a Roma, passerà per Firenze e verrà a vedermi per le relazioni personali che tengo con quel Pre1ato.

Oltre ad esso, sopra ben pochi, parmi che si possa contare, ed essi sareb

bero quelli che l'E. V. vedrà notati nell'Elenco che unisco unitamente a qualche

ragguaglio intorno ai medesimi.

Ciò non pertanto non mi tratterrò ove riconosca di poterlo fare con pru

denza ed efficacemente, dal procurarmi il mezzo di conf,erire sulla materia con

quelli fra i Vescovi che me ne porgano in qualsiasi maniera il destro.

E in quanto a ciò che l'E. V. mi accenna sul contegno dei Vescovi di altri

Stati, mi permetto di osservare che troppo è diversa la condizione dei Vescovi

Italiani da quella dei Vescovi di esteri Stati, specialmente di Francia e di Germania, perché si creda che anche fra noi possano formarsi partiti autorevoli sulle questioni che verranno proposte alla trattativa del Concilio in Vaticano.

Osta in generale la mancanza nei Prelati Italiani di quella dottrina profonda, di quell'alta intelligenza che si riscontrano in molti Membri dell'Episcopato Francese e Germanico e la necessità che hanno i Vescovi Germanici di intendersi fra loro con ogni impegno, attese le frequenti dispute che loro tocca di sostenere per la promiscuità delle credenze religiose in quei Paesi.

Del resto io chiuderò questa mia ,risposta, esprimendoLe francamente l'avviso, che degli eccessi e delle esorbitanze che per avventura fossero per prevalere contro il voto dei più savii nel Concilio Ecumenico che sta per adunarsi, più si debba preoccupare la Chiesa che non i Governi Cattolici, poiché a questi, sorretti dalla pubblica opinione e dalla moderna civiltà duscirà facile ·lo impedirne tutte le conseguenze dannose ai loro diritti ed interessi, mentre alla Chiesa sarà impossibile Io evitare il discredito e la decadenza della propria Autorità che immancabilmente le deriverebbero da errori e da eccessi che dovesse poi in tempo più o meno prossimo o lontano riconoscere e ritrattare in faccia al mondo, questa grave considerazione che non può sfuggire in una numerosa congrega, sarà un ritegno assai più forte di quel che taluni credano, alle decisioni inconsulte od eccessive.

Io non dico tuttavia che si abbia a trascurare in tutto dal Governo l'andamento di quella cattolica Assemblea, né da omettere di esercitare su di essa quella vigilanza ed influenza che le circostanze gli permettano di usare, ma sono fermamente convinto che qualunque sia la sorte degli sforzi e delle attenzioni che il Governo stesso si trovi in grado di adope,rare non siano mai da temere conseguenze troppo dannose ed ancor meno irreparabili per la società civile, atteso massime il fortunato accordo dell'attitudine adottata da tutte Le potenze cattoliche rispetto al Concilio, e la generale indifferenza con cui il laico ne va riguardando la convocazione.

ALLEGATO

Monsignor Cerruti, Vescovo di Savona. Si è tenuto in buoni rapporti col Governo. Monsignor Renaldi, Vescovo di Pinerolo. È in buoni rapporti con la Corte; lo si sarebbe voluto Arcivescovo di Genova, ma trovò sempre ostacolo a Roma.

Monsignor Parlatore, Vescovo di San Marco e Bisignano, Commendatore di San Maurizio e Lazzaro. Si è adoperato alla cessazione del bligantaggio ed è stato in buoni rapporti col Governo.

Monsignor Fania, Vescovo di Potenza. Era Procuratore Generale dell'Ordine dei Francescani -influente a Roma -lo si nominò dal Papa Vescovo di Potenza (unica provvista nel Napoletano!) per cacciarlo da Roma. È ossequiente al Governo, ed è l'unico che abbia lodato l'abolizione delle CoUegiate e delle Recettizie.

Monsignor Fanelli, Vescovo di Sant'Angelo dei Lombardi, Commendatore di San Maurizio e Lazzaro. Si mantenne sempre in buona relazione col Governo, il quale lo propose pure per Arcivescovo di Capua, non venne accettato.

Monsignor Fanelli, Vescovo di Diano. Si mantenne in ottime relazioni col Governo, fu l'unico che promettesse di ricordarsi nel Concilio di esser cittadino.

Monsignor Nicola dei Conti Frangipane, Vescovo di Concordia in Portogruaro. Si tiene in buone relazioni col Governo, ed anche recentemente ha mostrato un vivo interessamento alla salute di S. M. il Re.

(l) -Il giorno non è indicato. (2) -Cfr. n. 63. (3) -Luigi Nazari di Calabiana.
98

VITTORIO EMANUELE II AL CONTE VIMERCATI (l)

T. Firenze, 2 dicembre 1869, ore 10,15.

Tenez moi au comunt de la situa•tion des choses de la France (2), hier au soir je suis resté une hcure et des autres [sic] avec de Beust et nous nous sommes mis d'accord sur l'avenir. Dites à l'Empereur que le nouveau Ministère n'est pas encore fait, mais qu'il le sera bientòt et qu'il est uniquement créé pour faire passer le budget et aplanir les difficultés financières et qu'il n'y a pas d'hommes politiques mais que le jour du besoin je prendrai des mesures en temps pour pouvoir marcher selon nos accords, je commence aller un peu mieux.

99

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, liLISSE BARBOLANI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1963. Costantinopoli, 2 dicembre 1869, ore 17,32 (per. ore 13,40 del 3).

J'ai eu communication officielle du firman expédié en Egypte. Il est très explicite; il commence par décla·rer que l'on entend maintenir tous les privilèges antérieurement accordés à cette province. Le Sultan accepte en suite déclaration faite pa.r le Vice Roi dans sa première réponse au grand vizir, mais l'engage à ne pas établir de nouveaux impòts mal faits; ordonne formellement de ne pas contracter des emprunts sans avoir obtenu son autorisation préalable. La France qui appuie fortement le vice-roi a fait tout son possible pour retarder l'envoi du firman, mais n'a pas réussi.

100

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 1010. Parigi, 2 dicembre 1869 (per. il 5).

Il dispaccio relativo agli affari di Tunisi che V. E. mi fece l'ono.re di dirigermi il 17 novembre scorso sotto il numero 515 di serie politica (3) mi giunse in rita.rdo di molti giorni e oggi soltanto ho potuto far parola del suo contenuto

a S. E. il Principe di La Tour d'Auvergne. In conformità delle di Lei is·truzioni, ho pregato il Ministro imperiale degli Affari Esteri di vo•ler impartire istruzioni all'Agente francese a Tunisi perché s'adoperi per la parte sua a dileguare ogni dubbio che il Governo del Bey potesse ancora avere intorno alla perfe.tta intelligenza che esiste tra i tre Governi d'Italia, di Francia e d'Inghilterra pe.r ciò che concerne il mandato da compiersi dalla Commissione finanziaria a Tunisi. Il principe di La Tour d'Auvergne mi rispose che questo legittimo desiderio del Governo del Re era già stato prevenuto e che aveva mandato al signor Botmiliau istruzioni in quel senso. Egli aggiunse che quantunque fosse convinto che il Comitato esecutivo non oltrepassava i limiti del suo mandato coll'emettere la notificazione che diede luogo all'ultimo incidente, e benché ogni ritardo riescisse funesto ai creditori del Governo tunisino, tuttavia non aveva esitato per mantenere l'accordo f.ra le tre potenze, ad accostarsi all'interpretazione data a•l decreto del Bey dall'Italia e dall'Inghilterra e ad impartire al Console Generale di Francia a Tunisi ordini in conseguenz,a, il che per poco non provocò la rinunzia dalla carica dell'Ispettore francese membro del Comitato esecutivo.

Il Ministro imperiale degli affari esteri mi disse poi che i due membri francesi del Comitato di controllo essendo stati nominati, oramai nulla si oppone a che i due comitati si mettano all'opera e procedano d'accordo nel disimpegno del mandato che loro è rispettivamente affidato.

Intanto il principe di La Tour d'Auvergne ha autorizzato il signor Botmiliau a pubblicare una notificazione pari a quella pubblicata dal signor Pinna, e cl'ede che il signor Wood avrà fatto o farà altrettanto.

(l) -Da ACR. (2) -Per la risposta cfr. n. 101. (3) -Cfr. n. 70.
101

IL CONTE VIMERCATI A VITTORIO EMANUELE II (l)

T. Parigi, 3 dicembre 1869, ore 13,55 (per. ore 17,30).

La poUtique impériale est pour le moment toute absorbée par les questions d'intérieur, quoique la situation soit rendue difficile par les différents partis en désaccord, n'offre cependant aucun danger. Ollivier viendra au pouvok, il espère remplacer Rouher, il échouera, Rouher reviendra nécessairement et c'est alors que la politique d'extérieur se développera dans le sens des arrangements pris entre Italie et Autriche. Prie Votre Majesté me télégraphier qui sera notre ministre des affaires étrangères. Je me réjouis avec Votre Majesté pour le rétablissement de sa santé. J'ai le plus grand désir de voir Votre Majesté. Je verrai l'Empereur dimanche.

(l) Da ACR.

102

IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

R. 67. Berna, 3 dicembre 1869 (per. l'B).

Informato da una lettera del nostro Console in Lugano come negli ultimi giorni fosse quivi stato visto, proprio nella già più volte denunziata casa Nathan, Giuseppe Mazzini, e come dopo l'amnistia altri dei principali fautori e strumenti di lui già rifugiati nel Ticino vi siino ritornati, ho stimato opportuno d'intrattenere di ciò il Presidente della Confedemzione, e di chiedergli se quanto succedeva in quel Cantone fosse giunto a sua notizia, e se fosse persuaso che anche dopo l'amnistia le autorità ticinesi manterranno l'ordinanza federale che interdice i Cantoni limitrofi del Regno a quanti, abusando dell'asilo loro accordato, avessero preso parte agli ultimi insensati tentativi contro l'ordine politico stabilito in Italia, o fossero -pei loro antecedenti iu sospetto di non essere colà a stanza che ad intento di avervi agio a macchinare imprese del genere, a scapito delle relazioni di buon vicinato fra i due paesi.

Per ciò che concerne il ritorno del Mazzini, che la malattia del Re (fortur.atamente vinta) ed altre cause d'inquietudine nella Penisola rendono probabile, mi fu risposto, presso a poco, nei termini stessi coi quali il Consiglie-re federale Kntisel preposto al Dipartimento di Polizia e Giustizia, cercava, non ha guarì, di soddisfare alle domande che per lo stesso oggetto, quantunque sopra altri indizii, io gli indirizzava, ciò di cui io mi faceva sollecito di ragguagliare V. E. nel mio Rapporto di questa serie n. 65 in data del 17 Novembre (l); il signor W el ti mi disse, cioè, che si era già scritto in proposito al Governo Ticinese, ingiungendogli di vegliare. Aggiunse, di più, rispetto alla partecipazione che io gli davo a seguito dei ragguagli positivi che mi venivano dal Ticino, che egli avrebbe immantinente, vale a dire jeri stesso, scritto in forma particolare a tale che possiede tutta la sua fiducia, e che si trova ora in quel Cantone nella qualità di Commissario federale, per presiedervi alla distribuzione dei sussidi largiti con tanta libertà per mezzo di sottoscrizioni volontarie, ai danneggiati a seguito delle ultimi inondazioni, incaricandolo di assicurarsi con tutti i mezzi che siino, o pel suo credito personale o pella sua posizione officiale, in facoltà sua, per accertarsi cosi della presenza del Mazzini che del ritorno dei suoi complici e fautori.

Rispetto poi alla efficacia che fosse per conservare l'ordinanza federale agli occhi de' Governi cantonali dopo l'amnistia, mi fu detto che non vi era luogo a dubitare di ciò, ma che sarebbe scritto dal Potere Esecutivo della Confederazione ai Consigli di Stato che possono aver bisogno di simile avvertenza, che l'indulto italiano prosciogle, bensì, coloro che si erano resi responsabili di reati politici, e delle conseguenze penali che avrebbero dovuto avere i loro atti in Italia; ma che rimaneva senza effetto alcuno anche indiretto riguardo ai provvedimenti d'ordine politico interno che l'aver essi preso parte

a simili reati abusando, a tale riguardo, dell'asilo ricevuto in Svizzera, avea provocati e giustificati; e che, perciò, l'ordinanza federale che assoggettava quelli incomodi ospiti all'internamento avesse oggi, come or dianzi, ad essere in ogni suo punto osservata.

Il signor Welti pose fine al colloquio asseverando di esser convinto che il Ticino come gli altri Cantoni, si conformerà, ove accada, interamente agli ordini della Confederazione, poiché il modo con cui la federale Assemblea accolse le interpellazioni fatte rispetto alla citata ordinanza, ha persuaso tutti i Cantoni che la Svizzera non tollererebbe che fosse trasgredita.

(l) Cfr. n. 74.

103

VITTORIO EMANUELE II AL CONTE VIMERCATI (l)

T. Firenze, 4 dicembre 1869, ore 13.

Après quatre jours de travail Lanza n'a pas réussi à former mihistère, il voulait détruire l'armée et marine je m'y suis opposé. Oe matin j'ai chargé Cialdini de fo·rmer nouveau Ministère, j'espère que Jundi il sera fait.

104

IL CONTE VIMERCATI A VITTORIO EMANUELE II (l)

T. Parigi, 5 dicembre 1869, ore 13 (per. ore 15,40).

Nigra m'a communiqué dépéche Menabrea (2) sur secret à garder au sujet engagement projeté entre les trois Souverains. Je ne parlerais pas, mais pour Nig.ra situation deviendra difficile vu susceptibilité Cialdini. Il faudra que Votre MaJ·esté le mette dans la confidence dès qu'eHe ve.rra probable formation Minlstere présidé par lui. Je suis dans les meilleurs termes avec Cialdini et nous sera facile de le rallier au projet de Votre Maj·esté si dans le choix de ses collègues il ne penche pas trop vers la gauche, c'est à quoi le pousseront les menées secrètes de Rattazzi. Prie Votre Majesté de me tenir au courant.

105

VITTORIO EMANUELE II AL CONTE VIMERCATI (l)

T. Firenze, 5 dicembre 1869, ore 22,01.,

Cialdini parait aussi embarassé que Lanza pour former Ministère, probablement demain je chargerai Minghetti prendre présidence ancien Ministère moins Menabrea et Digny et probablement Sella aux finances.

(l) -Da ACR. (2) -Non rinvenuto.
106

VITTORIO EMANUELE II AL CONTE VIMERCATI (l)

T. Firenze, 6 dicembre 1869, ore 19,40.

Cialdini doit ce soir définitivement combiner Ministère, demain vous saurez les noms.

107

IL CONTE VIMERCATI A VITTORIO EMANUELE II (l)

T. Parigi, 7 dicembre 1869, ore 11 (per. ore 15,15).

Ollivier a fait un manifeste très avancé qui a été signé par 109 députés, autre manifeste fait par centre gauche a été signé par 37 députés. Opposition compte 47 voix ce qui forme une majorité contre le Gouvernement. 01livier qui nous est favorable viendra au pouvoir, mais avec des hommes qui nous sont contraires. Il faudra à Cialdini beaucoup de prudence dans la question évacuation. Refus serait nuisible aux ententes prises avec Ollivier pour évacuer après clòture chambre. Situatìon ici s'aggrave. Je tiendrai Votre Majesté au courant. J'attends les noms des nouveaux ministres.

108

VITTORIO EMANUELE II AL CONTE VIMERCATI (l)

T. Firenze, 8 dicembre 1869, ore 2,15.

Il n'y a pas moyen former Ministère. Cialdini a échoué grace à Lanza qui après avoir accepté refuse faire part Ministère. Menabrea e't Cambray Digny se sont retirés. Je vais faire une dernière tentative, je vous informerai demain, je vous prie de me tenir au courant. Situation des choses pays est tranquille.

109

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1968. Alessandria, 9 dicembre 1869, ore 14,36 (per. ore 18,15).

Firman arnve. Termes modérés. Seule exigence autorisation emprunts. Après beaucoup d'hésitation et cédant à la pression de l'Angleter.re et de

l'Autriche le Vice-Roi l'a accepté en répondant au grand vizir que le Sultan voudra ensuite accepter sa prière de reconnaitre ses droits déjà acquis par autre firman. Ainsi entamé statu quo mais discussion reste ouverte.

(l) Da ACR.

110

VITTORIO EMANUELE II AL CONTE VIMERCATI (l)

T. Firenze, 10 dicembre 1869, ore 11,45.

Après vingt jours crise, impossible former Cabinet. J'ai appelé Lanza, Cialdini, j'ai reconstitué ancien Ministère et appelé Sella, si ce dernier ne réussit pas, je serai ob1igé d'appeler Rattazzi. Je désire savoir quelle impression ceci ferait sur Empereur, pourtant je vous préviens que je ne pourrai faire autrement. Rattazzi dit ètre ami d'Ollivier, pour tranquilliser Empereur des francais, vous pouvez lui dire que je me r.appeJle affaire Mentana et ce qui m'est arrivé une fois ne m'arrivera plus la seconde. Répondez moi au plus tòt possible, il n'y a pas temps à perdre; lorsque votre réponse arrivera j'aurai été peut ètre obligé appeler Rattazzi car ici il y a grande agitation (2).

111

PIO IX A VITTORIO EMANUELE II (3)

L. P. Dal Vaticano, lO dicembre 1869.

Comincio la presente col rallegrarmi con Vostra Maestà della recupemta salute e quindi col farle conoscere che mi è giunta grata la notizia datami dal Marchese di Lavradio ministro del Portogallo presso questa Santa Sede, essere cioè Vostra Maestà disposta di riprendere le trattative per provvede.re alla vacanza di tante sedi episcopali.

Il metodo da tenersi sarà queUo stesso che si è tenuto altra volta; inviare cioè un'onesta persona come il signor Tonello e quindi concludere sulla scelta dei soggetti.

Nominati però i Vescovi, come speriamo, resta di provvedere pel loro mantenimento, la qual cosa resta molto a desiderll!rsi per quelli che ancora esistono, non che per le corporazioni religiose che si sono volute sopprimere, appropriandosi il governo i beni loro.

11 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. XII

Maestà! Operarius dignus est mercede sua. Dopo questo Io non cesserò mai di domandare che la istruzione della gioventù sia tolta ai maestri increduli e corrotti, che la legge della leva sui chierici sia riconosciuta ingiusta, e tendente a distruggere la Religione dalle sue fondamenta, perché una Religione senza ministri non può sussistere. Che la stampa sia moderata e si sopprima Ia sua licenza. Queste ed altre cose Io desidererei che fossero messe in pratica e mi lusingo che Vostra Maestà per mostrare a Dio la sua gratitudine per le molte grazie che Dio le ha fatto nell'ultima malattia, farà tutto quello che sta in lei, onde si ottenga qualche miglioramento, o sia onde si ottenga la diminuzione dei mali.

Possa Iddio benedetto farle sempre maggiori grazie onde possa alla fine quel nodo fatale che soffoca la società nella penisola Pssere tagliato da Vostra Maestà alla quale mi dichiaro sempre affezionato.

(l) -Da ACR. Il telegramma fu comunicato a VIsconti Venosta dopo Il suo ingresso al Governo. In Avv, infatti, ne esiste una copia che presenta numerose varianti. (2) -Per la risposta cfr. n. 112. (3) -Da Archivio Vaticano, ed. in PIRRI, vol. III, parte II, pp. 224-225 e !n Lettere Vittorio Emanuele II, vol. II, p. 1463.
112

IL CONTE VIMERCATI A VITTORIO EMANUELE II (l)

T. Parigi, 11 dicembre 1869, matin.

Jaloux de l'indépendance royale et de ma dignité personnelle, je prie le Roi de vouloir m'éviter de prononcer devant l'Empereur le nom de Rattazzi. J',ai été toujours son ami, je ne me suis séparé qu'à la veille de Mentana au moment où il m'a placé dans la dure alternative de trahir, ou de dire qu'on était trahi. Ces phases dans la vie d'un homme qui a du coeur, ne s'oublient jamais, et c'est la première fois qu'avec la plus profonde douleur je me vois obligé de prier le Roi, de me laisser tout-à-fait en dehors pendant la durée du Ministère Rattazzi, que par la dépéche de Votre Majesté (2) je considère camme formé. Je pousserai la discrétion jusqu'à me séparer complètement de la légation. Rattazzi vous ment quand il affirme avoir de bonnes relations à Paris, je connais la raison pour laquelle Rouher a vu madame Rattazzi. Je sais que Latour d'Auvergne a refusé d'aller diner chez Forcade avec Rattazzi, disant qu'un ministre de l'Empereur ne pouvait diner avec l'homme de Mentana.

Je verrai Ollivier, car j'ai lieu de croire que Rattazzi ment encore en vous disant qu'il est son ami.

Je demande pardon au Roi pour la teneur de cette dépéche, en l'assurant de mon dévouement le <plus affectueux, mais mon coeur se révolte en voyant tomber le pouvoir en Italie dans les mains d'un homme qui a toujours fait son malheur et qui est rendu ridicule par le dévergondage et l'immoralité.

Camme italien, je ne dois pas oublier que la politique de Rattazzi a ramené l'étranger sur le sol italien.

(l) -Da AVV. (2) -Cfr. n. 110.
113

IL MINISTRO A MADRID, CERRUTI,

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA

T. 1970. Madrid, 11 dicembre 1869, ore 12,20 (per. ore 17,45).

Gazette de Madrid reproduit aussi les paroles prononcées hier aux Cortes par 1e général Prim: «Gertainement le due de Gènes aura plus de voix qu'il n'en est nécessaire et malgré les doutes de M. Castelar ce candidat ne tardera pas à se présenter ici et à ètre couronné ». Plus loin il dit: «Je puis vous assurer qu'il n'y a rien d'exact dans ce que les journaux ont dit sur l'auguste mère du due de Gènes ».

114

VITTORIO EMANUELE II AL CONTE VIMERCATI (l)

T. Firenze, 11 dicembre 1869, ore 19.

Je ne vous ai pas demandé votre avis sur Rattazzi (2). Vous devez savoir qu'en politique on fait comme on peut et que Rattazzi est toujours fort à la Chambre, de manière qu'il ne peut pas manquer de veni.r un jour ou l'autre au pouvoir. Il est bon d'interpeller Empereur quand l'occasion se présentera à cet égard et je suis sùr qu'il comprendra position Sella à accepter mandat. J'espère que dans la journée de demain Ministère se!l'a fait. J'espère que pour le moment il aura majorité, budget provisoire sera voté, avec cela nous pourrons vivre quelque temps tranquilles, pour l'aveni-l' nous verrons. *Ne faites aucune imprudence dans vos discours * (3) vous p.rie de me tenir au courant de tout.

115

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DEGLI ESTERI, MENABREA, AI RAPPRESENTANTI DIPLOMATICI ALL'ESTERO

CmcoLARE. Firenze, 11 dicembre 1869.

Mi pregio di significare a V. S. Illustrissima che a S. M. il Re è piaciuto di accettare le dimissioni che io aveva avuto l'onore di afferire alla Maestà Sua dalle funzioni di Presidente del Consiglio e Ministro degli affari esteri.

Stando adunque per cessare i rapporti ufficiali che io ebbi il piacere d'intrattenere con Lei, mi è grato di chiudere il mio carteggio esprimendole la mia riconoscenza per il concorso che io trovai in Lei nel coltivare le buone relazioni esistenti tra l'Italia e gli altri Stati. Dello sviluppo che hanno preso quelle relazioni nel frattempo in cui io ressi questo dicastero, sono lieto di tributar la dovuta lode agli Agenti di Sua Maestà all'estero.

Di questo poi vorrei lusingarmi che la S. V. Illustrissima sia per serbare della nostra collaborazione quel compiacimento e quel gmdito ricordo che meco stesso io ne riporto.

(l) -Da ACR, ed. in Lettere Vittorio Emanuele Il, vol. II, pp. 1450-1451. (2) -Cfr. n. 112. (3) -In una copia del telegramma conservata in AVV, invece della frase fra asterischi: «Tàchez modifler impétuosité votre caractère ».
116

IL CONTE VIMERCATI A VITTORIO EMANUELE II (l)

T. Parigi, 12 dicembre 1869, ore 13,50 (per. ore 16).

Empereur ayant su par Latour d'Auvergne que Rattazzi pouvait etre chargé de la formation Ministère, m'a envoyé Pietri pour me prier de prévenir confidentiellement Votre Majesté que si ce bruit se vérifte Empereur se verrait obligé d'envoyer nouvelles troupes à Civitavecchia et meme à Rome. Gette mesure lui serait imposée par la Chambre sur la quelle nomination Rattazzi produirait les plus déplorables effets. Si dans ma dernière dépeche (2) je me suis refusé faire démarche auprès Empereur c'est parce que je connaissais d'avance sa .réponse que j'aurais voulu éviter. Si j'ai exprimé mon avis sur Rattazzi c'était dans le désir d'éviter à Votre Majesté et à l'Italie de nouveaux malheurs. Je ne parle jamais de ce qui concerne Votre Majesté. Quant à Rattazzi je ne me crois obligé à aucun engagement (3).

117

VITTORIO EMANUELE II AL CONTE VIMERCATI (l)

T. Firenze, 14 dicembre 1869, ore 20,15.

Formé aujourd'hui Ministère, les ministres ont déjà preté serment. Voici comment composé Cabinet, Lanza président du Conseil et ministre Intérieur, Sella Finances, Govone ministre de la Guerre, Visconti-Venosta (4) Affaires Etrangères, Gadda Travaux Publics, Correnti Instruction Publique, Raeli garde de Sceaux, Luzzatti Agriculture (5).

(l) -Da ACR. (2) -Cfr. n. 112. (3) -In ACR esiste un'altra versione di questo telegramma edulcorata nella parte finale. (4) -Da una lettera du Ktibeck a Beust (Origines diplomatiques vol. XXVI, pp. 420-422) risulta che Vittorio Emanuele aveva pregato Ktibeck di non far parola delle trattative segrete per un'alleanza con Austria e Francia con Visconti Venosta il quale «d'après l'avis de Sa Majesté,n'était pas fait pour pareilles matières ». (5) -Sic. In realtà fu nominato ministro dell'Agricoltura, Industria e Commercio, Stefano Castagnola.
118

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. R. 125. Pietroburgo, 14 dicembre 1869 (per. il 21).

Il Generale Fleury nuovo Ambasciatore di Francia presso questa Corte aprì nella scorsa settimana le sue sale al ricevimento d'uso secondo il cerimoniale d'Ambasciata. Io mi astenni finora dal riferire all'E. V. le voci corse into.rno alla missione del novello ambasciatore dopo il suo arrivo in Pietroburgo poiché non mi risultava chiara e precisa la notizia delle is·truzioni da lui ricevute, e delle pratiche che egli era per iniziare con questo Impe·rial Governo. Io inclino tutt'ora a credere, secondo che già ebbi a significare con altro mio rapporto che la scelta del Generale Fleury come titolare della Ambasciata di Francia presso lo Czar debbasi attribuire a conven~enze personali ed al desiderio dell'Imperatore dei Francesi di porre in qualche evidenza i servigii e le qualità di questo uomo politico a lui devoto. Se non che non sarebbe da maravigliare se l'importanza della persona eletta a rappresentare il Governo di Francia porgesse occasione a qualche scambio d'idee e di propos.te relative alla politica generale che potesse in qualche modo mutar le condizioni dei rapporti esistenti fra i due Gabinetti. Ma nessun fatto o nessuna informazione mi dimostmn fin ora che ciò abbia avuto un principio di esecuzione.

Vero è che la stampa russa da alcun tempo a questa parte dimostra sensi molto inchinevoli ad un accordo più amichevole fra i due Imperi di Francia e di Russia, ·e al tempo stesso una notabile diffidenz·a rispetto alla Prussia ed alla influenza che un dì più che l'altro questa potenza procaccia di acquistare nelle provincie Baltiche mercé gli adoperamenti ed il credito del Principe di Reuss, Ministro del Re Guglielmo presso la Corte di Pietroburgo, il quale gode singolarmente del favore dell'Imperatore Alessandro, e dei suoi più intimi Consiglieri. E menò qualche rumore a questo proposito un articolo della Gazzetta di Mosca pubblicato in questi ultimi giorni nel quale il signor Katkoff accusava il soprannomato diplomatico ed il signor Schweinitz, già addetto militare di Prussia in questa residenza e non ha guarì nominato Ministro a Vienna, di avergli proposto, non senza un egregio compenso in denaro, un collaboratore tedesco per quel diario, che, col suo carteggio lo raggrugliasse in modo più veridico e più conforme alle vedute del Gabinetto di Berlino, della politica prussiana in generale e dei rapporti che correano fra quella potenza e la Russia specialmente poi in quanto ha tratto alle provincie tedesche dell'Impero.

Ma se la pubblica opinione, chi voglia almeno tener dietro alla polemica dei giornali, propende alquanto in favore di Francia, e si diparte dal pensiero dell'alleanza germanica, ben altra sembra che sia la mente del Capo dello Stato, poiché le relazioni di famiglia, le tradizioni della Casa Imperiale, e l'influenza degli uomini che gli sono più dappresso, tutto ciò contribuisce a mantenerlo nei sentimenti più favorevoli ad un intimo accordo colla politica prussiana. Della qual cosa diede prova solenne in occasione del centenario di San Giorgio col conferire il Gran Cordone di quell'Ordine al Re Federico Guglielmo, onorificenza straordinaria la quale secondo gli statuti dell'Ordine non s'appartiene che al vincitore di qualche campai giornata che abbia giovato alla grandezza della Russia. La congiuntura di questo fatto colla presenza del Generale F1eury, giunto pur ora in questa capitale, e le parole con le quali -I'Impe,ratore accompagnò e quasi commentò quell'atto onorifico, rendevano troppo chiara ed aperta l'allusione perché l'opinione pubblica non se ne commovesse. Ed in effetti i diarii russi, la Gazzetta di Mosca in ispezialtà, se ne mostrarono men che soddisfatti, e significarono, per quanto la limitata libertà di cui essi godono gliel consentisse, come siffatta manifestazione loro paresse poco savia ed opportuna.

L'Imperatore Alessandro venne nella risoluzione che è detta qui di sopra per suo proprio impulso, e forse per insinuazione di quelli fra i suoi consiglieri che a lui sono più personalmente graditi: mi risulta anzi da buona fonte che il Principe Cancellie·re non abbia approvato del tutto codesta determinazione, e che abbia in questa occasione fatto al suo sov.rano qualche utile avvertenza con quella autorità che gli davano la sua lunga esperienza e la prova.ta fedeltà dei suoi servigii, perché non facesse troppo a fidanza cogli Inviati prussiani, i quali, ammessi prima nella sua intimità, vanno poi ad adempiere missioni importanti in altre destinazioni, siccome avvenne del Conte Keiserling, già Segretario di questa Legazione che fu poi mandato in qualità di Console a Boukarest, e di Ministro a Costantinopoli, e del Colonnello Schweinitz, già addetto militare elevato poi al grado di Gene.rale e di Ministro plenipotenzlario in Austria. La politica del Principe Gortchacow, costante ai suoi principii di imparzialità e di riserva non propende particolarmente in favore dell'una più che dell'altra di quelle due potenze che si contendono in oggi la prevalenza in Europa, e mira piuttosto a mantenere l'equilibrio fm esse, per modo che la Russia possa, al bisogno, restando libera delle proprie azioni, gettarsi dalla parte che riesca più propizia ai suoi interessi; ed EUa, signor Ministro, può rendersi certo che questo ingerimento e questa libertà d'azione del Gabinetto di Pietroburgo tenderà sempre, finché resti alla direzione del Ministero di Affari Esteri il Principe Gortchacow, a mantenere la pace e ad evitare occasioni di conflitto f,ra i Potentati Europei.

Nel segnare ricevimento all'E. V. del dispaccio politico n. 63 del 26 novembre ultimo (1)...

119

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL FRATELLO GIOVANNI (2)

L. P. Firenze, 15 dicembre 1869.

Ti scrivo dal Ministe.ro degli Affari Esteri del quale ho ora preso possesso, dopo tutti i possibili complimenti, col Generale Menabrea e i migliori procédés. Ti avrà meravigliato il cambiamento di scena pel quale Lanza entrò di nuovo

in scena come Presidente e Ministro dell'Interno. Ti narre·rò poi gli incidenti di questa faccenda. Il Ministero ha da una parte acquistato una maggiore sicurezza dei centri, una maggiore facoltà d'assorbire l'elemento piemontese, perché colla prima combinazione Sella i primi rimanevano indisciplinati, il secondo ref·rattario. Ma nella Destra il cambiamento cagionò, come era da aspettarsi, molta irritazione. Però tutti riconobbero ch'io non potevo rifiatarmi, dopo aver accettato, col consenso dei miei amici, con Lanza, poi con Sella di accettare ora che c'emno tutti e due. Io sono tranquillo perché credo che accettando ho dato prova dello spirito di conciliazione della Destra, e nello stesso tempo so chiaramente sin dove andrò e sin dove non sono disposto ad andare. Per esempio, se il Ministero volesse avere per la Presidenza un candidato che la Destra non potesse accettare, sono deliberato a dare la mia dimissione, perché non voglio separarmi dal mio partito. Ma ora si cercherà, di comune accordo, rimandare la nomina del Presidente sin dopo la proroga, vale a dir sin dopo la fine di gennaio. Sino a quell'epoca rimarrò a un albergo.

Ti scriverò domani per l'affa·re assai impor·tante della mia elezione a Tirano.

Ora ho bisogno qui del Filippo. Digli dunque che faccia una cassa delle mie cose che ho lasciato a Milano, biancheria, abiti ecc. Non dimentichi i miei biglietti di visita e i rami di biglietti che sono nel tavolo della mia camera da letto. E parta la sera stessa per Firenze dove verrà a cercarmi all'Hotel Washington. Spero che tu lo possa lasciar pa.rtire subito, perché ne ho bisogno, benché comprenda come tu debba tosto sostituirgli qualcheduno pel servizio di casa.

(l) Non pubblicato.

(2) Da AVV.

120

IL CONTE VIMERCATI A VITTORIO EMANUELE II (l)

T. Parigi, 16 dicembre 1869, ore 10,50 (per. ore 13).

Remercie Votre Majesté des renseignements (2). Prie le Roi de considérer comme dictées par le simple intérét que je lui porte, mes dépéches relativement à l'opportunité du Ministère Rattazzi (3), me refusant à en parler à l'Empereur, c'était pour éviter la communication qu'il m'a fait faire par Pietri. Il ne faut pas en vouloir à Sa Majesté Impériale, sa situation en France a bien changé, il faut qu'il compte avec la Chambre qui nous est hostile. Ici un événement semblable à Mentana pouvait se .renouveler, il ne pourrait pas s'arranger ni se limiter, il serait tout bonnement la destruction de l'unité italienne. Visconti-Venosta est mon ami, je n'aurais pas de communication avec lui. Si Votre Majesté désire que je continue à le renseigner directement. attends les ordres de Votre Majesté à ce sujet.

(l) -Da ACR. (2) -Cfr. n. 117. (3) -Cfr. nn. 112 e 116.
121

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA (l)

L. P. Firenze, 16 dicembre 1869.

Eccomi di nuovo a questo posto e senza mia colpa, ve ne assicuro, perché io ho votato sino all'ultimo pel Ministero Menabrea. Ho accettato perché mi è parso che la migliore condotta per la Destra in questa crisi fosse di non imporsi, ma di non suscitare difficoltà. Bisogna pure che io dica che quasi tutti i miei amici m'hanno consigliato ad accettare e nessuno me ne ha mosso rimprovero.

Voi capite quanto sia delicata la condizione di un uomo il quale si trova in un Ministero che non si è costituito tra le file del proprio partito. Spero che i miei colleghi da un lato, e i miei amici politici dall'altro, non vorranno rendermi questa situazione intollerabile. Con una Camera così scompigliata com'è la nostra non si possono far troppi presagi. Volendo vedere le cos'e dal lato migliore, si può dire però che il Ministero Lanza è il più efficace tentativo fatto sinora per avvicinare e riconfondere la Permanente col partito governativo e il problema finanziario rappresenta la più decisa protesta e lo sforzo il più vigoroso contro ogni idea di riduzione di rendita.

Quanto a noi, caro amico, riprenderemo le antiche abitudini, e la antica collaborazione. Voi sapete che per me il migliore incoraggiamento ad accettare il Ministero sta sempre nel poter contare sulla vostra amicizia e sui vostri consigli.

I miei saluti a Vimercati...

122

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 90. Cairo, 16 dicembre 1869 (per. il 24).

In continuazione al mio dispaccio di questa serie n. 89 (2) ho l'onore rimettere a V. E. copia della lettera del Viceré diretta al Gran Vizir per mezzo dell'Inviato Ottomano portatore del Firmano.

Mi dispiace non poter inviare all'E. V. copia del firmano stesso, ma la traduzione non è stata fatta ancora, e Nubar Pascià non vuoi darla finché non eseguita con esattezza e fedeltà.

Ancor questa mattina il Khedive mi ha ripetuto di aver accettato il Firmano soltanto per deferenza ai consigli dell'Europa e per non voler assumere la responsabilità di un conflitto del quale le conseguenze avrebbero potuto susci

tare complicazioni generali. Egli però soggiunge che l'Europa ha avuto torto e di aver ammesso il principio che il Sultano possa a capriccio annientare i privilegi accordati all'Egitto, e per avergli fatto pressione a conseguire un risultato che non assicura una sincera riconciliazione, ma invece per ottenere un accomodamento che ha irritate vive passioni, le quaU a momento voluto si manifesteranno irreconciliabili: che la condizione creata all'Egitto l'obbliga di provvedere alla propria difesa, a non subire nuovi soprusi, a prepararsi per l'avvenire, deciso a non perdere qualunque occasione non solo per riacquistare ciò che ha perduto, ma per conquistare molto di più.

Egli mi ha segretamente confidato che già si occupa seriamente a perfezionare la sua organizzazione militare. Che l'esercito attivo sarà, secondo i Firmani, di trentamila uomini; ma l'organizzazione sarà tale che ad un momento dato l'Egitto possa immediatamente disporre di tutte le sue forze: che per tale organizzazione ha ingaggiati degli ufficiali superiori americani: che non si sarebbe fidato né di francesi né di .inglesi, e che non si è deciso per italiani temendo di creare imbarazzi al R. Governo.

Questa attitudine del Viceré, nelle disposizioni in cui sono a Costantinopoli, non mancherà di suscita,re apprensioni, e potrà essere un pretesto per far nascere una nuova quistione, che ritrarrebbe complicazioni dall'irritamento degli animi ed in una parte e nell'altra.

Ho creduto fare al Viceré qualche lontana osservazione in questo senso, ma ho scorto ch'Egli s'illude su probabili e vicine compUcazioni nate altrove, e delle quali Egli potrebbe profittare. La foga delle passioni non tarderà a calmarsi, e sarà più facile allora render accetti quei consigli che suggerirò uniformandomi alle istruzioni che l'E. V. mi ha date e si benignerà darmi.

(l) -Da AVV. (2) -Non pubblicato.
123

IL MINISTRO A MADRID, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. Madrid, 16 dicembre 1869.

Mi servo della mano dell'amico marchese Stefanoni per non stancarmi la vista e per fade giungere due parole su d'una conversazione che il Ministro degli Affari Esteri tenne con me appena conobbe per telegrafo la di Lei nomina, conversazione che passo a riprodurre il più esattamente ed il più concisamente possibile.

«Montemar ricevette da Sua Maestà le assicurazioni personali le più grate per noi sulla candidatura del giovane Duca di Genova. Ma pare continuassero le esitazioni per parte della Duchessa. lo credo che i partiti che qui si oppongono a quella candidatura abbiano posto in giuoco tutti i mezzi d'intimidazione facendo giungere a Sua Altezza Reale tutti i giornali da lo,ro stipen

diati per combattere questa candidatura e non risparmiando lettere anonime di minacce. È naturale che il cuore d'una madre se ne sia commosso. Ma sarebbe conoscere male la Spagna il giudicarla dalle mene di queste frazioni di partiti. Il Duca di Genova ha per sé fin d'ora la gran maggiorità delle Cortes e ne avrà una più significante ancora dopo le prossime elezioni nei Collegi vacanti. Ho scritto a Montemar di dire confidenzialmente al Ministro in Firenze che la riuscita è sicura tanto adesso come dopo le nuove elezioni, e che la questione consiste nel decidere se sia migliore consiglio procedere fin d'ora alla nomina del nuovo Sovrano tagliando il cammino a nuovi intrighi

o aspettare nuove elezioni per assicurare al candidato un numero maggiore di voti. Ciò di cui posso assicurarvi si è che la nazione Spagnola riceverebbe il nuovo Principe con entusiasmo e lo circonderebbe della sua affezione. Vi prego di riferire questa mia conversazione al nuovo Ministro».

Fin qui la conversazione del Signor Martos che mi tenne domenica scorsa 12 andante in casa del Generale Prim ed io mi limito a riportarla confidenzialmente alla S. V. carissima per quel conto che crederà farne.

(l) Da ACS, Carte Visconti Venosta.

124

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 500. Berlino, 17 dicembre 1869 (per. il 20).

A l'occasion du centenaire du premier ordre Russe, l'Empereur Alexandre a conféré le Grand Cordon de St. Georges au Roi Guillaume, qui de son còté a fait l'emettre à S. M. Impériale la Croix pour le Mérite.

s. M. Prussienne avait tous les titres pour recevoir une pareille distinction. Il est méme, de premier abord, assez surprenant que la Cour de Russie ne s'y soit décidée, que plus de trois ans après la bataille de Sadowa. Le retard s'explique parce que, en 1866, le Cabinet de Pétersbourg prenait avec assez de mauvaise gràce son parti des agrandissements territoriaux et maritimes de la Prusse. Depuis lors, les rapports se sont sensiblement améliorés. La Russie, ne pouvant plus dominer son voisin, a compris qu'elle avait un intérèt considérable à le ménager et à vivre avec lui dans les meilleurs termes. D'ailleurs, indépendamment des liens de famille, des traditions, les tendances de l'Empereur Alexandre le portaient naturellement vers une puissance dont l'amitié, sinon l'alliance, était une garantie de plus contre les velléités de l'Occident, de contrecarrer sa politique en Orient et dans le Royaume de Pologne. Il s'assurait en mème temps une certaine indulgence dans son oeuvre de russification des éléments allemands dans les Provinces baltiques. Je ne parle pas des convenances de la Prusse à user à son tour, dans une juste mesure, de bons procédés vis-à-vis de la Russie. Les raisons en sont évidentes, tant qu'on ne renoncera pas, de l'autre còté du Rhin, à des prétentions inconciliables avec le développement national de l'Allemagne. Bref, le maintien

d'excellentes relations entre les deux pays, était redevenu, à Pétersbourg surtout, un point essentiel du programme du Cabinet impérial.

A Paris, des journaux plus ou moins autorisés ont évidemment méconnu le véritable état des choses, quand ils ont voulu donner, à la nomination du Général Fleury, une signification exagérée, comme s'il s'agissait de préparer, entre la France et la Russie, une alliance dirigée contre la Prusse.

D'un autre còté, le vieux parti moscovite semblait s'agiter dans un sens qui correspondait trop aux désirs des Princes dépossédés, nommément du Roi de Hanòvre, pour ne pas déplaire à Berlin. En outre, les appréhensions du Prince Gortchakoff sur les menées révolutionnaires et socialistes, appréhensions que j'ai signalées dans ma dépéche n. 480 (1), ont peut-étre fait croire à la nécessité de donner un avertissement indirect à ceux qui cherchent à troubler la tranquillité générale.

L'échange de décorations parait une réponse à ces commentaires et à ces sourdes manoeuvres, qui reposaient plus ou moins sur une disunion entre les deux Cours du Nord.

Il est seulement permis de se demander si le but n'a pas été peut-étre dépassé, par la publication des télégrammes que les Souverains se sont adressés en cette circonstance, télégrammes qui rappellent à la mémoire de la France des souvenirs qu'il aurait mieux valu passer sous silence. D'ailleurs, si on consulte un passé assez récent, on remarque que, lorsque les Cours du Nord font mine de serrer leurs rangs, le méme mouvement se produit entre la France et l'Angleterre.

Tel est le jugement que j'ai entendu énoncer, par des personnes ordtnairement assez impartiales. Mais je m'empresse d'ajouter que, dans les régions du Ministère, on assure que, si la presse française témoignait de quelque susceptibilité, il n'en serait pas de méme dans les cercles officiels à Paris, où l'on sait parfaitement à quoi s'en tenir sur la vraie signification d'un fait, auquel il ne faut pas ajouter plus d'importance qu'il n'en comporte.

En effet, le Comte de Bismarck se montre de plus en plus rassuré sur le maintien de la paix; et certes il est trop perspicace, pour se laisser entrainer en dehors des voies qui ne seraient pas tracées par les seuls intéréts de son pays, qu'il doit prémunir de tout conflit, de tout danger pouvant compromettre l'oeuvre si brillamment inaugurée en 1866.

Quoi qu'il en soit, la démonstration de l'Empereur Alexandre et le toast porté à Berlin par son représentant ont été d'autant plus remarqués, que l'attitude de la Prusse dans ces derniers temps, dans la question orientale, en Roumanie, en Grèce, et récemment en Egypte, n'a pas été certainement défavorable aux Puissances Occidentales. Or, à ce point de vue, la démonstration si flatteuse de la Cour Impériale n'aurait-elle pas été aussi un calcul adroit, pour se ménager éventuellement les suffrages de S. M. Prussienne, quand de nouvelles difficultés se produiraient en Orient, cette grande fourmilière de complications pour la diplomatie? Si le différend entre la Porte et le Khédive est momentanément apaisé, il ne manque pas d'autres questions,

pour ne citer que celle de la Dalrnatie, en connexité avec le Monténégro, qul pourraient susciter une crise, si l'Autriche ne se hatait pas d'y parer d'une manière équitable, et à la fois plus habile que jusqu'ici. Si elle a la prétention de mettre 800 mila hommes sur pied, à la façon dont elle vient de conduire son expédition dans cette province, il faut bien avouer que son organisation militaire est aussi, et meme plus defectueuse, qu'en 1866. Ce fait a été beaucoup remarqué ici, et n'a pas contribué ce,rtes à relever le prestige de cette puissance, pas plus que le télégramme du Tsar à l'Empereur François-Joseph, où il est parlé des souvenirs ineffaçables de 1849, quand la Hongrie a été reconquise par une Armée Russe.

Si d'une part, l'impuissance actuelle de l'Autriche, aussi bien que les embarras intérieurs de la France, ne font pas prévoir de sitot une guerre européenne; d'autre part, ce serait se livrer à une forte illusion, que de supposer qu'on parviendra à séparer la Russte de la Prusse, du vivant au moins de l'un ou de l'autre des deux Souve~·ains qui président à la destinée de ces Etats. L'amitié qui les unit ne subirait une difficile épreuve, que lors d'un changement de règne. Le Césarevitch, jusqu'ici du moins, ne se montre rien moins que sympathique à l'Allemagne, et, quant au Prince Royal de Prusse, quelle que soit sa déférence pour son Auguste Père, ayant été élevé à une école plus moderne, il ne saurait se laisser influencer au meme degré par d'anciens rapports de famme et par des souvenirs d'une autre époque.

P.S. Ci-joint une lettre particulière pour V. E. (1).

(l) Cfr. n. 35.

125

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (2)

L. P. Berlino, 17 dicembre 1869.

Après une bien longue attente nous avons eu la satisfaction d'apprendre

que nous nous retrouvions sous vos ordres. Les regrets que je vous exprimais

il y a quelques années lorsque vous avez cru devoir vous retirer du Ministère,

vous disent assez combien je me félicite pour le pays de votre rentrée aux

affaires. C'est avec un sentiment de reconnaissance que je me rappelle votre

bienveiHance, et l'aimable visite que vous m'avez faite l'été dernier à Florence.

Je n'oublierai jamais non plus que ce fut sur votre proposition que je suis

revenu à Berlin en 1867.

Il me semble superflu de vous faire des protestations d'un zèle et d'un

dévouement qui vous sont acquis. Tout ce que je désire, c'est de pouvoir

contribuer au bien de notre Dynastie et de notre pays dont la politique étran

gère, je persiste à en etre convaincu, doit avoir pour but de vivre en bons

termes avec toutes Ies Puissances, mais surtout avec celles qui, le cas échéant, nous serviraient d'un utile contrepoids contre les prétentions de nos voisins. L'avenir me parait étre pour l'Allemagne, et nous devons autant que notre dignité et notre indépendance nous le permettent, nous rattacher à la Puissance qui personnifie ces intéréts, en qui ne saurait étre jalouse ni de notre unité, ni du développement de notre programme national.

On se montre très content ici de la composition de notre Cabinet. Votre nom entre autres est des mieux notés.

Je ne vous demande rien, sauf le maintien du status quo pour le personnel de cette Légation et pour moi également si vous estimez que je ne suis pas audessous de ma tache. Mais je vous recommande particulièrement le Chevalier Tosi qui a su se faire à Berlin une position qu'aucun autre Secrétaire de Légation n'a eu aussi bonne, telle est la confiance qu'il a su inspirer à tout le monde. Le premier avancement au mérité qui se fera dans notre carrière lui est bien dù, et j'ai tout lieu de croire que le Comte Menabrea toujours si bienveillant à mon égard, n'attendait qu'une occasion pour déférer à ma requéte. Je dois aussi faire une mention des plus honorables de M. Tugini qui montre le plus grand zèle et qui s'acquitte de sa tache à mon entière satisfaction.

II mérite aussi d'étre compris dans Ies premières promotions.

(l) -Cfr. n. 125. (2) -Da ACS, Carte Visconti Venosta.
126

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA {l)

L. P. Novara, 17 dicembre 1869.

Le chieggo il permesso di rivolgerle poche righe in modo privato all'imminenza del mio ritorno a Londra. Dopo che lasciai Firenze per recarmi a Londra una forte tosse e la febbre mi tennero per più giorni a Ietto; avendone informato tosto il signor Conte Menabrea egli consentì che differissi la mia partenza di quel tanto che fosse necessario per mettermi in grado di fare un lungo viaggio. Penso che fra tre giorni sarò in grado di intraprendere il mio viaggio passando pel Brennero; ma non voglio partire senza prevenirla in prima, pel caso che ella avesse ordini particolari a darmi per Londra, e desiderasse che io mi recassi di nuovo a Firenze, sul che attenderò un suo cenno. Non ricevendo nulla in contrario io partirei di qui lunedì prossimo alla mattina (20 corrente).

Penso che possa esserle di qualche utilità il conoscere quaU siano state

fin qui le mie relazioni a Londra con S. A. il Duca di Genova a riguardo

dell'affare delicato della candidatura al Trono di Spagna, e ciò in dipendenza

delle istruzioni che io aveva ricevute dal Ministero. Credo di non poter meglio

soddisfare a ciò, che mandandole da Londra, tostoché vi sarò giunto, copia della parca corrispondenza particolare, che io ebbi su questo soggetto col signor Conte Menabrea (1). Posso però dirle fin d'ora, che, secondo le predette istruzioni il sistema seguito fu quello di una compiuta astensione per parte mia da ogni ingerenza, ed influenza in qualunque senso.

Non posso chiudere questa mia lettera privata senza manifestarle il vivissimo senso di piacere che mi ha fatto la costituzione del Ministero, ed il modo con cui fu costituito, il quale a mio avviso, fu veramente il migliore possibile, ed H più possibilmente parlamentare. Ella accettando il portafoglio ha fatto cosa di cui tutti i galantuomini le debbono saper grado. Io non posso dirle di più; ma le accerto, che come uomo politico che non vide, e non sentì mai altro che l'Italia, ne sono proprio contento, e che dopo lo sconforto, e Ie pene degli ultimi giorni, parto per Londra con la speranza rinata.

(l) Da AVV.

127

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1974. Parigi, 18 dicembre 1869, ore ... (per. ore 16,15).

La crise ministérielle en France approche. Il est probable qu'elle se réalise aussitòt après la vérification des pouvoirs. Le nouveau Gabinet sera pris, selon toute probabilité, dans le parti qui est personnifié par Ollivier avec l'addition de quelques membres du Cabine,t actuel, tels que ChasseloupLaubat, les titulairs de la guerre et de la marine et, peut-ètre, Magne.

La prolongation de la crise mini:stérielle en Italie avait excité ici quelques inquiétudes, mais l'annonce de la nouvelle administration a été accueillie favorablement et l'Empereur en a parlé dans des termes tout-à fait satisfaisants.

128

IL MINISTRO A MADRID, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1975. Madrid, 19 dicembre 1869, ore 12,25 (per. ore 14,50).

Général Prim a répété hier aux Cortes que le due de Gènes compte sur quatre cinquièmes des voix, si on exclut républicains et légitimistes, et que bientòt l'Espagne aura son Roi, car rien ne s'y oppose.

(l) Cfr. serie I, vol. XI, n. 599 e qui n. 7.

129

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA (l)

L. P. Firenze, 19 dicembre 1869.

Quando ricevetti il suo gratissimo foglio (2) avevo sul tavolo una lettera che Le scrivevo supponendola a Londra, per dirrle di quanto incoraggiamento mi fosse, nell'assumere le mie funzioni, H poter contare sulla sua benevolenza e sugli autorevoli suoi consigli. La ringrazio delle parole amichevoli ch'Ella mi dirige colla sua usata cortesia e sento il vantaggio che verrà a questo dicastero dall'avere in un centro cosi importante com'è Londra un uomo che all'autorità degli em~nenti servigi resi al paese, unisce una così profonda esperienza degli affari, una così sicura conoscenza degli interessi e delle condizioni della politica italiana. Innanzi tutto la prego perché, nello scegliere l'epoca del suo ritorno a Londra, Ella vogJia consultare non tanto il suo zelo quanto le esigenze della sua salute. È questa un'epoca di bonaccia politica e s'Ella crede prudente di prolungare d'alquanto il suo congedo non ha che a farmene un cenno. Non v'è ora del resto alcuna ragione perché, prima di partire per l'Inghilterra, EUa faccia l'incommodo viaggio di Firenze. Le sarò g,rato s'Ella vorrà inviarmi copia della sua corrispondenza privata sull'affare della candidatura del Duca di Genova al trono di Spagna. La leggerò col più vivo interesse. Le farò un'altra preghiera. Desidererei che ella mi scrivesse il suo avviso su questa quistione sulla qua'le Ella avrà già portato il suo pensiero.

Avrò più d'una volta occasione di scriver le quand'Ella si troverà a Londra. Le relazioni tra il governo tinglese e l'italiano sono ottime e non occorre si dica che il mio desiderio sarebbe di render1e ancora più intime e cordiali, se fosse possibile. La politica inglese e l'italiana non si trovano in conflitto in a;lcuna questione, anzi hanno gli interessi comuni d'una politica di pace, di ,equilibrio, di non intervento.

Certo l'Italia non può e non deve disinteressarsi nelle grandi questioni politiche d'Europa e più d'un precedente ha già stabilito la convenienza del nostro concorso quando i principali governi europei sono chiamati ad occuparsi d'un comune accordo delle controversie che implicano un interesse generale. Ma questa parte legittima di concorso e di influenza il governo italiano intende esercitallla per unire i suoi sforzi a quelli degli altri governi che desiderano di prevenire o di appianare ogni complicazione perturbatrice della pace generale. Le nostre condizioni interne la nostra situazione finanziaria e gli interessi permanenti della nostra politica ci tracciano questa condotta.

(l) -Da AVV. (2) -Cfr. n. 126.
130

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1019. Parigi, 19 dicembre 1869 (per. il 21).

Al momento in cui l'E. V. è chiamata a dirigere il R. Ministero degli affari esteri, stimo utile lo esporle succintamente le condizioni della politica dei Governo francese, sia all'interno che all'estero.

Nell'anno che sta per finire è successo in Francia, negli ordini politici, H più grave cambiamento che abbia avuto luogo dopo lo stabilimento dell'Impero, cosicché il nuovo anno comincierà sotto auspici affatto diversi e del tutto nuovi. Al Governo personale è succcduto un Governo che se non è ancora intieramente parlamentare, lo è nelle sue principali condizioni e non tarderà ad esserlo interamente. Alle tendenze piuttosto bellicose d'un anno fa, sottentrarono tendenze decisamente pacifiche. Al regime severo e restrittivo della stampa successe tale una libertà di fatto che degenera in vera licenza. Non giova il ricordare per qual se.rie di fatti e di cause il presente cambiamento siasi prodotto. Né sarebbe più utile il ricercare se esso sia stato fatto con maggiore o minore spontaneità per parte della Corona, con maggiore o minore rimpianto delle condizioni passa.te. Il fatto è che il cambiamento esiste, ch'esso è radicale, e, credo, irrevocabHe. Tutto porta a credere del resto che la Corona ne pigliò il suo partito coraggiosamente e risolutamente. Né, a dir vero, eravi altra via a seguire.

DaJ momento che il Governo imperiale adottò gli ordini parlamentari, era naturale e conseguente cosa che la Corona componesse un Ministero i cui principali membri uscissero dal seno stesso della Camera elettiva. Difatti la intenzione della Corona è di formare bentosto una simHe amministrazione. Ma le difficoltà sono molte, né potrebbe essere altrimenti. Alle difficoltà, inevitabili, sempre, che si riferiscono alle persone, si aggiungono qui le difficoltà inerenti alla situazione insolita e nuova. Dall'un lato è impossibile e sarebbe ingiusto il pretendere che la Corona possa assumere da un giorno all'altro le abitudini, il linguaggio, il modo di procedere assolutamente e correttamente eguali a quelli che per lunga esperienza sono usati dai Capi di Governi costituzionali. D'altro lato la stessa Camera elettiva ha qualche cosa d'impacciato nei suoi movimenti. Essa si risente della strana condizione di cose per cui, eletta sotto il regime personale, si trova chiamata ad agire sotto il regime parlamentare. I partiti sono, per dir così, in istato di formazione. Quindi ad ogni istante incoerenze ed incertezza, ed una grande mobilità. Devo però constatare che questo stato di cose in seno al Corpo legislativo va di giorno in giorno modificandosi. Fra breve i vari partiti si determineranno e si fisseranno in modo più distinto e preciso. Un gran passo è di già fatto coll'aggruppamento che si fece intorno ad Emilio Ollivier d'un partito moderato, formato in parte dell'antica maggioranza, e in parte di nuovi elementi del centro che prima era di sinistra ed ora è diventato di destra, partito che non tarderà a divenire Ja vera maggioranza deUa Camera. In conseguenza è probabile e sembra anzi oramai cosa decisa nel pensiero dell'Imperatore Napoleone, che appena terminata la verifica dei poteri, al Ministero presente sarà sostituito un Ministero che sarà personificato nel signor Ollivier a cui sarebbe affidato il portafoglio dell'Interno e che sarebbe il Capo morale del Gabinetto, giacché finora e secondo la nuova Costituzione non vi sarebbe Presidente del Consiglio. In questa combinazione rimarrebbero, a quanto pare, alcuni membri del Gabinetto attuale. Si citano fra questi il Marchese di Chasseloup-Laubat, i titolari dei dipartimenti di guerra e marina, e forse il signor Magne.

Sarebbe inopportuno lo esaminare fin d'ora se una tale combinazione abbia

o no elementi di lunga esistenza. Questo è ce.r·to però ch'essa è nello stato presente quella che oUre minori ostacoU presso la Corona e presso la Camera, e sembra quindi la più atta ad inaugurare in Francia Ja serie dei Ministeri parlamentari. E' più utile il ricercare quali sieno per essere le tendenze di questa futura amministrazione, quale per dir così il suo programma. Ma questo programma fu già esposto pubblicamente, ed io ebbi cura di renderne conto al R. Ministero col mio dispaccio del 9 corrente, n. 1012 pol. (l) al quale pertanto mi riferisco. Aggiungerò soltanto a questo proposito alcune osservazioni.

Nelle questioni di libertà interne e in quella delle franchigie costituzionali, il programma del signor Ollivier è risolutamente liberale. Anche nelle questioni che si riferiscono al libero scambio e ai trattati commerciali, il signor OHiv.ier è personalmente favorevole al mantenimento dei trattati, e credo che abbia con sé la maggioranza della Camera. Nelle questioni estere il partito di cui parlo pone per base della sua politica il mante·nimento deHa pace. Il sentimento dell'intero paese è concorde del resto in questa tendenza, e sarà questo il fatto capitale della futura politica estera della Francia. Quando si parla di questa questione, bisogna, bene inteso, tener conto degli accidenti previsti. E' chiaro che se si sollevasse repentinamente qualche grossa questione in Europa, questo programma potrebbe essere modificato. Ma nulla per ora fa prevedere la possibilità d'una simile eventualità. La sola questione che potrebbe presentare qualche probabilità di complicazioni future è quella dei torbidi delle Bocche di Cattaro. Se l'Austria fosse spinta ad occupare il Montenegro, se le popo:lazioni serbe della Turchia facessero causa comune cogli insorti della Dalmazia, la questione potrebbe pigliar subito proporzioni enormi e minacciose. Ma ciò, pe.r tutto l'inverno almeno, non si prevede. L'eccitazione che s'ea:a manifestata in Francia contro la Prussia va via via calmandosi g.randemente, e non è estranea a questo risultato la condotta piena di prudenza tenuta dal Gabinetto di Berlino in questi ultimi tempi.

Rimane la questione della guarnigione francese a Civitavecchia. E qui ho il rammarico di dover dire all'E. V. che i cambiamenti avvenuti nella costituzione dell'Impero francese non hanno migliorato, se pure non hanno peggiorato lo stato della questione. Oramai il rritiro del:le truppe francesi, come ogni altro grave fatto di politica interna od estera, dipende in g.ran parte dall'arbitrio della Camera elettiva. Ora le tendenze della Camera attuale sono piuttosto nel senso del mantenimento della guarnigione. Non soltanto l'antica destra è di questo avviso, ma

12 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. XII

anche il così detto centro sinistro, che si è staccato dal programma del signor Ollivier. Lo stesso capo della futura maggioranza, lo stesso Ollivier ha espresso l'avviso che ,le truppe francesi non debbano richiamarsi nn dopo il Concilio. Ma egli ammette che il ritiro debba effettua,rsi subito dopo, e la Corona sembra dividere quest'intenzione.

Tale, per quanto io possa giudicare, è lo stato presente delle cose in Francia. Pericoli imminenti non ci sono, né di turbamento della pace aU'estero, né di torbidi all'interno. Ma le difficoltà interne sono molte e gravi. Per superarle c'è bisogno di molta moderazione e di molto senno nella Gamera elettiva, ed occorre nella Corona molta previdenza e sopratutto tale una condotta che ingeneri e nella Camera e nel paese la fiducia e la convinzione nel largo e sincero esercizio delle franchigie costituzionali.

La prolungazione della crisi ministeriale in Italia aveva prodotto in Francia qualche inquietudine. Ma l'annunzio della formazione del nuovo Gabinetto vi fu accolto con soddisfazione. Il Ministro imperiale degli affari esteri e lo stesso Imperatore mi parlarono della composizione deHa nuova nostra amministrazione nel senso più favorevole. L'E. V. avrà rilevato l'espressione di questa medesima impressione nel linguaggio tenuto in proposito dalla stampa francese in generale.

(l) Non pubblicato.

131

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. Parigi, 19 dicembre 1869.

Anzi tutto permettetemi che vi dia il benvenuto alla direzione del nostro Ministero. Veramente dopo le lungaggini e le incertezze che accompagnarono la crisi ministeria1e in Ita:lia, io cominciava a perdere ogni speranza che si giungesse a compoTre un Gabinetto serio e buono. Il risultato finale ha superato ogni mia speranza ed ogni speranza dei nostri amici di qui. Posso dirvi sinceramente che qui la nomina vostra e quella dei vostri colleghi fu accolta dal Governo e fuori del Governo col più gran favore. Non dubito che la Borsa, questo giusto ed ineso,rabHe termometro politico, andrà indicando ogni giorno più questa medesima impressione.

Vi scrivo d'ufficio sullo stato delle cose in Francia (2). Non ho da aggiungere

al mio dispaccio se non che la nota in cifra che troverete qui unita.

Vi prego di decifrarla voi stesso, senz'aiuto di nessun segretario, e ne con

fido il contenuto alla vostra discretezza.

Aspetto le vostre istruzioni...

ALLEGATO

NIGRA A VISCONTI VENOSTA (l)

~ESSO CIFRATO.

Pendant la crise ministérielle après l'appel infructueux du général Cialdini le Roi avait chargé Vimercati de faire savoir à l'Empereur que n'ayant pas réussi à former la combinaison Lanza ni celle de Cialdini peut-étre il aurait été forcé de recourir à Rattazzi à propos duquel le Roi donnait des assurances. L'Empereur a fait répondre au Roi que si Rattazzi venait au pouvoir il aurait de suite renforcé la garnison de Civitavecchia et envoyé de nouvelles troupes à Rome (2).

(l) -Da AVV. (2) -Cr. n. 130.
132

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1976. Pietroburgo, 20 dicembre 1869, ore 19 (per. ore 1,35 del 21).

Gortchakoff m'a dit hier que le nouveau ministre à Florence serait bientòt nommé après avoir consulté agrément du Roi, mais il n'a pas dit le nom du titulaire. On parle entre autres du p,rince Wolkonsky. Je crois de mon devoir prévenir V. E. princesse Wolkonsky ètre en correspondance active avec 'le palais Farnese et connue pour ses démonstrations inconvenantes à Madrid contre la reconnaissance du Royaume d'Italie. Détails pa,r poste si ce cas se confirme.

133

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1977. Pietroburgo, 21 dicembre 1869, ore 21 (per. ore 1,30 del 22).

Le prince Gortchakoff vient de m'écrire que le choix de l'Empereur s'est en dernier lieu porté sur le baron Uxkull, chargé d'affaires à Vienne, comme ministre à Florence. Cette nomination ne peut qu'étre favorable aux bons rapports entre les deux Gouvernements.

(l) -L'allegato è edito in MoRI, p. 593. (2) -Cfr. nn. 110, 112, 114 e 116.
134

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. x. Vienna, 22 dicembre 1869.

Iersera S. E. l'Ambasciatore di Francia mi annunziò confidenzialmente che erano giunte cattive notizie da Roma. Il Conte di Trautmannsdorff, aveva a quanto pare male interpretato le parole di Sua Santità allorquando annunziava al Gabinetto di Vienna che Pio IX non avrebbe insistito perché fosse proclamato quale dogma l'infallibilità del Papa.

Egli al contra.rio vuole assolutamente che questo fatto si compia sostenendo che è oppo·rtuno e necessario che in mezzo alle dolorose vicende che assalgono la Chiesa questa questione sia sciolta favorevolmente alla Santa Sede. Egli dichiarò che personalmente credeva alla propria infallibilità. I Vescovi francesi sono molto turbati da questa attitudine della Curia Romana che per bocca del Pontefice rivendica inesorabilmente il proprio primato. Monsignor Dupanloup non si reca più al Concilio ed il Cardinale Mathieu è partito.

I Vescovi inglesi vincono in fanatismo i vescovi italiani.

Ho creduto fosse opportuno avvisare V. E. di questa circostanza benché Ella forse avrà già d'altra parte ricevuto più ampie informazioni in questo proposito.

135

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 502. Berlino, 23 dicembre 1869 (per. il 28).

Selon les usages diplomatiques, j'ai annoncé verbalement au Ministère des Affaires Etrangères de Prusse la constitution de notre nouveau Cabinet. Je me suis prévalu à cet effet des indications contenues dans la Gazette Officielle et dans le compte-rendu des travaux du Parlement.

En l'absence du Comte de Bismarck, et de M. de Thile, qu'un deuil de f'lmille tient depuis quelques jours éloigné des affaires, j'ai fait hier cette communication à M. le Conseiller Intime Abeken, chargé de remplace'r intérimairement le Sous Secrétaire d'Etat.

Il m'a exprimé les meilleurs voeux de son Gouvernement pour une administration composée d'hommes d'Etat aussi avantageusement notés par leur~ antécédents. On ne doute pas que Ies rapports de l'Italie avec la Prusse continueront, comme pa·r le passé, à ètre empreints de cette mème bienveillance dont on est sincèrement animé ici à notre égard, et qui répond si bien aux intérèts réciproques des deux Pays. Quant à V. E. en particulier, son nom était favorablement connu. M. Abeken, ajoutait qu'au reste le fait à lui seul de mon retour dans cette capitale en 1867, quand V. E. occupait la mème

position qu'aujourd'hui, avait été déjà un gage de ses intentions amicales pour le Oabinet de Berlin. Je ne cite cette appréciation que pour prouver à V. E. qu'aucun de ses actes n'a passé ici inaperçu.

J'ai dit à mon tour que j'étais certain de mériter les suffrages de mon Gouvernement en m'appliquant toujours à entretenir les meilleures relations avec la Prusse, et en travaillant, conformément aux vues de notre Ministère, à soutenir une poli:tique essentiellement pacifique, plus que jamais nécessaire aux conditions générales de l'Europe. Heureusement que sous ce rapport, ainsi que 1e constatait notre Président du ConseH dans son discours à .la Chambre « nous avions la satisfaction d'etre assurés, presque assurés, que la paix, ne se.rait pas troublé·e en Europe ».

M. Abeken, croyait savoir que le Comte de Bismarck partageait la meme assurance et ne voyait pour le moment aucun point noir à l'horizon. Les inventeurs de nouvelles, comme celle entièrement controuvée, publiée récemment sur une proposition française d'un désarmement, ne parvenaient pas à dérouter l'opinion publique dont les tendances s'accentuent de plus en plus contre tout conflit où ,la dignité et l'i:ndépendance de l'Etat ne seraient pas sérieusement engagées.

Je dois mentionner en outre que le journal officieux, la Nord Deutsche Allegemeine Zeitung, dans une correspondance datée de Florence, mais évidemment rédigée à Berlin, s'exprime ainsi sur V. E. «Le nom du Ministre des Affaires Etrangères est une garantie que la politique du nouveau Cabinet ne sera pas téméraire, mais qu'elle se ·tiendra dans la voie de la prudence et de la modération, politique à laquelle l'Italie est déjà redevable de maints succès ».

Dans la méme correspondance je lis aussi des jugements favorables sur LL. EE. MM. les Commandeurs Lanza et Sella, et sur ·le Général Govone dont on se rappelle la présence ici en 1866.

Il y a eu toutefois une part de regrets pour S. E. le Comte Menabrea parmi les expressions obligeantes que je suis heureux de rapporter dans cette dépeche.

136

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. Parigi, 23 dicembre 1869.

Vi ringrazio della vostra buona lettera (2) che mi fece il più vivo piacere. Non ho bisogno di dirvi che, per quanto valgo, potete contare sopra di me nel modo il più assoluto. Credo che avete fatto opera savia e patriottica accettando d'entrare nella combinazione Lanza-SeUa. Il vostro nome è una guarentigia

{l) Da AVV.

grande all'interno ed all'estero; e tale è il giudizio che se ne porta qui. La Tour d'Auvergne prima, e ·l'Imperatore poi, si espressero meco favorevolissimamente intorno alla composizione del nostro Ministero in generale, e specialmente intorno al titolare degli Affari Esteri. Spero che voi e i colleghi vostri, troverete nella Camera, comunque scompigliata, una maggioranza sicura come san certo dell'appoggio morale che troverete all'estero.

Qui la crisi s'avvicina, e da quanto mi disse oggi lo stesso La Tour d'Auvergne, essa deve prodursi prima che spiri ranno. È probabile che il portafoglio dell'Estero sarà dato a Chasseloup-Laubat. Personalmente questo personaggio non ha una significazione politica ben definita, specialmente per le questioni estere; ma ne ·riceve una dal patrocinio, apertamente accordatogli, del Principe Napoleone.

Vimercati vi ringrazia del saluto che gli avete mandato per mio mezzo e vi scriverà.

P. S. Dite a Sella che ho veduto in questi giorni i Rothschild di Parigi e che questi Signori mi hanno pregato di fargli sapere che esso può contare sopra il loro appoggio finanziario in ogni circostanza, e ciò indipendentemente da ogni idea di operazioni da farsi o da non farsi con loro (1).

(2) Cfr. n. 121.

137

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA (2)

L. P. Firenze, 28 dicembre 1869.

Vi ringrazio delle vostre buone lettere e del vostro rapporto sulla condizione delle cose politiche in Francia (3), che ho letto col più vivo interesse. Voi m'informate, in questo rapporto, della influenza che la nuova esigenza del regime parlamentare ese,rciterà sulla questione della presenza delle truppe francesi a Civitavecchia e desidero esporvi, in una lettera particolare e senz'altro ritardo, .l'impressione prodotta in me da quanto mi riferite.

Vi confesso che una delle principali cagioni che m'indussero ad accettare il portafogli degli Affari Esteri, anzi la principale fu la speranza di potere, in un non troppo lontano termine, condurre a fine questa quistione, portando sulle trattative querHe tendenze che sono anche le vostre e colle quali abbiamo

«La composizione del nuovo Gabinetto è stata accolta favorevolmente, e Sir Augustus Paget nelle sue comunicazioni al Governo della Regina ha rappresentato sotto colori propizi! la posizione che saprà assumere l'Amministrazione di cui ella, Signor Cavaliere, fa parte. La presenza di un personaggio della di lei abilità ed esperienza al Ministero degli esteri piacque particolarmente a Lord Clarendon, e graditissimo tornò al signor Gladstone l'annuncio delle economie che formano la base del programma del signor Lanza.

In Inghilterra non si ha il menomo dubbio sul successo che avrà la nostra politica estera, in molti rispetti cosi difficile e delicata, tanto che il suo indirizzo rimarrà affidato alla s. v.».

di comune accordo negli anni passati condotto i negoziati relativi agli affari di Roma. Speravo di pote·re, in un non troppo lontano termine, ottenere che le truppe francesi abbandonassero il territorio pontificio e che si rientrasse, da tutte le parti, nel diritto comune.

Supponevo che, nel Corpo legislativo, le disposizioni non fossero troppo favorevoli, ma mi rassicurava molto, d'altra pa.rte, la pe.rsonalità politica del signor Ollivier, incaricato d'inaugurare in Francia il regime liberale e parlamentare e di cui sono note le simpatie per l'Italia e le idee larghe e elevate sulla questione di Roma.

Voi sapete qual è, per quanto riguarda l'occupazione francese di Civitavecchia, la situazione che ho trovato entrando al Ministero. Questa situazione ha certo i suoi vantaggi morali.

Noi abbiamo tenuti, e largamente tenuti, i nostri impegni. Le condizioni che la Francia stessa indicava, per bocca dello stesso Imperatore e per bocca di M. de Moustier e di M. de La Valette e nei documenti diplomatici, come quelle ·Che dovevano determinare l'opportunità di povre termine al secondo intervento francese, queste condizioni si sono, da molto tempo e in modo innegabile, verificate. Il riparto del debito pontificio è fatto, colle condizioni più larghe fatte alla Santa Sede, e noi ce ne siamo assunto l'onere per dichiarazione e per voto del Parlamento, non solo come un impegno contrattuale colla Francia, ma facendone innanzi tutto una questione di equità e di fede pubblica. L'ordine il più perfetto ·regna in Italia. Sono pochi i paesi in Europa dove sia meno a temersi di moti rivoluzionail"i, il Governo è perfettamente padrone della situazione, e nulla può far supporre che neppure sorga il tentativo di qualche iniziativa extralegale al di fuori dell'azione governativa. La migliore prova di questo cl'ha data il paese col suo contegno durante la lunga c·risi ministeriale dalla quale siamo usciti. Fossò anche aggiungere che, al pari del Ministero Menabrea, gli uomini che compongono il Ministero Lanza offrono la sicura guarentigia d'una politica d'ordine e di moderazione.

Noi dunque siamo in regola e questa situazione, come dicevo, ha i suoi gran vantaggi morali. Rimane aila Francia, la quale ha dichiarato che gl'impegni indicati nella Convenzione, sussistevano sempre, a vede,re ciò che questi impegni le consigliano, ciò che le consiglia un sentimento di reciproca giustizia e una politica amichevole verso l'ItaHa.

Ora voi mi scrivete che il signor Ollivier, pure ammettendo che l'occupazione debba avere un termine, però fissa già fin da ora questo termine a un'epoca posterwre alla chiusura del Concilio.

Vi confesso che una simHe dichiarazione ci cagiona una penosa inquietudine. Dapprima il Governo francese aveva ammesso l'opportunità della partenza delle truppe dichiarando, almeno confidenzialmente, di voler attendere le elezioni, queste compiute si credette aspettare l'atteggiarsi del Corpo legislativo, inaugurato il nuovo sistema costituzionale si rimanda l'epoca alla fine del Concilio. Non dirò solo che la durata del Concilio si prolungherà per abbastanza tratto di tempo e che il nuovo termine indicato significa un rinvio a otto o dieci mesi. Ma io temo altresì che la politica francese crei, pel tal modo, a se stessa dei successivi impegni per la forza degU avvenimenti che si vanno succedendo a scapito della sua libertà di azione. Chi può esattamente misurare quale potrà essere dopo il Concilio la situazione morale della Corte Romana e se la Francia non sarà a~lora trattenuta dal timore di poter reagire, col ritiro delle truppe, contro fe deliberazioni del Concilio?

Io non credo opportuno, e del resto attendo il vostro •avviso in proposito, di prendere ora una iniziativa ufficiale, di incom~ncia.re una trattativa per la partenza delle truppe francesi, poiché, nello stato dei nostri rapporti con la Flrancia, simili trattative giova avviarle ufficia.lmente, quando si è già dapprima sicuri del risultato. Ma ciò che desidero vivamente, e se credete utile, ditelo pure, ciò che desidero è che il signor Ollivier, se è condotto a parlare degli affari di Roma dinnanzi al Corpo legislativo, presentando il suo programma, non leghi, a priori, la sua politica fissando allo sgombro di Civitavecchia una data postedore alla chiusura del Concilio.

Non chiederei di più. Nel caso che si parlasse di Roma, ci basterebbe per ora che si dichiarasse, cosa del resto conforme anche alle dichiamzioni antecedenti, che nella mente del Governo francese è ammesso n principio che l'occupazione debba avere un termine e non si prendessero degli impegni per rimant:lrure questo termine a un'epoca fissa e lontana nena quale si potrebbe trovare ':ln ostacolo in altre e impreviste considerazioni di opportunità. Comprendo, in tutto il loro giusto valore, i riguardi che dominano •la politica francese in questa grave questione. Comprendo come la politica imperiale voglia evitare l'apparenza di servirsi del rit~ro o de.Ua minaccia del ritiro delle truppe come di un mezzo sia di pressione sul Concilio e sulla Corte romana, sia di punizione, a così esprimermi, delle deliberazioni alle quali il Concilio e la Santa Sede possono appigliarsi. Ma per questa ragione appunto, mi sembra che se il principio del ritiro delle truppe fosse di nuovo ammesso senza alcuna altra condizione prestabilita, la questione del tempo diventerebbe indipendente dalla circostanza del Concilio e, il principio essendo riconosciuto e risoluto prima ancora che il Concilio cominci le sue deliberazioni, non vi sarebbe più il pericolo che alla sua applicazione si attribuisca quel carattere a cui sopra accennavo.

In una parola il mio desiderio è che la questione sia .risoluta in un ·tempo non troppo lontano e soprattutto n mio desiderio è che la questione non sia ora compromessa né per ciò che riguarda il principio, né per ciò che riguarda il tempo. La politica del Ministero Ollivie.r sarà veramente accolta colle simpatie di tutti gli uomini liberali d'Europa, se, insieme coll'annunzio della pace, porterà l'annunzio che un termine sarà posto all'intervento francese sul territorio pontificio.

Vi ho scritte le impressioni e le idee destate in me dal vostro rapporto. Vedete quello che può farsi in proposito e a voi lascio, come sempre, il giudizio dell'opportunità e la scelta de' mezzi più convenienti. Ho il timo•re, vi ripeto, di vedere da un istante aH'altro, con una parola dinnanzi al Corpo legislativo immaturamente compromessa la questione. E in questo proposito della occupazione di Civitavecchia accennerò a una questione che ora è fuori di tempo, ma che potrà presentarsi in avvenire. Quando, come vivamente spero, si potrà efficacemente negoziare per lo sgombro, si tratterà delle condizioni che la Francia vorrà richiederci e che non oltrepasseranno quelle indicate sulla Convenzione del settembre. Di queste condizioni, la prima è un fatto compiuto, il trasporto della sede del Governo, la seconda, il riparto del debito, dipende da un trattato speciale. Rimane la terza, il rispetto delle frontiere, e questa cade nelle obbligazioni del comune diritto delle genti. Basterà uno scambio di dichiarazioni a questo riguardo, o sarà d'uopo una formale restituzione in vigore della Convenzione di Settembre? Il primo sistema sarebbe meglio accetto, a torto o a ragione, fra noi e eviterebbe alcune difficoltà parlamentari. Accenno semplicemente una preferenza, ma purtroppo non siamo ancora al tempo in cui si potrà trattare questa questione.

P.S. Ho decifrato io stesso l'annesso in cifra della vostra lettera. Vi ringrazio della notizia e, ad ogni buon conto, non ne ho parlato con alcuno. Ma mi giova il saperlo.

(l) Cfr. quanto scriveva Maffei in una l. p. del 21 dicembre a Visconti Venosta (AVV) circa l'impressione suscitata in Inghilterra dal nuovo Governo italiano:

(2) -Da AVV, ed. in Moar, pp. 584-Sa:T, ad eccezione del post scriptum. (3) -Cfr. nn. 130, 131 e 136.
138

IL MINISTRO DEGI,I ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA (l)

L. P. Firenze, 29 dicembre 1869.

Per non perde.re la tradizione degli affari difficili e sptnosi, ho trovato qui la questione della candidatura del. Duca di Genova al Trono di Spagna. Vi scrrivo di fretta e non ho il tempo per entrare in molti particolari su questa questione. A me sembra che per rendere accettabile la proposta, due condizioni si presentano subito al pensiero: 1. una manifestazione imponente della volontà popolare in !spagna; 2. che i principali governi d'Europa ce ne preghino e ce ne sappiano grado come di un servizio chiestoci per la causa dell'ordine e della monarchia. La prima condizione non mi pare si verifichi troppo. Il Governo Spagnuolo non oserebbe tentare un plebiscito e il Duca di Genova ha neHe Cortes una maggioranza ministeriale, la maggioranza del Generale P·rim. Una frazione notabile del partito monarchico parteggia pel Duca di Montpensier o pel figlio della Regina Isabella. Quanto alla seconda condizione non so che pensarne, non avendo sinora sufficienti informazioni.

La Duchessa di Genova è decisamente contra.ria all'accettazione del figlio e vi si oppone con tutte le sue forze. Essa ha testé scritto una lettera al Re nella quale lo supplica di non esercitare una pressione cui la sua volontà non sa piegarsi e di ascoltare l'istinto di una madre. Il Re è assai imbarazzato da questa resistenza contro la quale gli ripugna di far atto d'autorità, sa che i Ministri e specialmente il Presidente del Consiglio, io mi tenni in una grande riserva, sono contrari alla accettazione e sa che v'è pure, in gran parte, contraria l'opinione del paese.

In questo stato di cose, vi prego di volermi comunicare, colla maggiore sollecitudine, se ci fu qualche cosa d'importante a questo riguardo nel vostro

carteggio confidenziale col Generale Menabrea e ciò che sapete di quanto fu confidenzialmente detto o trattato a Parigi. Vi prego ancora di volermi dire il vostro avviso, assai autorevole per me, sulla quistione. Non occorre dirvi che non farò della vostra lettera che l'uso che voi stesso vorrete indicarmi (1).

(l) Da AVV.

139

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 178. Vienna, 29 dicembre 1869 (per. il 2 gennaio 1870).

Ho avuto oggi un lungo abboccamento con s. E. il Conte di Beust intorno alla crisi ministeriale, che si agita da quasi oltre un mese a Vienna, e mi pregio di trasmetterLe una rapida analisi del suo importante discorso.

Il Cancelliere dell'Impero trovò al suo ,ritorno di Egitto il Ministero Cisleitano profondamente scisso, e i diversi Ministri accesi l'uno contro l'altro di irreconciliabile sdegno.

Origine apparente del dissidio: la legge elettorale proposta dal Ministro Giskra; vera ed antica ragione della discordia: lo spirito esclusivo ed unitario di alcuni Ministri, lo spirito conciliatore disposto a transazione coi nazionali degli altri.

Questa situazione incerta e pericolosa addolorò profondamente l'Imperatore, che scongiurò i diversi Ministri di non abbandonare il proprio ufficio, e di tentare di accordarsi fra loro.

Opera difficile era il formolare un discorso del Trono, che non scontentasse le due nemiche frazioni. Fu convenuto che l'Imperatore accennerebbe al problema, constaterebbe le difficoltà gravissime che presenta, e lascierebbe poi costituzionalmente al Reichsrath la facoltà di suggerire il modo di scioglierlo. La Corona avrebbe, in seguito del voto delle due Camere, prese quelle deliberazioni che meglio avrebbe creduto si attagliassero aU'interesse della Nazione.

Senonché l'Imperatore accennò ai suoi Ministri che egli desiderava essere posto in situazione di giudicare le diverse opinioni di essi, sovratutto sulla quistione elettorale. Queste parole svegliarono a torto le suscettività della maggioranza dei Ministri, che si c,redette da esse costretta ad esporre le proprie idee al sovrano non solo sulla quistione elettorale, ma su tutta la quistione politica. Questa ~esposizione, fatta per iscritto, la quaie ,avrebbe dovuto essere un memorandum destinato ad illuminare l'Imperatore, diventò sotto nnf1uenza delle ire politiche, un ultimatum dei cinque Ministri Plener, Giskra, Herbst, Brestel e Hasner a sua Maestà. Invece di essere una tavola di transazione, divenne la scure che troncò ogni ponte di congiunzione fra le parti opposte.

L'Imperatore non dipartendosi mai dalle idee moderate e costituzionali, comunicò quello scritto al Conte Taaff.e, al Conte Potocki, ed al Dottor Berger, e li pregò di esporre essi pure le loro idee, in opposizione 'alle idee dei loro colleghi.

Il Dottor Berger infatti formulò una risposta che è splendida (continuò il Conte di Beust) per la lucidità delle idee e per la vigoria dell'argomentazione. Questa memoria è stata ieri rimessa dall'Imperatore al Barone Plener, colle più vive raccomandazioni di cercar modo di intendersi coi colleghi dissidenti, e dichiarando ai suoi colleghi ed a lui medesimo che Egli non intende in verun modo diparti:rsi dalle basi scritte della costituzione, e che non intende abdicare i principj liberali inaugurati nel 1866. Egli aspetta, per risolversi, la risposta del p,lener e le deliberazioni del Reichsrath.

Nella Camera dei Signori il partito centralista diretto dal Principe di Auersperg è in grande maggioranza: è in maggioranza ma molto più ristretta nella Camera bassa.

La quisti:one però è stata completamente adulterata dalla stampa. Non è vero che i partigiani delle idee concilianti pei nazionali vogliano il colpo di Stato, ,la reazione, il trionfo delle idee feodali! Essi vogliono la pacificazione dell'Impero cona libertà, e se si sono schierati sotto la loro bandiera anche i federalisti clericali, ciò non debbe indurre in errore l'opinione pubblica sui loro finali intendimenti. In realtà ambo i partiti inalberano la bandiera deHa libertà.

Io risposi al Cancelliere che ad un rappresentante di una nazione liberale quale l'Italia, non poteva che suonare gradita questa sua dichiarazione; e mi doleva assai che la Stampa ~nterpretasse così falsamente le idee di Taaffe e dei suoi due colleghi.

Non poteva neppur tacergli che molti uomini schie<ttamente devoti alla Mona,rchia e a lui simpatici, temevano che oltre alla quistione nazionale non si agitasse la quistione clericale. Il viaggio dell'Imperatrice (l) non aveva fatto buon senso in paese, e l'opinione pubblica approvava quelli fra i Ministri cis,J:eitani che l'avevano censurato. «E credete voi», ,rispose il Conte di Beust, «che io abbia consigliato quel viaggio? Mo1te volte bisogna subire di buon garbo anche ciò che non si può impedire. Altre volte, soggiunse, ad onta della volontà dell'Imperatrice, che si era fatta già fare tre vestiti polacchi, avevo potuto distogliere l'Imperatore dal viaggio di Polonia; ma questa volta non potevo oppormi efficacemente ,ai sentimenti affettuosi e famigliari della mia Sovra;na per una sorella infelice! ». Gli doleva la rivista delle truppe pontificie, gli dolevano le dimostrazioni clericali che avevano avuto luogo, ma in realtà ciò non costituiva verun serio pericolo per le idee di libertà e per l'alleanza italiana. Egli si era a posta affrettato di anda,re a Firenze onde commentare al Re d'Italia il viaggio dell'Imperatrice, ed attenuarne la cattiva impressione.

In quanto all'alleanza del partito clericale col partito dei nazionali essa trovava la sua naturale spiegazione nelle famose leggi confessionali. Queste

leggi necessarie avevano alienato il clero in Boemia dal partito tedesco, e lo avevano costretto a rannodarsi al partito czeco. E qui il Conte di Beust mi faceva osservare che se il partito fedemlista era diventato audace e potente, era diventato tale per opera del partito liberale tedesco. Il diritto di associazione allargato, la libertà illimitata della stampa, il giurì applicato ai delitti di stampa, tutte le necessarie conseguenze di un governo liberale, erano stati i mezzi di cui si erano valsi i czechi per agita,re il paese, e per minacciare la pubblica sicurezza. E questi mezzi, chi li aveva creati? Giskra ed il suo partito.

E come pretendere da un Iato di governare colla Ubertà, e dall'altro di soffocare le naturali &spirazioni dei popoli?

Un governo assoluto e centralista è possibile colla spada! Può l'Austria assimilare a se medesima le provincie boeme e polacche con quei mezzi che si è valsa la Russia per assimilare la Polonia? E se non si può assimilare colla spada e col fuoco, se si vuole assimilare colla libertà, bisogna conciliare, non irritare, curare non inasprire le piaghe!

In un ambiente in cui spirano le aure liberali, non possono vivere che frutti di Jibertà.

Conchiuse infine dicendo che l'Imperatore non disperava di conciliare fra loro i suoi ministri, e che se Taaffe e i suoi due colleghi avessero perdurato nella loro volontà di ritirarsi, egli avrebbe pensato di governare colla maggioranza dei Ministri.

In quanto a lui, sdegnava le accuse di cui ora è fatto segno dai liberali. Egli sapeva che era odiato meritatamente dal partito feodale, e se ne gloriava! Le ire dei costituzionali non lo toccavano, perché sapeva di non esserne meritevole; e se egli non respingeva le idee di conciliazione, era unicamente per mantenere integre le basi di libertà, su cui oggi poggia 11 Governo deU'Austria.

Il miglior mezzo di combattere i feodali e clericali è di rannodare le diverse frazioni del pn:rtito liberale. «E, aggiunse con forza, il miglior programma di governo, è la unità dell'Austria nella libertà».

Da quanto ho avuto l'onore di trascrivere qui sopra a V. E., Ella intenderà di leggeri che personalmente l'Imperatore ed il suo primo Ministro propendono verso il Ministro Taaffe, e le idee che rappresenta; ma che essi rispettano le idee e le tendenze della maggioranza.

Il Conte di Beust ha accennato che il discorso della Corona sottometteva un problema alla deliberazione dei rappresentanti del paese, lasciando ad essi lo scegliere i mezz.i più opportuni per scioglierlo.

Il Conte di Beust ha perfettamente ragione! Soltanto temo che questo problema sia molto più grave che egli non crede. Esso può riassumersi in due formale: può un governo centrale funzionare con leggi liberali, quando i popoli ad esso sottomessi appartengono a diverse nazionalità? Può l'unità di una Monarchia temperata esistere, se si concedono alle diverse nazionalità che la compongono delle costituzioni federali?

Molti temono che in ambo i casi, l'anarchia sfascerebbe la Monarchia austr.iaca.

Imperocché Ln Austria il discentramento non sarebbe, come altrove, unicamente un mezzo di libertà: in Francia, in Italia, il discentramento non riuscirà mai pericoloso alla unità. In Austria, il discentramento creerebbe dei centri di agitazioni, e delle esigenze ed esagerazioni autonome, incompatibili colla sicurezza e unità all'interno e colla pace all'estero.

Il pericolo della situazione è grave; poiché se la libertà fosse impotente a sciogliere il prob1ema formolato dall'Imperatore, il partito clericale e feodale affaccerebbe allora la sua formo la, come la sola efficace e possibile: unità dell'Austria nella Dinastia, nella Religione, nella spada; come ai tempi del Principe di Schwarzenbe.rg, in cui essa dominava, da Amburgo in Ancona, l'Europa. E guai per la Dinastia e per l'Austria, se questo partito avesse ragione!

(l) Per la risposta cfr. n. 143.

(l) L'Imperatrice d'Austria si era recata a Roma per visitare la sorella Sofia. Il ministro d'Austria era stato incaricato di dichiarare al Governo italiano che il viaggio non aveva alcun carattere politico (D. 100 d! Blanc a Pepoli del 26 novembre, non pubblicato).

140

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA (l)

L. P. Firenze, 30 dicembre 1869.

Il marchese Anselmo Guerrieri, deputato al Parlamento e un vecchio e intimo amico, viene a Pa.rigi per affari suoi. Poiché doveva trovarsi a Parigi, io l'ho pregato di far di là una gita a Madrid non già per adempiere a una missione qualunque presso il Governo Spagnuolo, ma solo per studiare alquanto sul posto la situazione e riferirmi al suo ritorno le impressioni che ne avrà ricevute. Non occorre dirvi ch'io tengo mol<to a che non si parli, né si dubiti, a suo riguardo, di missioni ufficiali o ufficiose. Il marchese Guerrieri è un italiano, amico mio e vostro, che, trovandosi a Parigi, è tratto, da una curiosità naturale, a fare una gita a Madrid. A voi non sarà difficile di procurargli

o dal Duca di Fernan Nufiez, o da qualche altro spagnuolo di vostra cono

scenza qualche lettera di introduzione nella società madrilena. Ve ne ringrazio anticipatamente...

141

L'INCARICATO D'AFFARI A MONACO DI BAVIERA, CENTURIONE, AL MINISTRO DEGLI EST~mi, VISCONTI VENOSTA

R. XVI. Monaco, 30 dicembre 1869 (per. il 2 gennaio 1870).

Avendo avuto in questi giorni l'occasione di conoscere in modo preciso le istruzioni impartite da questo Governo al Conte Tauffkirchen a Roma mi reco ad onore il trasmetterne a V. E. il sunto, premettendo che esse non vennero approvate dal Re Luigi che il 10 del corrente mese ed il giorno seguente inviate al loro destino.

In esse il Principe Hohenlohe traccia nei seguenti 5 punti principali la condotta che deve tenere il Rappresentante della Baviera di fronte al Concilio.

l. Rimanere passivò e rifiuta,re qualunque proposta tendente a far partecipare il Governo al Concilio ,o solo assistervi per mezzo di rappresentanti.

2. -Astenersi da qualunque contatto e pressione sui Vescovi bavaresi ma 3. -Porsi in relazione coi Vescovi di Germania e dar loro consigli di moderazione esortandoli ad astene,rsi da risoluztoni estreme. 4. -Non lasciaLr alcun dubbio sulla ferma risoluzione in cui è il Governo bavarese di non riconoscere qualunque determinazione del Concilio contraria alla Costituzione od alle Leggi deUo Stato ciò che sarebbe nel tempo stesso contrario al Concordato. 5. -In ogni eventualità agire d'accordo cogli altri Rappresentanti della Germania e specialmente col Ministro di Prussia.

Da quanto mi risulta queste istruzioni comunicate a Berlino furono approvate da quel Governo che esseri essere identiche a quelle date al suo Rappresentante in Roma.

Le stesse furono pure lette dal Ministro bavarese a Stoccarda al Barone Varnbuhler il quale sebbene si sia pronunciato favorevolmente sul loro tenore, aggiunse che il Wtirtemberg, a causa della sua popolazione in massima parte protestante, trovava inutile di avere una rappresentanza speciale a Roma nell'attua,le circostanza.

(l) Da AVV.

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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 503. Berlino, 31 dicembre 1869 (per. il 5 gennaio 1870).

M. de Thile ayant repris l'exercice de ses fonctions, je lui ai fait visite hier.

Il s'est exprimé dans le méme sens que M. le Conseiller Abeken sur le changement de notre Ministère, en ajoutant que M. le Comte Brassier se loue beaucoup d'étre entré en rappo11ts avec V. E.

Le Sous-Secrétaire d'Etat m'a dit en méme temps qu'il savait combien le Prince Royal de Prusse se montrait satisfait de l'accueil qui lui avait été fait à Naples et à Florence. Oes bonnes impressions m'ont été confirmées par le Général de Stosch qui a précédé Ie Prince à Berlin. Ce Général me racontant tous les incidents de voyage, constatait avec plaisir que les entrevues de Son Altesse Royale avec le Roi et avec Monseigneur le Prince Humbert n'avaient pu que resserrer de plus en plus les liens d'amitié entre les deux Cours. Ses observations sur la situation de notre pays se résumai:ent ainsi: quels que soient les embarras financiers du Gouvernement, il est un fait qui ne saurait échapper à l'observateur impartial, à savoir un progrès dans ,le développement des éléments de prospérité. Le mouvement industrie! et commercial, les améliorations administratives signalent une certaine activité. L'instruction publique, notamment dans les écoles primaires, suit aussi une marche ascendante. Le Général de Stosch a également relevé le fait que le Prince Royal n'avait pas cru devoir s'arreter à Rome au moment de la réunion du Concile oecumenique. C'eut été montrer peu de tact que de faire presque en meme temps sa cour au Pape et au Roi d'Italie, et d'ailleurs des nouvelles de prime abord inquiétantes sur la santé d'un de ses enfants, ne lui permettaient pas de s'attarder dans son voyage.

Pour en revenir à mon entretien avec M. de Thile, celui-ci convenait que pour le moment les grandes questions européennes sommeillaient pour faire piace aux questions intérieures qui s'agitent un peu dans tous les pays. L'attention est surtout dirigée vers la France où le régime parlementaire se substitue au gouvernement personnel. Dans cette crise de transition, l'Empereur ne saurait songer à corriger la carte de l'Europe et à susciter des difficultés extérieures que les Puissances cherchent d'aiUeurs à prévenir par une politique conciliante. Ce sont là autant de garanties de paix dont il ne faut certes pas s'exagérer la portée, mais qu'il convient d'accepter sans un parti pris de défiance.

Quant à la Prusse, tout en cultivant soigneusement ses relations av.ec la Russie, aussi bien qu'avec l'Italie, l'Angleterre et la Turquie, elle a cherché da~ns ces derniers temps à se mettre sur un meilleur pied avec l'Autriche. Ses avances vi-à-vis de cette puissance n'ont pas eu, il est vrai, tout le succès désiré, mais du moins le Ptl"ince Royal, à son passage à Vienne a témoigné de meilleures dispositions. La visite récente de l'héritier du Tròne à la Cour des Tui:leries indique en meme .temps le prix que l'on attache ici à des rapports amicaux avec la France.

Le Cabinet de Berlin vient en outre de donner une nouvelle preuve de son bon vouloir. Désormais les Ministti"es de Prusse près Ies Cours du Midi de l'Allemagne repti"ésenteront également la Confédération du Nord et, réciproquement les Agents diplomatiques de la Bavière, du Wurtemberg et du Grand Duché de Baden à Berlin se•ront accrédités près le Roi Guillaume en sa qualité de Chef de cette Confédération. Cette décision prise après de longs pourparlers entre les intéressés a une certaine valeur en ce qu'elle est une marque de déférence vis-à-vis des Cabinets de Munich et de Stuttgard. (Je ne mentionne point Ba de n qui se propose un tout autre but). C'est en m eme temps, en apparence du mois, une concession à ceux qui voudraient maintenir la ligne de démarcation du Mein. Mais il faut prendre cette mesUti"e pour ce qu'elle vaut en réalité. Il y a loin de là à une similitude de position des Pays du Midi de l'AUemagne avec les autres Etats curopéens qui ont reçu et nommé des Envoyés accrédités par et près le Gouvernement fédéml. Le nouveau titre des diplomates allemands ne les dégage en rien des obligations contractées par les Traités d'alliance offensive et défensive, par I'Union douanière, etc. etc. qui ont fait déjà une si large breche dans les droits de souV"eraineté de leurs commettants. D'un autre còté, du moment où à partir de demain les attributions et dépenses affectées au Ministère des Affaires Etrangères de la Prusse passent à J:a Confédération, les diplomates prussiens, comme tels, n'ont plus de .raison d'etre. Il est vrai que pour 1870, les Chambres ont encore voté les fonds nécessaires pour les missions à Dresde, Weimar, Oldenbourg et près les

Villes Anséa.tiques, mais avec la clause qu'elles cesseraient ensuite d'exlster, sauf pour Dresde, si une exception restait encore opportune. Je n'ai pas besoin d'ajouter qu'un simple changement de titre n'empeche pas la force des choses de suivre son cours graduel vers l'unification de l'Allemagne. C'est ce que ne manqueront pas de reconnaitre ici comme à Baden, les partisans de la politique national quand disparaitra le premier mouvement de contrarieté qu'ils ressentiront d'une semblable mesure.

Il ne faut point oublier d'ailleurs que l'art. 79 de l'acte fédéral trace nettement la voie à suivre quand les Etats du Midi se décideralent à entrer dans la Confédération. Pour le moment, comme le disait au mois d'octobre d&nler

M. de Freydorff à la première Chambre badoise, cette entrée n'est pas l'unique formule de la question nationale. Ce Ministre faisait évl:demment allusion aux tentatives de rapprochements par l'élaboration et l'introduction progressive de lols et règlements uniformes. Or quand les obstacles seront déblayés sur ce tenain, et on y travaille, la fusion entre le Nord et le Midi déjà préparée par les Traités militaires et commerciaux, existera de fait, et ne tardera pas alors à ètre consacrée par I'assentiment de la nation, sans qu'une int&vention étrangère puisse s'y opposer avec des chances de succès. II y a sans doute encore bien des difficultés intérieures à surmonter nommément en Bavière, mais c'est précisément parce que fon s'en rend compte à Berlin qu'on procède avec tant de ménagements. Comme je l'ai souvent signalé dans ma correspondance ces difficultés cesseraient si la France ou l'Autriche, ou les deux à la fois, voudraient employer la violence pour contrarier le mouvement de transformation en Allemagne.

Heureusement que les perspectives sont plutòt rassurantes à cet égard. Ainsi une feuille ministérielle, la Correspondance provinciale, constate aujourd'hui mème que la situa.tion de l'Europe est pacifique e.t que la politique de tous les Gouvernements est inspirée par une émulation pleine de sincérité pour le maintien de la paix. Ce journal ajoute que les Puissances se pénetrent toujours davantage de la pensée de ne mettre aucun obstacle au «développement dcs affaires de l'Allemagne sur les bases établies en 1866 ».

Dans un tel état de choses il est permis de franchir en pleine confiance le seuil de la nouveUe année. II reste, H est vrai, la pa.r.t que dans .Jes affaires humaines il faut toujours ménager à l'imprévu qui déjoue parfois, pour ne pas dire souvent, les calculs les mieux fondés.

143

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

T. Parigi, 1° gennaio 1870.

Je n'ai été chargé d'aucune comrnunication soit officielle, soit officieuse au sujet de la candidature du due de Genes, et le Gouvernement impérial ne

m'en a jamais par1é. On n'a pas non plus demandé mon conseil. Il n'y a pas l'ombre d'une correspondance confidentie.Ue sur ce sujet entre Florence et Paris. Opinion publique en France n'est pas favorable à cette candidature. Gouvernement impérial et Empereur ont toujours déclaré ils n'•avaient nullement à intervenir dans les affaires d'Espagne et qu'ils reconnaitront résultat de la volonté du pays. Napoléon III me parlait le premier une seule fois il y a plus d'un mais de la candidature du due de Génes, et il me demandait ce que j'en pensais. Je lui ai répondu ce que je réponds également à vous: savoir que personnellement je désapprouvais a priori cette candidature, mais que en tout cas mon avis était qu'on ne la devrait admettre qu'à deux conditions: c'est à dire une expression nette et vraìe de la volonté nationale en Espagne et une démarche des principales puissances, nous engageant à consentir dans l'intérét du principe monarchique. L'empereur me dit que ce lui semblait raisonnable. J'ai exprimé verbalement méme avis au général Menabrea lors de mon dernier voyage à Flo·rence. Ces deux converl'ations n'ont été qu'incidentelles et n'eurent aucune suite. Mon avis n'a pas changé et je suis heureux de voir qu'il est conforme au votre.

(l) Da ACS, Carte VIsconti Venosta.

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IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. S. N. Vienna, 1° gennaio 1870.

L'anno 1869 ·essendo compiuto, credo mio debito di riassumere brevemente gli affari trattati durante questo periodo in questa R. Legazione, tanto politici quanto commerciali ed amministrativi, e di richiamare l'attenzione del nuovo Gabinetto sulle migliori condizioni in cui ora si svolgono le relazioni internazionali fra l'Austria e l'Italia.

È fuori di dubbio che nell'anno ora finito si rassodarono i sentimenti di amicizia, non dico fra i due Governi soltanto, ma eziandio fra i due paesi. E se esistono per ancora in Austria pregiudizi e rancori contro il Governo Italiano, essi si riparano nei convegni delle alte classi e fra i partigiani del sistema feodale, che ravvisano in noi, ed a buon diritto, gli irreconciliabili avversari del Potere Temporale del Papa, e del despotismo delle classi privilegiate. E questo odio che ci porta un partito scaduto dal potere e spogliato da ogni influenza, ha valso a conciliarci l'affetto, la benevolenza, la stima di tutto il partito liberale.

L'intima alleanza coll'Italia, è quindi propugnata dalla grande maggioranza del paese, che ha veduto con somma soddisfazione accordato il grande Cordone della Corona d'Italia al Ministro Giskra, il rappresentante più spiccato e più potente nel Gabinetto Cisleitano delle idee liberali, che ha applaudito quando

S. M. l'Imperatore ha voluto che gli Arciduchi si recassero alla R. Legazione

13 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. XII

per festeggiare il giorno natalizio di Sua Maestà il Re; che ha approvato l'invio del Generale Della Rocca a Trieste, del generale Sonnaz a Vienna, del generale Moring a Firenze, e finalmente che ha salutato con gioia il progetto di un convegno fra i due Sovrani a Brindisi, e che è rimasto appagato dal viaggio del Conte di Beust a Fir.enze.

Ed aggiunge,rò pure che questa medesima immensa maggioranza della opinione pubblica si offese profondamente del viaggio di Sua Maestà l'Imperatrice a Roma; e delle dimostrazioni ufficiali che i vi Le v,ennero fatte e che Essa improvvidamente accolse.

Ma le dimostrazioni di simpatia e di amicizia fra i due paesi e fra due Governi furono, mi si consenta il dirlo, malamente da a.lcuni interpretate e commentate; e ciò specialmente in F'rancia. I diari ufficiosi non si peritarono di affermare che ess·e erano ispirate da un sentimento ostile verso la Prussia e da una speranza di ottenere una rivincita di Sadowa fra i due Imperi Austriaco e Francese, ed H Regno d'Italia.

Non oso affermare che questo non fosse forse il segreto pensiero de·l Governo Centrale di Vienna. Oso però assicurare che quello non fu e non è il concetto del Gabinetto Cisleitano ed Ungherese, né del paese.

L'alleanza coll'Italia, !ungi daU'esse,re considerata come pericolosa alla pace di Europa, deve essere anzi considerata come mezzo efficace di impedire artificiali combinazioni e guerreschi accordi. Più l'Austria e l'Italia si riavvicineranno fra loro, più difficile sarà che la guerra scoppi, e si turbi l'equilibrio europeo.

L'anno 1869 ha iniziato questo felice riavvicinamento, ha, come dissi, spenti gli antichi rancori, ma questa alleanza rimase finora sterile. Due sono i campi ove essa può utilmente rivolgersi, cioè: l'Oriente e Roma.

Nei miei rapporti politici ho già parecchie volte accennato questo concetto, e non posso che fare voti sinceri acciò nell'anno 1870 s'innalzi l'edificio suHe fondamenta gettate nel 1869. Prima però di scendere ad analizzare le speciali questioni, debbo fare una ingenua confessione a V. E., ed è che io mi sono molto più occupato di conciliarmi la benevolenza e l'amicizia del partito liberale in Vienna, che di sollecitare la benevolenza dell'alta aristocrazia. E ciò dico perché è a mia conoscenza che molti degli antichi corifei del partito feodale trovano strano che le porte dei saloni della Legazione d'Italia siena spalancate ad egregie signore e ad egregi cittadini che non hanno altro demerito che di non avere una corona gentilizia da colloca,re sulle loro carte di visita, o di non professare il culto cattolico. L'esclusivismo di certuni è giunto fino al punto che la moglie del Ministro Giskra non è accolta non dico nei saloni aristocratici viennesi, ma nei saloni delle altre Legazioni. La sola Legazione d'Italia la riceve, e la moglie del Ministro d'Italia è la sola Dama del Corpo Diplomatico che vada ai balli del Ministro dell'Interno. Però non posso dolermi neppure dell'alta aristocrazia. Il giorno natalizio del Re convennero alla Legazione d'Ha.Iia le dame le più illustri, ed i personaggi politici più importanti di Vienna. La differenza solo sta in ciò, che mentre le altre principali Missioni hanno creduto di vivere unicamente col Partito aristocratico, io ho c'reduto essere mio debito, come rappresentante di una nazione liberale, di non !asciarmi imporre dai pregiudizi locali, e di stringere vincoli di amicizia e di società anche colle oneste e liberali classi borghesi che nutrono per noi vera simpatia, e che propugnano l'aUeanza Italiana, e che combattono, al pare di noi, i raggiri clericali, e che oggi esercitano sul Governo del loro paese la massima influenza.

Credo in questo modo di avere bene interpretato i sentimenti liberali del Ministero italiano.

Ma dalle conside,razioni generali passando ai fatti speciali, debbo richiamare l'attenzione di V. E. sopra gli affari politici trattati in questa R. Legazione nel 1869, e dei quali alcuni sventuratamente rimangono tuttora insoluti.

I pericoli che presenta la questione d'Egitto sono stati per ora stornati, ed il Gabinetto di Vienna può dirsi abbia registrato nei suoi annali un trionfo diplomatico; ottenendo che il Sultano ed il Khédivé smettano le ire e le minacce, e si riavvicinino fra loro. Non ho quindi creduto di parlare nel senso della Nota in data dei 26 Novembre ultimo serie Politica n. 98 (l) de,l Ministero precedente, senza prima ricevere direttamente nuove istruzioni da V. E.

Debbo però parteciparLe che più volte il Conte di Beust mi ha espresso il desiderio che i due Gabinetti di Vienna e di Firenze stabiliscano accordi su tutte le questioni di Oriente, rappresentando essi le due nazioni che hanno maggiori interessi commerciali coll'Impero ottomano. Io ho sempre propugnata l'emancipazione della poutica italiana ed austr:iaca in Oriente dall'influenza francese e inglese. Questo mio concetto è pienamente diviso dagli uomini più influenti di Stato austriaci, sovratutto dal Conte Andrassy. A me sembra che non converrebbe aspettare le compLicazioni future per gettare le basi di una politica comune, acciò non si rinnovi ciò che purtroppo ultimamente è successo. La questione di Egitto è stata 'risoluta senza il nostro diretto intervento, e debbo osservare sommessamente che, leggendo i documenti diplomatici comparsd su questo argomento, appare che non fu fatta finora all'Italia quella parte di legittima influenza che il suo grado di grande potenza :te dà diritto di pretendere. A me suona amaro il sentire s·empre parlare dell'accordo degli Ambasciato,l1i inglese, francese ed austriaco, e pur vorrei che in questo accordo entrasse il Ministro italiano.

E continuando a parlare delle cose di Oriente, non posso passa,re sotto silenzio la politica austriaca verso i Principati. Noi abbiamo ottenuto di riavvicinare il Governo del Principe Carlo al Gabinetto di Vienna, e sopratutto al Gabinetto di Pesth.

Il Conte Andrassy mi ha per iscritto ed a voce ring:raziato parecchie volte per questo felice r,isultato, al quale oso dire la Legazione italiana in Vienna ha grandemente contribuito; e che non sarà senza conseguenze sull'andamento generale della politica in Europa. Ma ora che le antiche discordie sono cessate fra Pesth e Bucarest, bisognerebbe pure cogliere i frutti di questa nuova politica. Nei Principati specialmente, come ho già osservato, il Conte Andrassy desidera procedere d'accordo coll'Italia. La questione delle Capitolazioni merita di essere seriamente studiata da V. E. Le concessioni fatte su questo terreno dalla Russia,

le hanno conciliato la simpatia dei Rumeni. La influenza delle potenze occidentali è grandemente scemata da questo fatto. Il Governo del Principe Carlo troverà un ostacolo a seguire una politica savia e conservatrice ne.Ile manifestazioni del paese in favore della Russia.

Altra volta ho accennato al Gabinetto del generale Menabrea, H desiderio del Conte Andrassy di congiungere gli sforzi dell'Italia e dell'Austria per ricuperare la influenza perduta appunto su questo terreno.

Ma il predecessore di V. E. fu paralizzato nelle sue ottime disposizioni dal contegno avverso del Gabinetto di Londra. Io persisto a credere ancora che se il Gabinetto di Firenze proporrà di abolire o sospendere almeno le capitolazioni in Rumenia, l'influenza italiana diventerà potente in Oriente, e potrà efficacemente combattere il vero pericolo che minaccia la civiltà, un'invasione slava verso il Bosforo. Nulla ha più giovato ad aumentare questo pericolo che il niun conto in cui da alcuni anni le potenze occidentali tengono le aspirazioni dei Cristiani in Oriente. Il privilegio delle Capitolazioni è un privilegio di poco valore, attesochè non fornisce ai sudditi italiani serie guarentigie. Che le potenze occidentali abbiano stipulato quelle convenzioni allorquando quelle provincie erano dominate dai Turchi, erano regolate dai capriccio del Sultano, è cosa che facilmente s'intende, ma volerle mantenere ora, quando la Rumenia è retta da un governo costituzionale, mi pare una violazione del diritto internazionale. Ammetto che esse possano, che esse debbano anzi essere mantenute a Costantinopoli ed anche i:n Alessandria ove le leggi sono informate ai principi di morale e di diritto mussulmano! Ma questa eccezione non può esistere per un paese cristiano, le di cui leggi sono copiate dalle leggi francesi ed italiane.

A me sembra sommessamente che, riattaccando le trattative interrotte, sarebbe molto utile di accordarsi coll'Austria su questo terreno. Si otterrebbe un doppio scopo, cioè: di emancipare in faccia all'Europa la politica austriaca ed italiana dalla tutela francese e inglese, e di combattere vittoriosamente in Oriente l'influenza russa.

Il Conte Andrassy, in un lungo abboccamento che ebbi con lui, e di cui resi conto a S. E. il Generale Menabrea, mi affermò che era di opinione che tutti i popoli danubiani si dovesse·ro stringere f,ra loro, rannodando le rotte relazioni per opporsi all'invasione slava. Ora ciò non si può conseguire colla forza! È mestieri conseguirlo moralmente. Ma non si consegue moralmente, avversando sempre, come accennai, le aspirazioni nazionali di quei popoli, e sacrificandoli sempre agli interessi ed alle convenienze della Porta.

E, dall'Oriente, sede dei fanatismo maomettano, passando a Roma, sede del fanatismo cattolico, io debbo rammentare a V. E. che l'Austria in questi ultimi tempi siasi sempre chiamata contraria all'occupazione francese in Civitavecchia, e che essa abbia parecchie volte fatte delle aperture al Gabinetto di Firenze in questo proposito, che non furono fin qui accolte.

Il Conte di Beust, nell'occasione del Concilio Ecumenico non mancò di far conoscere al Gove,rno Imperiale di Francia la opinione del Gabinetto di Vienna, ed inviò una nota al Principe di Metternich informata a questo concetto. Io credo che V. E. troverà sempre a Vienna un appoggio franco e leale intorno a questa questione.

Tre affari poi speciali rimangono ancora insoluti e sono:

1° Affari di Sebenico,

2° Negoziati intorno alle pendenze finanziarie,

3° Concessione della linea ferrata della Pontebba.

I fatti di Cattaro, la insurrezione Dalmata hanno molto scemata l'importanza dei fatti di Sebenico, ed hanno distolta l'opinione pubblica da essi. A me pare che ormai sia prova·to che i nostri marinari provocarono coi loro canti e colle loro grida i primi disordini, ma che la plebe slava colse l'opportunità per fare una dimostrazione ostile non tanto all'Italia quanto all'elemento italiano in Dalmazia, che è favorevole al Governo Centrale di Vienna. I Tribunali procedono, ma la loro opera si svolge paurosa e lenta. Il fatto della violazione del canotto del «Monzambano » è ammesso anche dal Governo Cisleitano. Io ho inviato a V. E. copia dell'ultima nota del Conte di Beust ed aspetto le dì lei precise istruzioni, per insistere onde ottenere una dichiarazione che appaghi il sentimento del nostro decoro, e ripari all'offesa fatta alla nostra bandiera.

Le difficoltà finanziarie che presenta la questione delle indennità di guerra sono molto più gravi che quelle sollevate dai fatti di Sebenico. La malattia che ha condotto all'orlo del sepolcro n Ministro Becke ha tolto all'Italia il miglior sussidio su cui poteva contare. La crisi ministeriale, le difficoltà insorte in seno al Reichsrath hanno pure aumentati gli ostacoli; ed oggi temo assai che non otterremo quelle concessioni che per certo avremmo conseguite or sono sei mesi. Taccio come il riavvicinamento dell'Austria alla Prussia, ed il mutamento dell'indirizzo politico in Francia abbiano diminuito il timore che aveva il Cancelliere dell'Impero di rompere i buoni accordi coll'Italia per una semplice questione di interesse. L'ambiente del 1870 sarà, per trattare q~:csta questione, infinitamente meno propizio che l'ambiente del 1869. In quanto alla linea ferrata della Pontebba, non posso che ripetere ciò che scrissi al

R. Governo fin dai primi giorni che mi occupai di questa questione. Il Governo austriaco sì atterrà rigorosamente alla lettera del Trattato e non farà alcuna concessione.

Colla mia nota in data dei 28 febbraio ultimo ricondussi la questione sul suo vero terreno, da dove una nota del Conte di Beust dei 24 giugno 68 l'aveva distolta. Era quanto si poteva ottenere.

Oggi anzi la necessità di mantenere la maggioranza Ministeriale del Reichsrath essendosi fatta sempre maggiore, troveremo il Conte di Beust inaccessibile a qualunque nuova concessione. In quanto a me personalmente non nascondo a V. E. che, come ebbi l'onore di scrivere al Generale Menabrea, non cretto che l'indugio possa recare un grande scapito a Venezia, e credo che le condizioni finanziarie dell'Austria impediranno per lunghi anni ancora che essa acconsenta definitivamente all'altra nuova linea costosissima del Predil.

Per la strada dello Stelvio, inviai a V. E. .l'ultima risposta ottenuta dal Governo austriaco. Se essa non è conforme del tutto alle nostre domande, segna però un progresso notevole nella via delle concessioni. n Ministro di Svizzera ebbe ordine dal suo Governo di appoggiare le nostre domande.

Le difficoltà insorte fra gli abitanti di Grado, di Caorle e di Gradisca furono amichevolmente composte, ed ora non resta che a conoscere in qual modo il Governo austriaco intenda stipulare regolarmente gli accordi presi dalla Conferenza Internazionale radunata a Gradisca il giorno 30 settembre dell'anno ora trascorso.

Per il rimborso delle spedalità fu convenuto che ad ovviare le difficoltà insorte durante l'anno 1869 esso si effettuerebbe in moneta italiana od in fiorini di argento e che il Governo austriaco comunicherebbe, nelle sue note ufficiali, le ragioni delle diminuzioni avvenute nel rimborso delle somme reclamate dai nostri Ospedali alle Deputazioni Provinciali.

Furono rimborsate dal Governo austriaco nell'anno 1869 lire italiane 12.000 all'incirca a questo titolo alle diverse amministrazioni degli Ospedali italiani. La proposta però di applicare la norma seguita, prima del 1866, alle provincie venete fu respinta dal Governo austriaco.

Il cambio delle Obbligazioni del Debito Pubblico Austriaco in Titoli al portatore ha imposto a questa R. Legazione un lungo e laborioso carteggio. Furono p. es. trasmesse a Firenze per nostro mezzo n. 1196 obbligazioni pel valore complessivo all'incirca di fiorini 230.300, e la somma di 37.500 all'incirca per frutti di compensazione. E ciò solo del 4° Trimestre dell'anno spirato.

Ho creduto notare la importanza di queste cifre acciò V. E. possa formarsi un giusto criterio della responsabilità che pesa per questo ramo di servizio eccezionale sopra il Ministro italiano a Vienna.

Attendiamo risposta tutto•ra dal Gabinetto austriaco intorno alla proposta del R. Governo di stabilire una dogana internazionale a Montecroce, e sull'altra tendente a facilita.re il passaggio della frontiera austriaca e viceversa agli abitanti delle sponde del Ticino.

Nulla abbiamo ottenuto intorno alla vertenza De Rossetti-Gatteschi col Vicere di Egitto. Il Conte di Beust ed il direttore generale Hoffmann continuano a rispondere che aspettano di conoscere, pe.r deliberare, la opinione del Console austriaco in Alessandria.

Accolse poi favorevolmente il Cancelliere dell'Impero la domanda che noi gli abbiamo indirizzata di consegnare al nostro Ministro in Russia gli archivi napoletani giacenti presso la Legazione austriaca in Pietroburgo. E qui giova rammentare come eziandio a provare i sentimenti di amicizia di cui è ispirato il Governo Imperiale verso di noi, egli ci accordasse immediatamente la grazia di certo Pelarin condannato per omicidio ai lavori forzati.

Confermano pure quanto ho esposto altri tre fatti, cioè: il dono di due splendidi esemplari dell'opera: Kleinodien des Heiligen Romischen Reiches pe•r la biblioteca di Sua Maestà, e per la Magliabechiana, la cortese premura con cui il Ministro Becke accordò un impiegato imperiale per far parte della Commissione istituita in Italia per apprezzare il valore dei tabacchi, e la concessione infine a prezzo limitato di un terreno al signor Brandeis a patto di edificarvi una decorosa abitazione pel Ministro d'Italia.

A completare questi rapidi cenni sulle nostre relazioni col Governo au

striaco durante il pe·riodo dell'anno trascorso, noterò che furono accorda·te

n. 18 estradizioni all'incirca. Per iniziativa del Consolato e col concorso della Legazione fu istituita in Vienna nel 1869 una Società di Beneficenza per soccorrere i poveri italiani sotto il patrocinio di S.A.R. la Principessa Margherita.

I fondi raccolti finora furono scarsi, ma giova sperare che la Commissione eletta dai soci il giorno 14 Dicembre p.p. potrà infondere una rigogliosa vita a quest'utile istituzione.

Il Comitato intanto si occupa di organizzare a,lcuni pubblici trattenimenti per aumentare le proprie risorse.

Ora passando dagli affari all'ordinamento interno della Legazione, mi pregio di trasmetterle alcuni dati statistici. Il Protocollo di arrivo dal 1° gennaio al 31 dicembre 1869 segna il n. 2162; superando così di 504 numeri quello del 1868.

Furono trasmessi n. 108 dispacci politici al R. Ministero, n. 75 note al Conte di Beust, n. 979 rappo,rti al R. Ministero di serie diversa e n. 912 note verbali al Ministero Imperiale e Reale.

La spesa dei telegrafi importò per tutto l'anno la somma di Fiorini 764,50 Kr. Quella della posta Fiorini 392,52 Kr. Quest'ultima sarebbe stata di gran lunga maggiore, se non si fossero spediti per occasioni private la maggior pa,rte dei plichi diretti al R. Ministero. Le spese di Cancelleria ascesero a Fiorini... (1).

Non posso poi esonerarmi dal richiamare l'attenzione di V. E. sullo zelo spiegato, nell'adempiere alle incombenze dei propri uffici, dal Cav. Curtopassi, dal Marchese Balbi, dal Cav. Terzaghi, dal Principe Odescalchi, ed in ultimo luogo dal Barone Visconti. E sopratutto mi consenta di insistere sul merito speciale del 1o segretario, il quale ha dordinato completamente il sistema di registrazione in uso a questa R. Legazione, opera nella quale fu efficacemente aiutato dall'egregio Marchese Balbi. I registri d'auivo e di partenza era,no stati, per la deficienza del personale, incompletamente ordinati. Fino dal mio primo giungere ce,rcai di renderli più chiari, e nel mese di Settembre deU'anno 1869, me ne occupai io personalmente: ma ad onore del ve,ro debbo dichiarare che non avrei raggiunto lo scopo prefisso, se non avessi trovati cooperatori così intelligenti e zelanti. E qui debbo rivolgere a V. E. una preghiera. La pianta normale degli impiegati di questa Legazione porta un consigliere, come le Legazioni di Parigi, Londra e di Pietroburgo. Se vi ha persona meritevole di occupare questo grado è certamente il Cav. Curtopassi. Io fo voti perché Ella, Signor Ministro, compia nell'anno 1870 questo atto di giustizia. Debbo pure notare a V. E. che mi rincrescerebbe sommamente se il personale di questa

R. Legazione fosse scemato essendo appena sufficiente per disimpegnare gli affari correnti. Aspetto poi di conoscere se il R. Ministero desideri che io continui ad inviare dei rapporti settimanali sui giornali Viennesi. Dico ciò non avendo finora avuto risposta alcuna in proposito, né avendomi il Ministero acçusato ricevuta di quelli già inviati.

E qui ponendo fine a questo mio lungo rapporto, raccomando a V. E. questa

R. Legazione, e confido che Ella mi onorerà di quella fiducia di cui mi onorò il di Lei illustre predecessore e di cui Ella in altri tempi mi diede luminose prove.

(l) Cfr. n. 88.

(l) La parola manca nel testo.

145

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A MADRID, CERRUTI

T. 1049. Firenze, 2 gennaio 1870, ore 16,15.

Le ministre d'Espagne ayant demandé une réponse du Roi et de son Gouvernement pour le 3 courant sur l'offre faite au due de Gènes de la couronne d'Espagne Sa Majesté lui a dit et je lui ai fait connaitre également quelle est la situation de fait que nous avons à constater en ce moment. Le Roi avait promis à l'envoyé d'Espagne de faire tout son possible pour la réussite de ce projet mais il n'avait pas pu prendre d'engagemens absolus ni prévenir des obstacles qui étaient imprévus lors des premières démarches de M. Montemar et qui ne dépendent ni de Sa Majesté ni de son Gouvernement. Le refus de consentement de la mère et du prince mineur transporte la question sur le terrain des i:ntéréts et des droits de la famille, et le Roi ma.lgré tout son bon vouloir envers les désirs flatteurs de l'Espagne ne saurait faire violence à la volonté maternelle et aux disposi:tions du jeune prince.

Quant au Ministère les raisons politiques que l'an peut alléguer en faveur de l'acceptation du tròne d'Espagne par le due de Génes ne sont évidemment pas (l) de nature à l'induire à conseiller de passer outre à ces mémes obstacles que Sa Majesté elle méme ne croit pas de pouvoir, dans I'état actuel de choses, se dispenser de respecter (2). Veuilìez porter confidentiellement à la connaissance du Gouvernement espagnol ces explications, et le mettre en garde contre les assertions inexactes des journaux.

146

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY (3)

L. P. Firenze, 2 gennaio 1870.

Vous voudrez bien m'excuser, mon cher Comte, si je n'ai pas plus tòt répondu à votre aimable lettre (4); je n'ai pas eu litteralement le tems de vous écrire malgré ma meilleure volonté .

Les vicissitudes de la politique parlementaire m'ont ramené à ce poste. Je pourrais ajouter que ce n'est pas ma faute si cela est arrivé, car j'ai été jusqu'au dernier jour pour le Ministère Menabrea. Je n'ai pas cru cependant refuser at~ nouveau Cabinet le concours qui m'était demandé, parceque le nom des hommes politiques qui allaient en fai:re partie était une garantie solide

(-4) Cfr. n. 125.

pour les principes d'ordres et de modération et parceque son programme tout entier se resumait dans un effort vigoureux pour tenir haut le drapeau sur lequel sont écrits ces mots: «Respect aux engagements de l'Etat ».

C'est assez vous dire quel sera le caractère de nostre politique extérieure. Il n'y a pas aujourd'hui de nation en Europe qui désire plus vivement que nous le maintien de la paix. Vous connaissez les difficultés de notre situation financière et l'incertitude pénible que cette situation fait planer sur l'avenir du pays. C'est un devoir impérieux pour le Gouvernement de mettre un terme à ces difficultés au moins en ce qu'elles ont de véritablement urgent et dangereux, car vous savez que c'est par la porte des finances que les révolutions aiment assez à s'introduire meme dans les plus paisibles domiciles. Tout nous porte donc à souhaiter ardemment que toute complication inquiétante soit écartée autant que possible et que la confiance renaisse et se généralise en Enrope. Certes l'Italie ne peut ni ne doit se désintéresser dans aucune grande questione européenne. Il est de la dignité et de l'intérét de l'Italie de voir son droit reconnu chaque fois qu'une question touchant aux intéréts généraux est déférée à l'accord et à l'examen des grandes Puissances. Mais je pense en meme tems qu'en dissipant tout soupçon sur la droiture de notre politique et sur la sfrreté de nos rapports, nous aurons trouvé le meilleur moyen pour faire accepter en toute occasion et meme désirer notre concours, et pour marquer notre place dans le concert européen.

Ce programme, si je ne me trompe, doit parfaitement s'accorder avec les vues du Gouvernement prussien. La politique prussienne a maintenant un but devant elle. C'est de poursuivre son travail d'organisation allemande en ajournant les dangers de guerre avec l'espoir de les supprimer tout à fait par la force méme de ces ajournements. Le Gouvernement prussien ne peut donc qu'apprécier les avantages d'une politique franchement pacifique de notre part et l'importance du vote de l'Italie au milieu des grands intérets de la paix qui tachent de s'organiser en Europe. Voilà una base naturelle pour ces rapports d'amitié et de confiance réciproque auxquels, autant que vous, M. le Comte, j'attache le plus grand prix et que rien, je le crois, ne viendra relacher. Heureusement les nuages qui s'amoncelaient à l'orizon, il y a quelque mais, paraissent maintenant dissiper.

Le programme du Ministère Ollivier sera tout-à-fait dans le sens de la conservation de la paix qui trouve, du reste, son gage le plus sérieux dans l'établissement en France du régime parlementaire. Les tendances pacifiques seront le fait capita! qui dominera la politique extérieure de la France à moins que quelque question inattendue ne vienne modifier les prévisions actuelles. Le sentiment qui dominait en France à l'égard de la Prusse s'est considérablement attenué, et la politique prudente et avisée du Gouvernement prussien entre pour beaucoup dans ce heureux résultat. Nous n'avons donc pas à choisir entre l'alliance française et l'alliance prussienne. C'était là justement le danger dont l'Italie paraissait menacée. C'est aussi le danger que nous devons tacher d'éviter autant que cela nous est possib1e tandis que nous pn<Ivons peut-etre prendre entre les deux puissances le ròle d'un intermédiai.re utile. Je suis siìr d'avance que cette ligne politique aura votre approbat10n. Car si votre profonde conviction vous fait envisager avec sympathie l'idée d'un rapprochement plus intime du còté de la Prusse vous apprécierez en meme tems les intérets majeurs qui nous conseillent la conservation de I'alliance française et l'avantage que nous pouvons tirer des bons rapports avec l'Autriche notamment dans la question romaine, question dans laquelle, au moins dans les circonstances actuelles, I'intervention prussienne serait plus compromettante que avantageuse. Il me semble que c'est là la meilleure politique à suivre, car je n'aime pas .trop ces combinaisons nouées un peu dans le vide, ne s'appliquant qu'à des tendances générales, dont l'utilité est moindre çue les inconvénients, et dont les avantages sont quelquefois pour le moins scrupuleux. L'état actuel de l'Europe ne me semble pas trop comporter ces combinaisons. Vous serez donc, M. le Comte, le fidèle interprete de nos idées et de nos intentions en cultivant les bons rapports avec le Gouvernement Prussien et donnant à nos relations le caractère de la confiance et de l'amitié. Cette t.àclle personne mieux que vous ne saurait la remplir car vous y appor.terez awc la mesure et l'esprit politique qui vous distinguent, le zèle de vos convictions et l'appoint que vous donne votre excellente position personnelle auprès de la Cour de Berlin.

C'est vous dire que je n'ai aucune intention de vous proposer une nouvelle destination. Si vous m'aviez manifesté le désir d'un changement j'aurais taché, malgré mon vif désir de vous etre agréable, de vous faire comprendre que vous étiez un peu la victime de votre succès. Je tiendrai compte aussi des indicatic,ns que vous me donnez relativement au pe,rsonnei de votre Légation. Je connais le Chevalier Tosi et j'apprécie son intelligence et son zèle. C'est une excellente école que d'etre admis à travailler sous votre direction, et j'aime à garder cet avantage aux jeunes diplomates qui me paraissent avoir le plus d'avenir.

(l) -Su un'altra copia del telegramma che si conserva fra le Carte di Gabinetto anziché «év!demment pas >> sl legge << pas dans sa pensée >>. (2) -Fin qui il telegramma fu comunicato a Parigi e Londra il 4 gennaio col n. 1051. (3) -Da AVV.
147

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 48. Belgrado, 2 gennaio 1870 (per. l'8).

Dappoi che scrissi l'ultima relazione politica, nulla v'ha di mutato nella condizione interiore ed esteriore del Principato. Coll'acquetarsi del dissidio turco-egiziano, svanivano i disegni fondati sulle difficoltà che sarebbero nate per la Sublime Porta; e, parimente, calmassi l'eccitamento cagionato dalla insurrezione Dalmata. Le gazzette ne discorrono ancora di tempo in tempo: ma non evvi più a temere che il Governo serbo debba impegnare la lotta coll'opinione generale del paese, astenendosi da qualunque azione che possa dar sospetto alla vicina monarchia.

Nelle f<rontiere militari pare aumentarsi l'agitazione sollevata dalla nota risoluzione dell'Ungheria di attenerne l'intera liberazione dai legami militari. II partito militare di Vienna è accusato di spingere i serbi di quei luoghi alla resistenza, di fomentare fra loro l'odio al Governo di Pest, e di cercare unendosi ed alleandosi cogli slavi dell'Impe.ro il modo di sove·rchiare coloro che oggi governano la monarchia austro-ungherese. Il piano di resistenza consiste nel negare valore, per ciò che tocca gli slavi, serbi e croati, dei conHni, i quali son parte della corona croata, al compromesso dei dieci anni che regola oggi le relazioni fra Pest e Zagabria.

Tutti questi fatti, la rivolta dalmata, il timo~e che fra l'Austria e la Turchia si addivenga ad accordi ostili al Montenegro ed i quali aprano le frontiene a soldati austriaci ed il malcontento dei serbi nei vicini confini mlitari contro l'Ungheria, appuntellato evidentemente da chi rappresenta le idee del vecchio partito di Vienna, questi fatti pajonmi essere il motivo di un notevole raffreddamento nelle relazioni, già così intime, fra il Gove.rno serbo ed il rappresentante austro-ungarico, il Signor Kallay. A questo raffreddamento corrisponde esattamente il migliorarsi dei rapporti con il Consolato di Russia.

Il Signor Kallay ritornerà fra breve da un viaggio di congedo: credo ch'egli insistette vivamente a Vienna affinché non si appongano altri ostacoli alla convenzione già discussa a Belgrado ed approvata a Pest per alcune modificazioni alle Capitolazioni in vigore. Quegli crede ciò necessario (ed io ponendomi al luogo Suo non posso che giudicare in una stessa guisa) a mantenere la Serbia in una condizione la quale non possa aumentare le difficoltà che debbonsi vincere per far contenti i popoli slavi uniti aUa Corona di Santo Stefano. Se l'agente ungherese ricevesse a Vienna un rifiuto, credo possibile ch'egli rinunci al suo ufficio.

Il buon accordo fra Pest e Belgrado parmi una condizione essenziale alla pace dell'Oriente, e siccome i rivolgimenti di questa pa.rte d'Europa tornerebbero esiziali all'Ungheria, costringendola a combattere prima di avere ordinato il regno, non sembrami che l'altra parte della monarchia possa contrastarle il modo di mantenere buone ed intime relazioni con un paese, piccolo si, ma in condizione di turbare gravemente l'Ungheria, quando volesse suscita.re, nel proprio interesse od in quello della Russia, contro di essa i popoli di medesima origine.

148

IL MINISTRO A MADRID, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 1997. Madrid, 3 gennaio 1870, ore 14,10 (per. ore 16,50).

N'ayant pas rencontré le ministre des affaires étrangères, j'ai communiqué au général Prim esprit de votre télégramme (1). Il a reconnu loyales intentions de Sa Majesté qu'il expliquera aux Cortes. Il regrette les circonstances qui ont amené refus. Il m'a donné assurance amitié et padaits rapports. Montemar avait télégraphié dans le mème sens. Détails pa.r poste.

(l) Cfr. n. 145.

149

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL CONSOLE A CORFù, TRABAUDI FOSCARINI

D. 2. Firenze, 3 gennaio 1870.

Ho ricevuto il di Lei rapporto del 14 dicembre u.s. (n. 12 di questa serie) (l) relativo ad un abboccamento che Ella aveva avuto con Giuseppe Karam. Quei rapporto si 'riferiva ad altro precedente in data del 9 dello stesso mese (l), il quale trattava dello stesso argomento. Ringrazia;ndo la S.V. delle informazioni che ha trasmesso a questo Ministero sugli intendimenti di cui il G. Karam dimostrò di essere animato, debbo raccomandarle la massima circospezione nei colloqui che Ella potrebbe ancora avere con quel personaggio. Sarà bene anzi ch'Ella eviti tutto ciò che potrebbe dar motivo al Karam di far credere ch'egli mantenga segrete intelligenze con il R. Governo, o che potrebbe insospettire coloro che, per incarico della Porta, vegliano certamente sugli andamenti di questo caso. Colgo quest'occasione per accusarle ricevuta della corrispondenza politica di codesto R. Ufficio dal n. l al n. 12 incluso, e per ringraziarla delle informazioni in essa contenute. L'argomento delle Scuole cattoliche e degli adoperamenti di codesto clero latino per !stabilire la propria influenza in Corfù, merita tutta l'attenzione del R. Governo, epperciò Le sarò grato di voler continuare ad informarmi di ogni incidente di qualche importanza che abbia riguardo a questo oggetto.

150

PIO IX A VITTORIO EMANUELE II (2)

L. P. Dal Vaticano, 3 gennaio 1870.

Non ho dato corso alla prima lettera qui unita (3) e che ho diretto a Vostra Maestà, perché H signor Mtnistro di Portogallo mi assicu,rò di a vere scritto in proposito, ma non vedendo riscontro, invio a Vostra Maestà la stessa lettera.

Vi unisco poi la presente per pregarla a fare tutto quello che può affine di allontanare un altro flagello, e cioè una legge progettata, per quanto si dice, relativa alla istruzione obbligatoria. Questa legge parmi ordinata ad abbattere totalmente le scuole cattoliche e sopratutto i Seminari. Oh quanto è fiera la guerra che si fa alla Religione di Gesù Cristo! Spero adunque che la Maestà Vostra farà sì che in questa parte almeno la Chiesa sia risparmiata.

Faccia quello che può, Maestà, e vedrà che Iddio avrà pietà di lei.

La abbraccio nel Signore.

(l) -Non pubblicato. (2) -Da Archivio Vaticano, ed. In PIRRI, vol. III, parte II, pp. 225-226 e in Lettere Vittorio Emanuele Il, vol. II, pp. 1463-1464. (3) -Cfr. n. 111.
151

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1026. Parigi, 3 gennaio 1870 (per. il 5).

Dopo le molte peripezie, ch'ebbi l'onore di riferire all'E. V. con precedenti telegrammi e rapporti, si è finalmente costituito iersera il nuovo Ministero, di cui l'Imperatore aveva affidata la formazione al deputato signor Emilio Ollivier. Il Journal officiel d'oggi promulga una serie di decreti imperiali dai quali il nuovo Gabinetto risulta composto come segue. Va notato ch'è conservata la divisione del Ministero d'Agricoltura e Commercio da quello dei Lavori pubblici, e che è separato in due Ministeri distinti il Ministero finora riunito in un solo titolare della Casa dell'Imperatore e delle Belle Arti. Il signor Emilio Ollivier prende H portafoglio della Giustizia e dei Culti.

Il Conte Napoleone Daru è nominato Ministro degli Affari Esteri;

Il signor Chevandier de Valdòme, Ministro dell'Interno;

Il signor Buffet, Ministro delle Finanze;

Il signor Ségris, Mini:stro dell'Istruzione pubblica;

Il Marchese di Talhouet, Ministro dei Lavori pubblici;

Il signor Louvet, Ministro dell'Agricoltura e del Commercio;

Il signor Maurice Richard, Ministro delle Belle Arti;

Il Maresciallo Vaillant conse•rva il Ministero della Casa dell'Imperatore, ed i signori Generale Le Boeuf ed Ammiraglio Rigault de Genouilly i Ministeri della Guerra e della Marina.

I nuovi Ministri prestano oggi il loro giuramento nelle mani dell'Imperatore ed entreranno quindi immediatamente in funzione.

L'elemento dominante in questa combinazione è tolto dal centro sinistro, in guisa che il Ministero rappresenta una fusione dei due centri destro e sinistro, con una decisa tendenza verso quest'ultimo. Non v'è dubbio che neHa Camera elettiva la nuova Amministrazione presenta una forza considerevole, giacché non av.rà contro di sé gli elementi moderati che formano pur sempre la gran maggioranza dell'Assemblea, e l'opposizione si troverà .ridotta alla sinistra ed all'estrema destra.

Rispetto all'Italia, devo confessare che l'attuale combinazione non è così favorevole come il nome di Emilio Ollivier doveva fa<r sperare. I membri tolti dal centro sinistro hanno una tinta marcata di cler~calismo e d'orleanismo. Adopero quest'ultimo termine non nel senso letterale, né adoperandolo intendo dire che i Ministri tolti dal centro sinistro vogliano il ritorno della Dinastia d'Orléans. Dal momento che prestano g·iuramento di fedeltà all'Imperatore non si può dubitare che non lo tengano onoratamente. Adopero il termine per significare i principi politici da cui saranno guidati. Né ·la personalità di Emilio Oll:ivier che rappresenta i principi liberali senza clericalismo, per quanto eminente essa sia, var,rà a pigliare preponderanza sopra la maggioranza de' suoi colleghi. Né l'Imperatore stesso vorrà pesare di soverchio sopra i suoi Ministri per imporre ad essi una data linea di condotta politica. È anzi probabile che per provare la sua intera buona fede nell'accetta,re il regime parlamentare si farà scrupolo di esercitare una pressione troppo marcata sul nuovo Gabinetto.

Il Conte Daru, nuovo Ministro degli Affari Esteri, esce anch'esso dal centro sinistro, e ne divide, a quanto si ass,icura, le tendenze e le opinioni. Ma non sarebbe né opportuno, né giusto il formolare fin d'ora un giudizio su questo Ministro e sugli altri colleghi suoi. Converrà attenderne gli atti prima di giudicarli.

152

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A MADRID, CERRUTI

T. 1050. Firenze, 4 gennaio 1870, ore 13,40.

Je me suis empressé de communiquer votre télégramme (l) à Sa Majesté qui a éprouvé une vive satisfaction du langage élevé que vous a tenu le général Prim. La noblesse de son caractère nous assurait d'avance qu'il !'endrait justice à la loyauté et au bon vouloir de Sa Majesté et de son Gouvernement. Veuillez lui exprimer notre conviction que la confiance réciproque qui ne cessera pas de régner entre nous affermira toujours davantage nos bons rapports avec la grande nation dirigée aujourd'hui pa'r des hommes d'Etat qui ont toutes nos sympathies.

153

IL CONTE VIMERCATI A VITTORIO EMANUELE II (2)

T. Parigi, 4 gennaio 1870, ore 17 (per. ore 20).

Nouveau Ministère aura majorité à la chambre et satisfait momentanément opicnion publique, mais nous est hostile. Ollivier est le seui Ubéral. Je crains que sa situation soit déjà préjugée. Nouveau ministre des affaires étrangères prétend lui avoi~r fait prendre des engagements sur question romalne étant contraire évacuation. Dans la crise ministérielle Magne a voulu jouer Ollivier faisant accepter par Empereur les Orléanistes du centre gauche. Empereur forcé à les presomptions, a préféré les avoir avec Ollivier qu'avec Magne. C'est ainsi que les menées de Thiers ont triomphé en faisant adopter un Cabinet qui est la contrepartie du deux décembre et dont Thiers est le véritable chef secret, pour ce que dégouté de la conduite de Magne a préferé passer

par les fourches Caudines avec Ollivier, et il tachera de s'entendre avec lui dans un sens plus libéral que majorité du Ministère dont théories peu conformes au suffrage universel sont plus parlamentaires que libérales. Ce jeu est dangereux, je crois Empereur trop faible, Ollivier déja suspect à ses collègues, voilà ou nous ont conduit les menées du prince Napoléon, toujours prét à démolir, impuissant à réedifier, il a été lui méme battu dans cette lutte. Je juge situation très mauvaise pour nous, quoique pas dangereuse. Faut pas demander évacuation. Demain télégraphierai pour démarches à faire près de l'Empereur directement.

(l) Cfr. n. 148.

(2) Da ACR.

154

IL MINISTRO A MADRID, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 54. Madrid, 4 gennaio 1870 (per. l'B).

Il telegramma di V. E. delli due andante (l) mi giunse alle 10 di sera dello stesso giorno, ma già nella ristretta cerchia delle persone di Stato si conosceva il senso d'altro telegramma spedito dal Signor Montemar e qui giunto la notte antecedente, nel quale si rendeva conto dei colloqui avuti dal Rappresentante Spagnuolo con Sua Maestà e della conversazione di Lei, signor Cavaliere, con quel Ministro.

Ieri mattina telegrafai a V. E. in brevi parole il risultamento della mia conferenza col Generale P·rim (2). Passo a darLene alcuni particolari.

Non avendo trovato al Ministero di Stato il signor Martos, mi recai ieri, verso mezzogiorno, presso del Presidente del ConsigUo, cui lessi il telegramma di V. E. modificato in alcuni punti, e con opportuno spostamento di frasi. Dopo la prima lettura fatta da me, il Generale Prim mi chiese di !asciargliene prendere una lettura più lenta, e lesse il telegramma a periodi, fermandosi silenzioso a riflettere su d'ogni capoverso. Dopo breve pausa mi disse, presso a poco, ciò che segue: «Quest'annunzio non mi è nuovo; Montemar ce ne ha scritto in identico senso. Qualunque possa esserne la conseguenza rispetto a noi, mi rimanà sempre la più grata impressione delle leali intenzioni di Sua Maestà il Re d'Italia, che ha fatto quanto da Lui dipendeva per la riuscita del nostro progetto. Quanto alla Duchessa mi spiego pe<rfettamente le apprensioni del cuore di madre, ma è da lamentarsi che abbiano esse prevalso nell'animo suo alle aspirazioni di un grande avvenire per Suo figlio, in nome dei quale rinunzia ad un trono; e qual trono! ... Vi prego, però, di far sapere al Ministro degli Affari Esteri in Firenze che questo fatto non altera in nulla le buone relazioni esistenti tra i due paesi, i quali sanno che possono ormai fare assegnamento l'uno su dell'altro».

Al momento di congedarmi, stringendomi le mani, mi disse: «Conosco troppo la benevolenza di Sua Maestà a mio riguardo per mettere un solo istante in dubbio la sincerità dei Suoi sentimenti».

Non potevamo aspettarci ad una risposta più moderata e benevola quando riflettiamo che da cinque mesi il progetto di candidatura italiana era la quistione più grave trattata in questo paese; che per essa ebbe luogo la crisi ministeriale dello scorso novembre per la quale l'ammiraglio Topete, il Ministro degli Affari Ested e quello delle Finanze avevano lasciato il Ministero; che varj memb1i influenti della Unione liberale, partitanti in allora della candidatura Montpensier, erano passati nel campo della candidatura italiana; che finalmente la determinazione attuale della Famiglia Reale trae con seco una nuova crisi ministeriale in Madrid.

Ieri sul tardi, vidi pure il Ministro degli Affari Esteri, che mi rivolse presso a poco le stesse parole del Generale Prim.

Ier;i sera i Ministri convennero in Consiglio, e si decise, in seguito ai desiderj vivamente espressi da Sua Altezza il Reggente, di conservare ancora pe'r qualche giorno il Gabinetto, quale ora si trova composto, per potere, con più matura riflessione, fare la scelta di nuovi membri, in modo da conciliare, per quanto sia possibile, tutti i partiti della maggioranza mona,rchica.

A questo scopo il signor Olozaga, venuto or sono pochi giorni da Parigi, assisteva al Consiglio dei Ministri, e prende una parte attiva nella nuova conciliazione con l'Unione liberale.

(l) -Cfr. n. 145. (2) -Cfr. n. 148.
155

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. Londra, 4 gennaio 1870.

Desiderando di corrispondere il meglio possibile all'onorevole invito che Ella mi ha fatto di esporle il mio avviso intorno alla candidatura di S.A.R. il Duca di Genova a,l Trono di Spagna, La prego di permettermi di scriverle su questo soggetto in modo confidenziale, e privato onde potermi esprimNe più liberamente.

Innanzi tutto un po' di storia dall'epoca che venni qui, il che mi dà occàsione di mandarle copia dei dispacci che io ho mandati, e ricevuti, secondoché mi sono riserbato di fare. A quest'epoca (fine di giugno p.p.) aveva già avuto luogo la missione Barbolani a Londra, e quella del signor Montemar, presso

S.A.R. il Duca di Genova, il ricevimento qui dello stesso signor Montemar, e la risposta dettagli da Sua Altezza (la quale sarà certamente da Lei conosciuta) (2) ed ogni altra cosa che si fece in quella occasione, quando, come Le dissi, io non era ancora a Londra. Alla mia partenza da F~renze a vendo ver

balmente chiesto istruzioni a riguardo di questo affare il signor Conte Menabrea mi disse, che H Governo era rimasto estraneo, e che né appoggiava, né contrastava questa candidatura. L'astenermi era perciò la sola norma che io doveva seguire, e l'ho rigorosamente seguita, non parlando mai di questo soggetto neppure con S.A.R., sebbene lo vedessi assai frequentemente. Né egli stesso mai me ne parlò sino al giorno 3 ottobre p.p. nel quale egli fece meco spontaneamente uno sfogo, che mi credetti in dovere di portare alla conscenza del signor Conte Menabrea (1), (prevenendo di ciò il Principe) con mia lettera particolare dello stesso giorno, della quale unisco cop~a in allegato A.

Successivamente avendo io ricevuto una lettera particolare del signor Marchese Gualterio, nella quale mi diceva di scrivermi d'ordine del Re, e mi sollecitava a prendere presso S.A.R. una parte attiva in favore della sua candidatura predetta, io me ne scusai, come appare da altra lettera che diressi al signor Conte Menabrea il 7 ottobre stesso (2), e che pure unisco in allegato

B. Il signor Conte, secondando il voto, che io faceva in questa lettera di non ricevere, nonostante le sollecitazioni fatte dal signor Marchese Gualterio, altri ordini, si limitava a ringraziarmi della lettera, che gH avevo scritto, come risulta dal telegramma che pure unisco in copia in allegato C (3), né ebbi mai dipoi dal medesimo altre istruzioni, che modificassero quelle ricevute alla mia partenza da Firenze.

L'ostilità di quasi tutta la stampa inglese a codesta candidatura, ed in ispecie, un notevole, e molto incisivo articolo del Times furono da me segnalati con altro telegramma unito in copia in allegato D (4).

Siccome poi spesso nelle conversazioni private mi si facevano interpellanze su questo soggetto, erami necessario, soprattutto, di sapere, per mia norma, se per parte di Sua Maestà o del suo Governo si fossero presi degli impegni dei quali io dovessi tener conto, ed a questo fine mirava il telegramma diretto al signor Conte Menabrea, che unisco in allegato E (5), al quale (come risulta dall'altro telegramma che unisco in allegato F (6) egli mi rispose negativamente, almeno per ciò che riguardava il Governo, ed anche a riguardo di Sua Maestà, almeno per quanto potesse ravvisarsi come impegno ufficiale.

Il signor Conte di Clarendon mai non mi avev,a fatto parole di questo soggetto, ed una sola volta, allorquando questa candidatura pareva abbandonata nella Spagna, avendomi egli espresso che questa gli pareva la migliore soluzione per noi, ne informai il signor Conte Menabrea con un dispaccio (qui unito in allegato G (7) un estratto del quale fu poi compreso nella riproduzione che fa il Ministero colla litografia dei dispacci diplomatici, accompagnandolo con circolare in cui il Ministro si dichiarava consenziente alle idee manifestate da Lord Clarendon in quella c1rcostanza.

Io non ebbi mai occasione di esprimere il mio avviso personale sopra questa delicata e grave questione perché non ne fui mai richiesto. Ebbi bensì occa

14 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. XII

sione di conoscere gli intendimenti anche di S.A.R. la Duchessa di Genova in .tre distinte volte che ebbi l'onore di vederla, nelle quali essa si palesò sempre (e massime J'ultima volta a Firenze il 4 novembre p.p.) ln modo singolarmente energico contraria alla candidatura di suo figlio al Trono della Spagna; il che mi pose sempre in qualche imb8irazzo, perché, se le mie opinioni personali erano (come dirò), conformi a quella di S.A.R. le istruzioni ricevute però mi imponevano l'obbligo di tacede.

Debbo pure dirle che so essere nato il sospetto che il signor Arnold presso il quale S.A.R. il Pdncipe Tommaso è ospitato in Harrow fosse partigiano del Duca di Montpensier, e che si dovesse ascrivere in gran parte alla sua azione la ripugnanza del giovane Principe alla propostagli candidatura. Io però ho piena convinzione che su di ciò siasi a Firenze caduti in errore. Il signor Arnold uomo assai conosciuto, e che io pure conosco, è di una rispettabilità e lealtà al di sopra di ogni sospetto, e gode fermamente di questa fama presso tutti. coloro che lo conoscono. Egli si è stabilito temporaneamente ad Harrow solo perché manda pure suo figlio a quel Collegio. È un signore che offerse spontaneo la sua casa al Principe Tommaso quando, (per pregiudizio religioso) era impossibile trova·rne un'altra colà, e fece ciò per la sua simpatia per la casa di Savoia, e perché (come egli medesimo disse) non voleva che mai si avesse potuto dire, che, quando la Casa di Savoia mandava un suo figlio in Inghilterra per esservi educato, ed istruito non vi si fosse trovato chi ascrivesse ad onore di ospitarlo. È verissimo che il signor Arnold è pure d'avviso che la proposta candidatura sarebbe pel Principe un infausto dono, ed anzi, venne egli stesso a raccontarmi con molto affetto il dolore, le sofferenze morali, e le lagrime del giovine Principe, ed il danno che ciò recava anche ai suoi studi, ma questa opinione del signor Arnold è l'opinione di tutti gli Inglesi, e di tutti i giornali Inglesi, cominciando dai Ministri, e dal Times, al Morning Post. E, a dirla come la penso, parmi che codesta opinione di un paese ove si ha molta simpatia per l'Italia e per la Casa di Savoia, e dove non vi sono secondi fini, sia più disinteressata, ed autorevole, che non quella di altri paesi nei quali si ha interesse ad escludere altre candidature invise apponendovi quella del

Duca di Genova.

Mi rimane ora di esprimerle il mio avviso in merito alla controversa candidatura, 1J. quale fu sempre, ed è recisamente contrario all'accettazione della medesima; e lo faccio colla memoria che pure unisco alla presente lettera in

allegato H (1).

P. S. -Un forte raffreddore che mi tenne per un poco a letto mi costrinse a differire di due o tre giorni la spedizione di questa lettera. Veggo ora dai telegrammi che recano i giornali, che la candidatura del Duca di Genova sarebbe stata rifiutata. Se ciò è vero ne sarò lietissimo. In tal caso il mio avviso postumo servirà ancora a provare la mia piena deferenza ai suoi desiderii, ed a constatare iJ voto di un vecchio, ed affezionato amico dell'Italia, e della Casa di Savoia.

(l) -Da ACS, Carte Visconti Venosta. (2) -Cfr. serie I, vol. XI, nn. 353, 356, 358. (l) -Cfr. serle I, vol. XI, n. 599. (2) -Cfr. n. 7. (3) -T. 1021 del 12 ottobre, non pubblicato. (4) -Non pubblicato. (5) -Cfr. n. 8. (6) -Cfr. n. 11. (7) -Cfr. n. 17.

(l) Non si pubblica.

156

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A MADRID, CERRUTI

D. 6. Firenze, 5 gennaio 1870.

Vous savez quelle rése,rve le Gouvernement du Roi a apporté dans la question aujourd'hui posée officiellement par le Gouvernement Espagnol, de l'offre faite à S.A.R. le Due de Genes de la Couronne d'Espagne. Dès les premières démarches faites dans ce sens par M. de Montemar Sa Majesté et son Gouve,rnement appréciant à sa haute valeur ce témoignage de sympathie donné par la noble nation espagnole à l'Italie et à sa maison roya;le, montrèrent combien ils en étaient touchés et combien leur bon vouloir était acquis à l'oeuvre de liberté et de consolidation poursuivie, avec un succès mérité, par l'administration de S.A. le Régent. Mais en meme temps le Roi et ses Ministres mirent le plus grand soin à fixer le véritable caractère de la situation respective des deux pays en cette grave circonstance.

Ni les sentiments de dignité auxquels l'Espagne est si constamment fidèle, ni les principes d'absolue indépendance que nous respectons chez les nations amies comme nous les maintenons pour nous memes, ne permettaient que le Gouve,rnement du Roi cherchat, dans l'avènement d'un Pri:nce italien au tròne d'Espagne un avantage pour les intérèts particuliers de l'Italie. La solidarité naturelle des deux grandes péninsules de la Méditerranée aujourd'hui assurée dans ses effets par les maximes libérales de droit public sur lesquelles se fonde le Gouvernement d'Espagne a été affirmée avec éclat par un choix spontané dont l'Italie a été fière et reconnaissante, mais le Gouvernement de Sa Majesté n'en a senti que plus vivement l'opportunité d'éviter toute initiative comme toute immixtion prématurée dans les faits relatifs à cette candidature. L'Espagne est donc demeurée, en tout ceci, seule en présence d'ellememe et des Puissances amies dont les dispositions pouvaient l'intocesser; le Gouvernement de Sa Majesté n'a meme jamais abordé la question des formes dans lesquelles devrait éventuellement se produire la manifestation des volontés de ,l'Espagne, et aucune communication n'a été recherchée ni reçue par lui touchant les adhésions par lesquelles l'Europe pourrait accroitre rautorité morale du futur Souverain. Etra;nger à toute vue d'ambition dynastique ou politique et n'étant pas encore en mesure d'apprécier si effectivement la candidature du Due de Génes pour:rait etre entourée des garanties nécessalres pour rendre un véritable service à la cause de l'ordre et de la liberté en Espagne, et à celle de 1a monarchie constitutionneUe en Europe, ie Gouvernement du Roi s'est tenu dans une entière abstention en ,attendant que le moment vint de soumettre à Sa Majesté les conseils requis par la responsabilité ministérielle.

C'est dans cet état de choses que M. de Montemar est venu tout récemment me demander une détermination du Gouvernement du Roi pour le motif que le Gouvernement Espagnol avait besoin d'etre éclairé à cet égard avant la réunion des Cortes fixée au 3 janvier. En présence des faits que je viens je vous rappeler, M. le Ministre, Ies dispositions personnelles, quelles qu'elles fussent, du jeune Prince et de S.A.R. la Duchesse de Gènes prenaient naturellement une importance d'autant plus gmnde que les Conseillers de la Couronne pouvaient moins s'appuyer pour les contredire au besoin respectuesement sur des raisons d'Etat impérieuses et déterminantes. Pour dire toute ma pensée, je ne crois pas que devant une résolution affirmative et bien arrétée du jeune Prince et de son Auguste famille, les sympathies si générales qui voudraient retenir Son Altesse Royale en Italie eussent piì. fournir au Gouvernement de Sa Majesté un motif suffisant de s'opposer à une acceptation. Mais quelles qu'aient piì. etre Ies prévisions formées à cet égard telle n'est pas la réalité actuellement. Sa Majesté a du fai,re connaitre à M. l'Envoyé d'Espagne que S.A.R. la Duchesse de Génes refuse son consentement et que le Prince en conséquence ne croit pas avoir le droit d'accepter, de son autorité propre, ce glorieux fardeau. Il n'est que juste de reconnaitre que, dès lors, le Gouvernement du Roi ne saurait trouver dans les considérations politiques qui peuvent ètre alléguées en faveur de l'acceptation, une raison légitime et un point d'appui pour s'imposer à la volonté maternelle et pour péser sur la conscience d'un Prince appelé par une grande nation à prendre si jeune encore des résolutions si redoutables. S. M. le Roi n'avait piì. prendre et n'avait pas pris engagement de pa.sser sur de tels obstacles, s'ils venaient à se présenter: les Ministres ne sauraient avoir moins de respect envers les droits de la famille du Prince.

Nous connaissons assez, M. le Ministre, l'élévation des sentiments du peuple espagnol et des hommes d'état éminents qui le dirigent, pour étre assurés que la conduite du Gouvernement du Roi en cette affaire sem appréciée comme elle doit l'ètre. Les sympathies réciproques des deux pays sont établies sur des bases inébranlables; la confiance et la loyauté qui ont présidé aux échanges de vue des deux Gouvernements seront un gage de la sincérité de leurs relation& amicales (l).

157

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI

D. 104. Firenze, 5 gennaio 1870.

Le accuso ricevuta dell'interessante rapporto ch'Ella mi ha diretto in data delli 29 dicembre u.p. sulla crisi ministeriale che da parecchio tempo si agita in codesto paese (2).

Il colloquio che V. S. ebbe in proposito col Canceme,re Imperiale acquista un particola:re interesse per noi in quella parte in cui parlando del viaggio dell'Imperatrice il Conte Beust volle disimpegnare completamente la responsabilità del Governo Imperiale nelle dimostrazioni clericali alle quali il sog

giorno di Sua Maestà in Roma avea dato motivo. A questo riguardo dobbiamo tenere in molto pregio anche la dichiarazione spontanea che S. E. fece alla

S. V. sullo scopo del suo recente viaggio in Firenze.

Gravi problemi costituzionali agitano l'Impero. Essi meritano tutta la nostra attenzione. Le conseguenze che possono derivare dalle soluzioni che sembrano divenute urgenti, potrebbero infatti estendersi a quistioni di generale interesse europeo. Perciò, mentre Le porgo i miei a.-ingraziamenti per la lucida esposizione fattami dello stato presente di quelle quistioni, debbo pregarla di continuare a mantenermi informato delle principali fasi dei rivolgimenti interni che si preparano in codesto paese.

(l) -Inviato in copia alle altre legazioni con dispacci del 9 gennaio. (2) -Cfr. n. 139.
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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l}

L. P. Berlino, 5 gennaio 1870.

Selon mon habitude, j'entretenais aussi sous votre prédécesseur, a còté de ma correspondance officielle, une correspondance particulière contenant les détails les plus confidentiels.

Il me semble opportun d'en résume.r la partie essentielle durant l'année dernière, afin que V. E. puisse avoir une idée exacte de la manière de vok du Comte de Bismarck sur la question importante des alliances.

Dans le mois de mars, le Ministre me priait de faire savoir au Général Menabrea qu'il se trouvait dans quelques embarras en suite des nouvelles les plus fantasmagoriques, répandues à la Cour pour impressionner l'esprit du Roi. C'etait, entre autres, le roman de la triple alliance entre l'Italie, la France et l'Autriche, et il y avait des gobe-mouches qui voyaient déjà les bersaglieri faisant Ieur entrée à Berlin par la porte de Brandebourg. S. E. n'attachait aucune valeur à ces récits, mais elle me demandait de lui procurer de Florence quelques arguments pour lui venir en aide dans la lutte incessante, à la Cour, contre certaines influences. «Au reste, ce sont ses paroles textuelles, si vous deviez jamais tirer sur nous, nous ne riposterions pas. J'apprendrai aux braves poméraniens une chanson dont le refrain serait viva l'Italia quand meme '>.

Je n'avais pas manqué d'opposer le démenti le plus formel, ne pouvant m'expliquer qu'on s'al'retàt un seul instant à des suppositions aussi contraires à la logique et au bon sens, et dont il fallait chercher l'origine dans le jeu des partis, et peut-etre aussi des agioteurs à la bourse.

J'en référais au Comte Menabrea (2), qui me répondait que l'Italie n'avait en ce moment qu'une alliance purement morale avec les Puissances

qui veulent maintenir la paix. Il ne se dissimulait pas les dangers de la situation. La France nommément se sentait amoindrie par les succès de la Prusse et par le peu d'égards qu'on avait démontré envers elle. On ne lui avait pas meme accordé la satisfaction du Luxemburg. L'Allemagne n'avait pas assez ménagé l'Empereur Napoléon ... si une guerre éclatait, notre attitude dépendrait des événements ...

Tous ceux qui désirent réellement la paix, doivent en ce moment travailler à désintéresser la France à faire la guerre ... L'issue de la situation dépend surtout de l'attitude de l'Allemagne.

Il me semble utile de transmettre ci-joint une copie de ma lettre particulière du 4 avril (1), par laquelle je rendais compte de la manière dont le Président du Conseil avait accueHli nos observations. Les circonstances se sont modifiées depuis lors, mais cette lettre ne contient pas moins des indications qu'il n'est pas sans intéret de connaitre.

Par son langage, d'un còté mon intedocuteur cherchait à placer sous son véritable jour sa conduite vis-a-vis du Cabinet des Tuileries ·et d'un autre còté, en énumérant les forces de la Confédération du Nord, illaissait clairement entendre que, sans vouloir jouer le ròle de provocateur, il avait en main tous les moyens de repousser une injuste ag,ression. Il rejetait en meme temps, avec un certain sentiment d'indignation, I'idée de désintéresser la France par des concessions à son amour propre, pour ne pas dire à sa vanité. Quant à l'Italie, il ne nous demandait aucun appui. Ce serait à nous d'aviser le cas échéant, s'il nous conviendrait de garder une attitude expectante.

Il n'a pas prononcé le mot neutralité, déclarée à l'avance. N'admettant pas à tort ou à raison, que nous ayons jamais l'intention de toumer nos armes contre la Prusse, cette neutralité ne serait qu'un pis-aller, car la France et l'Autriche, complètement rassurées vers leurs frontières, tourneraient alors toutes leurs forces contre l'Allemagne. Ce que l'on désirerait de nous, serait donc au besoin une attitude expectante.

Pour se ménager une telle position, le Cabinet de Berlin s'est appliqué

depuis 1866 à entretenir les meilleurs -rapports avec l'Italie. Voici à cet égard le

bilan de l'année dernière.

Au moment où se réunissait la Conférence de Paris pour apaiser le dif

férend entre la Porte et la Grèce, des instructions au Comte de Solms lui pres

crivaient de mettre tous ses soins à ce que Ia p,russe et l'Italie marchassent

d'accord et se soutinssent mutuellement dans leur ròle de médiation et de

conciliation. Plus tard, par une lettre du 15 février dont j'ai envoyé une copie

par ma dépeche n. 347 (2), le Comte de Bismarck m'exprimait la satisfaction

de Son Souverain, pour l'accord qui n'avait cessé de régner entre les deux

Gouvernements: « S. M. se plaisait à y reconnaitre l'effet de l'identité des

intérets qui dominent la politique de la Prusse et de l'Italie, et un gage de

l'harmonie qui leur est indiquée, autant par les relations d'amitié qui unissent

les deux Souverains, que par l'analogie des traditions historiques et des aspi

rations .politiques des deux nations allemande et italienne ».

Dans le mais de mars, il s'agissait de trouver un successeur au Comte d'Usedom, devenu impossible pour des raisons que, depuis quelques mois j'avais été chargé de révéler confidentiellement au Général Menabrea. Le Comte de Bismarck m'annonçait que, voulant faire un choix gratissimo à notre Cour, H avait jeté son dévolu sur le Comte Brassier (1). Ce candidat avait, à ses yeux, le principal mérite d'etre italianissimo et d'avoir su se concilier l'estime de tous nos hommes d'Etat, y compris le Général La Marmora. Lorsque plus tard, par une méprise qu'H serait trop long de raconter, nous paraissions soulever quelques objections contre un pareil choix, M. de Bismarck m'engageait à m'interposer pour que la bienvenue filt accordée à ce diplomate. Il ajoutait: «Si dans quelques mois, sa nomination offrait réellement des inconvénients, vous n'auriez qu'à m'informer, et nous aviserions ».

J,l ne faut pas oublier que, l'année précédente, d'aprés notre désir M. Bernhardi avait été rappelé de Florence, quoiqu'il en contàt au Président du Conseil de prendre une telle determination, vis-à-vis d'un fonctionnaire qui jouissait de toute sa confiance et de celle du Général de Moltke.

A l'occasion du cinquantenaire de la première messe de Pie IX, M. de Thile, au nom de son chef, s'empressa de me fournir les plus amples explications sur l'envoi du Due de Ratibor, chragé de complimenter le Pape, mais dont la mission n'avait aucune signification politique (2).

A ce propos, qu'il me soit permis de combattre un a;rgument, que j'ai souvent entendu émettre, lors de mon de·rnier séjour à Florence: la Prusse ne nous auratt pas soutenus dans la question de Rome. Il serait plutòt juste de dire que nous avions fait fausse route en 1867, lors de I'échauffourée de Mentana. Cependoot, on nous montrait ici de la sympathie, et les instructions des Ministres de Prusse à St. Pétersbourg, Londres, Vienne et Florence, réservaient le cas où notre 1ntég,rité territoriale serait menacée, éventualité où le Cabinet de Berlin devrait aviser. S'il s'était abstenu d'une démarche directe à Paris, c'est qu'il pensait qu'elle .réveillerait trop de susceptibilités pour s'en promettre un bon eHet. «Nous ne terons pas la guerre au Pape », tel est son programme. Ce serait fourn~r à la France un te·rrain trop favorable pour engager Ia lutte vers les Provinces Rhénanes, où habitent des populations catholiques très fe·rventes, sans compter un parti ultramontain fortement constitué dans le Midi de l'Allemagne. Du reste, si l'on tient ici à ce que le Pape ne devienne le sujet d'aucune puissance étrangère, on se tient complètement en dehors de la question territoriale et, partant, de tout ce qui touche au pouvoir .temporel.

Quand il s'est agi d'un échange de décorations pour les Conventions postale et consulaire que j'avais signées à Berlin, le Comte de Bismarck, sautant à pieds joints sur le fait qu'on s'était abstenu vis-à-vis d'autres Etats de procéder à un semblable échange, s'y montrait disposé pour donner un témoignage de plus de sentiments parfaitement amicaux à notre éga,rd.

Lorsque le Comte di Robilant et le Major Besozzi arriverènt ici, en septembre, pour assister aux grandes manoeuvres militaires, ils furent comblés de prévenances de toute sorte, au point d'attirer l'attention des autres officiers

étrangers. Dans le repos des corps, le drapeau italien flottait melé à celui de la Prusse. M. Besozzi fut le seui officier décoré, et si le Général de Robilant n'a pas reçu la meme distinction, c'est que, une année auparavant, il avait eu le grand cordon de l'Aigle Rouge. Ces messieurs ont dù rapporter Ieurs impressions au Ministère de la guerer et je sais qu'ils ont constaté, non seulement l'excelIent aecueil dont ils avaient été l'objet, mais aussi Ies progrès que l'armée avait faits depuis 1866, époque cependant où elle avait déjà si bien établi sa supériorité. Le fait est qu'on est armé jusqu'aux dents, et qu'on ne cesse de perfectionner l'organisation, celle de l'artillerie surtout. Le fusi! è aiguille va, Iui-meme, subir une transformation qui augmentera le tir rasant et le nombre de coups par minute.

Enfin, lorsque le Prince Royal de Prusse entreprit son voyage en Orient, cert.es ii n'a pas dépendu de lui que, à son premier passage déjà en Italie, il ne se rencontràt avec notre Roi et avec le Prince de Piémont. Cette rencontre n'ayant pu se combiner, par des motifs qu'il est inutile de rappeler, Son Altesse Royale ne manqua pas à son retour, de visiter notre Prince Royal à Naples et Sa Majesté a Florence. Avec un tact dont nous devons lui savoir gré, Elle évita de s'arreter à Rome. Pour mieux faire ressortir combien ces procedés étaient d'une exquise courtoisie, il suffit de les mettre en regard avec le voyage fait, en 1868, par le Prince de Piémont en Allemagne, cette mème année où la Prusse s'etait faite représenter, par l'héritier de la Couronne, au mariage de son auguste Collègue avec la Princesse Marguerite. Les Augustes époux firent un séjour à Francfort Sur le Mai.n, une course à Wiesbaden. A deux heures de distance se trouvait le Roi Guillaume, et son fils cherchait à se renseigner sur l'itinéraire. Nos Princes ne donnèrent pas signe de vie. Ils me chargèrent seulement de faire agrée leurs regrets en haut lieu et de laisser entrevoir que, à Ieur retour de Belgique, ils espéraient se procurer une entrevue. Elle n'a pu avoir lieu et, cette fois encore, pour des raisons indépendantes de la cour de Prusse.

Je citerai aussi Ics bonnes dispositions montrées par le Comte de Bismarck pour I'affaire du St. Gothard, dès que, par une démarche dont j'ai rendu compte à votre prédécesseur, il s'était convaincu que nous attachions un grand prix à I'accomplissement de cette oeuvre. A dater de ce jour, les négociations marchèrent vers un résultat favorable. Il n'y a que Ies mouches du coche, tel que le Général de Roeder, Ministre de la Confédération du Nord à Berne, qui ont la na!veté de croire que ce sont eux qui ont renversé en grande partie les obstacles.

J'ajouterai que, plus d'une fois, le Comte de Bismarck, tout en réservant son jugement sur la conduite de la guerre de 1866 en Italie, s'est plu à rendre justice à la manière fidèle dont nous avions rempli nos engagements, de meme qu'à la parfaite loyauté du Général La Marmora.

Je mentionnerai, en dernier lieu, I'intérét si chaleureux manifesté par cette Cour, lors de la grave maladie de Notre Auguste Souverain.

Ce n'est pas certainement par l'unique sentiment d'amitié -quoiqu'on ne saurait le mettre en doute un seui instant, de la part surtout du Prince Royal de Prusse, -que, dans chaque circonstance, on tient ici à nous montrer sympathie et déférence. On vise évidemment à fortifier le principe de l'alliance de 1866. En lieu et piace de la Prusse, nous n'agirions pas autrement, et meme, selon ma manière de voir qui vous est connue, M. le Chevalier, nous devrions emboiteT le meme pas. Et cela, non point pour chercher querelle à nos voisins, mais pour les tenir en bride contre toute velléité qui tendrait à troubler la tranquillité de l'Europe. Par une semblable entente, nous ne nous exposerions point à courir l'aventure, car la conduite du cabinet de Berlin dans ces derniers temps n'a certes pas peché par imprudence et par témérité.

Je mentionnerai son attitude réservée dans les discussions entre la Fr•ance et la Belgique pour les chemins de fer, et son intervention si conciliante dans les démelés en Orient. Sa mauvaise humer n'a paru visiblement que vers l'Autriche, mais il faut reconnaitre que le Comte de Beust avait dépassé la mesure, dans ses publications du livre rouge. Néanmoins la Prusse a été la première à tendre la main à l'Empereur F1rançois-Joseph, par la visite du Pr~nce Royal à Vienne. Quant à franchir la ligne du Mein, je rappellerai un propos du Chancelieil' fédéral: «nous ne tirerons pas un seul coup de fusil dans ce but. Pour que nous puissions etre tentés de procéder à des annexions, il faudrait que les Etats du Sud en témoignassent unanimement le désir, et encore devraient-ils nous faire des avances de toute sorte. Et, meme dans ce cas, nous nous réserverions d'examiner murement le parti que nous aurions à prendre ».

On vise ici camme à Florence, tout en restant chacun maitre chez soi, au développement graduel des idées nationales et à la conservation de la paix. Je ne preche pas, bien entendu, une aEiance offensive et défensive, les conditions actuelles de l'Italie ne le comportent pas, et d'ailleurs les questions qui nous restent à résoudre ne sont pas de celles qu'on arrange à coups de canon. Mais je persiste à penser que nous avons tout intéret à cultiver les meilleurs mpports avec la Prusse, qui tòt ou tard personnifiera l'Allemag.ne entière, et qui forme déjà le meilleur contrepoids contre les dangers du voisinage de la France, et meme de l'Autriche, si ces Puissances succombaient un jour à la tentation de se coaliser pour refaire la carte d'Europe.

Il est prématuré de chercber à deviner ce que sera la France entrant dans une ère de parlementarisme. Le nouveau système mettra peut-etre une sourdine à ses prétentions de dominer, de morigérer l'Europe; mals ces dé!auts de la nation resteront au fond les memes, et qui sait si, gràce à la liberté, ils ne prendront pas un plus grand essor, quand ils ne seront plus comprimés par une main de fer. Quoi qu'il en soit, il est de fait que, dans ces dernières années sa manière d'ètre à notre égard a, parfois, beaucoup laissé à desirer, surtout si on la compare à la conduite de la Prusse et de son uouvernement.

N'ayant rien recueilli de bien saillant, dans la vlslte que rat !alte hie.r au Secrétaire d'Etat, j'ai profité de mes loisirs pour ecrire cette lettre, qui vous fournira, M. le Chevalier, un aperçu sur le véritable caractère de nos rapports avec le cabinet de Berlin. Tout ceci est, bien entendu, pour votre information personnelle, mais surtout la copie, ci-annexée, de ma lettre au Général Menabrea. Malg.ré son c!llractère tout à fait privé, il ne me désapprouvera1t certainement pas de vous l'avoir communiquée dans l'intéret du service. Vous savez d'ailleurs que j'ai toujours l'habitude de parler à coeur ouvert, avec des chefs en qui, camme vis-à-vis de vous, j'ai pleine et entlère connance, et dont la discrétion est à toute épreuve.

(l) -Da ACS, Carte Visconti Venosta. (2) -Cfr. serie I, vol. XI, n. 192. (l) -Cfr. serle l, vol. Xl, n. 216. (2) -Non pubblicato. (l) -Cfr. serie I, vol. XI, n. 140. (2) -Cfr. serie I, vol. XI, n. 246.
159

VITTORIO EMANUELE II AL CONTE VIMERCATI (l)

T. Firenze, 6 gennaio 1870, ore 17,40.

J'attendais dépeche annoncée pour vous répondre, je vous prie de me tenir exactement au courant de tout car je tourmente beaucoup savoir prendre le parti état situation, ici tout bien, de Genes a définitivement donné réponse négative. Je pars samedi pour Turin tant que l'on ne dira pas à Vienne.

Moi Pangella reçu lettre de Grassi merci, agréez voeux bonheur Vimercati et Grassi.

160

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 522. Firenze, 6 gennaio 1870.

Il Ministero dell'Interno ha ricevuto da Roma informazioni che porterebbero a sospettare che la politica romana lavori attivamente per promuove·re un movimento mazziniano in quella città, e disponga abilmente all'uopo i capi popolo che, ingannati, trascinerebbero in piazza numerosi seguaci.

Scopo del movimento sarebbe quello di avere un pretesto legittimo per la estensione della occupazione francese a Roma stessa, per un tempo illimitato. Gli agenti più fidi di Monsignor Nardi convengono a questo scopo nel1a casa di un Giova-nni Orsini, noto settario.

Qualunque possa essere il valore di queste notizie, stimo utile parteciparle alla S. V. per sua informazione.

161

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

D. 523. Firenze, 6 gennaio 1870.

Il Ministro di Francia mi ha informato che, ove dal Principe Carlo di Hohenzollern si intavolassero trattative pe.r essere ufficialmente riconosciuto dalle Potenze sotto il titolo di Principe di Rumania, il Governo imperiale aderirebbe a tale domanda. Questo sembra vedere nel cambiamento del titolo di Sua Altezza una conseguenza naturale delle modificazioni successivamente introdotte nell'ordinamento politico dei Principati Uniti. Il Governo di Bucarest si è astenuto sin qui dal fare presso di noi alcuna pratica ufficiale od ufficiosa

a questo riguardo. Il Governo del Re non av,eva dunque avuto sin ora occasione di esaminare le quistioni che potrebbe sollevare il cambiamento del titolo fino ad ora portato dal Principe Carlo. Ciònondimeno, noi incliniamo a prima g'iunta a credere che il motivo addotto dal Governo francese per acconsentire ad un cosiffatto cambiamento abbia un incontestabile valore.

Desidero che Ella si esprima in questo senso con S. E. il Ministro imperiale degli Affari Esteri, nel caso in cui questi Le parlasse di tale argomento.

(l) Da ACR.

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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 504. Berlino, 6 gennaio 1870 (per. il 12).

J'ai reçu ce matin le télégramme en chiffres du 5 Janvier (l) que je vais répéte~r au Marquis Caracciolo. Je m'empresse de remercier V. E. de ce télégramme que je garderai, selon vos instruotions, pour mon information particulière.

Dans ses entretiens M. de Thile m'a souvent parlé en termes généraux de la candidature au trone d'Espagne. Il m'avait été facile de constater, vu l'intéret sympathique qu'on porte ici à notre Famille Royale, que le Roi Guillaume eut vu avec regret un de nos Princes s'exposer à courir des chances aussi incerta,ines de succès en acceptant un choix quelque flatteur qu'il put etre. Je n'avais pas caché ces impressions à S. E. le Comte Menabrea.

D'un autre c6té M. Rascon, le Ministre d'Espagne à Berlin, s'il n'avait fait ici aucune démll!rche directe pour seconder les vues de son Gouvernement, s'était rendu à Dresde, ou il est également accrédité, et là, si je suis bien informé, ce diplomate aurait cherché à s'assurer du concours du Roi de Saxe auprès de Madame la Duchesse de Genes. Mais si réellement des tentatives ont été faites dans ce but, elles ne pouvaient obtenir le résultat désiré. Je sais en effet de la manière la plus positive que le Roi Jean était personnellement contraire à toute combinaison semblable, et que dans le cas où Sa Majesté aurait été consultée, Elle n'aurait pas manqué, sans se départtr d'une juste réserve, de laisser comprendre sa répugnance à favoriser meme indirectement la candidature de Son Altesse Royale le Due de Genes dans des conditions aussi peu sures pour l'avenir de ce jeune Prince qui lui tient à coeur à tant de titres.

La décision de notre Auguste Souverain coupe court à la réalisation d'un projet dont les avantages semblaient au reste plus samants pour l'Espagne que pour l'Italie. Les scrupules de Sa Majesté sont trop respectables pour que l'opinion publique ne sache pas les apprécier et meme y applaudir dans notre Pays.

(l) Non risulta dal registro del telegrammi in partenza ma si tratta evidentemente di un telegramma analogo a quello di cui al n. 145, nota 2.

163

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 505. Berlino, 6 gennaio 1870 (per. il 12).

Le Courrier Armillet est arrivé ici le 2 Janvier au soir. Il m'a remis son expédi:tion, dont je remercie V. E. Il repartirra ce soir par la voie de Vienne. Je l'ai g~rdé ici trois jours, dans l'espoir de recueillir dans cet intervalle quelques données, qui puissent intéresser V. E., notamment sur le fait le plus marquant de la situation, le changement de Mi!nistère en France.

J'ai interpellé à cet égard le Secrétaire d'Etat. Il attendait encore des renseignements détaillés de Paris, mais il pouvait dès à présent me dire, que !es oirconstances dans lesquelles avait eu lieu la formation du nouveau Cabinet, de méme que les convictions politiques de M. Ollivier, offraient une garantie de plus pour le maintien des relations pacifiques et amioales entre la France et la confédération de l'Allemagne du Nord.

Les journaux officieux s'expriment dans le méme sens.

Je rappellerai à ce sujet un propos tenu par le Comte de Bismarck, lorsque se manifestèrent les premie.rs indices de la métamorphose de l'empire autoritaire en empire libéral et vraiment constitutionnel.

«Les difficultés sont grandes, mais non insurmontables. car un esprit habile, comme celui de l'Empereur Napoléon, saurait naviguer entre les écueils du parlementarisme. Ce que nous désirons surtout, c'est d'avoir devant nous une France officielle, soit sous un régime personnel, soit sous un Gouvernement du libéralisme meme le plus avancé ».

Par les mots. une France officielle, le Ministre entendait un Gouvernement sérieux, qui ne fùt pas distrait et paralysé par les intrigues de pa.rtis dominant tour à tour sans un programme net, et prolongeant ainsl une incertitude sur le p.résent et sur l'avenir, incertitude qui tiendrait en éveil l'Europe entière, et qui irriterait l'opinion publique sans la sa:tisfaire.

En attendant on se sent ici assez rassuré sur la situation, méme en faisant la part de l'imprévu. Les rapports avec la Russie sont des plus intimes, ainsi que viennent de le prouver les démonstrgtions publiques qui ont eu lieu pour le centième anniversaire de la fondation de l'Ordre de Saint Georges. En cas de conflit, un appui ne manquerait pas de ce còté. Il est vrai que le Cabinet de Berlin n'a pas d'tnquiétude sur un danger immédiat pour la paix européenne, car il est convaincu que chaque Gouvernement travaille aujourd'hui à sa conservation. Cependant, maigré les vues optimistes qui dominent en ce moment, on reste sur le qui-vive, car !es circonstances tntérieures de la France, de l'Espagne, et méme de l'Autriche, pourraient amener quelques déraillements dans les voies de la prudence et de la modération, et exercer un contrecoup dangereux pour la situation générale. On ne voit pas aussi sans app.réhens•ion, Je développement que prennent les associations ouvrières, notamment en Allemagne. Elles se signalent par des grèves, qui prouvent la force de leur orgr.nisation, numériquement et financièrement.

A cette époque, les journaux publient des revues rétrospectives sur l'amnée 1869. Ils constatent pour la plupart des progrès sensibles opérés au point de vue libéral et national. Une nouvelle enluminure fédérale a été donnée au Ministère des Affaires Etrangères, qui à partir du premier Janvier est devenu Département fédéral, coordonné pour les relations extérieures à la Chancellerie de la Confédé.ration, qui aura dans sa compétence les affaires intérieures et commerciales. Ces deux départements sont placés sous la direction supérieure du Chancelier fédéral. M. de Thile, jusqu'ici Sous Secrétaire d'Etat, prendra le titre de Secrétaire d'Etat.

Je n'envoie aucun .rapport spécial sur le Concile oecuménique; car je n'ai pu me procurer aucune notion très exacte. M. d'Arnim écdt de Rome, qu'il est assez malaisé de connaitre la vérité. Il paraitrait toutefois que l'episcopat allemand trahit un certain abattement d'esprit en présence des efforts qui ont pour but de paralyser la minorité, et de lui enlever, entre autres, tout droit d'initiative. On craindrait mème dans ses rangs quelques défections.

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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. Berlino, 6 gennaio 1870.

Au moment de clore mon expéciition pour le courrier Armillet, je reçois v otre amicale et intéressante le.ttre particulière du 2 Janvier (2). J'ai hésité un instant si je ne retiendrais pas le courrier, afin d'avoir le temps de m'aboucher avec le Comte de Bismarck pour lui parler dans le sens que vous me tracez, mais tout bien considéré, je me reserve de demander un de ces jours une audience, et de vous mander le récit de l'entretien.

En a.ttendant vous verrez par ma lettre particulière que j'avais déjà rédigée hier (3) que nos vues conco·rdent et qu'ainsi il me sera d'autant plus aisé de me conformer à votre programme, ·le seul rationnel dans les circonstances actuelles de l'Italie. Malgré mon penchant raisonné pour l'Allemagne, il ne me viendrait pas dans l'idée de conseiller une alliance proprement dite avec la la Prusse, pas plus qu'avec la France ou avec tout autre Etat de l'Europe. Malgré que nous n'ayons point encore une assiette assez solide pour nous permettre le luxe d'une politique trop active, nous sommes, je veux le croire, assez forts pour rester maitres chez nous, et pour assister comme spectateurs et sans nous forcer la main, à des luttes entre puissances étrangères. Et mème specta.teurs, n'est pas le mot propre, car comme vous l'observez fort bien nous pourrions jouer en pareille éventualité un ròle qui aurait aussi son mérite, à savoir le ròle d'un intermédiaire utHe. C'est préoisément pour etre mieux à

meme de figurer à ce titre qu'il nous convient de donner à nos relations extérieuTes un caractère de confiance et d'amitié. Il nous importe en meme temps, tout en vivant sur un bon pied avec la France et l'Autriche, que nos voisins sachent que la Prusse et partant la Russie (car ,les deux Etats sont solidaires tant que durera le règne de l'Empereur Alexandre), sont au moins au meme dégré nos amis. Les Cabinets de Paris et de Vienne montremient peut-étre alors quelque émulation à servir au besoin nos intérets, dans l'espoir d'obtenir peut-etre nos préférences non pas sur le champ de bataille, mais dans le concert européen.

En me réservant de revenir sur ce sujet, je vous remercie une fois encore de tout ce que vous voulez bien me dire de flatteur. Je suis habitué de votre pa.rt aux meilleurs procédés, et c'est pour mo.i, meme à còté du devoir, un nouvel encouragement pour chercher à bien m'acquitter de mes fonctions diplomatlques. Je suis enchanté que vous ne songiez point à me déplacer, tous mes voeux sont pour le maintien du status quo pour mo.i, et pour mes excellents collaborateurs à cette Légation, une promotion bien méritée dans leur carrière.

(l) -Da ACS, Carte Visconti Venosta. (2) -Cfr. n. 146. (3) -Cfr. n. 158.
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IL CONTE VIMERCATI A VITTORIO EMANUELE II (l)

T. Parigi, 7 gennaio 1870, ore 16,25 (per. ore 17,45).

Pour satisfaire aux justes demandes de Votre Majesté (2) qui arriva [sic] connaitre situation et pour contròler mes appréciations je prie Votre Majesté de m'envoyer une dépeche ainsi conçue: « en présence formation nouveau Ministère je désire connaitre les intentions de l'Empereur en vue de nos projets. Les hommes nouvellement appelés aux affaires ne sont ni les amis de l'Empe,reur ni les miens et je ne voudrais pas que des engagements antérieurs puissent nuire à l'indépendance de mon gouvernement. Attends votre réponse catégorique et précise. Tout marche très bien ici.

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IL CONTE VIMERCATI A VITTORIO EMANUELE II (l)

T. Firenze, 7 gennaio 1870, ore 21,50.

Voici la dépeche avec quelques variations. En présence formation nouveau Ministère désire connaitre intention Empereur en vue de nos projets, je crains que les hommes nouveUement appelés

aux affaires ne soient ni les amis de l'Empereur ni les miens et je ne voudrais pas que le nouvel état de choses créé en France piì.t deveni.r nuisible à mon Gouvernement. Tachez voir Empereur et faites moi réponse catégorique.

(l) -Da ACR. (2) -Cfr. n. 159.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO

D. 41. Firenze, 7 gennaio 1870.

Nel car.teggio politico della S. V. con questo Mini.ste.ro fe.rmò particolarmente la mia attenzione il Rapporto 16 dicembre n. 90 (1).

Trasmettendo copia della lette~a del Vice Re diretta al Gran Vizir per mezzo di Seves Effendi, Ella mi rifer~va le cose g.ravi dettele in quello stesso giorno dal Khedive tanto sui proponimenti suoi per l'avvenire quanto suLle conseguenze che egli prevede dove.r derivare dal presente componimento della ve1.1tenza Turco-Egiziana. Sua Altezza sembrava preoccupa.rsi del contegno serbato dalle Potenze le quaLi av.rebbero, a suo dire, ammesso in massima che dalla Porta si potessero per solo effetto di volontà propria annullare i privilegi accordati all'Egitto.

A questo proposito ci sembra meritare la speciale a.ttenzione di Sua Altezza la circostanza che il Gabinetto di Firenze non fece alcun a.tto che inchiudesse né direttamente, né indirettamente una simile concessione. Neppure ci risulta che altri Govevni abbiano compiuti somiglianti atti. È anzi notevole che le pratiche ripetutamente fatte a Costantinopoli ed al Cairo dalle varie potenze non abbiano in alcuna guisa pre~udicato una quistione di tanta importanza. A questo riguardo, se l'oppovtunità se ne presentasse E1la potrebbe pienamente rassicurare S. A. il Vice Re ed 1 suoi ministri.

Del resto approvo V. S. di non ave.r lasciato trascorrere l'occasione di questo colloquio col Vice Re per tenergwi un linguaggio imp.rontato alle istruzioni datele dal R. Governo. Continuando a dimostrare a Sua Altezza il merito che deriva a lui dal non iscostarsi dai consigli di prudenza e di moderazione che gli danno i vari Gabinetti, Ella tnte.rprete.rà sempre esattamente le intenzioni del Govevno del Re che nello svHuppo de1l'incivUimento e delle forz.e economiche di codesto paese scorge un vantaggio suo proprio tanto sono numerosi e grandi gli interessi che stringono l'Egitto a1l'Italia. Noi saremo ognora lieti di poter applaudire ai nuovi passi che il Khedive ed il suo Governo faranno in questa via.

(l) C!r. n. 122.

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IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1030. Parigi, 7 gennaio 1870 (per. l'11).

Il Conte Daru, nuovo Ministro degli Affari Esteri, ricevette ieri per la prima volta i Capi di Missione accreditati a Parigi. Il ricevimento, secondo l'uso, ebbe luogo separatamente per ciascun Capo di Missione. L'udienza em molto numerosa e non vi si trattarono questioni politiche. Il nuovo Ministro si limitò in gene·rale a toccare brevemente delle circostanze che lo chiamarono a sedere nei consigli dell'Imperatore e a dare l'assicurazione ch'egli si studierebbe a coltivare con tutto l'i.mpegno le buone relazioni esistenti tra la Francia e le varie Potenze. Il suo linguaggio ebbe un carattere essenzialmente rassicurante e pacifico.

Io gli tenni in sostanza il seguente discorso: «L'Italia fra tutti gli Stati è forse quello che più ebbe a lodarsi del Governo personale dell'Imperatore, il quale ci fu costantemente benevolo e può rivendicare una larga parte nella storia della nostra emancipazione. TuUavia noi vediamo con soddisfazione lo stabilimento del sistema delle libertà parlamentari in Francia, perché lo crediamo utile alla Francia ed aila dinastia imperiale, e perché questo sistema è il nostro. Negli ultimi venti anni, e fin da quando le pubbliche libertà andavano dappertutto naufragando nel Continente, fra i popoli di razza latina, ntalia fu sola a tener alto e fermo lo stendardo de.Ue libertà costituzionali. Spero che il nuovo Ministero Francese, che conta nel suo seno illustri rappresentanti di quel sistema, nelle sue relazioni col Governo del Re non vorrà dimenticare questo fatto».

Il Conte Daru mi rispose assicurandomi delle sue simpatie verso l'Italia ed aggJungendo qualche benevola frase a riguardo del Governo del Re e di chi ha l'onore di rappresentarlo.

Seguendo l'esempio dei miei colleghi, che mi avevano preceduto nell'udienza, non parlai in questa prima conversazione di nessuna questione politica speciale.

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IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. Parigi, 7 gennaio 1870.

Profitto dell'occasione del signor Vanetti che pa·rte stasera e che imposterà i miei dispacci a Torino per rispondere alle vostre due lettere (2). Alla prima, relativa alla candidatura del Duca di Genova, ho già risposto per telegrafo (3), e dopo quanto mi avete telegrafato pe.r parte vostra (4), la

(-4) Cfr. n. 145, nota 2.

questione mi pare risolta deUnitivamente in modo negativo. Non posso che lodarvi di questa determinazione: Agire in modo diverso sarebbe stato il seguire una politica del XVI secolo. Ho visto Guerrieri-Gonzaga. Ho creduto d'interpretare le vostre intenzioni mettendolo a giorno, confidenzialmente, della situazione affinché quando giungerà a Madrid sappia su che terreno cammina. L'ho messo in relazione con Fernan Nufiez che gli darà lettere per Madrid. E gliene darò altre io stesso.

Passo al soggetto dell'a,itra vostra lettera.

Noi entriamo ·rispetto alla F1rancia in una fase nuova e difHcile. Noi dobbiamo conservare la benevolenza dell'Imperatore e nel tempo stesso non avere ostili gli uomini che entrano ora al Governo. li mio compito si fa delicatissimo. Non giova illuderci. ALl'infuori di Ollivier, i nuovi Ministri appartengono ad una frazione, di cui Thiers è l'espressione la più accentuata, e che non peccano pe·r troppa simpatia all'Italia. Pe·r buona ventura l'Italia si trova ora in circostanze tali da non aver nulla a temere in sostanza da qualsiasi ministero che venga al potere in Francia.

D'a·1tro lato il Governo in Francia ormai dovrà seguire il movimento dell'opinione pubblica, ed io spero che questa andrà via via modificandosi in meglio per ciò che spetta alla questione romana. Il Concilio ci gioverà in ciò. A proposito di questa questione io sono interamente d'accordo con voi sui due punti che pel momento mi sembrano i soH ai quali dobbiamo limitarci, cioè: l) ottenere che il Governo francese non pigli pubblicamente impegni per lasciare le truppe a Roma per un termine fisso; 2) astenerci dal fare passi ufficiali per domandare il ritiro delle truppe stesse. Se noi spingiamo in questo momento il Governo francese a pronunc.iarsi, temo che la risposta non sia soddisfacente e che la questione invece d'esse.re avvicinata ad una soluzione ne venga allontanata. Si parla della possibilità d'una interpeUanza che la sinistra vorrebbe fare a questo ·riguardo al nuovo Ministero, interpeLlanza che potrebbe venir fatta anche dalla destra estrema ~n senso opposto. QueUi che desiderano il ritorno delle truppe temono il risultato di queste interpellanze e so che fanno sforzi per impedirle. Io devo vedere fra breve l'Imperatore. Vedrò anche Ollivier e Daru. Spero di ottenere che il governo non pigli pubblico impegno di mantenere l'occupazione per un termine determinato, e che conservi una piena libertà d'azione. Questa è nello stato delle cose la sola concessione che possiamo ottenere ora. Più tardi e quando il nuovo Ministero e la Camera si saranno meglio disegnati, sapremo se ed in qual modo e nn dove potremo e dovremo agire. Vi scriverò tostoché avrò visto l'Imperatore. Intanto tenetemi, vi prego, al corrente de.1le vostre intenzioni affinché io possa secondarie nel miglior modo che saprò.

P. s. -Ora più che mai avremo bisogno di agire sulla stampa in Francia. Vi scr·iverò più tardi su questo argomento. Se avete modo di agire moralmente su Erdan, il corrispondente del Temps, credo che sarebbe utile il farlo. Le sue corrispondenze sono abbastanza lette qui, ed è utUe che siano dettate in un buon spirito.

15 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. XII

(l) -Da AVV. (2) -Cfr. nn. 137 e 138. (3) -Cfr. n. 143.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AI MINISTRI A LONDRA, CADORNA, E A PARIGI, NIGRA (l)

L. P. Firenze, 9 gennaio 1870.

Ecco la copia di due lettere che ricevetti da Roma (2).

Credo che la potranno interessare e m'affretto a comunicargliele.

ALLEGATO I

L. P. Roma, 2 gennaio 1870.

Il Concilio ha per iscopo precipuo la proclamazione dell'infallibilità del Papa; tutto il restante è accessorio, apparecchio, complemento; ma la parte sostanziale è quella. E ad essa erano indirizzati i preparativi, perché riuscisse per spontanea acclamazione. Le improntitudini della Civiltà Cattolica misero in avvertenza, e quindi i libri del Janus, quello di Maret, e le dichiarazioni del Dupanloup, e le omelie del Vescovo di Parigi. La Curia Romana, visto che c'era qualche intoppo, ha mutato strada, ma non fine. Imponendo un regolamento strettissimo al Concilio senza pur consultarlo, dando istruzioni severe ai Presidenti, vietando che i Vescovi tengano riunioni private, adoperando con ciascuno gli argomenti che valgano a cattivarlo; coll'uno la dolcezza, coll'altro la minaccia, qua il fervore religioso e lo Spirito Santo, colà le promesse di avanzamento ed il Cappello Cardinalizio in prospettiva (e ve ne sono sedici da distribuire) Roma confida come io dicevo, di riuscire, e probabilmente riuscirà.

Di settecento e più Vescovi, cinquecento le sono ligi. Fra questi tutti gli orientali che prendono il motto d'ordine dalla Propaganda, ignoranti ed ignorati, ma che daranno però il voto. L'opposizione pretende di contare 200 voti, ma in questi vi sono tutte le gradazioni, dalla più pallida e timida riserva, sino alla resistenza che minaccia uno scandalo. La vera opposizione un po' energica non conta più di 60 voti. Essa è capitanata dal Vescovo d'Orléans, da quello di Parigi, dal Vescovo Croato Strossmayer, dal Vescovo Americano di Halifax nella Nuova Scozia, Connolly; e si compone di una ventina di francesi, di altrettanti tedeschi, e il resto qua e là raggranellato fra le altre nazioni. n Vescovo di Parigi ha detto chiaro al Cardinale De Luca Presidente che se si voleva carpire per sorpresa l'acclamazione dell'Infallibilità, egli ed i suoi avrebbero abbandonata la sala del Concilio, e Roma stessa. Il Cardinale gli ha risposto che, per la seduta di congregazione di Venerdì scorso, ciò non avrebbe avuto luogo al certo, ma che non poteva prendere alcun impegno per l'avvenire. Nelle due congregazioni che hanno seduto, l'opposizione ha parlato essa sola. Quattordici erano gli iscritti, e non hanno ancora fatto tutti il loro discorso, nessuno in favore. L'argomento è tutto relativo alla filosofia germanica, e si vuoi condannare il positivismo, il razionalismo, e via dicendo. Gli oratori sostennero la diffidicoltà di codeste definizioni, ed il pericolo che si corre in esse, e fec,ero qualche intromessa contro il regolamento e toccarono in generale delle loro opinioni. Due italiani fra loro furono particolarmente notati e lodati, il vecchio Tizzani, cieco, e Monsignor Spaccapietra napoletano entrambi vescovi in partibus. Domani vi sarà la terza seduta di ciò. Ma intanto, pel giorno dell'Epifania, che sarà più solenne, si prepara un altro tema, ed è la conferma della proposizione del Concilio di Firenze la quale afferma il primato del Pontefice Romano. Sarebbe questo il preludio di cose più gravi. E giacché ho parlato sin qui dell'opposizione, conviene dire che codesti Vescovi si lagnano di non essere punto sostenuti dai loro Governi. Resistere a Roma senza avere almeno un appoggio regale par loro uno sforzo troppo grave. La

Legazione francese è piuttosto ligia a Roma, e non sarebbe male che in Francia si sapesse chiaro. Anche le altre legazioni poco fanno, e lasciano che l'acqua vada alla china; non parlo di noi che non abbiamo nessuno e non facciamo nulla, per cui se qualche Vescovo italiano è un poco indipendente, bisogna riguardarlo come un miracolo. Ma, avvertendo a questo stato di cose, parecchi uomini seri portano opinione che sia venuto il tempo che i Governi mandino Ambasciatori al Concilio, e così rompano la tela che è tessuta qui, e diano impulso e vigore ai Vescovi che resistono alle pretese romane. Questa proposta è stata suggerita, e non sarebbe da meravigliare che la prima mossa venisse dall'Inghilterra. Se mai ciò dovesse avvenire, noi saremmo in un curioso imbarazzo, e giova che pensiate bene a questo caso, e al come regolarvi. Questo sappiate che il Ministro di Portogallo il quale in qualche guisa ci rappresenta, è uomo di molto valore e di autorità; ma se la Francia, se l'Austria, se la Spagna mandassero veri e propri Ambasciatori al Concilio, potrebbe l'Italia starsene infuori, senza dar segno di vita?

Ho indicato l'opposizione, di chi si compone, e che cosa fa. La parte romana, che è la grande maggioranza, è guidata dai gesuiti, e fra i prelati stranieri, due principalmente ne sono i campioni, il Manning inglese fanatico e tutti i suoi colleghi d'Inghilterra e d'Irlanda lo seguono, ed il Mermillod di Ginevra. Questi, venuto qui senza avere bene deciso qual parte prenderebbe, si è poi risoluto di romanizzarsi, e mentre il Manning sostiene la infallibilità a nome dei principi conservativi, il Mermillod dice a tutti che egli è repubblicano, e che riesce alla stessa conclusione in nome della scienza, della libertà, dell'indipendenza dello Stato e dalla Chiesa. Quali siano gli argomenti che adopera, non ho udito dirlo da nessuno, ma la cosa fa chiasso, e a molti piace per la sua novità, o almeno offre un pretesto per abbandonare l'opposizione. Ce n'è per tutti i gusti.

Lo stato delle cose è adunque questo. La volontà decisa di Roma che il Concilio proclami l'infallibilità del Papa ha trovato qualche ostacolo, ma non tale che non si speri fondatamente di vincerlo. L'opposizione ha fatto finora il possibile, ma è scarsa, poco ardita, e si lagna che i governi non la sostengono. A quest'idea che i Governi mandino Ambasciatori al Concilio è ora rivolta la speranza sua. Dall'altra parte si cercherà di precipitare per evitare questo pericolo, e non si lascerà mezzo alcuno intentato per vincere. Ottenuto il gran punto, tutto il resto vien da sè, e l'interesse del Concilio è finito. Si continuerà a discutere e definire, ma l'essenziale sarà messo in sodo, e questo è ciò che si vuole.

ALLEGATO II

L. P. Roma, 6 gennaio 1870.

Oggi si è tenuta la seconda seduta del Concilio, ma a dir vero fu una semplice solennità religiosa, cominciata con la messa, e finita con la professione di fede di ciascuno dei 700 presenti Vescovi, professione stabilita già dal Concilio di Trento, e che per conseguenza non poteva avere difficoltà veruna.

Di questi giorni, la così detta opposizione, cioè quella parte di Vescovi che non vorrebbero il dogma della infallibilità Papale, sembra rinfrancarsi alquanto, però tutte le commissioni sono composte di purissimi scelti dai gesuiti, e non uno solo dei loro avversari ha potuto farne parte. Inoltre, dicesi che si stia preparando una specie di indirizzo al Santo Padre, nel quale appunto sarebbe espresso il desiderio che senza indugio l'infallibilità sua fosse proclamata come rimedio ai mali che affliggono il secolo. Ma di questo non ho la chiara contezza.

7 gennaio

Sembra certo che l'indirizzo è stato dettato, e formulato nella forma più cruda, cioè che quante volte il Papa reputa di dare una decisione sia dogmatica che morale, sempre deve ritenersi come inspirato dallo Spirito Santo ed infallibile, non si limitano alle definizioni ex cathedra, come certo i più temperati avrebbero desiderato; hanno pigliato la forma del Manning che è la più decisa. Questo indirizzo, preparato con

grande segretezza è stato ieri fatto firmare da molti, rapidamente, e si dice che le firme appostevi oltrepassino già le 500, il che sarebbe avere già due terzi circa di voti. Nondimeno, non sarebbe bastevole, almeno per l'effetto morale, e quindi l'opposizione si apparecchia a stendere e presentare un indirizzo contrario. In esso, senza entrare nella questione dogmatica, si direbbe che ritiensi inopportuno e pericoloso il discutere siffatto tema, e che si prega il Santo Padre a non volerlo sottoporre al Concilio. Tenendosi poi a cavallo della questione di opportunità, si spera di avere più aderenti che se si negasse in modo assoluto il principio. Tale è il piano che è stato ideato, appena saputa l'altra mossa, e si spera di farlo riuscire, e di avere 150 voti almeno di aderenti. Il che se fosse, darebbe veramente una gravità somma a questa specie di protesta. Però, ti prego di notare cl1e, se le mie informazioni sono esatte, il primo indirizzo è fatto, e questo secondo è in progetto, onde rimane a vedere se s'intenderanno nella sostanza e nella forma, e se troveranno tanti aderenti quanti sperano,

-o quanti almeno sono necessari a dare all'atto un carattere importante. La Corte di Roma non tralascia alcun mezw per confermare i dubbiosi e spaventare i timidi. Pochi giorni fa, il Papa diceva che le riunioni private dei Vescovi 3apiunt jacobinisrnum, e d'altra parte, come ti scrissi, i premi non mancano ad adescare gli animi. Volendo pertanto riassumere in breve la situazione ripeto ciò che ti scrissi, che lo scopo vero del Concilio è la dichiarazione della infallibilità del Papa. Si sperava di vederla pronunziata per acclamazione, ma questo è andato a vuoto. L'opposizione c'è, ed abbastam;a vigomsa. Roma fa ogni potere per dissolverla, ed intanto, per mezzo dell'indiriz:oo firmato dai 500 Vescovi, volge allo stesso fine. Se questo riesce, naturalmente l'interesse del Concilio è finito, si seguiterà un poco per forma, ma il ne::essario è fatto. Se poi anche questo tentativo non riesce allora la cosa andrà per le lunghe, e senza rinunciare allo scopo, si cercherà di attenerlo colle tergiversazioni e colla stanchezza. P. -S. Ho visto il Conte di Lavradio, il quale era venuto in cogmzwne di ciò che sopra ti ho scritto, e ne ha immediatamente informato il suo governo. Egli dà molta importanza a ciò, e gli pare che sarebbe venuto il tempo che i governi facessero qualche atto, per esempio una nota collettiva, per contrapporsi alle esigenze papali. Codesta idea io l'aveva avuta prima assai del Concilio, e ne parlai a Menabres. il quale mi disse poi di aver tentato l'Austria, e che il Beust se ne lavava le mani completamente. La opportunità di un simile atto prima del Concilio, mi pareva evidente, oggi la opportunità di esso mi pare molto dubbiosa. Allora, era un mettere degnamente sull'avviso; oggi sentirebbe forse la paura. Comunque sia, è bene che tu sappia anche queste cose, nè dimenticare poi (sebbene col mutamento del Ministero francese dovrebbe riuscir superfluo) di far sapere a Nigra che la Legazione fra;ncese a Roma è nelle acque prettamente romane e gesuitiche. Sventuratamente, naviga pure nelle stesse acque il Ministro di Prussia Arnim.
(l) -Da AVV. (2) -Si tratta di estratti di lettere di Mlnghetti, anch'esse conservate in AVV.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'ONOREVOLE MINGHETTI (l)

L. P. Firenze, 9 gennaio 1870

Non so come ringraziarti delle tue bellissime lettere. Le ho fatte tradurre in forma di rapporto e ne ho mandato una copia a Nigra, e un'altra a Cadorna per farmi onore (2). Che peccato che abbia finito di riceverne!

L'indirizzo fdrmato da 500 Vescovi per la proclamazione dell'infalllbllltà è un fatto g.ravissimo e parmi che riveli in modo decisivo la vera condizione delle cose nel Concilio. Non parmi però probabile che i Governi si discostino dalle loro prime dichiarazioni ed inviino gli Ambasciatori speciali al Concilio quasi per accorrere al riparo. Sono poi convinto che, in questi casi, a noi non sarebbe concessa, ·in condizioni di dignità, alcuna ufficiale rappresentanza. Non si può pretendere di proclamare Roma capitale del Regno e, nel tempo srtesso, di far riconoscere le prerogative e i privilegi che vengono dai •trattati e da un diritto pubblico tradizionale. Penso piuttosto al sugge'Timento tuo che è assai opportuno e potrebbe riuscire molto utile. La difficoltà starà forse in questo che le persone adatte a simile incarico saranno le meno disposte ad esporsi al pericolo di adombrare H Governo romano o di riceverne qualche offesa. Ma di questo ti scriverò fra qualche giorno a Palermo. Ora devi sapere, ma la cosa rimanga esclusivamente fra noi, poiché non se ne tenne parola neppur in Consiglio, che quelle aperture indirette dalla parte del Papa, delle quali ti parlai a Firenze, pigliarono in questi giorni corpo e realtà. Il Re ricevette una lettera da Pio IX (1). In questa lettera il Papa esprime il desiderio che, per fare nuove nomine di Vescovi, H Governo italiano mandi a Roma qualche onesta persona, come sarebbe il Comm. Tonello. Continua poi consigliando al Re di volere, per mostrarsi .riconoscente a Dio della grazia ricevuta, modificare la legge dei conventi, abrogare quella dei chierici, moderare la stampa, opporsi ad ogni progetto di legge per dichiarare l'istruzione obbligatoria. Ora, che fare? A me sembra che oggi il rinnovare, anche con altra persona, una missione Tonello sarebbe inopportuno, anche per la sola nomina dei Vescovi, a meno che non fosse già ammessa da Roma ·in principio la riduzione delle diocesi.

Comprendo n vantaggio che ci sarebbe ad avere in Roma, davanti n Concilio, un nostro rappresentante, ammesso e, sotto certi rispetti, riconosciuto dal Governo romano. Ma una situazione politica bisogna considerarla complessivamente. Una nuova missione Tonello avrebbe per immancabile effe.tto di •riporre in prima fila, nel paese e nella Camera, la quistione romana. Con che vantaggio lo sappiamo. Al tempo della prima missione Tonello, la situazione era assa.i differente. Si trattava di mostrare all'Imperatore la nostra buona vo-lontà per agevolargli l'esecuzione deHa Convenzione e, sopra-ttutto, si trattava di dar principio a quella politica che, senza compromette-re il programma nazionale, avrebbe a poco a poco cavato dalla Convenzione tutti i suoi frutti. Mentana ha profondamente modificato lo stato delle cose. Non so che cosa si potrà fare fra qualche mese. Ma ora temo che n risultato sarebbe di dare una parola d'ordine alla Sinistra nella Camera e nel campo e.lettorale. Ciò non toglie l'opportunità di dare al<la nostra condotta un carattere conciliante, di portare un grande spirito di equità nei nostri rapporti. Ma il mio desiderio sarebbe di impegnarmi meno che posso in trattative dirette con Roma, quando

così scarsa è la speranza di qualche risultato, e frattanto di ottenere la partenza dei Francesi da Civitavecchia. Fammi il favore di scrivermi il tuo avviso in questo proposito. Ho parlato della partenza delle truppe francesi. Tu sal che ottenere questo risultato è la mia ambizione; fu la principale ragione che mi mosse ad accettare il Ministero. Il nome di Ollivier pareva offrirmi un argomento di sperare, ma la composizione poi del suo Gabinetto ha di molto offuscato questa lieta prospettiva. Nigra non ha ancora risposto alla lettera che io gli scrissi nel senso che sai (1). Non credevo opportuno una iniziativa nostra ufficiale per chieder lo sgombro. Questa iniziativa la prenderemmo quando già fossimo sicuri del risultato favorevole. Impegnavo invece vivamente Nigra a cercar modo di ottenere ufficialmente una nuova dichiarazione che le truppe sarebbero state richiamate, che il loro ritiro era una cosa intesa, neU'intento d'impedire che si stabilisse un rapporto fra la circostanza del Concilio e la quistione dell'occupazione. Chiedevo che almeno la quistione non fosse compromessa e rimanesse nei termini in cui finora la posero il Governo francese, l'Imperatore, Moustier, Lavalette, vale a dire ammesso il principio del ritiro, riservata, in modo più benevole all'Italia, la quistione del momento opportuno. Nigra, ti ripeto, a questa mia lettera non ha ancora risposto; forse si riserva di fare qualche passo per riferirmene poi il risultato. Ma da' dispacci che mi scrive, vedo che le sue previsioni sono poco favorevoli. Il Ministero si è formato con una prevalenza, se non numerica, almeno morale del centro sinistra le cui tendenze nella quistione romana sono quelle della politica Orleanista. Buffet è clericale e Daru (Napoléon non già il Paul che tu conosci) è l'amico di Thiers.

Si diceva anzi che Daru per la occupazione francese, avesse fatti i suoi patti coH'Ollivier. Nigra non crede che Ollivier abbia autorità sufficiente per far prevalere le sue idee nel Ministero il quale invece della democrazia progressiva dell'Ollivier rappresenta le idee del vecchio liberalismo parlamentare francese.

L'Imperatore poi avrà interesse, in simil quistione, a far il Sovrano costituzionale, e per lasciar libe,ro campo a questo Ministero di fare le sue prove e perché, in questo periodo di politica pacifica, la quistione dello sgombro non si collega ad a'lcuna vasta combinazione europea.

Io trovo dunque la partita impegnata in condizioni sfavorevoli.

Non mi scoraggio però. Ma ci vorrà tempo in ogni modo.

Che peccato che non si sia potuto ottenere la partenza dei Francesi prima del Concilio!

Non so se tutto H possibile sia stato fatto, perché era un interesse capitale della nostra politica l'antivenire questa data. Cerco pertanto di far influire sull'animo di Ollivier perché, ad ogni modo su lui solo e sull'Imperatore posstamo contare.

Addio, caro Marco, tli ringrazio di nuovo delle tue lettere.

Ti prego vivamente di scrivermi il tuo avviso su questa faccenda.

(l) -Da BCB, Carte Minghetti. (2) -C!r. n. 170, allegati.

(l) Cfr. nn. 111 e 150.

(l) Cfr. n. 137.

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IL CONTE VIMERCATI A VITTORIO EMANUELE II (l)

T. Parigi, 10 gennaio 1870, ore 17 (per. ore 18,55).

J'ai interpellé Empereur hier au soir sur nouveau Ministère, relativement intelligences prises, voici la réponse catégorique qu'il me charge de faire au Roi.

Avant d'accepter les ministres désignés par la situation de la chambre, j'ai mis pour condition à leur événement que rien ne serait changé à la politique italienne, qu'aucune déclaration ne serait faite qui piì.t entraver évacuation au moment que je pourrais la concilier avec les exigences de la situation. Quant'aux rapports entre les trois Souverains, je désire les resserrer de plus en plus. Dites à Sa Majesté que c'est avec plaisir que je le vois marcher dans ce sens vis à vis du Cabinet autrichien (2). Je suis satisfait des rapports directs établis avec le Roi. Je vous prie de lui dire avant de faire une démarche officielle quelconque, de m'en prévenir pour que je puisse préparer mes mlnistres ».

Ce sont ses paroles textuelles que je transmets à Votre Majesté. Les intentions de Sa Majesté Impériale sont très sincéres, mais je ne puis pas assurer qu'il ne se fasse pas un peu d'illusion sur l'influence qu'il exerce sur ses ministres.

Ollivier commence étre en désaccord avec Daru et Parieu (Parieu président du Conseil d'Etat remplace Rouher) pour déclaration à faire au Senat sur interpellation concile.

J'ai reçu lettre Visconti Venosta qui doit avoir lu mes dépéches à Votre Majesté et m'engage à tenir Votre Majesté au courant. Réduction armée française sera illusoire. on ne touchera pas aux cadres.

173

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2009. Parigi, 10 gennaio 1870, ore 21,20 (per. ore 22,50).

Ollivier a exposé aujourd'hui à la la Chambre une espèce de programme général qui consiste en substance dans l'assurance que les nouveaux ministres appliqueront les doctrines qu'ils ont professé comme députés.

(l) -Da ACR. (2) -Nel testo inviato a Visconti Venosta (cfr. n. 178) qui sono aggiunte le parole «où sa politique est très appréciée ».
174

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'ONOREVOLE RICASOLI (l)

L. P. Firenze, 10 gennaio 1870.

Desideravo intrattenermi alquanto con Lei delle cose nostre, e poiché Ella non si trova in Firenze, mi permetta ch'io le scriva. Grazie al cielo, le piccole passioni e le lotte ingenerose e i meschini sospetti non sono tutta la politica, una parte è anche riserbata ai veri interessi della patria, ed Ella non m'accusi d'essere indiscreto se provo il bisogno di parlarne con Lei e di ricorrere ai suoi benevoli consigli.

In questi giorni ho dovuto, co' miei colleghi, prendere una risoluzione per la candidatura al trono di Spagna del Duca di Genova. È questo un fatto compiuto, ma spero che la quistione sia stata risoluta nel modo che un quasi unanime istinto degli italiani indicava, come meglio conforme ai veri interessi della dinastia. Il Ministro di Spagna instava per una pronta risposta e nel tempo stesso, la Duchessa di Genova scriveva al Re una lettera nella quale dichiarava formalmente di rifiutare il suo consenso e supplicava il Re di non voler fare violenza alla volontà, ai sentimenti, ai diritti d'una madre. Dichiarai dunque al Ministro di Spagna che il Re non credeva di poter far atto di autorità contro la volontà materna, e che il Ministero non trovava nelle considerazioni politiche un motivo per consigliare a Sua Maestà di passar oltre a un ostacolo che il Re, come capo della famiglia, credeva di dover rispettare. Noi non volevamo fare di questa candidatura un oggetto di ambizione politica o dinastica. Poteva bensì tentarci il desiderio di rendere un servizio alla Spagna liberale e alla causa della Monarchia Costituzionale in Europa. Ma per raggiungere uno scopo bisogna che 1 mezzi sieno adeguati e efficaci. Ora, poteva un giovinetto di quindici anni, lanciato fra i partiti politici della Spagna, adempiere a questa missione? Poteva il voto d'una assemblea, eletta or fa un anno e mezzo, e una maggioranza raggranellata a modo di maggioranza ministeriale, ritenersi una sufficiente espressione della volontà nazionale, una base sufficiente pel nuovo trono?

L'astensione e il silenzio più o meno benevolo dell'Europa era una sufficiente adesione morale, perché l'accettazione, piuttosto che un'audacia ambiziosa o un'avventura, fosse considerata come un atto compiuto, in uno spirito di solidarietà, nell'interesse del principio monarchico?

In questi giorni ci giunse da Roma la manifestazione diretta del desiderio del Pontefice che il Governo italiano riprenda le trattative per la nomina di alcuni Vescovi, inviando a Roma qualche suo rappresentante. (2) A questa proposta è d'uopo rispondere. Ella conosce le mie antiche opinioni in questo argomento, e come, nella quistione romana, prediliga quella politica liberale e conciliante la quale tende a separare, nel nostro programma nazionale, la

parte politica dalla parte religiosa. Le mie convinzioni, dalla missione Tonello in poi, non si sono mutate. Ma allora le condizioni erano molto diverse dalle presenti. Si trattava di rendere più agevole all'Imperatore la esecuzione della Convenzione, e soprattutto si trattava d'iniziare quella politica, la quale sola poteva cavare dalla Convenzione tutti i suoi frutti. Ora purtroppo Mentana ha profondamente modificate queste condizioni. Non per questo respingo in tesi generali l'idea di trattare con Roma in materie religiose, soprattutto quando si fossero prima poste in sodo alcune basi d'accordo. Ma il momento attuale mi sembra inopportuno, se si considera la situazione politica nel suo complesso. Noi abbiamo bisogno di una certa tregua politica, la quale ci permetta di procrastinare le elezioni e di fare accettare dalla Camera le misure richieste dalle nostre disordinate finanze. Ora una seconda missione Tonello avrebbe assai probabilmente per effetto di riporre in prima linea nella Camera e nel paese la quistione romana. Con che vantaggio lo possiamo supporre. Si darebbe all'opposizione di sinistra una parola d'ordine e nel Parlamento e nel campo elettorale. E le accuse diverrebbero infinite, se il nostro rappresentante dovesse in Roma penosamente negoziare e assistere frattanto alla proclamazione dell'infallibilità, o a qualche altra deplorabile deliberazione del Concilio.

Quando penso ai nostri discorsi di tre anni fa su questo argomento, provo il desiderio vivissimo d'avere il suo avviso e il suo consiglio, perché terrò sempre grande onore l'avere potuto associarmi con profondo convincimento alla sua politica negli affari di Roma, politica alla quale purtroppo il tempo diede ragione.

Le confesso che la ragione precipua che mi spinse ad accettare ora l'ufficio di ministro fu la speranza e l'ambizione di poter ottenere lo sgombro de' Francesi da Civitavecchia. Mi pareva che il nome di Ollivier, le opinioni da lui altra volta espresse, fossero un buon argomento per confidare. Ma, per dir vero, le notizie che Nigra mi manda da Parigi sono poco rassicuranti. Nigra mi scrive (l) che il nuovo Ministero è composto colla preponderanza se non numerica, almeno morale del centro sinistro, i di cui uomini principali, nella quistione di Roma, dividono le tendenze di M. Thiers e della politica orleanista, tendenze che prevalgono poi, come già si sapeva, nel Corpo legislativo. Egli teme che Ollivier non avrà influenza e volere sufficiente per far prevalere le sue convinzioni, e che l'Imperatore, da Sovrano costituzionale, lascerà ai Ministri la responsabilità dell'arduo problema. La nostra situazione in faccia alla Francia ha i suoi vantaggi morali, perché noi abbiamo adempiuto a tutti i nostri impegni oramai, e lasciamo considerare alla Francia se d'essa altrettanto si può dire. Ma aver ragione non basta. Io scrissi a Nigra (2) che non intendevo prendere ora una iniziativa ufficiale, chiedendo subito la partenza delle truppe, perché un rifiuto comprometterebbe la quistione e, nello stato dei nostri rapporti con l'Imperatore, questa iniziativa converrà prenderla quando già saremo sicuri del risultato. Ma gli raccomandai di fare ogni ufficio per ottenere se fosse possibile una nuova dichiarazione, conforme a

quella che già il Governo francese fece in altre occasioni, vale a dire che il principio dello sgombro era ammesso, era cosa intesa. L'anno scorso Lavalette lo disse espressamente e non riservò che la quistione del momento opportuno. Ammesso il principio ancora una volta, veniva tolto ogni vincolo di solidarietà fra la quistione della presenza delle truppe e la circostanza del Concilio. A me è sempre doluto assai che non si sia potuto ottenere lo sgombro prima che il Concilio si radunasse. Raccomandai a Nigra di agire sull'Imperatore e sull'OIlivier, perché, ad ogni modo, su loro possiamo contare. Nigra non mi ha ancora risposto, e io attendo con inquietudine le prime discussioni del Corpo legislativo. E, a proposito di Emilio Ollivier, le aggiungerò come, avendogli detto taluno che Rattazzi si dichiarava in rapporti di grande intimità con lui, egli dichiarò di non ammettere tale intimità, e che l'uomo politico italiano della cui amicizia si onorava era il barone Ricasoli.

Le ho ora esposte le quistioni di maggior rilievo delle quali desideravo intrattenermi con Lei.

(l) -Da Archivio Ricasoli, ed. in Lettere Ricasoli, vol. X, pp. 98-100 e in Carteggi Ricasoli, vol. XXVII, pp. 8-11. (2) -Cfr. nn. 111 e 150. (l) -Cfr. n. 169. (2) -Cfr. n. 137.
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IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2010. Parigi, 11 gennaio 1870, ore 16,20 (per. ore 18,25).

Hier le prince Pierre Bonaparte {l) a tué d'un coup de revolver M. Noir rédacteur de la Marseillaise qui était allé le provoquer en duel de la part de

M. Grouset rédacteur de la ... (2) journal qui se publie en Corse. D'après la version du prince Bonaparte M. Noir l'aurait frappé au visage. Le Journal Officiel de ce matin contient un décret convoquant la haute Cour de justice pour statuer sur ce fait. Le prince Bonaparte est arrèté. Ce fait a produit naturellement une grande émotion.

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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 507. Berlino, 11 gennaio 1870 (per. il 18).

Dans l'entretien que j'ai eu avec le Comte de Bismarck, et dont la partie la plus intime est rapportée dans ma lettre particulière ci-jointe (3), j'avais aussi parlé des transformations qui s'opèrent en France. Je tenais à connaitre sa manière de voir sur un sujet aussi important.

c Je pense, m'a-t-il répondu, que ce qui se passe chez nos vmsms est un gage de plus du maintien des relations pacifiques. Le Souverain camme san nouveau ministère reconnaissent la nécessité de la paix au déhors pour développer et consolider l'ceuvre intérieure. Je ne partage point l'avis de ceux qui prétendent que ces réformes libérales ont été arrachées à la dernière heure. Je rappellerai à ce propos une conversation que j'ai eue avec l'Empereur à Paris en 1867 à l'époque de l'Exposition Universelle. Il me parlait des conditions de la France et des projets qu'il élaborait dans san esprit pour établir de plus en plus l'union de l'Empire et de la liberté. Il me fit meme l'honneur de demander mon opinion à cet égard. Passant en revue l'histoire de Louis XVI, de Charles X et de Louis Philippe, il attribuait leur chute à cette cause principale: Ils ont manqué de confiance en eux memes et d'énergie. Quelques heures d'abandon et d'oubli, de grandes défaillances peut-étre ont rendu inutiles ou funestes tous les efforts qu'ils avaient faits durant de longues années pour assurer leur Couronne. Ils passaient de l'illusion la plus opiniatre au découragement le plus soudain. Au moment le plus critique de l'effervescence populaire ils se montraient hésitants, et finissaient par donner pour ainsi dire carte bianche à la révolte. Aucun d'eux n'a payé de sa personne et fait un appel sérieux aux défenseurs de la Monarchie identifiée surtout avec l'armée. S'ils avaient eu la résolution de faire face à l'orage et de recourir jusqu'au bout à la force plutot que d'abandonner la partie, les chances auraient tourné en leur faveur. Leur faiblesse dans ces moments de crise fortifiait les rangs de leurs ennemis et en préparait le triomphe.

L'Empereur Napoléon estimait en outre que les intérets dynastiques seraient mieux garantis, lorsque grace à de nouvelles réformes, les rouages de l'Etat habitués à fonctionner de san vivant, continueraient plus facilement leur jeu régulier à un changement de règne.

Il résulte de ce récit que l'Empereur n'aurait pas été mu par une brusque résolution. Il a bien plutot obéi à des convictions antérieures. Il croyait en meme temps qu'un Souverain peut se maintenir au milieu des écueils parlementaires et des violences révolutionnaires si, prenant en main un revolver, il est parfaitement décidé à s'en servir pour combattre les désordres de la rue et les surprises de ceux qui attentent à la tranquillité publique. Sous ce rapport il est à souhaiter que Sa Majesté Impériale ne consente pas, camme on en fait courir le bruit, à supprimer la belle institution de la Garde. Non point certes qu'il faille l'utiliser pour un coup d'Etat qui serait des plus dangereux dans les conjonctures actuelles, mais pour prémunir au besoin la capitale contre les excès des ennemis de l'ordre et de la société. L'esprit de l'armée, nous le savons, est satisfaisant en France, mais si la propagande de la démagogie et du socialisme parvenait à entamer ses rangs, alors il y aurait, à mon avis danger de guerre, car on pourrait etre tenté à Paris de chercher un remède au mal par une diversion à l'étranger ».

Avant de porter un jugement sur le Ministère du 2 janvier, il attendait de le voir à l'ceuvre. Bien des personnes prévoient que l'introduction du parlementarisme en France aura probablement un contrecoup en Allemagne. En plus d'une acca

sion des Ministres conservateurs ont parn premer le ci-devant régime de l'Empire. Et meme il leur était assez facile de démontrer qu'à tout prendre Ieurs propres institutions politiques répondaient mieux aux tendances libérales du siècle. Cet argument aura du moins faibli quand le parti progressiste voudra leur mettre l'épée dans les reins. J'ai fait une allusion dans ce sens à M. de Bismarck.

II ne manifestait qu'une très médiocre préoccupation sur ce point. On voyait qu'il se sentait capable de modérer la dose aux impatients. II est vrai qu'ici le principe d'autorité marche de front avec la liberté. s. E. semblait plutòt admettre qu'il s'agissait surtout de questions de forme, d'apparence, auxquelles Elle attribuait une certaine valeur. Mais chacun savait en Prusse qu'au fond on y jouissait, entre autres, d'une liberté personnelle des mieux garanties contre l'arbitraire, « Au reste, ajoutait S. E., l'opposition dans nos Chambres se plaisait à faire miroiter à nos yeux la perfection du systhème pratiqué en Autriche. On commence à revenir de cette admiration ».

Ainsi que nous l'annonce une circulaire, le Ministère des Affaires Etrangères a passé depuis le ler Janvier dans le ressort de la Chancellerie Fédérale dont il ne sera qu'un simple département sous la haute direction du Chancelier de la Confédération. De fait la gestion en appartient au Sécrétaire d'Etat. Ainsi il est entendu que, sauf pour les communications ou les démarches d'un intéret majeur, les Membres du Corps diplomatique y compris les Ambassadeurs, doivent s'adresser à de Thile qui de Sous Secrétaire est devenu Secrétaire d'Etat précisément pour qu'il eiìt un rang plus approprié à ses fonctions.

(l) -Il principe Pierre Bonaparte, cugino di Napoleone III, era figlio del secondo matnmonlo di Luciano Bonaparte con Alexandrine Beauchamps. (2) -Gruppo indeclfrato. (3) -Cfr. n. 177.
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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. Berlino, 11 gennaio 1870.

Dans une visite que j'ai faite, samedi dernier, au Secrétaire d'Etat, je me suis exprimé dans le sens de votre lettre particulière du 2 janvier (2). Mon langage a produit une bonne impression. Il m'a pardu dès lors, quoique le Comte de Bismarck, depuis camme avant son retour, ne reçoive que très rarement les Chefs de Mission, et meme les Ambassadeurs, qu'il était le cas de lui demander une udience.

Elle m'a été accordée dès le lendemain.

Après un compliment de ma part, de le revoir dans l'exercice de ses fon

ctions, le chancelier fédéral dit du ton le plus aimable, en appuyant sur le

premier mot: « Nous sommes en effet rentrés aux affaires. Le nous s'applique

aussi à M. le Chevalier Visconti Venosta. Je me félicite d'avoir nouvellement

des rapports avec un homme d'Etat, dont j'ai conservé d'excellents souvenirs ».

Pour prouver une fois de plus que V. E. tenait à entretenir avec le Cabinet de Berlin des relations d'amitié et de confiance, j'ai cru pouvoir prendre sous ma responsabilité de lire quelques extraits de sa lettre. Si je voulais marquer de quels sentiments nous étions toujours animés envers cette puissance, il importait tout aussi bien d'établir avec loyauté la mesure et le but, franchement et essentiellement pacifique, de notre programme. Je m'étais donc appliqué à reproduire fidèlement vos intentions, en citant à l'appui vos propres paroles, ni plus, ni moins.

«Notre programme, faisait observer le Comte de Bismarck, après m'avoir remercié de notre franchise, répond entièrement au votre. Camme vous, nous désirons vivement le maintien de la paix. Nous en avons besoin pour consolider l'oeuvre nationale. En meme temps, sans rien demander à l'Italie, nous sommes portés naturellement à vivre avec elle dans les termes les plus amicaux. A ce propos, je me permettrai une remarque: si le nom de l'Italie a été melé à des bruits d'alliance contre la Prusse, bruits auxquels, pour ma part, je n'ai jamais ajouté foi, jamais, dans ces dernières années, vous n'aurez entendu émettre la supposition, que la Prusse se préterait à une ligue quelconque, ou céderait à des démarches hostiles à votre Gouvernement. C'est parce qu'il ne viendrait à l'idée de personne, de se jouer à ce point de la crédulité publique. De semblables suppositions n'auraient aucune chance d'etre accueillies. Elles se réfuteraient à'elles-memes, car nous avons à votre égard les dispositions les plus sympathiques, dispositions entièrement partagées par mes compatriotes, qui comprennent si bien la solidarité de nos intérets. Je suis convaincu qu'il en est de meme en Italie. Sans doute, votre armée obéirait au commandement et marcherait contre qui que ce fut, mais je suis certain que ce serait sans enthousiasme, si elle était mise en demeure de tourner ses armes contre la Prusse, Elle aurait la conscience que chaque Prussien qui succomberait dans cette lutte, serait un ami de moins pour l'Italie. Comme vous, je le répète, nous voulons la conservation de la paix. Nous ne cherchons querelle à personne. Nous n'avons aucune convoitise à exercer sur nos voisins. Nous sommes bien résolus à ne tirer l'épée, que pour la défence du territoire, et contre ceux qui voudraient nous attaquer. Mais, en dehors de ce cas, le rtìle de la Prusse sera toujours celui de donner l'exemple de la paix; pour ce qui concerne les affaires intérieures de l'Allemagne, nous croyons étre assez forts pour rester les maitres chez nous, pour nous opposer à toute immixtion étrangère. Mais, d'un autre còte, nous n'avons aucun motif d'accélérer le cours des événements. Notre moulin est placé dans les meilleures conditions: l'eau et le vent lui arrivent tout naturellement. Raison de plus, occupés comme nous le sommes dans la Confédération du Nord, pour nous abstenir de forcer la main aux Etats du Sud. Après 1866 ils s'attendaient a ce que nous leur courrerions sus, et grand a été leur étonnement de ne voir sur leurs talons aucun Prussien, à la mine refrognée ou engageante. Ils se retournent peut-etre comme de jeunes dames, qui instinctivement marquent quelque surprise, quand on a l'air de ne pas leur preter toute l'attention qu'elles croient mériter. C'est sagesse, et non indifférence, de notre part. La force des choses travaille pour nous, et le fruit tombera de lui-meme quand il sera mur. Nos bras restent donc ouverts, et, le

jour où nos frères du Midi voudront sérieusement nous tendre la main, nous ne la repousserons pas, dùt-il s'en suivre une guerre avec l'étranger. Mais, avant que le moment arrive, d'une accession à la Confédération du Nord, quels que soient Ies progrès qui, d'eux mémes, se font graduellement vers ce but, il peut se passer des dixaines d'années, moins peut-étre, s'il surgit des circonstances imprévues. Alors il sera impossible en Allemagne de résister au courant. Et nous serons assez forts, le cas échéant, pour pourvoir à la sùreté de la patrie commune. Le million de combattants dans la Confédération du Nord n'existe pas seulement sur le papier. Le calcul est facile à établir. Chaque année, 100.000 hommes sont appelés sous Ies drapeaux. Or le service, y compris celui dans la réserve et dans la landwehr, dure 12 années.

II ne saurait, en attendant, nous convenir d'activer de propos délibéré une solution. Si le Midi de l'Allemagne, à l'exception de la Bavière, a déjà l'organisation militaire prussienne, il n'est pas encore dans une situation telle où nous pourrions, le cas échéant, le tenir entièrement dégagé de troupes, comme nous pouvons maintenant le faire en Saxe. Je ne veux nullement dire, pour autant, que nous ne compterions pas sur eux, notamment en ce qui concerne l'exécution des traités d'alliance offensive et défensive. Sous ce rapport nous avons Ies meilleures indications, nommément par les nombreux officiers du Sud qui viennent étudier nos institutions. Personne n'émet l'ombre d'un doute sur la fidélité à remplir, au besoin, des obligations consacrées par la signature des Souverains et par le vote des Chambres. Et, chose à noter, ces officiers attribuent le ròle embarrassé de leurs Gouvernements en 1866, à I'incertitude d'un pian de conduite, n'ayant de prime abord d'autre objectif, que de se retourner contre le premier qui attaquerait. Une semblable indécision ne saurait plus exister, en présence des clauses formelles des nouveaux engagements ».

Ma dépéche d'aujourd'hui (l) contient un aperçu du Comte de Bismarck sur le transformations qui s'opèrent en France. A propos de ce pays, il a parlé ainsi d'un incident, dont la presse s'est beaucoup occupée.

«Le Général Fleury, usant largement, trop largement (puisqu'il n'aurait pas été approuvé à Paris), de la franchise militaire, a pris sous san bonnet de sonder le terrain sur une entente entre la France et la Russie, au détriment de la Prusse. II aurait fait allusion au Schleswig-Holstein, et méme à la question du désarmement. Le résultat le plus net de ces tentatives pour semer la division, a été l'envoi du Grand Cordon de St. Georges au Roi Guillaume, et un télégramme qui précisait le sens et le caractère de la distinction offerte à Sa Majesté. Cela valait au moins autant qu'une dépéche du Prince Gortchacow. En outre, la Katkofjkratie, comprenant l'avertissement indirect de l'autocratie Impériale, a mis une sourdine à ses attaques contre la Prusse. Le militaire-diplomate se prévaut aussi de ces licences politiques, dont usent et abusent parfois ceux qui portent l'épaulette, pour parler à coeur ouvert avec le Prince Reuss, notre représentant à St. Pétersbourg. J'ai écrit à ce dernier, lui aussi officier supérieur, de mettre également sa culotte de peau, si ce qu'on est convenu d'appeler la franchise militaire, lui était de quelque utilité :l).

J'ai reproduit, aussi exactement que possible, le langage du Chancelier fédéral. Je constate en méme temps que cette entrée en matière, au début de votre administration, a laissé chez lui une bonne impression. Vous rendrez un véritable service à la conservation de nos rapports d'amitié avec ce Pays, chaque fois que, par votre correspondance officielle ou particulière, vous croirez devoir me fournir l'occasion de m'aboucher avec le Comte de Bismarck.

En attendant, et c'est l'essentiel, on est parfaitement édifié sur notre attitude, car j'ai nettement déclaré que nous voulions travailler à sortir de nos embarras financiers, et qu'ainsi, sans nous désintéresser dans aucune grande question, nous devions cependant tenir avant tout à voir la confiance renaitre et se généraliser en Europe. De meme, je n'ai pas caché que, en semblable occurrence, il ne saurait s'agir de contracter des alliances proprement dites, mais seulement de conserver et de cultiver, dans un but exclusivement pacifique, les meilleurs rapports avec les puissances, nommément avec la Prusse, sans oublier bien entendu la France et l'Autriche. Mon interlocuteur semblait au reste partager l'avis que, dans la question romaine, l'intervention des cabinets de Paris et de Vienne offrirait moins d'inconvénients, que celle du cabinet de Berlin.

(l) -Da ACS, Carte Visconti Venosta. (2) -Cfr. n. 146.

(l) Cfr. n. 176.

178

IL CONTE VIMERCATI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. Parigi, 11 gennaio 1870.

Ho ricevuto la tua lettera (2), ti ringrazio per le frasi gentili alle quali sono sensibilissimo perché mi vengono da te a cui mi lega la più sincera amicizia.

Qui accluso troverai la copia di un telegramma (3) che ho mandato al Re in risposta ad uno che provocai io stesso da Sua Maestà (4) dopo aver letta la lettera che tu scrivesti a Nigra contenente i tuoi progetti sulla questione romana (5). Come vedrai dal dispaccio, la risposta di S. M. Imperiale è categorica ed entra perfettamente nelle tue idee, tutto sta però che i Ministri seguano le indicazioni dell'Imperatore, e se a questo proposito dovessi giudicare da alcuni sintomi, dovrei credere precisamente il contrario, se se ne esclude Ollivier, ma la sua personalità nel Consiglio è di molto indebolita pel modo con cui fu giuocato nella formazione del Ministero nella quale, lo confesso con dolore, Thiers ha avuta completa vittoria, e nessuno, più di me ha viste le cose da vicino, che si sono passate al Palais Royal e da Girardin col mezzo di Clément Duvernois, portavoce dell'Imperatore. Io non mi sono fatto illusioni e fino dai primi giorni della crisi predissi la soluzione tal quale è

(-4) Cfr. n. 166.

avvenuta. In ogni modo i tuoi desideri sono così limitati, che credo nessuna dchiarazione verrà a pregiudicare la questione Romana e forse neppure ad allontanare oltre un certo limite la durata dell'occupazione.

Divido completamente il tuo modo di vedere e mi fa piacere che al Ministero degli Esteri vi domini solo la tua preponderanza, perché ti so quel sentir fino e delicato che nella situazione attuale delle cose è indispensabile.

L'Imperatore pensa sempre al bulardée, raccomanda le nostre buone relazioni coll'Austria, il che vuoi dire sopratutto di non ravvicinarci troppo alla Prussia, ma in questo momento gli antichi progetti non dobbiamo riguardarli, a senso mio, che come un seme che non può fruttare se non dopo che la situazione del Governo Imperiale in Francia sia definita.

Io vedo le cose molto diverse di quelle che le vede l'amico Guerrieri e giudico qui la situazione gravissima. L'Imperatore non è fatto pel governo costituzionale, si mostrò debole, cedette, ed un partito impotente che non potrei definire che come transizionale, ha prese le redini senza avere né la forza né i mezzi per arrestarsi. Questo partito camminerà nelle esigenze, e non per fatto suo proprio ma per l'influenza delle persone che lo dirigono, spoglierà il Sovrano di tutte le sue forze ed il giorno che sarà ridotto impotente come lo fu nel 48 il Governo di Luigi Filippo, arriverà il colpo di grazia in favore della repubblica, tanto più facilmente in quanto che a questa ajuterà il suffragio universale impossibile a mantenersi colle conseguenze del parlamentarisrno.

Il dilemma per me sta in questo, se l'Imperatore si lascerà o no disarmare, se si, la dinastia Napoleonica avrà la sorte di quelle che la precedettero, se no, si ritornerà al Governo personale o col mezzo indiretto della guerra per rimettere il prestigio, o con un nuovo appello alla nazione, o per altro mezzo che è impossibile prevedere.

Rispondendo al Re, annunziai che avevo ricevuta una tua lettera, non credetti dover aggiungere parole circa alla comunicazione dei dispacci per non eccitare in lui sospetto di intelligenza al di là di quanto egli può desiderare. Ti terrò al corrente, ti manderò le mie lettere col mezzo del Credito Mobiliare perché in piego di commercio esse potranno essere più facilmente all'ombra di indiscrete curiosità.

Che il mio vedere oscuro non ti spaventi, appena l'orizzonte si rischiarerà te ne informerò, sai che non sono un trembleur ma d'altra parte natura ripugna al camminar nell'incerto.

La seduta di jeri alla Camera e le risposte di Gambetta al Generale Lebeuf prima, ed all'Ollivier poscia, debbono bastarti a confermare il mio modo di vedere.

Attendo un tuo riscontro a quanto ti dissi di comunicare al Gino (1), vorrei sapere se egli si decide a venire qui a farmi una visita, nel caso contrario tratterò per lettera quanto meglio preferirei trattare a voce. È possibile che fra non molto ti faccia una visita, te ne preverrò in tempo.

Ora ho d'uopo un favore da te, ma che tu me lo faccia subito, capirai che non chiedo per me ma nell'interesse della Legazione. Vorrei che tu man

dassi a Nigra una Croce di Cavaliere per Alexandre de Girardin figlio di Emile, egli, dietro mia domanda, ha impedito a Fleury di scrivere quelle corrispondenzacce che faceva, e so che nulla al mondo può far maggior piacere al padre che mi pregò di chiedertela. Se vuoi che Nigra te ne scriva direttamente, lo farà, ma nelle relazioni in cui siamo puoi essere certo che facendoti questa domanda, siamo d'accordo fra noi.

La tragedia di ieri a Auteiul ha commossa tutta Parigi (1). Pietro Bonaparte che fu sempre poco di buono e che in fatto d'uccisione pare non sia alle sue prime pagine, questa volta non poteva giungere in peggior punto. L'Imperatore al riceverne la notizia ne fu esterrefatto, aggiungi a ciò il processo di Murat e ti lascio pensare come ne sieno alle Tuileries.

Addio, caro Emilio, malgrado le mie occupazioni e la vita febbrile che conduco, non ti mancheranno le mie lettere, perché lo intrattenermi con te mi è cosa carissima.

P. S. -Ore 4 112. Gli avvenimenti si fanno gravi e vi è agitazione. Ollivier interpellato da Rochefort ha magnificamente risposto, le sue parole produssero buon effetto, ma se l'Imperatore continua a lasciarsi disarmare è perduto, o lui od i parlamentaristi a Mazaz, ecco la soluzione e l'avvenire.

(l) -Da AVV. (2) -Non in AVV. (3) -Cfr. n. 172. (5) -Cfr. n. 137.

(l) Giovanni Visconti Venosta.

179

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2014. Parigi, 12 gennaio 1870, ore 23.50 (per. ore 1,20 del 13).

Une masse considérable de peuple que on évalue à plusieurs dixaines de milliers d'hommes s'est portée à Neuilly pour l'enterrement de M. Noir. Au retour de Neuilly une foule considérable a accompagné M. Rochefort jusqu'aux Champs Elysées où elle a été dissoute par des détachements de cavalerie sans effusion de sang. Pour le moment tout semble rentré dans le calme.

180

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 145/V. Londra, 12 gennaio 1870.

Mi affretto a darLe contezza di una lunga conversazione che ebbi or ora col signor Conte di Clarendon a riguardo del Concilio adunato in Roma. Sua Signoria introducendo il discorso su questo tema prese specialmente a sogget

16 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. XII

to l'indirizzo che pareva si desse al Concilio, le deliberazioni a cui sembrava avviarsi, e le probabili conseguenze delle medesime. Sua Signoria, riferendosi sempre nel suo discorso unicamente a ciò che avesse soggetti, od attinenze politiche e sociali, non mi nascose la Sua preoccupazione per la poca libertà che pareva fosse lasciata ai vescovi, massime se riputati non affatto consenzienti ai principj che avevano predominato, od almeno influito grandemente sulla adunanza del Concilio stesso; soggiunse che i privati ritrovi di Vescovi anche in piccolo numero, sarebbero colà giudicati e redarguiti quasi come rivoluzionarj. I modi, le forme usate a Roma coi Vescovi e coi Prelati adunativi parevangli non allontanarsi dallo stesso concetto, e mirare al medesimo scopo.

Notava il signor Conte come a ciò corrispondesse una deferenza ed una soggezione nella massima parte dei prelati, la quale non consuonerebbe colla condizione di chi non sia chiamato ad eseguire l'altrui volontà ma a dare un giudizio ed un libero voto. Mi interpellò se potesse credersi che in Italia vi fossero Vescovi abbastanza indipendenti, e forti, che all'occorrenza esponessero le opinioni loro anche in opposizione a quelle che si presume vogliansi far prevalere. Il soggetto che pare vogliasi dare alle deliberazioni del Concilio consisterebbe, almeno in gran parte nell'erigere in domma la infallibilità personale del Pontefice, e nel dare pure carattere dommatico alle proposizioni contenute nel noto Sillaba, le quali cose tutte si riferivano in gran parte a materie politiche, o civili, o sociali. Che può aspettarsi per siffatte materie che riguardano la libertà, il progresso e lo stato della moderna società da un Concilio da cui è assolutamente escluso ogni elemento laico, e che perciò non potrebbe neppure dirsi ecumenico? Che ne avverrebbe poi nei paesi cattolici e specialmente in Italia in relazione al Governo ed alle popolazioni, massime per ciò che riguarda la tranquillità e l'ordine pubblico, l'educazione, l'istruzione, e la coltura in generale?

Tali sono sostanzialmente le idee e le preoccupazioni espressemi dal signor Conte di Clarendon a più riprese nella nostra lunga conversazione.

Attenendomi al punto di vista politico e sociale che aveva fatto il soggetto del discorso di Sua Signoria, e per quanto riguarda il sistema tenuto in Roma coi prelati del Concilio, e da questi verso il Pontefice, dissi che niuna comunicazione ufficiale erami pervenuta a questo riguardo e che sì per questo soggetto che per quegli apprezzamenti che mi verrebbero suggeriti dalle sue considerazioni avrei quasi sempre dovuto !imitarmi ad esprimere le mie opinioni personali, veramente se si attendeva a ciò che in generale diceva la stampa rispetto al contegno tenuto in Roma coi Vescovi adunati sarebbero a deplorarsi gli inconvenienti da Sua Signoria indicati, il cui principale effetto sarebbe

quello di indebolire l'autorità morale del Concilio e di nuocere a quei grandi interessi e principj religiosi che il Pontefice ed il Concilio dovrebbero sopratutto, ed anzi unicamente tutelare.

Feci però notare, che ciò nonostante, e stando sempre alla pubblica voce quasi unanime a questo riguardo, eranvi pure dei prelati, che davano prova di una indipendenza tanto più notevole, e significante quanto maggiori erano le difficoltà contro cui dovevano, a quanto pare, lottare, i quali prelati, se pur non pajono molti in numero sarebbero fra quelli che primeggiano per devo

zione alla Chiesa Cattolica, per ingegno, per coltura, per esemplarità della vita, e per l'autorità che hanno meritatamente acquistata. Soggiunsi non potersi disconoscere l'importanza della esistenza di un nucleo indipendente di prelati, a patto dell'altro fatto che pare pure constatato anche per le manifestazioni che precedettero il Concilio, che molti altri prelati sarebbero avversi alle idee eccessive, e reazionarie, che parrebbero prevalere a lato del Pontefice. A riguardo poi delle disposizioni in ispecie dell'Episcopato Italiano dovendo fare una previsione unicamente sulle basi della cognizione del Paese, e della sua recente storia, non potei non riconoscere, che per circostanze politiche abbastanza note ed affatto particolari all'Italia, non era a farsi gran fondamento, tranne forse qualche caso eccezionale, sopra una opposizione esplicita di Prelati Italiani alle idee eccessive, e reazionarie, sebbene avessi ragione di credere che parecchi dei medesimi a queste idee non partecipassero.

Rispetto al tema proposto alle deliberazioni del Concilio ed in ispecie che nel medesimo possa comprendersi la dichiarazione dommatica della infallibilità personale del Pontefice, e l'erezione in domma dei principj del Sillabo, e rispetto alle deliberazioni eventuali del Concilio a questo riguardo dissi a Sua Signoria che non aveva nozioni, o comunicazioni positive che mi autorizzassero ad affermare fatti sulla base delle medesime, o ad anticipare giudizj, o previsioni. Pur volendosi indagare, colla scorta di quegli elementi che ciascuno può apprezzare, le eventualità più probabili a questo riguardo, parermi meno probabile che il Concilio volesse compiere l'arrischiato e pericoloso atto di erigere in domma il Sillabo e l'infallibilità personale del Pontefice, massime in quanto essa, estendendosi al campo morale, potesse esercitarsi sui principj politici, civili e sociali. Motivo principale di questa mia opinione essere l'interesse stesso religioso cattolico che in caso contrario riceverebbe un colpo fatale con sommo rammarico di tutti coloro che non sono cattolici, soltanto per politica. E veramente non potersi facilmente presumere che una adunanza generale dei prelati cattolici fosse disposta a mettere le dottrine cattoliche in questa irreconciliabile lotta collo stato generale della moderna società coi principj su cui si fondano la costituzione e il reggimento degli Stati conquistati quasi ovunque con secolari lotte e con enormi sacrifizj, le quali cose non sono solo dottrine, ma fatti universali compiuti, sui quali riposano i grandi interessi morali e materiali degli Stati e della attuale società. Non potersi facilmente credere che si tentasse e si sperasse di atterrare e di distruggere questo stato sociale, e politico, senza recare invece un colpo fatale a chi s'attentasse di farlo. Il dilemma che si porrebbe crudamente alle Nazioni cattoliche dell'Europa che ora sono tutte costituzionali o di rinnegare le conquistate libertà e distruggere la loro stessa esistenza costituzionale, o di cessare di essere cattoliche essere cosi esorbitante cosa e di impossibile riuscita, da doversi esso medesimo riputare impossibile. Soggiunsi non mancare certamente a Roma e nel Concilio, e essere fors'anca in maggioranza, coloro a cui sorriderebbe l'idea di ricacciare la moderna società al medio evo; ma che la loro previdenza non basti ad avvertirli della inanità di un simile tentativo e che il sentimento dei loro stessi interessi non abbia ad essere sufficiente per distornarli, è difficile il crederlo. Né, per quanto riguarda in ispecie la personale infallibilità del Papa, potesse sfug

gire ad alcuno l'ovvia considerazione che, dappoiché il Concilio avesse decretato come domma la esistenza quaggiù di due fonti d'infallibilità pei cattolici, null'altro più rimarrebbe al Concilio stesso che di sciogliersi e di non riunirsi mai più. Queste ragioni addussi in appoggio della mia opinione sulla minore probabilità, non solo di una decisione formale su questa materia, ma anche della proposta della medesima alla solenne decisione del Concilio. Soggiunsi parermi in ogni caso poco probabile che siffatta decisione venisse proclamata contro il voto di una minoranza anche piccola, ma autorevole, il che sarebbe contrario agli usi dei precedenti Concilj in questa materia; nel mentre che, per altra parte, non mancherebbero mezzi già altre volte adoperati per dare qualche soddisfazione ai fautori di tali principj senza addivenire ad una formale dogmatica decisione conciliare.

Sotto un aspetto più pratico presentavasi la quistione sulle conseguenze, rispetto ai governi ed alle popolazioni cattoliche, ed in ispecie a riguardo dell'Italia, della proclamazione che si facesse di simili decisioni che fossero dal Concilio proferite. Astenendomi da un giudizio a riguardo di altre Nazioni cattoliche fuori dell'Italia, mi limitai ad esprimere, a questo riguardo, l'opinione che la natura delle quistioni interne di ciascun Paese, il senso più o men intenso delle libertà costituzionali e le relazioni del governo col partito che della religione fa un elemento ed uno strumento di reazione potevano dar luogo a conseguenze diverse e fors'anche contrarie; parermi però che se pur fossero a temersi in alcun paese degli inconvenienti, essi non potessero essere che transitorj, né mi paresse dubbio il trionfo definitivo dei principj di civiltà e di libertà, sebbene sarebbe a deplorarsi dai cattolici la grave ferita fatta alla lor Chiesa dichiarata dai suoi stessi Ministri incompatibile colla attuale civiltà.

La considerazione di questo soggetto rispetto all'Italia mi apriva il campo, (e parvemi opportuno di approfittarne), a richiamare a Sua Signoria concisamente i principj che hanno regolato fin qui il Parlamento ed il Governo del Re in questa materia, allo scopo cui essi e l'immensa maggioranza del Paese mirano, ed i mezzi a tal fine posti in opera con un sistema che fu sempre uniforme nei principj.

Mi faccio debito di riassumere e di partecipare a V. E. le cose da me esposte a questo riguardo.

Il principio della libertà costituzionale e la progressiva, graduata applicazione della libertà individuale ha sempre informato ed informa le opinioni e le tendenze del Paese, del Governo del Re e del Parlamento senza distinzione di partiti a questo riguardo. Questo principio è in Italia non solo un sentimento, ma una necessità ed una conseguenza della sua unificazione fatta mediante l'unione delle sue parti per tanti secoli divise ed è considerata come il mezzo di consolidare e di far fruttificare la sua nazionale unità. La necessità dell'applicazione di questo principio alle materie religiose non poté sin da capo non essere grandemente sentita nelle relazioni dello Stato coll'Autorità religiosa, e coi cittadini. Ma la larga e piena libertà religiosa suppone che l'Autorità Ecclesiastica sia ridotta ai soli confini della sua naturale competenza. Ciò non sussistendo nel fatto e massime per lo addietro, si dovettero fare leggi dirette a questo fine le quali furono mal comprese, e peggio giudicate da coloro

che avevano contrarj interessi o tendenze ostili al Governo Costituzionale od all'Italia.

Sta però in fatto, che man mano che lo Stato si pose in possesso delle sue ragioni separando a proprio vantaggio, come ne ha il diritto, le attribuzioni civili dalle meramente religiose, andò sempre allargando l'applicazione del principio della libertà religiosa, il quale è la base, specialmente per l'Italia dello scioglimento di quistioni che assai la interessano anche per l'avvenire.

Di fatti, dopo leggi che era inutile di richiamare fu fra le altre cose tolta ogni prescrizione del poter civile, che ordinava feste religiose in certi determinati casi; libero ritorno fu accordato a prelati che pur eransi chiariti ostili alle istituzioni ed al Governo; la più grande libertà di culto fu accordata ed è mantenuta; nello stabilire col Codice Civile il matrimonio civile, piena libertà fu accordata agli sposi di farvi precedere, ove lo vogliano, l'atto religioso, ed ora nessun ostacolo fu posto al convegno dei Vescovi a Roma. In sostanza la separazione delle materie civili dalle religiose è in Italia e fu sempre ordinata all'intento di poter giungere alla piena applicazione della libertà della coscienza e della conseguente libertà della Chiesa. Persino il Sillabo poté essere pubblicato dal pergamo in tutte le Parrocchie del Regno, ed il Governo, appoggiato al conforme voto del suo Consiglio di Stato, non vi pose, deliberatamente, verun ostacolo.

Ma, se il Governo poté ciò fare senza che alcun benché minimo inconveniente si rivelasse nel Paese, e se il Governo, ed il Parlamento poterono far leggi e farle esattamente eseguire nonostante le opposizioni della Corte di Roma e di gran parte dei Vescovi e senza veruna lamentabile conseguenza nel paese, sebbene siansi adoperati contro tutti i poteri dello Stato, nessuno eccettuato, le maggiori armi religiose, ciò devesi attribuire alle speciali condizioni delle popolazioni dell'Italia. La quistione della separazione della Chiesa dallo Stato; della competenza dello Stato nelle sole cose civili, e politiche, e della Chiesa nelle religiose soltanto; della mancanza di autorità in caduno di essi per le materie che loro non spettano, la distinzione nel Pontefice medesimo delle due podestà, l'inefficacia delle armi adoperate dalla Chiesa per materie che sono civili e l'inefficacia delle sentenze che in questa materia essa profferisca, se sono cose che, poco conosciute e poco sentite nelle popolazioni di altri paesi cattolici, sono conosciutissime e popolari in Italia.

Ciò è il frutto delle secolari lotte dell'Italia con Roma e col suo Governo per ciò appunto che è in Italia, e principalmente dai contrasti che essa ebbe con Roma per conseguire la libertà, e per attuare la propria unificazione nazionale. Le popolazioni Italiane anelanti a questo scopo, ma altrettanto tenaci nelle loro religiose credenze trovarono naturalmente la conciliazione di queste tendenze e la tranquillità delle coscienze col dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Iddio ciò che è di Dio.

Si credette da molti fuori di Italia che il plebiscito delle popolazioni delle Romagne delle Marche e dell'Umbria fatto con meravigliosa unanimità, anche nei paesi rurali, dovesse segnare una separazione di quelle popolazioni dalle credenze cattoliche e dal Pontefice; ma fu grande errore chè in niuno di quei Paesi si pensò mai che, facendosi un atto politico, anche a detrimento del

Pontefice come Re, si facesse un atto di rivolta contro il Capo della Religione cattolica, né un abbandono delle cattoliche credenze.

Che se ciò spiega la tranquillità del popolo Italiano in circostanze difficili e nelle quali non si tralasciò verun mezzo di provocazione, ciò dà del pari ragione di che questo popolo meno di qualsivoglia altro siasi commosso e si preoccupi pel Concilio attuale di Roma, e di che poco ne parlino i giornali, e nulla siasene mai detto nel Parlamento. Una delle due; od il Concilio si limiterà a decisioni meramente di fede religiosa, ed estranee alle cose politiche e civili. e nessuno se ne commuoverà nella certezza della piena libertà religiosa che vi è in Italia; od esso invaderà il campo civile e politico colle proprie decisioni, ed erigerà in dogma la facoltà del Pontefice di decidere con autorità dogmatica quistioni civili e politiche, e gli esempi replicati e recenti provano che l'Autorità della Chiesa non ha voce in Italia quando pretende di disporre delle cose che non sono della Chiesa e nelle quali conseguentemente non ha autorità. È questo il dilemma che fa la grande maggioranza degli Italiani già molto avvezza ad incontrare ed a risolvere simili quistioni, epperò non è da fare le meraviglie se, anche il Sillaba liberamente pubblicato in tutte le Chiese d'Italia, appena conosciuto passò inosservato e tosto dimenticato e nessuno siasi mai curato di far altro che di pubblicarlo sui giornali per divulgarne maggiormente le esorbitanze.

Quanto poi all'assenza dell'elemento laico dal Concilio, notai che quasi tutti gli uomini politici in Italia avevano accettato un tal fatto come una applicazione, per parte della stessa Corte di Roma, del principio della separazione delle materie religiose dalle politiche, della Chiesa dallo Stato, e siccome un fatto che avrebbe resa ancora più sensibile la necessità pel Concilio di non occuparsi che delle materie strettamente attinenti alla fede.

Per quanto riguardava poi all'attitudine del Governo Italiano ricordai avere esso del pari che gli altri Governi dei Paesi cattolici accettato un tale stato di cose colla sola riserva di far rispettare, ove ne occorresse il bisogno, da chiunque e contro chiunque le istituzioni e le leggi del Paese, usando a tal fine dei mezzi forniti dalle istituzioni e dalle leggi medesime. Soggiunsi essere noto che il Governo può e vuole adempire a questo suo dovere e che in ciò ebbe sempre l'appoggio del Parlamento e della pubblica opinione in Italia.

Da tutto ciò inferii che ove pure il Concilio andasse al di là di quei confini il cui rispetto pareva a me più probabile, non sembravami che in Italia fosse a temersi verun serio inconveniente.

Il signor Conte di Clarendon non ebbe che parole di lode pei principj di libertà propugnati dal Governo e dal medesimo applicati, disse essere stata molto savia e commendevole, a suo avviso, la deliberazione presa dal Governo del Re di lasciare piena libertà alla pubblicazione del Sillaba e di aver fiducia nelle popolazioni. Nulla ebbe a notare a riguardo alla mia esposizione riguardante l'Italia da lui ascoltata con molta cortese attenzione; ma per quanto riguardava la previsione di un assegnato procedimento del Concilio nelle sue deliberazioni, e rispetto alla impressione che le decisioni del Concilio, ove fossero esorbitanti, probabilmente farebbero sulle popolazioni cattoliche in generale ed alle conseguenze che ne potrebbero, almeno in alcuni luoghi, derivare mi parve che egli rimanesse colle preoccupazioni che mi aveva a questo riguardo manifestate.

Attesa l'importanza della quistione ho creduto mio dovere di esporre in modo alquanto circostanziato lo scambio di idee avvenuto tra me ed il signor Conte di Clarendon, e non mi resta che di desiderare di avere abbastanza rettamente interpretato le opinioni e gli apprezzamenti del Governo del Re, anche in quelle parti del mio discorso, nelle quali non mi fu dato che di esprimere le mie opinioni ed i miei apprezzamenti personali.

(l) Cfr. n. 175.

181

IL MINISTRO A MADRID, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 56. Madrid, 12 gennaio 1870 (per. il 16).

Ho ricevuto a suo tempo il dispaccio di V. E. riservato n. 5 delli 15 dicembre, e i nn. 6 e 7 delli 5 e 6 andante (l), in ordine ai quali mi riserbo di darLe un riscontro.

Mi limito oggi a renderLe conto della seduta di ieri delle Cortes Costituenti, ed, a questo proposito, rispondendo al telegramma ch'Ella mi ha diretto, La prevengo di aver abbonato cotesto Ministero al giornale ufficiale delle sedute delle Cortes, ma i resoconti non sono pubblicati che due giorni dopo delle discussioni, e se, da un lato, si ha il vantaggio di poter conoscere i dibattimenti nella loro integra riproduzione stenografica, si ha, dall'altro, l'inconveniente di due giorni di ritardo.

Per quanto concerne la seduta di ieri, credo conveniente di acchiuderLe la Gazzetta Ufficiale, nella quale Ella troverà quattro righe trasversali sui passaggi che più possono interessarci.

Il Generale Prim aprì la seduta, esponendo i motivi della crisi ministeriale, che si era dianzi conchiusa con la formazione del nuovo Gabinetto. Si parlò ben inteso, della non riuscita candidatura, ma se ne parlò con molta circospezione e con molta temperanza. Il Generale Prim, come ce lo aveva promesso, rese omaggio alle buone intenzioni del Re Nostro Augusto Sovrano e terminò con queste parole: «mi limiterò a poche espressioni sulla attitudine di un Sovrano che sempre ci è stato benevolo, e che, sin dal primo giorno, fece quanto era possibile per raggiungere il termine felice agognato dalle Cortes Costituenti. In circostanze simili ognun dice ciò che crede o ciò che gli conviene; ma la verità si è che il Governo riconosce la buona volontà, il sentimento cavalleresco (« hidalguia ») e il buon desiderio mostrato da quel Sovrano per aiutarci a coronare l'opera di Settembre. Il Ministero mi ha incaricato di pronunziare queste parole di gratitudine verso Sua Maestà, ed io mi compiaccio di compiere il mandato, onde non rimanga luogo ad inter

(lJ Cfr. n. 156; gli altri dispacci non sono pubblicati.

pretazionl d'alcuna specie sulla attitudine dl quel Sovrano rispetto al Governo Spagnuolo ~

Senza ch'io entri in altri particolari, V. E. potrà fermarsi un momento sugli altri tre paragrafi, e specialmente sull'ultimo in cui il Signor Martos, Ministro di Stato dimissionario, dice: «Se non abbiamo un Re, non per questo dobbiamo gridare viva la repubblica, ma bensì viva la Interinità ~.

L'elezione del Presidente è rinviata a domani, seppure non prevale oggi una mozione tendente a differirla sino a conoscenza del risultato delle elezioni supplementari in corso.

182

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1035. Parigi, 12 gennaio 1870 (per. il 14).

L'omicidio commesso dal Principe Pietro Bonaparte sulla persona di Vittore Noir, di cui resi un conto sommario nel mio dispaccio di ieri, n. 1034 (1), oltre alla gravità del fatto in se stesso, accresciuta dalla qualità e dalla posizione di famiglia dell'uccisore, acquista una gravità anche maggiore dalle circostanze in cui si è prodotto.

Insulti i più violenti pubblicamente lanciati per le stampe; provocazioni e duelli che si succedono ogni giorno, senza mistero, pubblicamente, e che rimangono impuniti o vengono colpiti da pene illusorie; un'antica legislazione in fatto di stampa che non è più applicata e che non è surrogata da una nuova; il fatto significativo, nel caso presente, d'uomini che portano o aspettano una sfida e che pigliano la precauzioni di munirsi di revolvers e di canne a spada per fare o ricevere tali comunicazioni. E ciò nel momento istesso in cui il Governo entra in una via largamente liberale e costituzionale. Tutto questo indica uno stato anormale di cose ed una profonda perturbazione del senso morale. Segnalo questo stato di cose all'E. V. perché Ella possa giudicare delle difficoltà gravi in mezzo alle quali s'inaugura in Francia il nuovo sistema parlamentare, difficoltà che, sopra un altro terreno, s'accentuarono nel modo più assoluto nella seduta del 10 corrente al Corpo legislativo per parte dell'opposizione irreconciliabile, la quale per bocca del deputato Gambetta rispose alle proposte di conciliazione fatte dal Signor Ollivier nel modo più ricisamente ostile, dichiarando cioè che l'opposizione irreconciliabile non accetta la libertà dell'Impero, che vuole la forma repubblicana e ch'essa considera l'Impero liberale unicamente come un ponte, e che questo ponte sarà varcato. Malgrado ciò il nuovo Ministero sembra deciso a camminare con fermezza e con coraggio nella via intrapresa, e la condotta tenuta specialmente dal signor Ollivier è in generale apprezzata ed approvata. Diffatti, già nei pochi giorni dacché egli è ministro, importanti atti segnalarono la sua liberale influenza. Uno speciale suo rapporto all'Imperatore diede soddisfazione al voto d'una

considerevole parte del pubblico che non voleva escluso dall'amnistia imperiale dell'anno scorso il signor Ledru-Rollin, già Ministro dell'Interno sotto la Repubblica del 1848. Né il signor Ollivier esitò un istante a proporre all'Imperatore la convocazione dell'alta Corte di Giustizia per mettere in giudizio il Principe Pietro Bonaparte, ed a tale misura universalmente invocata, tiene dietro già oggi una simile presa sulla proposta del Guardasigilli dell'Imperatore per far pronunciare l'Alta Corte di Giustizia anche sull'accusa mossa dal signor Comté contro il Principe Gioacchino Murat per colpi e ferite.

Il giornale di Rochefort, la Marseillaise pubblicò iermattina un violentissimo articolo sul fatto d'Auteuil, che provocò l'immediato suo sequestro ed una domanda diretta dal Procuratore generale al Corpo legislativo onde ottenere da esso l'autorizzazione di procedere contro il signor Rochefort. La diffusione della notizia dell'omicidio d'Auteuil nonché quel sequestro e le interpellanze mosse nella Camera produssero una certa agitazione in Parigi, che necessitò per parte delle Autorità alcuni provvedimenti di precauzione. Le truppe furono consegnate. Nondimeno l'ordine non venne in nessun punto della città seriamente turbato.

Oggi la Marseillaise fu sequestrata di nuovo, e l'avidità del pubblico nel ricercare i giornali e nuove notizie sui particolari dell'omicidio perdura tuttora. Sino dalle ore antimeridiane la folla del popolo cominciò ad affluire verso Neuilly, ove devono aver luogo i funerali di Vittore Noir e pare che vi si prepari una dimostrazione. Oggi pure le truppe sono consegnate.

P. S. Al momento in cui scrivo una folla composta di popolo, che torna da Neuilly, passa sotto le finestre della Legazione ai Campi Elisi, gridando «vive Rochefort ». Questa massa di gente accerchia una carrozza di piazza, entro a cui sta probabilmente il signor Rochefort che torna anch'esso da Neuilly.

(l) Non pubblicato ma cfr. n. 175.

183

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1036. Parigi, 12 gennaio 1870 (per. il 14).

Il signor Rouland sviluppò ieri dinanzi al Senato l'interpellanza da esso diretta al Governo Imperiale in ordine al Concilio.

L'interpellanza si riassunse nella questione se il nuovo Gabinetto accetti le istruzioni inviate dal Principe di La Tour d'Auvergne all'Ambasciatore di Francia a Roma per prescrivergli la sua condotta rimpetto al Concilio, e nella questione se il Governo si creda armato di sufficienti poteri per neutralizzare le decisioni conciliari qualora fossero contrarie alle leggi del paese.

Il Ministro Imperiale degli Affari Esteri Conte Daru rispose all'interpellante. Lodò ed approvò esplicitamente le istruzioni date dal Principe di La Tour d'Auvergne e diede poi lettura all'Alta Camera d'un dispaccio che subito dopo la formazione del Gabinetto attuale egli medesimo scrisse al Marchese di

Banneville e che in sostanza proclama l'indipendenza del potere civile e la libertà di coscienza e fa l'elogio del Concordato dell'anno 1801, che conciliò la libertà della Chiesa coi diritti dello Stato. Il Ministro Imperiale, in guisa d'avvertenza, vi esprime poi la fiducia che il Concilio non vorrà sollevare controversie o discussioni irritanti, le quali potessero trascinare ad atti tali da compromettere i vantaggi del Concordato.

In quanto alla seconda questione mossa dal signor Rouland, il Conte Daru disse che non gli pareva ora di inquietarsi di eventuali necessità di resistenza in cui lo Stato potrebbe esser posto dall'opera del Concilio. Rimproverò al signor Rouland di confondere, non ore, ma secoli evocando lo spauracchio delle viete querele della Chiesa gallicana, e rammentò il detto di Turgot « che le assemblee religiose non sono mai un pericolo fuorché quando sono oppresse, giacché in tale caso la loro sola cura è quella di difendere la propria libertà».

Mi è grato di notare che il Conte Daru si mostrò moderato e conciliante in tutta la sua risposta, e che seppe evitare qualunque allusione all'occupazione francese in Roma che avrebbe potuto irritare gli animi o provocare una discussione incidentale. Il Senato respingendo un ordine del giorno motivato proposto dal Barone di Brenier, adottò un ordine del giorno del signor Suin che esprime la sua fiducia nelle spiegazioni e nelle assicurazioni date dal Ministro Imperiale degli Affari Esteri.

184

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. Berlino, 12 gennaio 1870.

J'espère que vous ne me désapprouverez pas d'avoir fait usage, dans toute la mesure convenable, de votre lettre particulière du 2 janvier (2), dont j'ai lu quelques extraits au Comte de Bismarck. Elle m'avait servi de lasciapassare pour arriver à son cabinet si bien barricadé. Votre programme, m'a-t-il dit, ressemble assez au sien, et il s'est expliqué en entrant dans les détails que vous trouverez dans ma lettre ci-jointe (3).

Pour mon compte si je désire un rapprochement intime avec le Cabinet

de Berlin, je comprends parfaitement qu'il ne saurait s'agir d'une alliance

dans toute l'extension du terme, que les circonstances ne comportent pas

et que d'ailleurs on ne nous demande pas ici. Je vois comme V. E. que les

chances de paix ont gagné beaucoup de terrain; mais si l'horizon venait à

s'obscurcir en suite de quelque événement imprévu, je voudrais que nous

restassions en dehors des complications belliqueuses, et qu'alors aussi on ne

contractat d'alliance ni avec ni surtout contre la Prusse. Nous devons avoir

le sentiment, et nous devons chercher à l'inculquer dans le pays, que nous sommes assez forts pour rester maitres chez nous, et qu'il n'est donné à personne pas plus à l'Autriche qu'à la France, ni aux deux Puissances réunies, de nous forcer la main au milieu de notre travail d'organisation intérieure.

Tel est mon symbole politique. C'est le méme que, lors de mon dernier séjour à Florence, je me suis appliqué à faire prévaloir soit auprès du Roi, soit auprès du Général Menabrea. C'est dans le méme ordre d'idées que, le cas échéant, je me prononcerais dans ma correspondance officielle, heureux si j'obtiens votre suffrage auquel j'attache tant de prix.

(l) -Da ACS, Carte Visconti Venosta. (2) -Cfr. n. 146. (3) -Cfr. n. 177.
185

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 146/49. Londra, 13 gennaio 1870 (per. il 16).

I giornali inglesi di questi giorni hanno divulgato la notizia della non accettazione per parte di Sua Maestà e del Suo Governo dell'offerta fatta dal Governo di Spagna a Sua Altezza Reale il Duca di Genova della Corona di quel Paese, ed in generale se ne diede motivo all'opposizione manifestata da

S. A. Madame la Duchessa di Genova, e la ripugnanza del Principe alla accettazione di quella offerta. Può dirsi unanime l'approvazione del giornalismo inglese per una tale deliberazione.

Il signor Conte di Clarendon, essendo il discorso accidentalmente caduto sopra un tale soggetto, mi disse che se questo fatto sussisteva, egli se ne rallegrava e che lo riputava commendevole.

Richiamai a Sua Signoria le cosf'. che già in altra circostanza aveva avuto l'onore di dirle a riguardo di che Sua Maestà non avesse mai preso verun impegno definitivo, e di che il Governo di Sua Maestà era sempre fin qui rimasto estraneo a questo affare, né aveva avuto occasione di prendervi parte, delle quali cose ebbi già l'onore di ragguagliare il predecessore di V. E. con mio dispaccio delli 14 Ottobre scorso N. 14 Politico (1). Soggiunsi che era a mia notizia che il Governo del Re or non è guarì è stato sollecitato da quello di Spagna a voler dare una risposta terminativa; che risultavami di fatto che Sua Maestà, pur apprezzando altamente la testimonianza di simpatia ricevuta dal Governo della Spagna, erasi determinato a non accettare l'offerta in vista della opposizione che vi faceva S. A. R. la Duchessa di Genova Madre del Principe, alla quale era aderente il Principe stesso, e che il Governo Italiano aveva giudicato non esservi motivi sufficienti a determinarlo a consigliare a Sua Maestà di contrastare alla decisa intenzione del Principe e di

S. A. R. la Duchessa Madre.

Sebbene non avessi ancora ricevuto la copia del dispaccio di V. E. al Signor Ministro in Spagna in data del 5 corrente (l) statami comunicata con dispaccio del 9 corrente, che ricevo in questo momento, pure io potei conformarmivi, essendoché la sostanza del suo contenuto erami già stata particolarmente comunicata, per mia informazione, col telegramma del 4 corrente (2) che l'E. V. mi ha favorito, cui io risposi con altro telegramma del successivo giorno 5 (3).

Il Conte di Clarendon non si limitò a commendare la decisione predetta, ma espresse pure alcune ragioni per le quali essa parevagli utile ed opportuna, dedotte, e dallo stato delle cose in !spagna e dalla giovinezza del Principe, il cui ingegno ed il cui amore pella studio che erano pure a cognizione di Sua Signoria, autorizzavano a fondare molte speranze sulla buona riuscita dei suoi studii, ove egli li potesse regolarmente compiere.

In questo discorso Lord Clarendon si espresse in modo che palesava l'interesse ch'egli prendeva per l'Augusta Dinastia di Savoja e per l'Italia, ed in tutto ciò che egli mi disse fu consentaneo pienamente a quanto ebbi già l'onore di riferire col detto mio Rapporto N. 14 di questa Serie, in seguito ad altra conversazione.

Vengo assicurato che il ritorno in Londra di S. A. R. il Principe Tommaso è imminente, e non dubito che la decisione ora presa non darà solo molta tranquillità al suo animo, ma che gioverà grandemente ai suoi studii ai quali attende con un amore ed un impegno degni di molta lode, e che gli hanno meritato la stima e l'affetto del Capo del Collegio di Harrow e dei suoi Professori, e gli encomii di alcuni giornali autorevoli di questo Paese.

(l) Cfr. n. 17.

186

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI ( 4)

L. P. Firenze, 14 gennaio 1870.

Vedo che non hai ancora l'epidermide abituata alle intemperie giornalistiche. Perché inquietarti d'una fiaba che ti capita sott'occhio? Gli articoli che ti furono cagione d'inquietudine, io non li ho neppure veduti e tu me ne riveli l'esistenza. La mia risposta è assai semplice. Naturalmente un Ministro non può prendere degli impegni a lunga scadenza. Ma ti assicuro ch'io non penso ora a cambiare di posto il Ministro di Vienna, più che non pensi a mutare i titolari di Berlino, di Londra, di Pietroburgo o di Parigi. Riconosco però che hai il diritto di lagnarti del mio lungo silenzio. Danne la colpa alle mie molte occupazioni ma queste non mi avrebbero impedito di scriverti, se ci fosse stata qualche questione da trattare a Vienna.

(ll Cfr. n. 156.

(41 Da AVV.

Duolmi che tu biasimi e deplori la soluzione data ai progetti di candidatura del Duca di Genova al trono di Spagna (l). La Duchessa di Genova ha scritto al Re una lettera nella quale dichiarava formalmente di rifiutare il suo consenso e supplicava Sua Maestà di non voler far violenza ai diritti, ai sentimenti, agli istinti d'una madre. Ai giorni d'oggi i diritti del capo d'una famiglia sovrana non vanno sino a far atto d'autorità e di violenza contro la volontà materna. Il giovine Duca altamente esprimeva di dividere le opinioni e le ripugnanze della Madre. Comprendo il desiderio di rendere un servizio alla Spagna liberale e alla causa della monarchia costituzionale in Europa. Ma un giovinetto di 16 anni poteva adempiere a quest'alta missione? Una maggioranza di voti, raggranellata a modo di maggioranza ministeriale in un'assemblea nominata or fa un anno e mezzo, decimata dalla guerra civile, era una sufficiente manifestazione della volontà della Spagna, una base sufficiente per un nuovo trono? Il silenzio più o meno benevolo dell'Europa, era un'adesione bastante perché l'accettazione apparisse non già un'audacia ambiziosa, un'avventura, ma un atto compiuto per un sentimento di solidarietà e per un interesse generale? Riconosci, d'altronde, che l'opinione pubblica in Italia si era manifestata contraria a questo progetto con una rara unanimità.

Ho letto oggi, con tutta l'attenzione che merita, il tuo rapporto (2) e divido in gran parte le idee che vi sono espresse. Tu interpreterai fedelmente le intenzioni del Governo cercando di rendere sempre migliori e più amichevoli e confidenti i nostri rapporti colla Monarchia Austro-Ungherese. Se v'è una nazione che più vivamente desideri oggi la conservazione della pace, questa nazione è certo l'Italia. Noi abbiamo bisogno di occuparci innanzi tutto del nostro riordinamento finanziario e amministrativo. Ciò non vuol dire certamente che l'Italia possa e debba disinteressarsi nelle grandi questioni europee. Questa politica d'annullamento non potrà mai essere la nostra, ed inoltre, oramai l'utilità del nostro concorso non sarà disconosciuta ogni qual volta una quistione che implichi un interesse generale sia deferita all'accordo ed all'esame de' principali Governi d'Europa.

In quest'ordine di idee appunto io sono fermamente convinto che i buoni rapporti e le amichevoli intelligenze tra l'Austria e l'Italia possono in frequenti circostanze dar luogo ad utili e feconde applicazioni. Un più intimo accordo fra i due Governi potrà giovare sopratutto negli affari di Oriente e nella quistione della presenza delle truppe francesi a Civitavecchia. In Oriente, non giova illudersi, la politica italiana non ha ancora adottato la sua norma d'azione ed una linea di condotta chiara, sicura e determinata. Sorti appena, come siamo, dal principio di nazionalità, noi non possiamo conformarci crudamente, in ogni occasione, alla politica utilitaria dell'Inghilterra, e, per quanto spesso, nei singoli casi, il nostro modo di vedere sia abbastanza conforme a

Per la questione romana fu un errore! potevate avere nel governo spagnuolo un alleato! forse avrete un nemico. Ma ciò l'amico all'amico! il pubblico funzionario curva il capo e approva».

quello della Francia, non ci giova fare della nostra politica che una pura e semplice e poco considerata appendice della politica francese. Gli accordi stabiliti coll'Austria, una intelligenza determinata colla politica austriaca, di mano in mano che una questione si presenta e quando un esame preventivo ci convinca che comune è il nostro modo di vedere rispetto ad essa permetterebbero alla nostra azione di spiegarsi con una efficacia che l'isolamento non ci potrebbe procacciare. Io non so fino a che punto il programma, che mi esponi nel tuo rapporto, d'una politica che prenda sotto la sua aperta protezione le aspirazioni nazionali contro la Porta possa accordarsi né colla politica del Conte di Beust né con quella del Conte Andrassy. Ad ogni modo nulla di meglio che di studiare e gettare le basi d'una politica conforme. II Governo italiano desidera che non sorgano in Oriente gravi complicazioni e perché la pace generale potrebbe esserne minacciata e perché la situazione dell'Italia all'estero non è tale e le nostre difficoltà interne non ci concedono una tale libertà d'azione da assicurarci che noi potremo concorrere in un modo adeguato ai nostri interessi ad assicurare una soluzione che sia a questi interessi conforme. Io non so quale avvenire è riserbato alla quistione o, per dir meglio, alle varie e spesso contraddittorie questioni d'Oriente; so bene che, in tesi generali, l'indipendenza dell'Oriente è l'interesse principale della politica e delle colonie italiane. Finché dunque non v'è una grande guarentigia che la soluzione delle questioni orientali possa riuscire con una morale sicurezza di stabilità e di indipendenza a beneficio degli elementi locali, noi desideriamo che la questione d'Oriente non si susciti e si ponga dinnanzi all'Europa, come pure desideriamo che gli incidenti inevitabili che possono sorgere sieno risoluti nel senso d'una politica conciliante e pacificatrice. Ma per trattare questo argomento in un modo pratico dovrei entrare in spiegazioni molto maggiori. L'occasione non ci mancherà per ritornare sulla questione.

Una parola dell'occupazione francese di Civitavecchia. Al pari di me tu desideri vivamente che questa occupazione abbia un termine e che da tutte le parti si rientri nel diritto comune. Non giova però illudersi. Per ora almeno l'introduzione in Francia del regime parlamentare rende la nostra situazione più sfavorevole. Tu conosci le tendenze del Corpo Legislativo e quanto al nuovo Gabinetto meno Ollivier, gli altri Ministri rappresentano quella politica di cui Thiers è la personificazione più saliente. Nello stato attuale delle cose, non credo opportuno di prendere alcuna iniziativa ufficiale per chiedere la partenza delle truppe, perché un rifiuto ci allontanerebbe dallo scioglimento della questione, invece di avvicinarci. Mi basta di constatare la situazione di fatto. Noi manteniamo e ampiamente i nostri impegni e lasciamo considerare alla Francia se altrettanto si può dire de' suoi. Mi basta per ora che non si faccia un passo indietro dalle antecedenti dichiarazioni dell'Imperatore, di Moustier e di Lavalette, che non si comprometta la questione e, ammesso il principio della partenza, non si fissi alla sua effettuazione un termine né determinato né indeterminato. Ho luogo di sperare, malgrado la lettera di M. de Boigne della quale non ho ufficialmente da occuparmi come d'un fatto parlamentare e privato, che il Governo francese non faccia dichiarazioni e non prenda pubblicamente impegni contrari a questo intento.

Ma quando mi paresse giunto il momento opportuno per riprendere ufficialmente una trattativa, l'azione benevola e l'appoggio franco e leale dell'Austria ci potrà essere di grande utilità e farebbe un'ottima impressione sullo spirito italiano. Il Governo austriaco è il solo che ci possa efficacemente giovare in questa così importante questione.

Ecco, parmi, quanto ti posso dire per ora sui nostri possibili rapporti a Vienna. Ma su questi argomenti ritorneremo più tardi. Pel Console e per la casa ho già risposto. Ti risponderò per la decorazione.

(2) Cfr. n. 145, nota 2. (31 Non pubblicato.

(l) In una l. p. del 9 gennaio (AVV) Pepoli aveva scritto: «Duolmi del rifiuto spagnuolo. Temo assai che quando vedrete a Madrid instaurata la Repubblica o il Montpensier, vl rammaricherete di non averlo Impedito, e lo avreste potuto.

(2) Cfr. n. 144.

187

IL CONSOLE GENERALE A SERAJEVO, DURIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. R. 48. Serajevo, 14 gennaio 1870 (per. il 22).

Eccole il costrutto di un colloquio testé avuto col signor dottor Koechet, Dragomanno di questo Vilajet, reduce qui da Castelnuovo di Cattaro ove passava gli ultimi mesi dell'anno, d'ordine del Vali della Bosnia in osservazione dei moti delle Bocche. Lancia spezzata, (per esprimermi in termini più accettevoli che non facessero e facciano la stampa tedesca e slava e questa popolazione) dell'ex Vali Osman Pascià, non è agevole a dire cosa il signor Koechet veramente sia presso l'attuale Vali: ad ogni modo egli è lo svizzero impiegato fedele del Governo Ottomano, devotissimo a quanto egli reputi interesse dell'Impero Ottomano, e suo.

Egli mi disse che le truppe austriache, lui testimonio oculare della ultima ritirata, erano state battute dagli insorti bocchesi in un modo ineffabile, colpa fenomenale inesperienza dei condottieri, contro i quali egli stesso udiva in Cattaro gli Ufficiali austriaci, indignati delle pratiche che non redento l'onore della bandiera s'incamminavano cogli insorti, prorompere pubblicamente in parole concitate, conscie di una immeritata umiliazione. Mi raffigurò come indubbia la pacificazione delle Bocche, perché voluta dal Montenegro che, soddisfatto della rotta decisiva toccata alle truppe austriache e dovuta alle mosse da esso lui preordinate, aspirava a ritirare i suoi tre milioni di cartucce detenute tutto dì a Cattaro per rimanervi fino alla definitiva pacificazione delle Bocche.

Mi soggiunse poi essere la Sublime Porta fondata a credere che il desiderio del Montenegro di ricuperare le sue cartucce è motivato dalla intenzione del suo Principe di valersene nella prossima primavera contro la Turchia in Erzegovina, e che le truppe turche che si vanno accumulando colà sono appunto destinate a premunirvisi contro la creduta prossima aggressione montenegrina.

In una parola il signor Koechet mi disse ravvisare la iniziata pacificazione delle Bocche di Cattaro sotto gli auspici del Montenegro, come predisposta a danno della Turchia, rimanergli però una unica speranza nel carattere dell'attuale Comandante delle Bocche Generale Rodich, che slavo sì, ma diffidente e geloso anzitutto dell'onor militare, avrebbe potuto essere tratto a riprendere le ostilità da inattendibili condizioni che i Bocchesi non avrebbero mancato di preporre alla loro sottomessione.

Il mio interlocutore mi soggiunse per ultimo che la occupazione della Sutorina per parte delle truppe turche, non era avvenuta, non dirò (chè qui si espresse molto vagamente) con opposizione recisa, senza riserva di futura opposizione per parte dell'I.R. Vice-Console d'Austria in Mostar.

Ciò premesso dirò alla E. V. credersi qui che il Principe del Montenegro provando alla perfine il bisogno di sdebitarsi a suo modo delle ultra-oneste accoglienze fattegli a Pietroburgo nella non antica sua gita colà, e non reputando sufficiente prova di gratitudine il suo rifiutarsi, senza riguardo a parole date, a patti e prezzi convenuti, a scadenze prestabilite, alla soluzione della delimitazione da anni vertente fra il suo paese e la Turchia, non sarebbe alieno di procedere a provare la pienezza della sua gratitudine in discorso non appena ritirati da Cattaro i sucennati tre milioni di cartucce.

È pur curioso che non sia dato toccar dentro al Montenegro senza che scatti su la Russia, che, come tutti sanno, non ne può nulla.

188

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. Parigi, 14 gennaio 1870.

Ieri come vi telegrafai (2), ho avuto un'udienza dell'Imperatore a cui rimisi la lettera ufficiale con cui il Re gli annuncia la nascita del Principe di Napoli. L'Imperatore mi domandò notizie del nostro nuovo Gabinetto. Io gli dissi che la composizione della nuova amministrazione era stata bene accolta in Italia e fuori e tutto portava a credere che potrebbe contare sopra una maggioranza decisa a sostenerla in Parlamento. Soggiunsi però che il Governo francese potrebbe aggiungere una forza considerevole al nostro governo col rendere più vicina l'epoca del ritiro della guarnigione francese da Civitavecchia. L'Imperatore mi disse che per ora non poteva darmi in proposito altra assicurazione che quella del suo desiderio di ritirar le truppe quanto più presto fosse possibile. Non mi celò che all'infuori di Ollivier, il suo ministero ha tendenze piuttosto benevole alla Corte di Roma. Io domandai che almeno il governo francese non pigliasse verso il Parlamento un pubblico impegno di mantener l'occupazione per un termine determinato o indeterminato, come per esempio per la durata del Concilio. L'Imperatore rispose che la sua intenzione non disforme da quella dei suoi Ministri è diffatti di non prendere dinnanzi alla Camera nessuno di questi impegni. Tranquilli su questo punto non possiamo far altro, a mio giudizio, per ora, che attendere. Un passo ufficiale non

condurrebbe ad altro che a far accentuare in un senso a noi più sfavorevole le dichiarazioni fatte dai precedenti Ministri.

Il deplorevole fatto d'Auteuil mise per due giorni Parigi nello stato della più grande emozione. Alla sepoltura di V. Noir assistette una folla enorme di popolo, che si dice essere stata di oltre a 100.000 persone, ma che certamente oltrepassò le 50.000. Oggi la città prese il suo aspetto consueto. Si aspettavano altre dimostrazioni nel caso in cui Rochefort venisse arrestato. Il permesso domandato alla Camera di procedere contro Rochefort, sarà discusso solamente lunedì prossimo. Questa misura è diversamente giudicata. Parecchi fra gli uomini governativi e moderati della Camera credono questa misura inopportuna. La commissione si pronunziò all'unanimità perché la chiesta facoltà sia accordata. Ma la discussione pubblica sarà animata e non si può pronosticare fin d'ora quale sarà la votazione definitiva.

(l) -Da AVV. (2) -T. 2015, non pubblicato.
189

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 509. Berlino, 15 gennaio 1870 (per. il 20).

Le Secrétaire d'Etat vient de me donner la nouvelle que l'Archiduc Charles Louis, frère puiné de l'Empereur François Joseph, arrivera ici le 23 au soir et s'y arrètera deux jours. Il doit ètre de retour à Vienne le 27 pour l'anniversaire de la naissance de Son Auguste Mère l' Archiduchesse Sophie.

On est satisfait ici du choix de ce Prince, qui n'aurait pas fait étalage, comme d'autres Membres de la famille Impériale, de ressentimen1.~ contre la Pr•1sse. Au reste cette visite s'explique tout naturellement, c'est un rendu pour celle faite l'automne dernier par le Prince Royal de Prusse à la Cour de Vienne.

A ce propos je rappellerai qu'en 1867 une entrevue a eu lieu entre le Roi Guillaume et l'Empereur d'Autriche à Cos dans le Grand Duché de Bade. Le premier montra une extrème douceur et la plus grande bienveillance, pendant que le second ajoutait, dans son attitude, à une morgue traditionnelle, une réserve excessive, inspirée probablement par son premier Ministre. Et cepend:int les journaux de Vienne et méme le Livre rouge affirmaient, encore au commencement de l'année dernière, que c'était le Cabinet de Vienne qui tendait une main que la Prusse refusait de serrer.

L'impression qui devait résulter de cette froideur poussée jusqu'à l'affectation, s'est un peu effacée depuis le dernier séjour du Prince héréditaire à Vienne, durant lequel le Chef de la Dynastie Impériale s'est au moins efforcé, et. y a réussi, à donner à son accueil un caractère moins emprunté. Un nouveau pas sera fait dans cette voie par la visite de l'Archiduc Charles Louis, car avec la courtoisie qui distingue le Roi et sa Cour, il sera reçu de la manière la plus bienveillante. Il est vrai que le ròle du vainqueur est tout tracé en semblable oecasion, et meme il y a une limite à observer au delà de laque11e la générosite devient presque une offense.

17 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. XII

Au reste ces entrevues ne sauraient de longtemps encore modifier sérieusement les rapports entre les deux Gouvernements qui sont toujours aux antipodes dans leur interprétation de l'article IV du Traité de Prague. Néanmoins si ce n'est pas là un rapprochement intime, c'est déjà un avantage au point de vue pacifique, que les formes soient observées dans leurs relations réciproques.

190

L'ONOREVOLE RICASOLI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. R. Brolio, 15 gennaio 1870.

Ella non può immaginare con quanto dispiacere io le scriva la presente pensando che Ella aspettava più presto qualche parola da me in riscontro ad una sua lettera gravissima per l'indole degli argomenti (2), e come avrei potuto darle di viva voce questo riscontro, e avere eziandio il prezioso incontro di stringerle la mano. Appunto dall'B al 15 sono stato assente da Brolio, essendo andato in Maremma; sia all'andare sia al tornare ho strisciato, dirò così, da Firenze trattenendomivi pur tuttavia alcune ore. A Brolio, avevo lasciato istruzione che le lettere colà dirette, aspettassero il mio ritorno; alla mia casa di Firenze, l'istruzione stessa per quelle che vi fossero recapitate. Appunto la sua lettera era per Brolio e l'ho aperta stasera al mio arrivo. Pensi Lei se non avrei tosto dato riscontro alla serie degli argomenti ardui sui quali si compiace interrogarmi senza pretermettere tempo, se non foss'altro quale una ripruova che mi sarebbe stato caro il darle della riconoscenza mia per la bontà che adoperava verso di me.

Io mi sento perfettamente d'accordo con Lei alle materie sulle quali si compiace interrogarmi. Io avrei veduto volentieri tolta d'impaccio la Spagna nel grosso impegno nel quale essa si trova per trovare un principe al suo Trono non ambito fin qui da alcun principe europeo; e quando anche Le si fosse dovuto dare uno dei nostri principi, purché restasse come un atto di famiglia, e nel quale la nazione non entrasse per nulla, ed anzi se ne tenesse pienamente estranea, io credo, che si potesse lasciare andare, ma la risoluzione, anche limitata alle pareti domestiche avrebbe dovuta essere assoggettata a condizioni morali, e a garanzie che ne rendessero probabile il raggiungimento dello scopo. Queste condizioni e queste garanzie sono assolutamente deficienti, tosto che il Principe non è a quel punto di età, nel quale può giudicare da se stesso delle conseguenze di un atto di così alta importanza, ed esposto a tante eventualità rischiose; la Principessa Madre, nella quale oggi s'integrano tante ragioni per essere considerata come la voce principale in una decisione di così alto rilievo, si mostra fermamente contraria. In questo stato di cose sarebbe stato per parte del Re un atto immorale ed insipiente ad un tempo,

(21 Cfr. n. 174.

rischiosissimo, privo di ogni movente onesto e senza alcuna caratteristica onorata. Con quattro anni di più nell'età del principe Tommaso l'avventura poteva essere corsa e consigliata; la madre poteva tacere; il Re poteva consentire; ma poiché questa condizione principale fa difetto, il Re incorrerebbe nella taccia di ambizioso e di arrischiato ponendo una volontà arbitraria e prepotente in luogo dei suggerimenti della prudenza, e degli affetti materni. Il Ministero ha dunque ben fatto a distoglierlo. Per l'Italia v'era più rischio che vantaggio nell'essere sul trono spagnuolo un Principe della dinastia cui ella confidò la sua propria corona. L'Italia deve guardarsi bene dal promuovere gelosie, astii, sospetti a suo riguardo. La sua politica esterna deve limitarsi a rimuovere ogni accidente che potesse attraversare la soluzione pacifica delle questioni che potessero sorgere man mano in Europa mantenendosi sempre la sostenitrice di quei principi cbe Ella seppe fare prevalere nella sua propria causa; deve tenersi lontana da una politica d'insinuazione e d'intrigo diretta ad estendere la sua influenza, perché sarebbe pigliare una strada che più o meno si vede abbandonata da tutte le altre potenze. La vera politica per l'Italia è il restringersi nei suoi propri diritti, e nei suoi propri interessi. Quanto ai diritti occorre fare solo quel tanto che mostri che né gli abbiamo, né siamo disposti ad abbandonarli, movendo il passo, rallentandolo, o incalzandolo secondo che le opportunità favoriscano e la prudenza suggerisca. Non è così negli interessi interni. Su questi vorrei che si pronunciasse un sentimento universale, virile, gagliardo. Far consistere la vera politica, tutta la politica nelle questioni di finanza, di economia, di industria e di commercio. Stato, province, comuni, cittadini dovrebbero stringersi tutti sotto questa bandiera convinti che oggi nella bilancia dei destini europei si pesa in ragione dell'intrinseco di ciascuno. L'Italia, lavorando all'assetto della finanza pubblica e privata, si prepara autorità per ogni caso nel quale essa debba convenire nell'Areopago delle Nazioni per decidere qualche questione d'interesse comune; accresce autorità e ragioni per sostenere i suoi diritti oggi offesi dalla Francia in quanto concerne la Convenzione del 1864. Come conseguenza di questo principio credo anch'io che si debba dal Governo allontanare ogni questione puramente politica, vale a dire evitare ogni provocazione a sollevarla, ed agitare i mal composti umori nei quali si trova divisa la· Camera. Ogni studio deve essere posto dal Governo per costringere la Camera ad occuparsi soltanto di argomenti di finanza, di sicurezza interna, e di economie sagge, e di amministrazione. Quanto all'amministrazione limitarsi a quei punti solo che veramente reclamano provvedimento. L'Italia ha proprio bisogno di quietare, di riposare gli animi. Dire che il malcontento è puramente amministrativo, non deve intendersi che vi si rimedierebbe con nuove mutazioni. 11 malcontento è sempre complesso, e per me riconosco cagioni varie. Solo la energia, e la prudenza del Ministero della Finanza può provvedere a quelle cagioni provenienti dalla parte finanziaria e amministrativa, facendo in modo che le tasse si paghino da tutti e che fruttino tutto quello che possono, e cercando che queste tasse si paghino con semplicità di modi amministrativi. All'energia e alla prudenza del Ministero dell'Interno spetta il carico di dare

203 questa fiducia, sicurezza alle popolazioni. Al Ministero di Giustizia e Grazia tocca l'assicurare gli effetti della giustizia punitiva. A questi tre Ministri spetta nelle presenti nostre condizioni la cura principale delle sorti d'Italia. Da questo mio modesto programma ne viene che nulla vi sarebbe di più imprudente che di richiamare oggi sul tappeto l'opera bene augurata e gloriosa iniziata nel 1866 col richiamo dei Vescovi sbandati, e sbanditi, proseguita colla partenza dei francesi da Roma, continuata con la nomina di nuovi Vescovi, interrotta col Ministero Rattazzi, e poi da questi guastata, e retrospinta con la spedizione di Mentana. La storia si può ripetere in certe particolarità individuali e non nella somma generale. Quello era il tempo di fare quello che fu fatto, e se non veniva dalla insipienza del Re guasto quel bel tessuto, a quest'ora l'Italia se ne coprirebbe con suo grande pro ed onore. Tutto fu sciupato. Gli avvenimenti buoni e cattivi subiscono le loro fasi a malgrado gli umani consigli. Oggi le cose non sono tali da consigliare di riappiccare alcuna relazione con Roma. Corrono [tempi] sfavorevoli a Roma, lo corrono del pari presso di noi. Ardue questioni restano ancora a risolvere per il restauro delle nostre finanze, e per dare tranquillità al paese con una retta e spedita amministrazione. Quando la bisogna è ardua, e si presenta già per se stessa urgente, sarebbe imprudente complicarla con altre questioni di natura ardente e dissolvente; cosicché io concludo che ella ha operato ed opera con senno degno di lode, aggiornando a qualche futura opportunità, l'argomento che si riferisce a nuove nomine di vescovi. Il Governo credo che potrà procedere innanzi con soddisfazione sua e del paese anche con la Camera attuale, anzi meglio con l'attuale che con una nuova, purché faccia di tutto, e tenga forte a costringere la Camera a dare sempre la prelazione a tutte quelle proposte, che concernono finanza, e interni provvedimenti. Mi scusi alquanto la precipitazione con la quale le scrivo, dipendente dal desiderio di farle conoscere al più presto il mio parere sulle questioni postemi sott'occhio, e darle una prova non del mio acume, che so avere in mediocre misura, ma del mio affetto e della mia grande stima per Lei, alla quale poi mi legano davvero memorie indelebili di cose liete e dolenti riguardanti quella patria nella quale siamo nati, e alla quale diamo la più disinteressata affezione.

(l) Da AVV, ed. in MoRI, pp. 588-591.

191

IL MINISTRO A MONACO DI BAVIERA, MIGLIORATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2020. Monaco, 17 gennaio 1870, ore 18 (per. ore 20,20).

Le Roi a ouvert aujourd'hui le Parlement. Il a surtout fait ressortir que l'autonomie de la Bavière n'est pas menacée; que fidèle au traité d'alliance

204 avec la Prusse sera toujours avec la Prusse pour défendre l'honneur allemand; fai t des voeux pour le rétablissement conféderation états allemands à la condition du maintien de l'indépendance de la Bavière.

192

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2021. Parigi, 17 gennaio 1870, ore 22,30 (per. ore 0,30 del 18).

Le Corps Législatif a autorisé poursuite contre M. Rochefort par 226 voix contre 34.

193

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A COPENAGHEN, RATI OPIZZONI

D. R. 19. Firenze, 17 gennaio 1870.

Nel carteggio di codesta R. Legazione, il Ministero ha trovato molte interessanti informazioni sulle notizie a varie riprese messe in giro di ufficiali ed ufficiose interposizioni di alcuni Gabinetti nella vertenza tutt'ora pendente per la mancata esecuzione dell'Art. V del Trattato di Praga. Da recenti comunicazioni avute il Governo del Re è ora indotto a credere che ultimamente il Re di Prussia sia stato sollecitato ad eseguire le clausole di quel trattato relative allo Schleswig da una lettera dello Tzar. Gli adoperamenti del Generale E'leury presso l'Imperatore Alessandro non sarebbero estranei a quel passo il cui esito non sarebbe tuttavia stato molto soddisfacente. Il Re Guglielmo avrebbe infatti risposto in guisa da non respingere le sollecitazioni dello Tzar, ma di lasciar intendere, nello stesso tempo, che lo spirito militare della Prussia male si accomoderebbe della desiderata soluzione.

Mettendo insieme queste circostanze coll'invio della Circolare danese alla quale si riferiva il suo dispaccio del 29 dicembre 1869 (l), si può arguire essere intenzione della Danimarca di non rimanere inoperosa in un affare che così direttamente la riguarda.

Gradirò pertanto di essere informato dalla S. V. di ogni particolarità che riferendosi alle cose sovra riferite, potrà giovare per rettamente apprezzare il contegno di codesto Governo e quello dei vari Gabinetti nella questione dello Schleswig.

(l) Non pubblicato.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA (l)

L. P. Firenze, 17 gennaio 1870.

Ho ricevuto ieri la vostra lettera del 14 corrente (2) che mi conferma il vostro antecedente telegramma (3) e mi aggiunge qualche altro particolare sulla conversazione che avete avuto coll'Imperatore. Nella poco lieta condizione delle cose possiamo essere relativamente paghi della dichiarazione avuta e convengo io pure che non giovi prendere una iniziativa ufficiale, almeno per ora, il di cui risultato potrebbe compromettere la questione ed allontanarci dallo scopo che desideriamo raggiungere.

Desidero però richiamare la vostra attenzione sulla lettera del Conte di Boigne pubblicata alcuni giorni sono dai giornali francesi (4). Avrete potuto constatare dalla stampa italiana la prima impressione prodotta da questa lettera. Questa lettera ha avuto per noi il pregio di risollevare la questione romana sulla quale, da un anno quasi, s'era fatto nella stampa e nel Parlamento un silenzio, del quale certo si deve rendere merito al senso politico e alla moderazione del paese.

E difatti v'è nel fondo e nella forma del linguaggio attribuito in quella lettera al signor Ollivier qualcosa che offende, nel tempo stesso, e il sentimento della dignità nazionale e il sentimento della giustizia. È per lo meno strano che ci si dica che noi dobbiamo dare una prova della nostra volontà di adempiere quella Convenzione di cui la Francia per parte sua dichiarerebbe di subordinare l'esecuzione alla durata del Concilio, vale a dire a un fatto estraneo del tutto al Trattato medesimo. E sarebbe impossibile per noi, collo spettacolo d'ordine e di tranquillità che dà l'Italia, e dopo il pagamento del debito pontificio accettare un linguaggio di così ingiusta e provocatrice diffidenza.

Sono sicuro che al riaprirsi della Camera o in qualche interpellanza o nella discussione del Bilancio degli Esteri, si parlerà di questa lettera la quale sarà causa che mi si domandino delle spiegazioni intorno alla quistione della presenza delle truppe francesi a Civitavecchia. Sono anzi già informato che non solo se ne parlerà in qualche interpellanza della Sinistra, ma che anche qualche deputato di parte moderata si propone di pormi nella necessità di rilevare questo linguaggio.

Sta bene ch'io potrò rispondere trattarsi in quella lettera d'un fatto privato e parlamentare del quale ufficialmente non ho avuto ad occuparmi, poiché simili dichiarazioni non furono né pubblicamente fatte né ufficialmente comu

nicatemi dal Governo francese. Ma ciò non toglie che la gravità del documento venga dal fatto che in esso si tratta di dichiarazioni fatte dal signor Ollivier come programma della futura combinazione ministeriale constatata in vista della loro pubblicità ed accettata e ratificata in seguito dal silenzio del signor Ollivier.

Io non credo certo che convenga di fare della lettera del signor de Boigne un incidente diplomatico. Ma a noi gioverebbe però se poteste cogliere qualche occasione che vi paresse opportuna, per tenerne privatamente discorso al signor Ollivier parlandogli dell'impressione che la sua lettera ha fatto in Italia dove il suo nome gode di tanta simpatia e delle difficoltà ch'essa venne a crearci. È certo che se il signor Ollivier, parlando con voi, attenuasse il significato di quelle dichiarazioni in modo ch'esse riuscissero conformi a quelle avute dall'Imperatore e rettificasse quel linguaggio in modo più conforme alle sue note simpatie per l'Italia, io non farei alcun pubblico uso delle sue spiegazioni, né potrei impedire qualche discorso dai banchi della sinistra, ma potrei ottenere dai deputati governativi che si astenessero dal dare colla loro parola autorità e sviluppo alla discussione e potrei meglio giustificare presso di loro la moderazione e la riserva del mio linguaggio. Poiché il mio scopo sarà di impegnarmi meno che potrò nella discussione e di cercare anzi se mi fosse possibile di evitarla del tutto.

Lascio al vostro giudizio e al vostro tatto di giudicare di quanto vi scrivo.

(l) -Da AVV. (2) -Cfr. n. 188. (3) -Non pubblicato. (4) -In una lettera datata 1° gennaio 1870, pubblicata su Le Monde dell'H gennaio, il conte Ernest de Boigne aveva scritto che alla richiesta di alcuni deputati cattolici relativa alle direttive di governo circa la questione romana Ollivier aveva risposto: «1° che egli avrebbe preso perbase la convenzione di settembre; 2° che le truppe francesi sarebbero rimaste a Roma finché l'Italia non avesse dato prova che voleva e poteva eseguire quella convenzione; 3° che il richiamo sarebbe stato ordinato d'accordo con la Camera; 4° che durante il Concilio non si sarebbero aperte trattative sull'argomento con l'Italia».
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IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. Londra, 17 gennaio 1870.

Le rendo molte, e particolari grazie per la copia speditami delle lettere sugli affari attuali del Concilio (2). Da informazioni mie particolari, ed attendibili risulterebbe, che l'Arcivescovo Manning di Londra (reazionario, ed ultramontano esagerato, come sono tutti i neofiti) ha scritto qui che il domma della infallibilità del Papa sarà deciso, ed ammesso dal Concilio, dappoiché 500 vescovi avrebbero sottoscritto l'analoga dimanda al Pontefice. È veramente uno strano procedimento quello di fare una specie di votazione di un dogma fuori del Concilio, prima che esso sia non poco discusso, ma neppure proposto alla decisione del Concilio. Ad ogni modo io mi permetto ancora di dubitare che questo tentativo approdi definitivamente. Che se mi è permesso di esprimere una mia opinione, ed un mio voto privato, e personale, Le dirò, che ml pare, che il Governo farebbe molto bene a non dare retta a coloro, che lo vorrebbero spingere ad uscire dal sistema liberale, e d'astensione che ha fin qui seguito.

Questo sistema di aspettazione non ha nessun pericolo, e massime in Italia, non ci priva di nessuno dei mezzi di difesa che ci appartengono, è consentaneo al principio di libertà, che è la base del nostro diritto pubblico, e sarà un argomento utile in avvenire per l'Italia a riguardo della questione di Roma. L'entrare nell'opposto sistema sveglierebbe un vespaio, darebbe armi ai nostri avversarii, non ci procurerebbe nuovi mezzi, e non impedirebbe al Concilio di fare ciò che vuole. Parmi che la silenziosa unanime astensione di tutti i Governi dopo di aver dichiarato a Roma, che in ogni cosa farebbero rispettare le loro leggi e le loro istituzioni, anche contro le decisioni del Concilio debba fare a Roma maggior effetto, che non ogni altra cosa. Forse da principio il precedente Ministero aveva una contraria tendenza; ma dappoiché, a seconda di ciò che fecero tutti gli altri Paesi, adottò l'astensione e l'aspettazione, mi parrebbe peccato l'uscire da questo sistema. Mi permetta perciò che le dica che mi ha fatto piacere la cessazione della Correspondance, la quale in contraddizione al sistema governativo (cosa singolare!) tutti i giorni si sforzava di scaldare l'Italia per questa questione, nel mentreché l'Italia non vuoi saperne, tranquillata dal Iato religioso dal principio di libertà religiosa che ormai è puro nel nostro paese, e tranquillata dal lato politico dal sapere che vi sono leggi, ed instituzioni che tutelano gli interessi politici, e che il Governo è disposto ad usarne, e che quando venga il caso di usarne avrà l'appoggio universale.

Le sarei grato se volesse prendere cognizione di un dispaccio ufficiale del 12 corrente (l) in cui resi conto di una conversazione lunghissima avuta con Lord Clarendon su questa questione. In quella circostanza io espressi quasi unicamente la mia opinione, ed i miei apprezzamenti personali, ma sarei lieto di conoscere, anche come norma della mia condotta, se il modo di vedere da me espresso, vada d'accordo colle viste e cogli apprezzamenti che Ella fa di questo soggetto.

(l) -Da ACS, carte Visconti Venosta. (2) -Cfr. n. 170.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI

D. 15. Firenze, 18 gennaio 1870

I di lei rapporti politici giunsero regolarmente a questo Ministero fino al

n. 48 inclusivamente. Quest'ultimo portava la data del 27 ottobre 1869 (2).

Dippoi pervennero ugualmente a questo ufficio, un rapporto, senza numero, in data del 26 novembre, ed i rapporti del 2, 5 e 8 gennaio segnati coi nn. 48. 49 e 50 (3).

Deve pertanto essere nata una confusione, così nella registrazione come nella numerazione della di lei corrispondenza, ed io la prego di volervi riparare

sollecitamente trasmettendomi le indicazioni necessarie per la correzione del numeri sui rapporti che sono già pervenuti al Ministero.

Le informazioni ch'Ella cl ha trasmesse sulle disposizioni che si manifestavano in codesto Principato durante lo svolgimento del conflitto turcoegiziano ed il movimento insurrezionale delle Bocche di Cattaro ci riuscirono molto interessanti. Riceverò sempre con piacere quelle notizie ch'Ella sarà in grado di trasmettermi sulle disposizioni così del Governo come delle popolazioni serbe di fronte agli avvenimenti che si svolgono in cotesta contrada dell'Europa. Ciò che si riferisce più direttamente alle due influenze, austriaca e russa, che si contendono il primato negli affari della Serbia, merita tutta la nostra attenzione. Ma il contegno dell'Agente d'Italia dovrà continuare ad essere molto riservato in tutto ciò che può riguardare un argomento così delicato. Ella otterrà sempre l'approvazione del R. Governo astenendosi da qualsiasi manifestazione che dall'una o dall'altra Potenza potesse essere interpretata come contraria all'interesse della sua politica.

(l) -Cfr. n. 180. (2) -Non pubbl!cato. (3) -È edito solo il rapporto del 2 gennaio (cfr. n. 147).
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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 511. Berlino, 18 gennaio 1870 (per. il 21).

Ainsi que j'avais l'honneur de Vous l'écrire dans mes dépeches n. 505 et 507 de cette Série (1), une circulaire du Comte de Bismarck datée du 10 de ce mois a fait connaitre au Corps diplomatique accrédité à Berlin que, à dater du premier janvier 1870, l'ancien Ministère des Affaires Etrangères de Prusse faisait partie de la Chancellerie fédérale, dont il serait un département en prenant le titre de Auswartige Amt des Norddeutschen Bundes, c'est à dire Département fédéral pour les Affaires Etrangères.

On a donné généralement une interprétation trop absolue à ce transfert de la direction des affaires au Gouvernement de la Confédération du Nord, car on en a déduit la conséquence que le Ministère prussien des Affaires Etrangères comme tel avait cessé d'exister. Il en résultait dès lors une foule de contradictions que la presse s'empressa de relever:

la politique étrangère de la Prusse n'avait plus de représentant responsable devant le Parlement prussien. A qui reviendrait désormais le soin des rapports diplomatiques de la Prusse avec ses Confédérés du Nord dans toutes les affaires que la constitution n'a pas concentrées entre les mains de la Chancellerie Fédérale? La Prusse figure comme partie contractante dans nombre de traités, protocoles, conventions avec des Puissances étrangères: à qui s'adresseront, le cas échéant, ces dernières lorsqu'il s'agirait d'appliquer, dénoncer ou interpréter ces accords internationaux?

.La presse officieuse a relevé successivement et combattu tous les reproches que l'on adressait à I'innovation qui avait été introduite dans l'ancien Ministère des Affaires Etrangères. Et nommément la Norddeutsche Allgemeine Zeitung a rétabli hier dans son premier article la vraie situation des choses. On part, d'après elle, d'un point de vue inexact, lorsqu'on suppose que le Ministre des Affaires Etrangères de Prusse a cessé d'exister comme tel. La constitution de la Confédération du Nord n'a point supprimé l'existence de la Prusse comme Etat, pas plus que celle de ses confédérés, et meme l'article 11 de cet acte présuppose des accords internationaux où la Couronne de Prusse est seule engagée et au sujet desquels elle n'a rien à démeler avec le pouvoir exécutif ou Iégislatif de la confédération. Il en resulte que, vis-à-vis du Parlement prussien, comme envers Ies Gouvernements confédérés et envers Ies Cabinets Etrangères, le Comte de Bismarck indépendamment de sa qualité de Chancelier fédéral continuera à exercer au besoin les fonctions de Ministre des Affaires Etrangères du Roi de Prusse (1). Le journal précité voudrait meme expliquer plus clairement sa pensée en mettant en regard de cette situation celle des Cantons suisses qui n'ont point abdiqué Ieur souveraineté toute entière entre Ies mains du Conseil fédéral.

En conclusion, le Ministère des Affaires Etrangères de Prusse, n'est pas dans la catégorie des intrauvables, ainsi que le Comte de Bismarck a eu l'occasion de le déclarer à un de mes collègues. Il est bon d'en prendre note, quoique l'ancien Département soit devenu fédéral, comme Ies anciennes directions des Postes et des Télégraphes, ce qui le met dans une position assez singulière sur Iaquelle le Reichstag ne manquera pas de demander des éclaircissements.

C'est là un nouvel indice du caractère provisoire de l'état de choses établi en 1866, qui attend une solution du développement nature! de l'oeuvre nationale ou de circonstances imprévues qui peuvent l'accélérer. En attendant, ce provisoire meme aide le Cabinet de Berlin à ménager toutes les susceptibilités et à attendre les événements. Il n'en personnifie pas moins la force et n'en abdique aucunement la direction.

V. E. se rappelle qu'une proposition de désarmement général a été colportée par un député anglals dans dlvers pays de l'Europe et qu'elle a eu son jour d'insuccès au Reichstag. Il a été dit depuis lors que les Etats Confédérés du Nord en avaient fait entre eux l'objet de pourparlers et qu'ils sympathisaient tous avec cette idée, sauf le Cabinet de Berlin. La Patrie recevait récemment la meme nouvelle de Dresde où la Chambre des Députés s'est occupée, il y a peu de mois, par sa propre initiative, de cette affaire, sans recevoir aucun appui du Ministère saxon. Un tel reproche peut devenir plus particulièrement désagréable au Gouvernement prussien, qui ne pourrait procéder à un vrai désarmement sans détruire de fond en comble une organisation militaire à laquelle il a dft en 1866 le succès de sa politique nationale en

Allemagne. La Kolnische Zeitung a démenti lr. nouvelle de la Patrie, et le meme journal officieux que j'ai cité plus haut ajoute que la Confédération du Nord ne pourraft désarmer qu' en supprimant l'obligation générale du service militaire, ce qui est une impossibilité. Il attribue ces bruits au parti de la guerre en France, et aux ennemis de la Prusse en Allemagne et à l'étranger. Il est évident qu'à cet égard, comme dans bien d'autres questions, Prusse et Confédération du Nord sont un peu synonimes.

(l) Cfr. nn. 163 e 176.

(l) Con R. 514 del 23 gennaio, non pubblicato, Launay Informò che in un nuovo articolo della Norddtutsche Allgemeine Zeitung si affermava che il Ministero degli Esteri di Prussia aveva cessato di esistere per i Governi stranieri e continuava a funzionare solo per i rapporti con i confederati del nord della Germania.

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IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. CONFIDENZIALE. Firenze, 18 gennaio 1870.

Le comunico un recente rapporto che ricevei sulla grave questione che si agita ora a Roma intorno alla infallibilità del Papa.

Comincia a sollevarsi il velo che copre il vero scopo che vogliono raggiungere i fautori della infallibilità ed i timori che io giorni sono Le ho palesati pare che abbiano purtroppo fondamento. L'obiettivo loro è la consolidazione del Potere temporale del Papa. Una volta che il Concilio Ecumenico avesse proclamato il dogma della infallibilità, si vorrà far riconoscere e proclamare come condizione necessaria e quasi integrante di quel dogma, la conservazione del Potere temporale onde così venisse rassicurata la indipendenza assoluta del Pontefice nello emettere i suoi responsi divini.

In tale previsione debbono i governi rimanere muti spettatori, ed attendere impassibilmente la consumazione di un fatto che annulla la libertà della chiesa non solo, ma che tende a rendere sempre più difficile se non impossibile il compimento della nostra unità nazionale?

Sottometto alle di Lei savie considerazioni il quesito, parendomi assai meritevole di studio, ed urgente a risolvere.

Non Le parrebbe forse opportuno e prudenziale di tenerne discorso con alcuni rappresentanti delle Potenze estere che hanno aspirazioni e principi ai nostri affini, per escogitare un qualche mezzo che valesse ad arrestare il corso dell'audace disegno della Curia Romana e massime dei Gesuiti?

E siccome l'Italia in particolare ne sentirebbe il maggior danno, non crederebbe Lei conveniente di redigere una nota diplomatica colla quale o in via ufficiale o in via confidenziale si esponesse alle potenze amiche il nostro modo di considerare l'importanza e la gravità dell'atto che vuol compiere Roma, e le conseguenze che ne emergerebbero a scapito dei popoli e del potere civile e massime a detrimento della nazionalità Italiana?

Questi sono pensieri forse non abbastanza maturi ma che io le comunico alla buona per chiamare la sua attenzione sopra un avvenimento che dopo Gregorio VII credo non siasi mai dato maggiore.

Guai se si consumasse senza che il Governo ci avesse ben riflettuto e tentato di scongiurarlo.

ALLEGATO

MARAMOTTI A LANZA

R. R. 73. Perugia, gennaio 1870 (per. il 17).

Ieri ebbe luogo la quarta congregazione per il 1ito Orientale e la disciplina ecclesiastica. Il Cardinale Presidente ha, alla fine della discussione, inculcato vivamente il segreto su quanto si dice e si fa nell'Assemblea, e raccomandò di far tesoro del tempo.

Sono inscritti per parlare sulla materia sopra indicata i Monsignori Darboy e Dupanloup; o avranno parlato oggi, o parleranno domani. L'Arcivescovo di Parigi, il Darboy dirà fra le altre cose, che gli schemi presentati al Concilio dalle Congregazioni preparatorie, parlano dei doveri dei Vescovi, non mai dei loro privilegi e diritti.

Il partito Gallicano non conta che quaranta o cinquanta voti; a tale partito di opposizione si uniscono alcuni vescovi Tedeschi e Americani. Tale partito presentò a Pio IX una Memoria sulla inopportunità di proclamare il proposto dogma della infallibilità; Pio IX vi scrisse sopra di suo pugno la parola negativo. I firmatari alla petizione per la proclamazione di detto dogma ammontano in oggi a 500 e vanno aumentando.

Detta petizione fu redatta dal vescovo di Paterbona; nel suo testo si ribattono quasi una per una le ragioni esposte nella Memoria Gallicana, dalla quale più sopra ho detto. Uno dei Padri corrispondenti del Prefetto di Caserta disse da un pezzo che lavorava a questo scopo. Pare che sia riuscito.

I Vescovi Tedeschi non si radunano più dal Nardi ma dal Rauscher.

Dupanloup ebbe un colloquio con Pio IX dal quale uscì magnificando i modi conciliativi ed affascinanti del Papa. In seguito a tale colloquio, Monsignor Nardi si espresse sul Vescovo d'Orléans in modi sconvenienti, il Papa lo obbligò ad un atto di scusa verso il prelato Francese.

Ormai il principio della infallibilità pare pertanto che sia vicino a guadagnare tale maggioranza, da potere prevedere la sua probabile approvazione. Con ciò i Gesuiti avrebbero conseguito un grande trionfo. Però '1 questo, ove lo conseguissero, (che in oggi non può ancora affermarsi un avvenimento il quale può anelar soggetto a molte e diverse vicende) se cioè venisse proc.!amato dal Concilio il prin::!ipio dell'inf::d.libilità del Papa quando parla ex cathedra, sia consacrandolo in dogma sia pure anche in un canone, l'opera loro e della Curia Romana non si fermerà a tal punto. L'Antonelli avrebbe cessato dalla sua opposizione al dogma dell'infallibilità, che egli contrastava per le ragioni che ho esposte in altro mio rapporto; atteso i nuovi concerti che furono presi sopra altra materia che assai più l'interessa, e che in fondo fu la vera causa e la ragione prima della convocazione del Sinodo Vaticano. Siffatti concerti vanno riassunti come segue.

Fra le materie prestabilite sulle quali deve versare il Concilio, avvi quella dei rapporti fra la Chiesa e lo Stato, e degli errori moderni su tale argomento. Sarà in seguito alle deliberazioni che si prenderanno sopra tale materia, che verrà posto senza più in discussione ossia, che verrà proposto per la sua approvazione, il principio della necessità, giustizia e santità del Potere Temporale. Già nelle riunioni dei padri si va facendo parola dell'importante argomento, ed è chiaro che sul medesimo sorgeranno molto minori opposizioni, che non ebbe e non sarà per avere quello dell'infallibilità.

Sarebbe del tutto ozioso ed anche inopportuno che io richiamassi l'attenzione dell'E. V. sopra la tendenza che, colle notizie di oggi, mi viene segnalata e che mi sembra assumano ormai le cose di Roma.

Parrebbe di poter scorgere, quantunque presentemente da lontano, il pieno trionfo dell'ultramontanismo, e più particolarmente, dei maneggi e della scuola della Compagnia di Gesù. Che in ultimo tutto codesto armeggiare debba finire ai danni d'Italia, non è pure chi no'l veda. Farmi pertanto che non saranno mai soverchie le precauzioni delle quali si è mostrato compreso il Governo del Re, in ordine al Concilio Vaticano, e che da oggi sarà della usata saviezza il proseguire nella su• oculatezza e preveggenza.

Tali considerazioni mi vengono dettate anche da un'altra circostanza, che in Roma, al Vaticano, e nei circoli politici-clericali di quella Città, attrasse tutta l'attenzione; si era colà molto preoccupati dell'atteggiamento che avrebbe potuto prendere rimpetto al Concilio ed alla questione di Roma in generale, il nuovo Gabine,tto Francese Ollivier-Daru. In seguito alle dichiarazioni dello Ollivier avanti alla unione dei venti rappresentanti del Corpo Legislativo, a quelle del Daru, in Senato in risposta a Rouland, ed a comunicazioni venute da Parigi, gli spiriti alla Corte di Roma si sono straordinariamente riconfortati e si tengono in oggi forse più sicuri di prima, ritornando in Vaticano a fiorire più rigogliosa che mai l'idea, che il principale nemico loro fosse Napoleone III, non già gli stessi figli della rivoluzione e della democrazia, come il Daru, che seguace del liberale Thiers, non avrebbe dato nè un uomo nè un soldo per fare l'Italia, talchè i dominii del Santo Padre non si estenderebbero in oggi solo fino ad Orte, ma ancora toccherebbero il Po. Non giudico, né commento, ché non è tale l'ufficio solo da cronista. Le affermo che tali sono i propositi ed i discorsi che di questi giorni si fanno in Vaticano, e nei circoli politico-clericali di Roma.

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TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA Cl)

L. P. l. Roma, 20 gennaio 1870.

Arrivé à Rome hier je me suis empressé de m'acquitter de l'ordre dont

V. E. m'a fait l'honneur de me charger à l'égard de Monseigneur Strossmayer, évéque de Bosnie et de Sirmie. Je lui ai dit que le gouvernement du Roi a appris avec une vive satisfaction les nouvelles de l'intelligente et courageuse initiative qu'il a prise au Concile pour défendre les droits de la raison humaine, de la civilisation européenne et de l'Etat et de la société modernes contre l'envahissement de l'esprit de Moyen-Age qu'une théocratie fanatique, encouragée par l'indifférence du pouvoir civil au sujet de ses prétentions, s'efforce de revivifier. Je lui ai dit que le gouvernement du Roi, fidèle aux conséquences de son origine, est toujours décidé non seulement à respecter les droits légitimes de l'Eglise et à la protéger dans l'exercice libre de ces droits, mais aussi à contribuer, autant qu'il pourra, à rétablir la paix et la concorde qui doivent régner entre la société civile et religieuse et qui, depuis une quinzaine d'années, se trouvent en Italie ébranlées au grave détriment de l'une comme de l'autre, non comme le prétend le parti clerical pour des raisons religieuses, mais à cause des pertes territoriales que le pouvoir temporel du Pape a subies par l'établissement de l'unité nationale sur la base du droit nouveau dont l'ltalie s'honore de s'étre faite l'initiatrice parmi les Etats européens -c'est à dire pour des raisons qui n'ont rien de commun avec la religion et l'Eglise. Je lui ai dit enfin que le gouvernement du Roi qui par ce rapport se croit autorisé à prendre la parole au nom de la civilisation européenne, le remercie des services que par sa genereuse initiative il rend à toute l'Europe et que je me sens heureux d'étre chargé par V. E. de porter à mon illustre compatriote et ami ces paroles de reconnaissance et d'encouragement.

Monseigneur Strossmayer était vivement touché des égards et des sentiments dont V. E. a bien voulu lui témoigner, et m'a prié d'exprimer à V. E. en son nom !es sentiments de l'estime et de la reconnaissance pour le gouvernement italien. En se mettant à la téte de l'opposition contre Ies prétentions d'un certain parti, il n'a écouté que la voix de sa conscience d'homme et d'évéque et a obéi aux exigences de son devoir, et bien qu'il ne se flatte pas de pouvoir faire tout le bien qu'il désire, il s'éfforce du moins d'empécher autant qu'il est en lui, le mal dont l'Eglise et la société son menacées, et ne se !assera pas de défendre Ies droits de l'humanité contre toute tyrannie spirituelle aussi bien que temporelle. Personne plus que lui ne saurait déplorer la confusion de la religion et de l'Eglise avec des intéréts tout à fait étrangers à l'une et à l'autre; il était fort satisfait de voir que cette convinction commence à pénétrer dans l'esprit d'un très grand nombre d'évéques non seulement étrangers, mais aussi italiens et espère que cette nouvelle disposition des esprits ne restera pas stérile. Et enfin, personne plus que lui, chef de l'opposition nationale et libérale de son pays, ne saurait plus hautement apprécier les services que l'Italie a rendus à toutes nations opprimées en inscrivant sur son drapeau le mot de liberté et d'indépendance nationale. Monseigneur Strossmayer est de l'avis qu'il est non seulement désirable mais nécessaire que je m'établisse à Rome durant le Concile, et m'a promis de m'aider à trouver des sources pures et sù.res d'informations sur la marche des affaires du Concile afin de contribuer autant que possible à entraver les desseins du parti qui est notre adversaire implacable.

J'ai remercié S. E. de sa promesse et je me suis immédiatement mis à la recherche de nouvelles sources d'information. J'étais assez heureux d'en trouver d'excellents qui, complétées par celles que Monseigneur Strossmayer m'a promis de me procurer, me mettront, j'espère, en mesure de donner continuelIement à V. E. Ies renseignements Ies plus exacts et les plus prompts sur tous les points de discussions qui se rapportent aux matières politiques et sociales traitées au Concile.

Dès aujourd'hui, je crois pouvoir assurer V. E. que la thèse de l'infaillibilité pontificale, grace à l'initiative de Monseigneur Strossmayer, rencontre parmi les Pères du Concile une opposition qui émeut vivement le Vatican. Si l'adresse des Infaillibilistes (publiée dans le Supplement de la Gazette Universelle d'Augsbourg du 16 courant) a trouvé 350 signataires, l'adresse de l'opposition, qui demande que la question de l'infaillibilité pontificale soit rayée du «Schema Decretorum », en a jusqu'ici trouvé 150 et le nombre des subscripteurs va encore augmentant. Au nombre de ceux-ci se trouve tout ce qu'il y a de plus important et de plus illustre dans l'épiscopat français, allemand, américain, slave, hongrois et orientai, et ce qui est de plus curieux, 21 évéques italiens y ont aussi apposé leurs noms. On croit qu'en général tous !es évéques qui n'ont pas signé l'adresse des Infaillibilistes, seraient adversaires de l'infaillibilité pontificare et voteraient contre, mais que, pour une raison quelconque, ils n'oseraient avouer d'avance leur opposition.

La scission de l'épiscopat italien a, dit-on, fort impressionné le Vatican qui, avec son habilité proverbiale, cherche une solution de nature à sauver la

substance du nouveau dogme en faisant à l'Etat des concessions apparentes de forme afin de reconcilier l'opposition et d'apaiser les appréhensions que cette énormité dogmatique n'a pas laissé de susciter auprès de tous les gouvernements. Monseigneur Manning, l'auteur principal de l'adresse des Infaillibilistes, dans laquelle il a parlé d'une infaillibilité absolue et illimitée («potestas suprema, ideoque (!) ab omni errore immunis »), a déjà trouvé bon de restreindre dans un écrit qu'il vient de publier a Naples, l'infaillibilité du Pape aux décrets pontificaux donnés ex cathedra, et d'autres croient pouvoir résoudre la question par une explication ou ampliation de la formule adoptée par le Concile de Florence et que voici: «Romanum Christi Vicarium, totius Ecclesiae caput et omnium Christianorum patrem et doctorem existere, et ipsi in Beato Petro pascendo regendi ac gubernandi universalem Ecclesiam a Domino nostro Jesu Christo plenam potestatem traditam esse secundum Canonis et Decreta Conciliorum » (les paroles soulignées ont été arbitrairement rayées dans les éditions recentes des Canons -vide Janus). Aujourd'hui on m'a dit que le pape aurait envoyé a Paris l'archevèque d'Alger pour proposer au gouvernement français une rédaction nouvelle du Canon sur l'infaillibilité, rédaction fort ingénieuse qui, tout en maintenant le principe, s'accorderait parfaitement avec les principes du Code Civil français! Au Vatican on compterait beaucoup sur le succès de cette ruse et espérerait que l'acceptation de la formule nouvelle par le gouvernement français òterait à l'opposition l'espoir de l'appui qu'elle s'imagine trouver auprès du gouvernement impérial, le seul dont, pour des raisons aisées à comprendre, le Vatican tient compte en cette occurrence. Monseigneur Darboy met cependant en doute la mission de l'archevèque d'Alger qui ne serait pas un personnage assez important et influent pour faire réussir une pareille proposition.

Farmi les bruits qui courent ou qu'on fait courir à dessein il me faut aujourd'hui signaler deux: l'un que la bulle d'excommunication, dont les Jésuites imputent l'origine aux Dominicains et au Collège d'Inquisition, serait réportée; et l'autre que dans la séance du Concile qui aura lieu demain, 21 janvier, on distribuera le fascicule du «Schema decretorum » traitant de l'autorité et des attributions du pouvoir pontificai. Je l'aurai immédiatement.

(l) Ed. in TAMBORRA, pp. 227-229.

200

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI

D. 108. Firenze, 21 gennaio 1870.

Nel rapporto ch'Ella mi scrisse il 1° corrente (1), fermò particolarmente la mia attenzione quella parte in cui, entrando a parlare della politica austriaca nella questione d'Oriente, Ella ricorda come più volte il Conte di Beust le avesse espresso il desiderio che i due Gabinetti di Vienna e di Firenze sta

bilissero accordi sulle varie questioni che sorgono in quel paese. A tale riguardo ella esprime il concetto che sarebbe diviso costì dagli uomini di Stato più influenti e sopratutto dal Conte Andrassy di dare alla politica dell'Italia e dell'Austria, rispetto alla influenza delle due potenze occidentali, una maggiore libertà d'azione.

Sembra a noi che il mezzo il più sicuro per il Gabinetto di Vienna di trarre ad effetto tale proponimento, sarebbe di procedere per via di apposite comunicazioni sui singoli affari che si tratta di risolvere. Il Cancelliere imperiale non può ignorare l'ottima accoglienza che trovarono ognora le pratiche della diplomazia austriaca presso il Governo del Re. Ma dal canto nostro, abbiamo varie volte, e per ultimo nella vertenza turco-egiziana, dovuto osservare che il Gabinetto di Vienna si era appigliato a partiti decisivi che dalle comunicazioni fatteci non sembravano preannunziati. Questa fu la ragione per cui l'azione dei due Governi non poté il più delle volte riuscire né così concorde, né simultanea come lo si sarebbe potuto desiderare.

Venendo poi a considerare la posizione respettiva dell'Austria e dell'Italia, negli affari concernenti i Principati Danubiani, non si potrebbe passare sotto silenzio la immensa differenza che, per moltissimi riguardi, esiste fra i due paesi. Ciò nondimeno in varie quistioni, la condotta tenuta dal Governo del Re si trovò conforme a quella seguita dal Gabinetto austriaco. Ogni volta che un simile fatto dovesse riprodursi, noi ne andremmo sinceramente lieti.

In questo momento la questione relativa alle modificazioni da introdursi nelle capitolazioni forma l'oggetto principale delle preoccupazioni dei Governi principeschi di Belgrado e di Bucarest. Noi abbiamo ricevuto a questo proposito delle comunicazioni da Pietroburgo, ma non cosi da Vienna, e sarebbe invero molto interessante per noi di conoscere le disposizioni del Governo Austriaco, per mezzo di regolari comunicazioni, le quali dovrebbero esserci fatte dalla legazione accreditata in Firenze. E ciò sembrerà alla S. V. tanto più naturale, quando verrà a conoscere che a Belgrado ed a Pesth sembrano ormai condotte a termine le trattative per introdurre modificazioni nel regime delle capitolazioni in Serbia. Cosa questa sulla quale il Governo del Re nonché aver ricevuto ufficiali comunicazioni, manca tuttora di precise notizie.

(l) Cfr. n. 144.

201

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 4. Lisbona, 21 gennaio 1870 (per. il 31).

Lo scioglimento della Camera elettiva venne decretato jeri in Consiglio dei Ministri e sanzionato dal Re. La convocazione delle nuove Cortes è fissata pel 31 Marzo e le elezioni avranno luogo alla metà di quel mese.

Nel mio primo colloquio che ebbi l'onore di avere la mattina col Ministro degli Affari Esteri, S. E. confermommi la necessità, già accennatami antecedentemente da Sua Maestà (mio precedente Dispaccio politico) (l) di nuove elezioni. Il signor Mendez Leal dissemi che fin da principio la maggioranza nella Camera attuale era fittizia pel Ministero, che era divenuta ora dubbia e che sarebbesi indubitatamente trasformata in opposizione manifesta, alla presentazione delle leggi governative di maggiori imposte, misura indeclinabile per dare assetto, unitamente alle economie già fatte e da farsi, allo sbilancio finanziario del Portogallo.

Il Ministro soggiunse che questo aspetto finanziario era una questione di vitalità pel Paese e di onestà pel Governo, che era ornai tempo di por fine ad una perpetua e dannosa manovra (sic) quella «de faire toujours tourner la question politique sur le pivot de la question financière », ed era d'uopo perciò d'un franco e pronto appello al Paese, prima che il Ministero si trovi in minoranza, onde evitare l'inconveniente sempre grave della coincidenza di agitazione politica ed elettorale: che se il Paese risponderà bene all'appello, come il Governo se ne lusinga, il Ministero potrà fare il suo compito; se le elezioni gli riesciranno sfavorevoli cederà ad altri il Potere.

Il mio interlocutore non nascose che il solo avversario politico temibile pel Ministero, è il Vescovo di Viseu, ex Ministro del Regno, il quale già fece le elezioni dell'attuale Parlamento e la di cui popolarità continua nel Paese e specialmente nelle Provincie del Nord; quanto al Duca di Saldafiha ammettendo che possa esservi e non esservi accordo successivo tra questi due personaggi il Signor Mendez Leal mi ripetè egli pure che la sua personale influenza politica era intieramente perduta.

n Ministro degli Affari Esteri mi parlò successivamente del Concilio Ecumenico, mostrandosi assai preoccupato delle sue conseguenze se la decisione soprattutto della infallibilità, dopo avere ottenuta la maggioranza dal Congresso, venisse ad essere decretata come Dogma. Il signor Mendez Leal crede che il previo accordo provocato prematuramente, secondo il suo proprio giudizio, dalla Baviera l'anno scorso, diverrebbe in tal caso non solo utile ma necessario per tutti i Governi civili. Quanto alla politica portoghese, relativamente al Concilio, essa è conforme ai principii liberali che informano le sue istituzioni, come in Italia, e le istruzioni date al Conte di Lavradio sono in questo senso unitamente a quelle di riservare intieramente l'azione del Portogallo.

Dopo la mio conferenza col Ministro, ebbi l'onore d'intrattenermi col Presidente del Consiglio e questi pure mostrassi fiducioso nelle nuove elezioni confermandomi in proposito i detti del suo collega.

Il duca di Loulè dissemi inoltre, che il Governo Portoghese avea ricevuto costanti assicurazioni, che credeva sincere, dal Governo Spagnuolo di non creargli nè suscitargli difficoltà Iberiche: quanto alle manovre individuali d'Ibermismo in Portogallo non potevano essere temibili nè trovare mai un partito, anche minimo, che in verun modo le appoggiasse. S. E. si mostrò nullameno preoccupato dell'attuale e forse lungo provvisorio Spagnuolo, come puranche delle attualità Francesi.

Non fui peranco in grado di conoscere l'opinione generale a Lisbona, circa la misura in se stessa grave, perché extraparlamentare, dello scioglimento, in

18 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. XII

mancanza d'un voto ostile al Governo o di coalizione manifesta di partiti, né potrei quindi permettermi appreziazioni di sorta in proposito, !imitandomi perciò a render conto a V. E. delle sopraccennate informazioni fornitemi dai membri del Governo. Del rimanente la scusa o l'accusa di tale atto politico sta ormai nel successo e le prossime elezioni ci diranno se il Ministero ebbe torto o ragione di provocarlo.

P. S. Qui unito un piego pel Ministero della Guerra, contenente una domanda di prolungazione di permesso del Luogotenente di cavalleria in aspettativa, Signor Michele de Sa' Nogueira, nipote del Marchese Sa' da Bandeira ex Pre

sidente del Consiglio. (l)

(l) Non pubblicato.

202

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1048. Parigi, 21 gennaio 1870 (per. il 25).

Facendo seguito al dispaccio di Serie politica n. 1401 ch'ebbi l'onore di dirigere all'E. V. il 14 corrente (2), mi previo d'informarla che, avendo ieri avuto occasione d'intrattenermi con S. E. il Conte Daru sulle cose di Spagna, esposi a questo Ministro il senso e le ragioni della risposta fatta dal Governo del Re al Gabinetto di Madrid in ordine alla candidatura di S.A.R. il Duca di Genova al trono di Spagna. II Ministro imperiale degli affari esteri mi disse in questa occasione che il senso di questa risposta e il partito a cui s'era risolto il R. Governo gli sembravano molto prudenti e savii.

Egli soggiunse, per quanto spettava al Governo francese, ch'egli aveva rinnovato nel modo più esplicito all'Ambasciatore di Francia a Madrid l'ordine di tenersi negli atti e nelle parole assolutamente all'infuori d'ogni cosa che riguardi la questione delle candidature, o la forma di Governo in Spagna.

203

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1049. Parigi, 21 gennaio 1870 (per. il 25).

Profittando dell'occasione ch'ebbi ieri di vedere il Conte Daru, feci conoscere al Ministro imperiale degli affari esteri il modo di vedere del Governo del Re intorno all'eventuale domanda del Principe Carlo per essere riconosciuto ufficialmente dalle Potenze col titolo di Principe di Rumania, modo di vedere di cui l'E. v. volle informarmi con dispaccio di Serie Politica n. 523 del 6 gennaio cor

rente (1), e che consisterebbe nel pensare che, ove tale domanda venisse inoltrata presso il R. Governo, il motivo adotto dal Governo francese per consentire ad un tal mutamento avrebbe agli occhi del Gabinetto di Firenze un incontestabile valore.

Il Conte Daru accolse quest'informazione con soddisfazione e m'incaricò di ringraziarne l'E. V.

(l) -Annotazione a margine: «Trasmesso». (2) -Non pubblicato.
204

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2029. Parigi, 22 gennaio 1870, ore 17,40 (per. ore 19,15)

Rochefort a été condamné aujourd'hui à 3 mois de prison et 5.000 francs d'amende.

205

IL MINISTRO A COPENHAGEN, RATI OPIZZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 98. Copenhagen, 22 gennaio 1870 (per. il 27).

Ho ricevuto ieri mattina il dispaccio politico n. 19 (2) col quale l'E. V. mi fa l'onore di parteciparmi che da recenti communicazioni il Governo del Re sarebbe indotto a credere che il Re di Prussia abbia risposto in termini ben poco promettenti alle sollecitazioni che lo Zar gli faceva sull'esecuzione dell'articolo V, del trattato di Praga. Questa notizia e la circolare danese del 3 dicembre scorso farebbe arguire al Governo del Re che il Gabinetto danese lavori di concerto con altri Gabinetti per una desiderata soluzione della questione Nord-Schleswig.

Nei due ultimi alinea del dispaccio che io indirizzai all'E. v. in data del 18 corrente (3), io ho diggià in parte accennato a quanto l'E. V. mi faceva l'onore di domandarmi col suo riverito dispaccio del 17. Mi fo ora dovere di esporle anzi tutto in quali termini si trovi al momento attuale la fase diplomatica della questione.

V. E. sa che diplomaticamente la questione Nord-Schleswig al punto di vista Prussiano si trova tuttora nei seguenti termini: «Il Trattato di Praga non ha punto determinato i distretti che potrebbero essere retrocessi alla Danimarca in seguito di un libero voto. La Prussia ha conquistato al Nord dello Schleswig Alsen e Dtippel, posizioni strategiche che essa non è punto obbligata di abbandonare, e che delle considerazioni geografiche, militari e politiche l'obbligano di conservare gelosamente. Infine bisogna che la Danimarca, prima che si possa

acconsentire ad una retrocessione qualunque offra delle garanzie in favore dei Tedeschi che abitano i distretti settentrionali ».

Colla sua celebre nota del 9 marzo 1868 il Governo danese resisteva alla

pressione di Berlino e suggeriva altri mezzi d'accordo. A questa nota il Gabinetto

di Berlino non vi rispose neppure. D'allora in poi officialmente la questione

restò in questi termini da ambe le parti.

Però diggià nell'inverno scorso mi accorsi che l'Inviato russo presso questa Corte si dava delle preoccupazioni attive in merito a questa vertenza. Ne diedi un cenno col mio dispaccio n. 49 in data dell'8 gennaio e col successivo dispaccio

n. 50 in data del 10 dello stesso mese (l) ritornando su questo argomento esponevo a codesto ministero che ignoravo tuttavia se la condotta di questo Ministro russo era motivata da precise istruzioni del suo Governo o da iniziativa di zelo proprio ed attività personale. Durante questa estate il Ministro russo ed il Conte Frijs furono quasi sempre assenti da Copenhagen, meno i pochi giorni delle nozze di questo principi ereditario; onde la vertenza restò sempre nello statu quo.

Il Ministro russo ritornato in Copenaghen precisamente verso i primi giorni di dicembre si deve essere di nuovo occupato della questione. Seppi ora infatti che parlando con un collega egli insisteva sul seguente modus agendi «si è disconoscere -diceva egli -la delicatezza della questione e la posizione della Danimarca, il pretendere che questa ultima sia quella che dovrebbe formolare le prime proposte. Se la Danimarca dovesse indicare tutto ciò che essa crede dovrebbe essere dovuto, si è certo che la Danimarca dovrebbe indicare tutta l'intera parte dello Schleswig danese. Si è dunque dalla Prussia che devono venire le prime proposte, si è dessa che, senza mettere in campo le votazioni, dovrebbe formulare una giusta retrocessione, limitandosi all'indispensabile per una frontiera sicura. La Danimarca allora ripetendo pro forma le sue proteste per salvare il diritto astratto, potrebbe fare in parte il sacrifizio del fatto compiuto, riavendo così nel fondo quasi tutto il territorio nazionale che essa reclama». Il Barone Mohrenheim teneva simile discorso quindici o venti giorni or sono e lo teneva mostrandovi grande interesse. Lo stesso però ritornando pochi giorni fa dallo stesso collega e rimesso sul discorso precedente, con un sentimento di spossatezza, stringendosi nelle spalle esclamò «les bras m'en tombent, je donne ma langue aux chiens ».

Tutto quello che in questo dispaccio ho riferito fin'ora all'E. V., lo posso categoricamente asseverare. Spero che potrò fra pochi giorni pronunziarmi in merito alle due Auguste lettere alle quali V. E. accenna. Noterò solo che essendo puerile se cercasi di scoprir terreno a proposito di dette lettere parlando col Barone Mohrenheim, col quale inoltre non son neppure intimo, io dovrò indovinare il mutismo del Conte Frijs e vedere che cosa dicono sui rapporti attuali tra la Prussia, la Russia e la Danimarca i Ministri di Francia e di Svezia, giacché il Ministro di Prussia è assente da due mesi, il Conte Paar che era una mia antica conoscenza è partito per la nuova destinazione di Dresda, ed il Ministro d'Inghilterra è ritornato da pochi giorni. È inutile che io dica all'E. v. che parlerò senza far supporre che codesto Ministero mi abbia scritto sull'esistenza di queste due lettere reali.

Esaurita così l'esposizione di quanto so di positivo sullo stato delle cose, mi

fo dovere di sottoporre all'alto giudizio dell'E. V. i miei apprezzamenti spe

culativi.

II passo che lo Zar avrebbe fatto presso il Re di Prussia, il contegno del Rappresentante Russo presso questa Corte possono essi far sperare che si addivenga alla fin' ora mancata esecuzione del Trattato di Praga? Non si può assolutamente affermare che la Prussia si rifiuti ad una transazione, il Conte di Bismarck è troppo abile per cozzare contro un ostacolo quando può circuirlo. In questa questione di pieno accordo col suo Re ed avendo dietro sé i parlamenti federale e prussiano il Conte di Bismarck protesterà che a nessun prezzo la Prussia può indebolire le sue frontiere marittime cedendo Alsen e Dtippel. In pari tempo son persuaso che forse il Conte di Bismarck sarebbe, come si dice, coulant per ciò che riguarda un p0' più od un po' meno di te~~ritorio. Quantunque però nel 1867 in pien parlamento abbia sostenuto che il Trattato di Praga non parla del distretto Nord dello Schleswig, il che potrebbe f::u supporre che lo Schleswig sia diviso in due distretti, l'uno al nord, l'altro al sud, che l'articolo V del Trattato di Praga non dice neppure il distretto indicato dalla differenza delle lingue ma dice solo i distretti del Nord dello Schleswig. Posta la questione in questi termini, distretti se ne possono enumerare e rifiutare molti e pochi a volontà. È positivo che questo famoso articolo V fu redatto in un senso molto elastico e lo strano si è che pare provato che sia stato redatto da una penna danese. Nel mio dispaccio n. 58 in data del 7 marzo 1869 (l) ho riferito il motivo di simile elastica redazione.

Del resto, come dicevo nel mio dispaccio in data del 18 corrente continuo ancora a dubitare assai, malgrado quanto possa tentare il Generale Fleury, che il Gabinetto russo voglia insistere seriamente presso il Gabinetto prussiano nell'interesse della Danimarca. Vedo diffatti che ad una nota del Principe Gortchakoff si sarebbe sostituita una lettera dello Zar. La lettera è augusta, ma secondo me un dispaccio motivato e da communicarsi dal signor d'Oubril sarebbe stato più importante. Il Re di Prussia di lettere consimili ne ha ricevute più d'una, durante e dopo il 1866, ma tutti questi sforzi del cousinage, come li definì il Conte di Bismarck, non impedirono mai quel Ministro di far percorrere al Suo Re la via politica che aveva tracciato. Comunque sia, a proposito della lettera dello Czar e della risposta del Re di Prussia, mi riservo di inviare all'E. V. quello che ne potrò sapere di meglio.

Tutto ciò quanto alla Prussia ed alla Russia, quanto alla Danimarca poi, una transazione reciproca, quale ho detto esser vagheggiata da questo Ministro Russo, sarà essa accetta alla Danimarca? In Danimarca, benchè una evidente spossatezza vada ora sostituendosi all'agitazione degli anni scorsi, credo che vi si sottoscriverebbe ben difficilmente ad una transazione che nel fatto concreto farebbe rinunziare definitivamente ad Alsen e a Dtippel. Per ciò bisognerebbe che nella nazione danese la spossatezza ed il disinganno datassero da più che non datano, al momento attuale il Re ed il Conte Frijs non l'oserebbero ancora. La Danimarca insomma è diggià abbastanza scoraggiata per nutrire ben poche

speranze, ma non lo è ancora al punto, non essendovi moralmente e materialmente sforzata per ratificare con mano libera e con la sua firma una rinunzia definitiva ad Alsen e a Duppel tanto più poi che non vi è per l'imminente periculum in mora.

Stando le cose in questi termini non è neppure il caso di sperare che una prossima transazione (a meno di improbabili concerti che ignoro completamente) possa essere più o meno imposta alle due parti interessate onde non sia così turbata la confidenza nella pace. So bene che è passato in assioma politico nella stampa che la più piccola striscia dello Schleswig è una porta socchiusa per dove la guerra può da un momento all'altro precipitarsi in Europa. Ma all'incontro dell'opinione, i Gabinetti europei sanno (al punto di vista astratto del diritto è tristo a dirsi, ma bisogna chinar il capo all'evidenza) che nessuna Potenza metterà in campo armate, metterà insomma il fuoco all'Europa per duecentomila danesi che abitano lo Schleswig. Né può dirsi neppure che questa questione possa essere sacrificata dalla Prussia sull'altare della speranza che la stessa non serva poi di pretesto alla Francia. In fatto di pretesti opportuni il Gabinetto di Berlino non è così innocente da ignorare che «uno avulso non deficit alter».

Prego l'E. V. a volermi scusare per questo così lungo dispaccio, e riservandomi di scriverle poi esclusivamente sulle due lettere di cui Ella mi ha parlato (l) ...

(l) -Cfr. n. 161. (2) -Cfr. n. 193. (3) -Non pubblicato.

(l) Non pubblicati.

(l) Non pubblicato nel vol. XI serie I.

206

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (2)

L.P. 2. Roma, 22 gennaio 1870.

Conformément a ce que j'ai eu l'honneur d'annoncer à V. E dans ma dépeche du 20 janvier n. l (3) le fascicul du «Schema Decretorum » contenant la définition du pouvoir du Pape a été distribué aux Pères du Concile dans la séance d'hier. Il m'a été immédiatement communiqué et je l'ai Iu et étudié pendant la nuit.

Généralement parlant, il ne contient rien qu'on ne s'attendait à y trouver; mais quant à la forme des doctrines proposées et à l'hostilité contre J'Italie qui s'y manifeste sans aucun tempérament il dépasse tout ce qu'on avait pu supposer. La thèse de l'infaillibilité pontificale n'y est pas, elle doit y etre insérée par l'initiative « spontanée » du Concile, afin de prouver au monde la modération et la modestie du Pape et des Jésuites. On sait que Monseigneur Manning est destiné à faire cette motion à la discussion du schème et qu'il sera bruyamment appuyé et secondé par des signataires de l'adresse des Infaillibilistes.

Je passe à indiquer à V. E. les principaux Chapitres du schème et à en transcrire !es dispositions les plus marquantes.

Les premiers dix chapitres ne contiennent que la dogmatisation des doctrines jesuitiques sur la nature de l'Eglise, le 11" chapitre confirme la doctrine de Bellarmin sur le primat du Pape et condamne les doctrines de l'indépendance (relative) des Eglises nationales, de la supériorité des Conciles généraux sur le Pape, et du Placet regium. Ce qui exasperera surtout les évéques c'est la doctrine qu'ils n'ont pas de juridiction immédiate dans leurs diocèses, que leur pouvoir n'est donc pas d'institution divine mai qu'il leur est simplement transmis par le Pape qui a la juridiction ordinaire et immédiate « sur toutes 1> les Eglises. C'est dans ce chapitre que se trouve insérée la formule du Concile de Florence mentionnée dans ma dépeche du 20 dernier, sans ampliation mais avec suppression des paroles capitales « secundum Canones et decreta SS. Conciliorum'>. Ainsi la question de l'assolutisme pontificai personnel du Pape en est un corollaire logiquement si indispensable, que, après avoir accepté ce chapitre, le Concile commettrait un acte de la plus grande inconséquence s'il s'opposait à décréter l'infaillibilité, car sans cette prérogative l'Eglise -la papauté -ne saurait plus subsister.

Le Chapitre 12e est le plus important pour nous, car il élève le pouvoir temporel au rang de dogme. En voici le texte:

«Ut autem Romanus Pontifex primatus sibi divinitur conati munus, uti par est, adimpleret, iis indigebat praesidiis quae temporum conditioni et necessitati congrueret. Unde singulari divinae providentiae consilio factum est ut in tanta saecularium principum moltitudine et varietate Romana quoque Ecclesia temporalem dominationem haberet: quo Romanus Pontifex, Summus totiu"s Ecclesiae pastor nulli principi subiectus, supremam universi dominici gregis pascendi, regendique potestatem ,et auctoritatem ab ipso Christo Domino acceptam per universum orbem pienissima libertate exercere ac simul facilius divinam religionem magis in dies augere, et quae pro re et tempore ad majorem totius Christianae reipublicae utilitatem pertinere ipse cognosceret, efficacius peragere posset.

Cum vero impii homines qui omne in terris jus mutare conantur hunc civilem S. R. Ecclesiae principatum, in rei christianae bonum et utilitatem ordinatum, et ab ea omnibus piris titulis legitime tot saeculorum decursu possessum, quovis insidiarum et violentiarum genere labefactare ac convellere adnitantur: Sacro approbante Concilio innovantes hujus Apostolicae Sedis ac praecedentium Conciliorum (! ! ! ) judicia a c decreta damnamus atque proscribimus tum eorum haereticam doctrinam qui affirmant repugnare juri divino ut cum spirituali potestate in Romanis pontificibus principatus civilis conjungatur tum perversam aeorum sententiam qui contendunt, Ecclesiae non esse de hujus principatus civilis ad generale christianae reipublicae bonum relatione quidpiam cum auctoritate constituere; adeoque licere catholicis hominibus ab illius decisionibus hac de re editis recedere aliterque sentire».

Le chapitre 13e traite de la concorde entre l'Eglise et la société civile. Le point le plus saillant des doctrines de ce chapitre c'est que la société civile est sujette à l'Eglise et à ses lois et que l'Eglise ne peut etre séparée de l'Etat. Le chapitre 14e en est la continuation. Les hommes ne sont pas égaux de nature; cette doctrine est contraire aux lois divines. Le chapitre 15e condamne quelques

doctrines spéciales et parait ètre directement dirigée contre la législation italienne. Les écoles doivent ètre soumises à la direction de l'Eglise; l es étudiants de théologie et les pretres ne sont pas soumis au service militaire; les ordres ecclésiastiques ne peuvent ètre abolis; l'Eglise a la faculté d'acquérir d es biens et sa propriété ne peut lui ètre enlevée par l'Etat; les droits et les privilèges du Clergé sont d'institution divine et indépendants du bon vouloir de l'Etat qui ne peut les diminuer ni abolir etc.

Suit le projet de 21 Canons «de Ecclesia Dei» sur les matières précédemment indiquées avec les anathèmes d'usage.

Les dernières séances du Concile s"occupèrent de choses de la discipline ecclésiastique. Ont parlé dans le sens de l'opposition libérale Monseigneur Darboy, Melchers Archeveque de Cologne, Ketteler éveque de Mayence, Dupanloup et d'autres. On était surpris de voir Monseigneurs Melchers et Ketteler dans les rangs de l'opposition, étant tous les deux des protégés des Jesuites.

(l) -R. 99 del 23 gennaio, non pubbl!cato. (2) -Ed. in TAMBORRA, pp. 229-231. (3) -Cfr. n. 199.
207

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 3. Roma, 23 gennaio 1870.

Le lendemain de mon arnvee a Rome, je me suis rendu à la légation de Portugal pour consigner à M. le comte de Lavradio la dépèche qui lui a été adressée à mon sujet. M. de Lavradio étant toujours malade et ne recevant personne j'ai remis la dépèche au premier secrétaire de la légation, M. le baron de Ferreiro, qui l'a lue en ma présence et m'a exprimé l'empressement de la légation de m'etre utile. Je lui ai remis ma dépèche n. l (2) en le priant de vouloir bien l'expédier à Florence sous le sceau de la légation de Portugal. Je lui ai consignée en suite aussi ma dépèche n. 2 (3) avec la mème prière.

Hier vers le soir, en rentrant chez moi, j'ai trouvé la carte de M. le baron de Ferreiro, et croyant qu'il s'agissait d'une simple visite, je me suis proposé de la lui rendre ce matin. Mais vers le 11 heures du matin, M. de Ferreiro vint de nouveau me trouver chez moi. Il m'a dit tant de choses de la part de M. de Lavradio qui regrettait beaucoup de ne pouvoir me voir et regrettait vivement de ne pouvoir se charger d'ètre l'intermédiare de ma correspondance avec V. E. Dans la dépèche du Ministère dont j'etait porteur, il était dit que je viendrais à Rome pour faire des études artistiques, et partant il a dù supposer que je n'échangerais que de temps en temps quelques lettre avec V. E. Mais voyant de mes dépèches qu'il s'agirait d'une correspondance suivie qui, preuve le mot «riservato», pourrait bien etre de nature politique, et vu que le secret de lettres était mal garanti à Rome, il croirait manquer aux devoirs envers son gouver

nement et envers la Cour près laquelle il est accredité s'il se chargeait de la

transmission de ma correspondance. Par conséquent, il s'excusait de ne pouvoir

me servir et me renvoyait mes deux dépèches que j'ai cru bel et bien transmises

à Florence.

Je ne sais si le mot «riservato» soit un prétexte ou une raison pour M. le comte de Lavradio de se réfuser à la transmission de ma correspondance; cependant d'après les renseignements que pendant mon séjour de Rome au mois d' Aout 1869 M. de Quillinan m'a donnés sur le caractère et les penchants cléricaux de M. de Lavradio, renseignements que j'ai, à mon retour a Florence, immédiatement communiqués à M. Blanc et à M. le comte de Tornielli, je suis porté à supposer un simple prétexte de se débarrasser d'une affaire qu'une conscience cléricale peut présumer etre contraire aux intérèts de son parti. Peutètre, ai-je eu tort de mettre le mot «riservato» sur l'adresse, mais je l'ai fait de bonne foi, et puisque M. de Lavradio ne veut pas plus de « correspondance suivie » que de « correspondance reservée », il aurait sans doute fait la mème chose après la troisième lettre que je lui aurais remise. Quoi qu'il en soit, je regrette de voir ma correspondance de cette façon exposée à tous les jeux du hasard, d'autant plus que ma dépèche n. 2 est d'extréme importance.

Cette affaire vidée avec M. de Ferreiro dans les formes les plus courtoises, je suis allé demander à M. Massari -à qui j'ai immédiatement remis la lettre de V. E.-s'il avait une occasion sure pour Florence. Il m'a dit que demain lundi partirait probablement quelqu'un à qui on pourrait confier un pli à V. E. C'est donc à voir. Si cependant V. E. tient à ètre surement et promptement informée, l'organisation d'un service de courrier spécial me parait ètre indispensable. Puisque j'ai occasion de tout voir, de tout savoir et de me mèler activement des affaires du Concile, je désirerais bien naturellement que V. E. en sut tout et le plus promptement possible.

En attendant des ordres de V. E....

(l) -Ed. in TAMBORRA, pp. 231-232. (2) -Cfr. n. 199. (3) -Cfr. n. 206.
208

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI BSTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2032. Parigi, 24 gennaio 1870, ore 16,20 (per. ore 19,15).

J'ai reçu votre lettre particulière (1). Je verrai vendredi M. Ollivier et je vous écrirai ensuite (2). M. Ollivier a de bonnes intentions et conserve toutes ses sympathies envers l'Italie, mais il doit compter avec les collègues qui sont en majorité et qui appartiennent à un parti qui ne nous est pas favorable. De là nécessité de procéder en ce moment critique avec une grande circonspection.

(l) -Cfr. n. 194. (2) -Cfr. n. 215.
209

L'ONOREVOLE GUERRIERI GONZAGA AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2033. Madrid, 24 gennaio 1870, ore 21,30 (per. ore 0,45 del 25).

Due de Montpensier élu député. Motion contre les Bourbons rejetée à immense majorité sur déclaration du général Prim absence candidat officiel et exclusion marquée de Marie Isabelle et de sa dynastie, et par celà possibilité implicite future solution due de Montpensier.

210

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L.P.4. Roma, 24 gennaio 1870.

Les séances journalières du Concile, les conférences nationales que les évéques tiennent par groupes nationaux et les conférences du Comité International qui se compose de sept délégués des Conférences nationales, parmi lesquels se trouvent Monseigneurs Darboy, Dupanloup, Strossmayer, le Cardinal Rauscher etc. font qu'il est assez difficile de trouver ces messieurs chez eux. C'est pour cela que j'ai manqué tous les prélats auxquels j'ai fait visite, excepté Monseigneur Dupanloup que j'ai trouvé chez lui hier soir. Il m'a reçu de la manière la plus aimable camme une ancienne connaissance, et nous causions à deux pendant plus d'une heure.

Intelligent, érudit, éloquent et orgueilleux qu'il est, il est frappè au coeur par tout ce qu'il voit à Rome, et, révolté du ròle plus qu'indigne que le Vatican a octroyé à l'épiscopat, il tient un langage qu'on croirait impossible dans la bouche de ce fougueux champion du pouvoir temporel d'autrefois.

Camme j'avais, dans le temps, fait sa connaissance chez M. Thiers, il commença par m'assurer que ni M. Thiers, ni lui n'ont eu une idée juste de Rome et du pouvoir temporel. Ils avaient vu Rome dans des époques normales, et celà n'était pas le temps propice à étudier l'organisme de la cour de Rome ni à étudier le rouage de cette machine gigantesque qui s'appelle le pontificat moderne. Que voulez-vous, disait-il souriant, j'en ai appris de l'histoire ecclésiastique tant que Thiers de l'histoire de Napoléon, et tout cela est faux. A présent j'expie cruellement mon erreur, et c'est juste. Que dois-je vous dire, des humiliations, des mortifications, des déboirs de toute sorte auxquels on nous expose parce que nous nous recoquillons camme le ver qu'on veut écraser du pied. Vous me riez au nez parce que j'ai soutenu de mes faibles forces le pouvoir temporel. Eh bien, oui, si le pape n'était roi, cela ne serait pas. Le cardinal Schwarzenberg a demandé, il y a quelques jours, une réforme de l'église in capite et membris: savez-vous que bien plus de 200 pères ont applaudi? C'est que nous sommes à Rome et que nous voyons qu'il faut en finir si l'on veut

sauver l'Eglise. Tout le monde est d'accord là-dessus. N'était la lacheté de l'empereur et l' ... (l) de Victor-Emmanuel, tout serait fini; mais ils ont tous deux une peur infernale de cette pagode. Soit, rien n'est encore perdu, ce n'est qu'une affaire à recommencer.

L'Italie peut étre satisfaite, le ConcHe lui a fait plus d'amis qu'elle n'ell.t jamais pu l'espérer. Si le gouvernement de Florence savait gagner les évéqués italiens, nous décréterions au ConcHe l'abolition du pouvoir temporel. Mais ces congrès font majorité et feront ce qu'il leur plaira à eux, et nous autres nous en irons la téte courbée de douleur et de honte.

C'était sur ce ton que continuait notre conversation. Bien que prévenu de l'incroyable changement d'opinion de Monseigneur Dupanloup j'en était toutefois étonné, et je n'ai pas manqué cette occasion de l'éclairer sur les sentiments conciliants du peuple et du gouvernement italiens à l'égard de l'Eglise et méme de la papauté. Il en doutait et m'objectait la confiscation des biens ecclésiastiques, la suppression des ordres monastiques etc. Arrivé à ce point, notre conversation a été interrompue par una visite; Monseigneur Dupanloup m'a di t cependant qu'il désirait la continuer prochainement. J'y ai consenti avec plaisir.

Hier dans l'après-midi, le comité international s'est réuni chez le cardinal Rauscher pour se communiquer les premières impressions que le «Schema Decretorum » dont j'ai parlé dans ma dépeche n. 2 -a produites sur les Pères. Comme il était aisé à prevoir, les Pères se révoltent. «En acceptant le schema s'écria le cardinal Rauscher, nous ne serions que de simples chapelains du Pape: il n'y aurait plus d'épiscopat ni d'Eglise ». La réunion était très-animée. Préalablement on a résolu d'empécher tout vote sur quelque matière que ce fll.t, avant la discussion du Schèma «de Ecclesia Dei » et de trainer les débats sur ce Schèma jusqu'à la fin juin. Plus de 200 orateurs se feront inserire contre le Schèma et reprendront la parole tant de fois qu'une de leurs opinions sera combattue par leurs adversaires. Cette proposition singulièrement parlementaire, à été faite par Monseigneur Strossmayer et adoptée à l'unanimité. De cette manière l'opposition espère mettre le P ape dans le dilemme: ou de retirer le schème ou de le faire passer par un coup d'Etat. Alors l'opposition rédigerait une protestation adressée au monde catholique entier et quitterait bruyamment le Concile: le schisme serait ainsi déclaré et motivé par l'illégalité du Concile et la nullité de ses décrets. Le plan est très hardi, mais les évéques les plus illustres de l'Europe, de l'Asie et de l'Amérique y ont fait adhésion. On m'a confié ce plan sous le plus grand secret.

L'adresse des Infaillibilistes a recueilli jusqu'à 400 signatures, et aurait, me dit-on, été présentée au Pape le samedi dernier. L'adresse de l'opposition doit étre présentée dans quelques jours.

Aujourd'hui, lundi, il y a séance du Concile. C'est encore Monseigneur Strossmayer qui défendra Monseigneur Darboy et Dupanloup contre les attaques des évéques ultramontains français. Il s'est chargé de cette défense pour avoir occasion de dire des choses qu'un ne lui permettrait pas de proférer s'il en parlait d'une manière abstraite et absolue.

(l) .l!:d. in TAMBORRA, pp. 232-233.

(l) Parola mancante nell'originale perché evidentemente offensiva per Vittorio Emanuele Il.

211

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (1,

L. P. 5. Roma, 25 gennaio 1870.

Bien que ne sache pas si je pourrai envoyer immédiatement cett; lettre à

V. E., je l'écris néanmois pour fixer les impressions du jour.

L'événement du jour est encore un discours de Monseigneur S~tossmayer prononcé dans la séance d'hier. Hier soir on ne parlait dans la société que de ce discours, et aujourd'hui on en parle en public, avec une admiration, un enthousiasme meme, qu'on croirait impossible en matière de théologie. Les éveques les plus illustres, français, allemands et américains viennent le féliciter; on le choie, l'embrasse, le flatt, l'appelle le S. Ambroise et le S. Jean Chrysostome de ce Concile: il est sans contredit le personnage le plus important du Concile, et il para1t que l'histoire du Concile du Vatican sera essentiellement l'histoire de Monseigneur Strossmayer. Un personnage doué de moins d'esprit et de fermété risquerait de s'énivrer de toutes ces amabilités et de ces hommages extraordinaires; Monseigneur Strossmayer cependant ne perd pas un instant sa conterranee et son humilité et n'y cherche que l'encouragement à continuer le chemin sur lequel il s'est mis avec tant de succès.

Le discours de Monseigneur Strossmayer est le plus hardi qui ait encore été prononcé au Concile. Il s'agissait d'affaires de discipline ecclésiastique et des devoirs des éveques. L'orateur a saisi occasion pour poser résolument la question de réforme in capite et membris, question effleurée naguère par le Cardinal prince Schwarzenberg. La réforme, dit-il, ne saurait se limiter à l'épiscopat; elle doit embrasser tous les rangs de la hiérarchie sans exception aucune. La papauté qui à présent est une institution italienne doit devenir une institution universelle, mondiale, pour réacquerir son influence spirituelle sur le monde. Le Cardinalat doit aussi etre universalisé de sorte que toutes les nationalités catholiques y soient représentées à mesure de leur grandeur et importance. Il a insistè sur l'exécution du « decretum perpetuum » du Concile de Constance qui ordonne que de dix à dix ans soit convoqué un Concile écuménique, un commendement dont l'accomplissement la Providence elle-meme parait vouloir faciliter par l'immense progrès de la civilisation matérielle, par la célérité et la sécurité des nouveaux moyens de communication. Les Conciles périodiques devraient servir aux peuples modernes, qui jouissent de constitutions représentatives et discutent en pleine liberté leurs affaires politiques et sociales dans des assemblées parlementaires, d'exemple édifiant, comment il faudrait traiter les affaires les plus importantes, avec grandeur, liberté, patience, charité, modération et persévérance. Dans les temps anciens lorsque les synodes étaient plus fréquents, l'Eglise fut par cette institution l'institutrice des peuples en leur enseignant la manière de traiter avec succès leurs affaires en assemblées délibératives; et l'Eglise ne doit pas renoncer à sa tàche de rester à jamais l'institutrice de peuples. Passant au Schème en discussion, Monseigneur Strossmayer, insiste su la réforme du mode de la nomination des éveques pour que les Conciles provinciaux prennent une part

active à la présentation des candidats de la dignité épiscopale. Il blama avec de sévères paroles et avec des arguments irréfutables ceux qui prechent le divorce entre l'Eglise et la société civile, et déclara etre convaincu que l'Eglise doit chercher désormais les garanties extérieures de sa liberté exclusivement et uniquement dans les libertés poliques des peuples, et les garanties intérieures dans le mode proposé de nomination des éveques lequel a dans le temps donné à l'Eglise des éveques tels que S. Jean Bouche-d'or, S. Anselme etc. Il a produit une touchante émotion sur les Pères, lorsque Monseigneur Strossmayer s'est écrié qu'il faut souhaitér que le pouvoir supreme de l'Eglise prenne la place là où le Seigneur l'a préparée à lui et à sa sainte autorité, à savoir dans la conscience et dans le coeur des peuples, et que cela n'arriver,a que lorsque la papauté aura cessé d'etre une institution exclusivement romaine.

Puis l'orateur passa à démontrer la nécessité de décentraliser l'Eglise et de lui rendre ses droits naturels aujourd'hui confisqués au profit d'une monotone uniformité qui repousse les peuples de Rome. Il cita, à l'appui de cette thèse, des exemples qui ont vivement étonné l'auditoire et s'écria que, si ce sistème continue a fonctionner, non seulement il faut renoncer à l'espoir de reconcilier l'Eglise orientale, mais qu'on risque de provoquer des schismes nouveaux et de nouveaux dangers pour l'Eglise.

Il parla enfin du Corps Juris Canonici actuel, démontra que ce code était une oeuvre de véritable confusion babylonienne, un amas de canons pour la plupart fausses, interpolés et apocryphes, et dit que le monde entier attendait du Concile actuel qu'il en finissait avec cette confusion en substituant au Code actuel une Codification nouvelle et conscienseusement rédigée, non par des théologiens et canonistes romains mais par un comité composé des plus illustres et des plus autorisés savants de toutes les nations du monde catholique.

On me dit et je le crois bien que l'impression de ce remarquable discours prononcé avec l'éloquence, la verve et la férmeté qu'on connait à Monseigneur Strossmayer et dans un latin classique qui a ravi l'auditoire, fut immense. Les cardinaux présidant la congrégation étaient eux-memes sous l'impression de son éloquence qu'ils n'ont osé l'interrompre, et meme l'éveque de Moulins Monseigneur Dreux-Brézé, dont les attaques violents contre Monseigneur Darboy et Dupanloup ont donné à Monseigneur Strossmayer occasion de défendre les deux plus illustres éveques français, s'est approché de Monseigneur Strossmayer en se félicitant d'avoir trouvé un adversaire si élevé et si éloquent et d'avoir provoqué cet admirabile discours. Les applaudissements n'ont fait défaut qu'à cause d'un monitorium intimé aux Pères et défendant toute manifestation de leur part, mais dans l'après-midi grand nombre d'éveques français, américains et orientaux se sont rendus chez Monseigneur Strossmayer pour le féliciter et lui exprimer leur admiration, quelques uns dans leur enthousiasme lui baisèrent la main.

Après cet important discours qui a duré presque deux heures, la séance doit etre levée parce que personne n'a voulu écouter d'autres orateurs. Dans la séance d'aujourd'hui le Cardinal di Pietro a pris la parole pour prononcer un bref discours dont personne n'a saisi le but. Il a comblé Monseigneur Strossmayer d'éloges et de compliments et paraissait vouloir défendre le Collège de Cardinaux que Monseigneur Strossmayer n'avait pas expressément attaqué. Après cet éloge des

Cardinaux, le Cardinal di Pietro s'est tu. Son discours est l'enigma du jour et tout le monde en cherche la solution sans en avoir encore trouvé aucune.

L'adresse de l'opposition contre le réglement vient d'ètre publiée dans la Gazette Universelle de Augsbourg qui dans quelques jours portera aussi l'adresse de l'opposition contre l'infaillibilité pontificale, présentée au pape il y a quelques jours avec 140 signatures environ. Presque 200 évèques, qui ne l'ont pas signée, ont déclaré cependant qu'ils s'associeraient à l'opposition, et parleraient et voteraient contre l'infaillibilité. Ainsi, jusqu'à présent, tout va à souhait.

(1) Ed. In TAMBORRA, pp. 233-235.

212

IL REGGENTE L'AGENZIA E CONSOLATO GENERALE A BUCAREST, GLORIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 128. Bucarest, 28 gennaio 1870 (per. il 6 febbraio).

Malgrado il desiderio più volte espresso dal Governo rumeno, gli agenti di Francia, Austria e d'Inghilterra, continuando sempre a servirsi della parola Principati Uniti invece di quella di Rumania per designare questo paese, il signor Catargi Ministro degli Affari Esteri del Principe Carlo, ordinò ultimamente all'Agente rumeno a Costantinopoli di fare dei passi presso la Sublime Porta onde ottenere da essa il cambiamento desiderato di denominazione.

Nello stesso tempo credette bene di dirigere agli Agenti Esteri la circolare qui unita in copia onde ciò ottenere dai rispettivi loro Governi.

Non so ancora quali disposizioni abbiano prese gli altri agenti, ma per conto nostro questa questione può dirsi praticamente quasi risolta poiché fin dall'arrivo del Principe Carlo nel paese, fu uso di questa Agenzia di impiegare molto più sovente di qualunque altra la parola Rumenia quando trattavasi di designare questo paese nei rapporti col Governo di esso. Ad ogni buon fine però unendo quivi come già dissi la traduzione di questa circolare prego l'E. V. a volermi porre in grado di dare a questo Ministero una risposta alla sua nota.

ALLEGATO

CATARGI A GLORIA

J'ai l'honneur de vous communiquer le désir du Gouvernement Princier de voir donner désormais à notre pays dans ses relations internationales le titre de Roumanie usité déjà dans le actes intérieurs conformément à la constitution en vigueur et admis meme à l'étranger dans plusieures circonstances solennelles.

L'ancienne dénomination de Principautés Unies de Moldavie et de Valachie n'a plus en effet sa raison d'étre depuis que l'union reconnue par toutes les puissances camme un fait permanent a confondu les deux Principautés en un seui état placé sous la souveraineté de S. A.R. le Prince Charles et de sa dinastie.

Convaincu de la légitimité des motifs qui dictent cette revendication je ne doute pas, M. le Comte, que vous ne vouliez bien interposer vos bons offices auprès du Gouvernement que vous représentez pour le rendre favorable à notre désir et le décider a y donner son adhésion.

La bienveillance que le Gouvernement royal a toujours temoignée à notre pays, me fait espérer que non seulement aucune objection ne sera opposée à cette juste demande mais encore que le Gouvernement royal appuiera auprès de la Sublime Porte la démarche identique que notre Agent a été autorisé de faire à Constantinople.

213

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2038. Pietroburgo, 29 gennaio 1870, ore 15,15 (per. ore 18,47).

Le prince Gortchakoff vient de faire des démarches très pressantes près des grandes puissances (l) contre l'intervention de la Porte dans le Monténégro. II vous serait reconnaissant si vous vouliez donner instructions semblables à notre représentant à Constantinople. Détails par poste.

214

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 130. Pietroburgo, 29 gennaio 1870 (per. il 5 febbraio).

Il Principe Gortchakow mi diede lettura dei dispacci da lui diretti ai rappresentanti della Russia a Vienna a Berlino a Londra ed a Parigi (2) per reclamare i buoni ufficii di quei Governi contro la minacciosa intervenzione delle truppe Ottomane nel Montenegro. Il Cancelliere Imperiale considera questo fatto come gravissimo, ed esprime i suoi più vivi timori che essa non abbia a compromettere seriamente la pace europea, perciocché le truppe del Sultano messe così imprudentemente in presenza dei Montenegrini potrebbero generare una di quelle fatali congiunture nelle quali, attesa la irritazione degli animi, i fucili potrebbero, secondo che Egli si esprime, partir da sé soli.

Le ragioni o vogliamo il colorito pretesto che adduce la Porta per giustificare tale improvvisa risoluzione san quelle della vertenza dei pascoli nel territorio della Montagna Nera, e della agitazione fomentata dai comitati bulgari. Quanto al primo punto il Gabinetto russo avvisa che il diritto stia dalla parte del Principe Niccolò, le convenzioni passate fra i due Governi avendo conceduto ai sudditi di quello il diritto di pascolare sulle terre controverse, ma facendo luogo alle considerazioni strategiche non dissentirebbe dal consigliare qualche concessione in via di amichevole componimento. La transazione proposta dalla Francia di un compenso in denaro né l'altra di uno scambio di territorio non parrebbero al Governo di Russia sopperire al bisogno, come quelle che non impedirebbero alla popolazione l'uso di un diritto inveterato a malgrado dell'ostacolo che vi opporrebbe il Principe stesso. Propone invece il Cancelliere Imperiale che si lasci libero l'uso suddetto a norma della convenzione antecedente, ma si ponga inoltre la condizione al Montegro di non farvi fortificazione di sorta o apparecchio di guerra.

Cosiffatta proposta svolge il diplomatico russo con alquanto più d'insistenza nella nota destinata al Conte di Beust, massime che il Cancelliere austro-ungarico aveva già fatto pervenire al Governo di Pietroburgo l'espressione della sua riconoscenza per l'attitudine saggia ed imparziale tenuta dall'Amministrazione di Cettigne mentre durò in tutte le sue fasi l'insurrezione dalmata, mercè gli efficaci adoperamenti e la pressione esercitata su di essa dalla Corte di Russia.

Rispetto poi alla agitazione bulgarica allegata dal Divano Imperiale come ragione sussidiaria all'invio di una forza così straordinaria come quella di 25 Battaglioni per la Bosnia sul territorio montenegrino, il diplomatico russo nota l'opera dei comitati in Bulgaria aver sempre esistito né ora più di prima esser divenuta pericolosa: i due più importanti fra questi comitati sono, a detta del Principe Gortchacow, quello di Bucarest e quello di Galatz; il primo, Egli dice, non doversi risguardare come troppo temibile per l'ordine costituito nella penisola dei Balcani, perciocché esso è composto di uomini poco arditi ed intraprendenti; ma il m€desimo non è da dire di quello che si riunisce in Galatz in cui convengono uomini appartenenti alla demagogia universale di Europa e reclutati più specialmente fra la gente polacca, tutti in aperta ostilità col Console russo quivi. dimorante.

Nelle lettere indirizzate ai rappresentanti di Londra e di Parigi, il Ministro dello Czar, oltre le considerazioni comuni, accenna poi particolarmente alle dichiarazioni pacifiche e conciliative già prima fatte dal conte Daru ed all'accordo stabilito con Lord Clarendon nel colloquio di Ouchy sovra i punti più importanti dell'ordinamento internazionale. Sollecitato conseguentemente dai grandi potenti una rigorosa e concorde risoluzione perché un capriccio sul Bosforo (un caprice sur le Bosphore) non ponga a repentaglio la pace europea, e perchè il Governo del Sultano inanimito dalla troppo facile fortuna che la compiacenza della diplomazia occidentale gli ha procacciata nella vertenza di Grecia e testé in quella di Egitto non abbia ad abusarne in guisa di far nascere un qualche malaugurato incidente, le cui perniciose conseguenze la saviezza dei Governi civili non sarebbe poi valevole ad impedire.

Una comunicazione verbale sul medesimo andare delle cose infrascritte fu fatta altresì dal Cancellier Imperiale ai rappresentanti in Pietroburgo delle Corti anzidette, ed a me ancora Egli espresse il desiderio che dietro questa mia partecipazione Ella, Signor Ministro, conformandosi a quella politica di pacifico intervenimento che la Russia si aspetta indistintamente dalle Potenze amiche in Oriente, voglia far pervenire al nostro Inviato in Constantinopoli istruzioni intese a moderare i risentimenti della Porta ed a cessare la possibilità di un

conflitto.

Ignoro fino a quest'ora quale sia stata la risposta dei Gabinetti di Vienna di Londra e di Berlino; ma per alcune indicazioni già fornitemi dal Principe Cancelliere e dal Generale Fleury, arguisco che quella della Francia già ricevuta dal suo Ambasciatore sia di tal natura da dovere appagare i desiderii della Cancelleria Russa, e calmare le sue apprensioni.

Avrò cura di tener dietro al successo di queste pratiche e d'informarne il R. Governo per quanto riescirà a mia cognizione. Accuso intanto ricevuta all'E. V. dei dispacci di questa serie n. 64, 65, 66 in data del 6 settembre ultimo,

9 e 14 gennaio corrente (l) nonché di n. 44 documenti diplomatici e di n. 6 sulla serie del Concilio, nonché del dispaccio, divisione politica, dell'8 gennaio corrente relativo alla nomina del Conte Papadopoli (2).

(l) -Cfr. n. 214. Il presente telegramma fu ritrasmesso a Costantinopoli con t. 1062 del 1° febbraio con la richiesta di informazioni in proposito. Per la risposta di Barbolani cfr. nn. 225 e 226. (2) -Annotazione a margine: «Perché non a Firenze?».
215

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (3)

L. P. Parigi, 29 gennaio 1870.

Per avere agio a discutere un po' a lungo col signor Ollivier, il cui tempo è in questo momento quasi interamente occupato dalle discussioni parlamentari, lo pregai di venire a pranzo da me ieri insieme col Principe Napoleone. Egli ci venne difatti, e dopo pranzo ho potuto intrattenerlo particolarmente. Riassumo in breve i punti principali della conversazione che ebbi col nuovo Guardasigilli dell'Imperatore.

Dissi anzitutto al signor Ollivier che la lettera del Boigne, pubblicata nei giornali francesi e poi negl'italiani, e non contraddetta, aveva prodotta in Italia una ben cattiva impressione e vi aveva risollevato la questione romana, sulla quale per opera specialmente del partito moderato e mercè il senso politico delle nostre popolazioni, s'era fatto da molto tempo un silenzio salutare nella nostra stampa e nel nostro parlamento. Gli domandai quindi se potesse darmi qualche assicurazione di natura tale che valesse ad attenuare il significato delle dichiarazioni contenute nella lettera del De Boigne e quali fossero in sostanza gl'intendimenti del Governo Imperiale intorno alla questione del mantenimento o della cessazione dell'occupazione francese a Civitavecchia. Io dissi queste cose al signor Ollivier in modo un po' meno succinto di quanto vi riferisco qui, e le dissi nel tuono famigliare che era consentito dalle relazioni già lunghe e sempre amichevoli che ebbi ed ho con quest'uomo di Stato. La risposta del signor Ollivier fu in sostanza: che la conversazione ch'egli aveva avuto col De Boigne era una conversazione privata, la quale aveva avuto luogo prima ancora che fosse Ministro, che essa quindi non poteva costituire un impegno pubblico ed ufficiale del Governo, e che sarebbe cosa insolita e pericolosa, che una conversazione svestita d'ogni carattere ufficiale e d'indole privata, venisse presa a testo e a fondamento d'una discussione pubblica e sovratutto d'una discussione internazionale. «Nel dir ciò, soggiunse il signor Ollivier, è ben inteso che mi riferisco alla possibilità d'interpellanze che potrebbero farsi in seno al Parlamento in Francia ed in Italia e non già alla conversazione confidenziale che abbiamo in questo momento».

Rispondendo più specialmente alla mia domanda, il signor Ollivier mi disse che poteva assicurarmi che le sue simpatie, ben conosciute, per l'Italia, non

{l) Non pubblicati.

19 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. XII

erano venute meno dacché era diventato Ministro dell'Imperatore e che non verrebbero meno per l'avvenire, che il suo vivo desiderio, conforme del resto a quello dell'Imperatore, era di far ritirare le truppe da Civitavecchia appena le circostanze generali in Italia e in Francia l'avrebbero consentito, cioè a dire quando l'opinione pubblica, specialmente in Francia, e la maggioranza della Camera, colla quale il Ministero ora costituito doveva contare, avranno acquistato la fiducia che il ritiro si può operare senza pericolo per la Santa Sede. «Questa fiducia, disse il signor Ollivier, può averla più o meno l'Imperatore e sono disposto ad averla anch'io. Ma non l'hanno né i miei colleghi, né la Camera. Se io acquisterò, come spero, e come sinceramente desidero, un'influenza considerevole nei consigli della Corona, nella Camera e nel Paese, mi studierò d'ingenerare questa fiducia ed allora si potrà avvisare al modo di far ritorno all'esecuzione della Convenzione di settembre. Ma in questo momento se ci spingete a pronunciarci, mettete me in una situazione difficile, senza ottenere altro se non che la conferma, più accentuata, d'un rifiuto più o meno mitigato da forme cortesi, ma non meno reciso».

Risposi dicendo che nelle questioni politiche e specialmente nelle internazionali non si potevano ammettere come ragioni le impressioni e i sentimenti, ma i fatti e gli impegni fondati sulla realtà. Soggiunsi che noi non mettevamo innanzi asseveranze e assicurazioni e proteste, ma fatti, cioè l'impegno reciproco risultante dalla Convenzione, il pagamento del debito pontificio, la disapprovazione generale in Italia dei fatti che condussero a Mentana, e la calma che da quell'epoca nefasta in poi s'era prodotta nella penisola, e finalmente i nostri tentativi per costituire un modus vivendi colla Corte di Roma.

La conversazione rimase a questo punto. Né poteva procedere utilmente in presenza dell'attitudine netta e decisa della maggioranza della Camera e del Ministero, attitudine affatto avversa al ritiro delle truppe per ora. Non giova lo illuderci. II movimento operatosi in Francia e di cui il nuovo Ministero è il risultato è un movimento nel senso delle idee orleaniste; dico delle idee, giacché non è questione qui della dinastia. Ora questo movimento non è favorevole alle simpatie italiane. L'Imperatore e il signor Ollivier sono i soli che ci siano favorevoli, gli altri appartengono alla scuola che considerò la costituzione del Regno d'Italia come un errore del Governo Imperiale. Non dico con ciò che essi vogliano ora osteggiare questo fatto. Sono uomini onesti. Hanno accettato i fatti compiuti, e son certo che li rispetteranno scrupolosamente. D'altro lato, non riempirei il mio ufficio di coscienzioso e fedele osservatore, se tacessi che qui dura viva e fresca la memoria del tentativo, consentito e aiutato dal Governo d'allora, di Garibaldi contro Roma, tentativo che forzò la Francia ripugnante a rinviare le sue truppe in Italia pochi mesi dopo che ne erano partite. Né s'ignora qui che or volgono appena poche settimane ci fu la possibilità che il Governo dello Stato cadesse di nuovo nelle mani di chi aveva provocato quei fatti dolorosi. Ma lascio queste tristi considerazioni. Noi siamo in presenza di un fatto incontestabile, quali che ne siano le cause. L'Imperatore è ormai legato dall'azione parlamentare, e non vorrà né potrà sciogliersene. La grande maggioranza della Camera, e del Ministero che ne è la recente e viva espressione, è risoluta a non volere per ora il ritiro delle truppe. Finché questo stato di cose non sia sostanzialmente mutato per un fatto o per una serie di fatti interni od esterni, non è a sperare che si possa ottenere una soluzione parziale o generale della questione romana.

Mi si dice che il Ministro Imperiale degli Affari Esteri, inquieto della direzione che tende a prendere il Concilio intorno alla questione dell'infallibilità del Papa, abbia scritto al Marchese di Banneville dichiarando che l'adozione del dogma dell'infallibilità potrebbe aver per risultato il ritiro delle truppe. Se ciò fosse vero, io deplorerei che una questione la cui soluzione è portata da una clausola di Convenzione internazionale qual è quella del ritiro delle truppe, fosse subordinata a tale o a tale altra decisione conciliare. Io non volli interpellare in proposito il signor Daru, né Io farò prima d'aver avuto vostre istruzioni. Una interpellanza di questo genere mi condurrebbe necessariamente ad entrare nel bel mezzo della questione del ritiro delle truppe, e non voglio compromettere con un passo precipitato le risoluzioni che sarete a prendere in proposito.

Ollivier mi disse che in questi ultimi giorni Rattazzi, che io non vidi, era andato a fargli visita. La visita durò pochi minuti e Ollivier mi disse che aveva osservato nel suo linguaggio la massima riserva. Egli mi aggiunse però che in nessun modo R. poteva autorizzarsi del suo nome, e che il solo in Italia che potesse far ciò era il Barone Ricasoli, con cui da lungo tempo è legato da vincoli d'amicizia, di stima, e in generale da conformità di opinioni.

(2) -Non pubblicato. (3) -Da AVV.
216

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 6. Roma, 29 gennaio 1870.

Si depuis quatre jours je n'ai pas écrit a V. E., c'est que jusqu'à Iundi prochain, 31 janvier, je n'aurai pas d'occasion sure pour Florence et que, pour des raisons aisées à comprendre, je ne puis garder des dépéches chez moi. Toute la diplomatie étrangère se trouve dans le mème embarras que moi, et M. d'Arnim comme Iord Acton font chercher dans des hòtels des personnes auxquelles ils pourraient confier des plis ou des télégrammes à expédier de Narni ou de Terni, quand ils n'ont pas de courrier particulier. Je prends donc encore une fois la liberté de dire à V. E. que seulement l'organisation d'un service de courrier particulier pourra rendre véritablement utiles Ies services que, par une faveur exceptionnelle de circonstances, je me crois en mesure de promettre à V. E. C'est pour cela que je viens ·prier V. E. de vouloir bien m'informer si les renseignements que jusqu'à présent j'ai eu l'honneur de Lui transmettre, Lui paraissent assez importants, ou du moins assez intéressants, pour prolonger mon séjour de Rome durant le Concile. Dans ce cas je prierais V. E. de m'autoriser à retourner à Florence pour un jour ou deux, afin de Lui faire un rapport verbal

sur des choses et des circonstances dont il m'est impossible d'écrire, et de repartir pour Rome avec ma femme et mes enfants dont je ne saurais me passer longtemps. Dans le cas cependant que V. E. ne jugerait pas utile ou opportun de prolonger mon séjour de Rome, je La prierais respectueusement de me donner les ordres que je devrai et pourrai remplir pendant un bref espace de temps pour que je puisse retourner à Florence après de m'en etre acquitté de mon mieux et avec tant de dévouement que V. E. me connait.

Les derniers jours, les nouvelles étaient aussi rares qu'insignifiantes. Aujourd'hui j'ai appris que l'adresse de l'opposition contre l'infaillibilité pontificale a été envoyée au Pape par l'intermédiaire de Monseigneur Pacca, son Majordome, mais que Sa Sainteté a refusé de l'accepter et l'a, ce matin meme, renvoyée au Cardinal Rauscher en l'informant simplement du refus du Saint-Père sans alléguer aucun motif. Les signataires de l'adresse ne s'y étaient pas attendus. Le cardinal Rauscher a immédiatement convoqué la Conférence nationale des éveques allemands et autrichiens pour en délibérer. La Conférence s'est assemblée à midi, et a suspendu toute discussion pour laisser aux autres Conférences nationales le temps de discuter; on croit que l'affaire sera de toutes les Conférences nationales dévolue au Comité international. Ce qui parait sur c'est que les adversaires de l'infaillibilité ne céderont pas, le refus de l'adresse n'empéchera pas la discussion et plus de 200 évèques se sont déjà engagés à prendre part à la discussion pour combattre la prétention du Vatican. Tout en faisant abstraction de motifs religieux et d'intérets ecclésiastiques, le sentiment de dignité et d'amour propre des éveques est trop cruellement... (l) pour leur permettre de subir cette avanie.

Parmi les évèques allemands ultramontains quelques uns disent que le Pape, irrité de l'adresse de l'opposition, songe sérieusement à surprendre le Concile par la menace d'un ajournement indéfini. Comme cependant l'opposition déclare tout haut que rien ne lui serait plus agréable qu'un ajournement indéfini qui signifierait la fin du ConcHe, il est assez difficile d'admettre que les deux partis adversaires se soient rencontrés dans cette idée. Il faut donc prendre ce bruit pour ce qu'il vaut.

Les dernières séances du Concile continuaient la discusslon d'affaires disciplinaires. Elles n'en étaient pas moins orageuses. Monseigneur Verot, éveque américain, a si résolument attaqué le Bréviaire romain, qu'il fut trois fois rappelé à l'ordre. Il se déclara « profondement scandalisé » de certaines légendes faussées, adultérées, interpolées et contraires à l'histoire, à la tradition ecclésiastiques et à la raison. Il se moquait de la légende du Breviaire qui enseigne la fable du bapteme de l'lmpereur Constantin à Rome tandis que tout le monde érudit sait que c'est faux; il prit à partie S. Grégoire le Grand qui parle du tonnerre comme d'un prodige du jugement dernier au grand scandale de tout le monde qui connait les lois physiques; il déclara enfin que la lecture du Bréviaire est de pure perte de temps et rien moins qu'édifiante ou utile. C'était trop; o n lui ordonna de se taire. Il repondit qu'en se taisant il voulait donner une marque d'obéissance, mais qu'il maintenait toute ses objections. Le primat

de Hongrie, Archeveque Simor, a parlé de mamere à autoriser les soupçons que la promesse du chapeau rouge lui est montée à la tete: la perte ne serait pas trop sensible cependant.

Les cercles cléricaux sont très-satisfaits d'un article du Constitutionnel d'après lequel le nouveau ministère français aurait déclaré que l'occupation française de l'Etat pontificai durerait tant que le parlement italien n'aurait retiré son vote de Rome-Capitale et n'y aurait formellement renoncé. Cette déclaration pourrait sauver le système parlementaire de l'anathème que lui inflige le Syllabus. On parle avec beaucoup de sympathie de MM. Ollivier et Daru et fait éloge de leur pitié et de leur dévouement pour la Saint-Siège. J'ai sujet de croire que l'Abbé Liszt, beau-père de M. Ollivier et hypocrite s'il en fiìt, travaille dans la haute société de Rome pour «populariser » son gendre.

La publication des adresses de l'opposition contre le règlement du Concile et contre l'infaillibilité du Pape a attiré sur la Gazette Universelle d'Augsbourg tout le courroux du Vatican. On soupçonne -à tort cependant -le cardinal Hohenlohe d'etre l'auteur de cette terrible indiscretion par complaisance pour son frère, le ministre bavarois. Le cardinal Hohenlohe, jadis thaumaturge, a passé dans le camp de l'opposition et est ensuite taquiné de toutes façons; mais il tient bon et rend à l'opposition des services signalés.

La mort de l'ex grand-due de Toscane arrivée cette nuit, n'a pas trop impressionné le Pape, a ce qu'on me dit: « Pauvre bete, il ne pouvait plus rien faire pour nous, mais je dirai une messe pour lui»; voilà son oraison funèbre.

(l) Ed. in TAMBORRA, pp. 235-237.

(l) La parola manca nell'originale.

217

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 7. Roma, 30 gennaio 1870.

Hier, samedi, soir je me suis rencontré en société avec le Cardinal Mathieu, l'archevéque de Paris et l'archevéque de Posen, Monseigneur comte Ledochowski étaient aussi de la partie. Le seul de ces Messieurs qui m'intéressait, c'était Monseigneur Darboy et comme je lui fus présenté, entre autres, à titre d'ami intime de Monseigneur Strossmayer et come ancien connaissance de Monseigneur Dupanloup, il était pour moi d'une très grande amabilité et m'a conduit chez lui. Malheureusement il vint, après une demie heure, d'autres visites et notre conversation animée et apparemment intime, dut étre interrompue, comme celle que j'ai eue avec l'éveque d'Orléans et dont j'ai rendu compte à V. E. dans ma dépeche n. 4 (2).

Monseigneur Darboy, plus calme que Monseigneur Dupanloup, plus mesuré dans ses expressions, était cependant d'une grande vivacité lorsque j'ai touché la question du séjour de Rome et de l'état primitif de ce gouvernement, forcé par des circonstances, indépendantes de sa volonté, de laisser faire et de tolérer des choses que son principe lui défendrait d'admettre, et d'en faire d'autres qui

sont en flagrante contradiction avec la civilisation moderne et avec les principes que meme les gouvernements du Tzar et du Sultan ne se refusent pas à respecter. Il m'a répondu qu'il louait la Providence d'avoir offert à l'épiscopat catholique cette occasion de voir Rome de plus près et d'étudier un état des choses politiques et religieuses qui n'a pas de semblable jusque dans le fond de l'Asie. « Nous débattons en ce moment, dit-H, quelques thèses, de ordinatione clericorum d'après Ies décrets de Trente. Vous allez voir que cela est de la plus palpitante actualité. Ici, le prètre fait tous Ies métiers excepté celui que lui impose le ConcHe de Trente. Monseigneur Randi délivre aux demandeurs Ies brevets pour fonder des maisons de tolérance; Monseigneur tel assiste tous les samedis en roquette et étole au tirage de la loterie à la piace Navona, et, il n'est pas Iongtemps, Monseigneur de Mérode assistait aux exercices de ses soldats et fournissait Ies brigands napolitains d'armes, de munitions et d'indulgences pour massacrer les soldats italiens. Est-celà la vocation, le métier de prete? Est-ce en France, en Amérique, en Allemagne le prete pourrait faire de la sorte sans encourir le bHìme, le mépris de tout le monde? Et ici, tout ça va de soi. C'est qu'ils ont à dessein corrompu, démoralisé cette population pour l'habituer à tous leurs métiers. J'ai honte d'en parler, mais par devoir de conscience, j'en parlerai au ConcHe un de ces jours, je leur ferai avaler des couleuvres. Je me sens dégradé, comme homme et comme pretre, des choses que je vois ici à chaque pas que je fais. Je suis l'évèque de la ville qui passe pour la plus dépravée de toutes Ies parties du globe, mais, par Dieu et ma conscience! Paris vaut mieux que Rome, et je l'ai dit au Saint-Père... Et voilà Rome qui veut reformer l'Eglise et la Société! L'ironie est sanglante... Je veux que le pretre s'occupe de l'Eglise, qu'il ne fasse pas le préfet de police, le surintendant de la Ioterie, le ministre d'armes. L'Eglise n'y a rien à faire, Ies choses de ce monde ne sont pas Ies siennes ». Et ainsi de sui te. Je n'ai noté que ses expressions les plus caractéris

tiques. C'est une conversation à reprendre.

Aujourd'hui dans la journée je n'ai rien appris de nouveau. Demain il Y a séance du Concile. Tout ce qu'on parle dans Ies journaux de décrets à confirmer età publier le 2 février prochain est faux; pas un seui décret n'est préparé et ne peut donc etre voté d'ici en trois jours.

(l) -Ed. in TAMBORRA, pp. 237-238. (2) -Cfr. n. 210.
218

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AI RAPPRESENTANTI DIPLOMATICI ALL'ESTERO

CIRCOLARE CONFIDENZIALE. Firenze, 31 gennaio 1870.

Colla Circolare del 5 Ottobre dello scorso anno (1), il mio Onorevole Predecessore ebbe cura di esporre alla S. V. quale era la condotta che il Governo del Re si proponeva di seguire nell'occasione del prossimo Concilio Ecumenico, quali erano i motivi pei quali esso intendeva lasciare piena libertà ai Vescovi Italiani

che si recavano a Roma, quali erano infine le considerazioni suggeritegli da un avvenimento reso doppiamente importante per noi dagli interessi che abbiamo comuni con tutti gli altri Governi civili, e da quelli che più specialmente si riferiscono alla rispettiva situazione politica del Governo Italiano e della Sede Romana.

La S. V. conosce pure in quale sistema di condotta la nuova amministrazione ha creduto di perseverare, dopo la riunione del Concilio.

Certo il Governo Italiano non poteva considerare con indifferenza un atto così grave come era la convocazione in Roma d'una generale Assemblea della Chiesa Cattolica. Esso ha seguitato sinora con attenta sollecitudine le prime fasi di questa riunione e non ha cessato dal manifestare i voti i più sinceri perché alcuna deliberazione del Concilio non venga ad aumentare in Italia un doloroso antagonismo tra il sentimento religioso e il sentimento nazionale, tra le regole della fede e le più legittime conquiste dello spirito umano. Ma nello stesso tempo noi eravamo convinti che la migliore salvaguardia contro ogni pericolo stava nel rimanere fedeli a quei principii di libertà che il Governo Italiano ha costantemente applicati ai rapporti della società civile e della società religiosa, separando le distinte ragioni delle due autorità in quella liberale misura che solo l'attitudine della Santa Sede verso l'Italia impedì di rendere ancora più larga.

In omaggio a questi principii, abbiamo, al pari degli altri Governi, riconosciuto opportuno che il potere laico non reclamasse una rappresentanza nel Concilio e ci siamo astenuti da ogni misura preventiva.

Quando anche la condotta tenuta dal Governo del Re non avesse ottenuto il consenso degli altri Governi, noi l'avremmo pur sempre reputata la più conforme allo spirito delle nostre istituzioni e alle condizioni morali e politiche della società italiana. Il Governo ne vede una prova nella calma dello spirito pubblico che le diverse passioni non hanno potuto, in alcun modo, turbare. Le coscienze cattoliche sono fatte pienamente sicure, nell'esercizio dei loro diritti, dal principio di libertà religiosa radicato nell'animo e nelle convinzioni degli Italiani. E alla lor volta, i più solleciti difensori della indipendenza del potere civile, sanno che vi sono leggi sufficienti per tutelare gli interessi politici dello Stato e le istituzioni nazionali e che il Governo è disposto, ove occorra, ad usarne coll'appoggio del Parlamento e del paese.

Ma il Governo del Re desidera vivamente di non essere posto di fronte a questa eventualità. Esso si associa con interesse e simpatia alla azione morale che alcuni Governi esercitano in Roma per far prevalere i consigli della moderazione e della prudenza.

Noi non cercheremo quale influenza conciliatrice spetterebbe in questa occasione all'Italia, se lo stato anormale di cose mantenuto dall'intervento estero, non impedisse quei naturali rapporti che la legge del tempo e delle cose avrebbe stabilito fra il Papato ed il paese ove esso ha la sua sede. Appunto perché la situazione speciale dell'Italia ci suggerisce di non impegnare la nostra azione se non in quella misura che le circostanze comportano, noi dobbiamo !imitarci a lasciare alla Santa Sede la piena responsabilità delle sue deliberazioni.

Ella sa, Illustrissimo Signore, che, fra le quistioni sottoposte al Concilio, la principale è quella che si riferisce alla definizione della infallibilità personale

del Pontefice. Non occorre ch'io insista sulla importanza che avrebbe questo atto, poiché l'infallibilità del Pontefice portando un considerevole mutamento nella costituzione interna della Chiesa, avrebbe nei futuri rapporti della Chiesa coi Governi delle conseguenze che è difficile a misurare fin d'ora.

Ella vorrà dunque, Illustrissimo Signore, nelle sue comunicazioni col Governo presso del quale è accreditato mantenere un utile scambio di idee e di informazioni sullo stadio attuale delle deliberazioni sottoposte all'Assemblea dei Vescovi, segnatamente per quanto concerne il dogma della infallibilità.

La conformità dei giudizi e delle dichiarazioni per parte dei Governi ebbe già, all'epoca in cui il Concilio stava per riunirsi una benefica influenza sulla opinione pubblica. Essa costituirà ancora, a nostro avviso, il mezzo morale e politico più opportuno per ovviare al pericolo che quel potere ecclesiastico di cui il Concilio è la più alta personificazione esca dalla legittima sfera delle sue attribuzioni. È questo un interesse comune a tutti i Governi che proteggono con eguale sollecitudine la causa della libertà civile e la causa della libertà religiosa.

(l) Cfr. serie I, vol. XI, n. 596.

219

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA (l)

L. P. Firenze, 31 gennaio 1870.

Riceverete con questa spedizione un dispaccio relativo al Concilio (2). Con questo dispaccio non mi propongo altro scopo che quello d'uno scambio di idee, d'informazioni e di previsioni di mano in mano che le circostanze lo consigliano. Per ora non abbiamo che a tenerci informati, da una parte, di quello che avviene in Roma e si delibera nel Concilio, dall'altra, di quello che pensano i Governi e si propongono di dire o di fare in date eventualità. * Per me penso che il miglior sistema nei rapporti colla Chiesa è sempre quello della libertà, e che la miglior condotta a seguirsi è quella di non esercitare un'azione ufficiale sulle deliberazioni del Concilio. Se in occasione del Concilio si è manifestato in seno della Chiesa un moto di idee indipendenti e di vigorose convinzioni superiore forse alle speranze e alle aspettazioni, io credo che si deva in buona parte alla attitudine di liberale astensione dalla parte dei Governi, al principio di libertà. Una pressione del potere civile avrebbe soffocato questo moto, ristabilita intorno al Pontefice una muta disciplina dei Vescovi i quali ora, non minacciatl da un lato, difendono dall'altro, contro la Curia Romana, la loro indipendenza.

L'azione dunque che possono esercitare in Roma i Governi deve essere molto cauta e misurata per lasciar alla attitudine dell'Episcopato saggiamente tutta intera la sua autorità morale e più misurata e più cauta ancora deve essere quella del Governo italiano sempre sospetto di intenzioni politiche ed ostili alla Corte Pontificia. Ciò non toglie per altro che a noi giovi di tenerci informati delle

disposizioni in cui si trovano i Governi, del modo con cui considerano le possibili eventualità dell'attitudine che, in dati casi, sarebbero disposti a prendere, per poter regolare la nostra stessa attitudine e, ove occorra, procedere a qualche concerto.

È un fatto degno di attenzione che in quella parte dell'Episcopato che si mostrò contrario alle tendenze estreme figuri un numero di Vescovi italiani non grande, di certo, ma superiore a quanto poteva aspettarsi. Sono sopratutto i Vescovi piemontesi che presero questa lodevole attitudine. Noi cerchiamo con molta prudenza, di incoraggiarli e di far loro conoscere che il Governo non considera con occhio indifferente la loro coraggiosa condotta. * I Vescovi francesi hanno dietro loro l'Impero, i tedeschi un'opinione cattolica colta e convinta, i Vescovi Italiani non hanno nulla di tutto ciò e se impararono a temer tutto dallo Stato, non impararono finora a sperare qualcosa da esso. Vi mando alcuni estratti di lettere e di corrispondenze da Roma alcuni de' quali assai interessanti. Vedrete da essi che * a noi pure giunse la notizia che il Conte Daru aveva minacciato il ritiro delle truppe se l'infallibilità era proclamata. Se la cosa è vera a me pure fa cattiva impressione il vedere il Governo francese negoziare, per così esprimermi, con altri e per altro mezzo l'oggetto d'un impegno internazionale coll'Italia. *

Mentre sto scrivendovi ricevo la vostra del 29 Gennajo (1). Avrò più tardi occasione di ritornare nel nostro privato carteggio sull'argomento di cui in essa si tratta, e vi scrivo ora di fretta perché tra un quarto d'ora devo recarmi a un Consiglio di Ministri. Per ora dunque siamo intesi. Noi non solleveremo ora in nessun modo ufficialmente la questione dell'occupazione francese, non prenderemo alcuna iniziativa per chiedere alla Francia di pronunciarsi. Se verrò interpellato alla Camera risponderò che noi adempiamo ai nostri impegni, che riteniamo anche che le condizioni indicate dalla Francia pel ritiro delle sue truppe siena verificate, che, per parte nostra, manteniamo questa situazione dalla quale attendiamo i suoi frutti, che in quanto alle trattative diplomatiche mi riserbo il giudizio del momento opportuno. Sono disposto a portare in questa grave questione la più grande moderazione, perchè credo che lo esigano anche gli interessi della nostra politica interna. Sono disposto a tener conto e delle circostanzE> passate e delle circostanze presenti in Francia e in Italia. Ma nello stesso tempo non mi nascondo che la condizione di cose creata da un trattato eseguito da una parte e non dall'altra non può protrarsi indefinitamente. Verrà un giorno nel quale il Governo italiano dovrà rivolgersi alla Francia per dirle «Voi credete che le circostanze non siena ancora tali da permettervi di far ritorno alla esecuzione riella Convenzione; noi non discutiamo i vostri apprezzamenti ma dichiariamo di sospendere per parte nostra gli effetti della Convenzione per quanto essa ci riguarda finché voi non reputiate giunto il momento di eseguirla negli obblighi che a voi si riferiscono.

Questo giorno non è prossimo, ma se da oggi a allora dureranno in Italia le stesse condizioni d'ordine e di stabilità che oggi vi esistono, l'opinione di tutta l'Europa sarà per noi.

(l) -Da AVV; i brani fra asterischi sono editi in Monr, pp. 441-442. (2) -Cfr. n. 218.

(l) Cfr. n. 215.

220

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 519. Berlino, 31 gennaio 1870 (per. il 3 febbraio).

Durant son séjour à Berlin, l'Archiduc Charles-Louis a été traité avec !es plus grands égards par les membres de la famille Royale. Chacun s'était donné le mot pour le combler de prévenances, et éviter toute allusion à un passé sur Iequel on ne peut en effet revenir sans éveiller bien des amertumes. Le Roi et la Reine se sont surtout appliqués à Lui marquer de toute manière combien sa visite Leur était agréable. De so n còté, l' Archiduc a fai t preuve de tact et de la plus parfaite courtoisie. Aussi de part et d'autre l'impression a été satisfaisante.

La Correspondance provinciale, journal officieux, dit que cette entrevue est une nouvelle garantie des rapports amicaux entre les deux Cours et les deux Etats. On ne saurait le nier, surtout si on rappoche ce langage de celui tenu récemment par le Comte de Beust dans la séance du 22 Janvier au Reichsrath: «Je puis constater avec satisfaction qu'il n'est pas un Gouvernement en Europe avec lequel nous n'ayons des relations paisibles et empreintes de confiance ».

Je n'ai pas besoin d'ajouter que c'est le fait à lui seul de la visite rendue per l'Archiduc à cette Cour qui a une certaine signification, car la politique ~st restée entièrement étrangère à ses entretiens avec le Roi et meme avec le 0omte de Bismarck, à moins qu'on ne veuille faire rentrer dans un tel cadre des assurances générales et réciproques de bon vouloir. D'ailleurs Son Altesse Imperiale n'a aucune prétention à jouer l'homme d'Etat, et la position qui lui est faite à Vienne où l'on respecte trop peut etre ses allures modestes, n'était pas de nature à encourager un échange de vues sur le domaine de la haute politique.

Comme je l'ai signalé maintes fois, outre la présence au Ministère du Comte de Beust dont la conversion, si conversion il y a, n'est acceptée que sous bénéfice d'inventaire, il existe toujours entre Vienne et Berlin un désaccord profond sur l'interprétation du Traité de Prague. Il est vrai que des dissentiments existent aussi avec le parti dominant dans les Chambres de Bavière pour les Traités d'alliance offensive et défensive. On s'y réserve toujours le droit de se prononcer sur le casus toederis qui ne se réaliserait jamais si on acceptait à Munich les vues du Cabinet de Vienne, avec lequel sur ce point du moins, sans oser l'avouer,

les Ultramontalns se trouvent instinctivement en communauté de désirs et des pensées. Il faut donc ramener à leur juste valeur les poignées de main que viennent de se donner la Cour de Prusse et la Cour d'Autriche. L'intention est sans doute amicale des deux còtés, mais il n'appartient ni aux Princes, ni aux Gouvernements -le voudraient-ils -de changer le cours nature! des choses. Or celui-ci pousse l'Allemagne vers l'unification, et ce mouvement finira meme par exercer une influence sur Ies populations allemandes de l'Empire Austro-Hongrois. Ce serait vraiment merveilleux que l'esprit de rancune -je ne veux pas dire de conservation -fùt tellement éteint chez lui, pour qu'il acceptàt tranquillement ces transformations. Il faudrait qu'il eùt le sentiment de l'irréparable. Ce sentiment certes

fait encore défaut au Chancelier de l'Empire, à ce que l'on assure, et plus encore à l'Armée, et à un de ses principaux Chefs, l'Archiduc Albert.

A propos de la crise ministérielle en Bavière, je n'ai pas besoin d'ajouter qu'on voit ici avec un vif regret que l'existence du Ministère Hohenlohe est des plus sérieusement menacées. On ne s'attendait pas certainement à ce qu'il marchàt résolument dans la voie de l'Union nationale, mais son passé, son caractère offraient des gages que sous son Administration on ne se prèterait à aucune menée anti-allemande. Sous ce rapport les adresses votées par le Parlement, surtout dans la Chambre des Députés, ne sont rien moins que rassurantes s'il devait en résulter un ministère dans les gouts de la majorité.

221

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. P. R. Firenze, 31 gennaio 1870 (per. il 2 febbraio).

Mi faccio premura di avvertire l'E. V. come mi venga riferito correr voce nei circoli diplomatici, di Roma, che il Conte Arnim, Ambasciatore Prussiano, avrebbe dichiarato al Cardinale Antonelli che, dato il caso di un ritiro delle truppe Francesi da Roma, la Confederazione del Nord sarebbe pronta a fornire alla Corte Pontificia un eguale e, al bisogno, maggior contingente.

A questa voce aggiungesi l'altra, che il Papa abbia interposto i suoi buoni uffici per far rinascere gli antichi accordi fra la Prussia e l'Austria, e ritiensi che sia per riuscire in questo suo scopo.

222

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2040. Costantinopoli, 1° febbraio 1870, ore 15,20 (per. ore 18,40).

Grand Vizir m'a dit que le Gouvernement ottoman n'avait en principe aucune objection contre la convention judiciaire conclue entre la Russie et la Roumanie. Il en objecte seulement la forme, c'est-à-dire qu'il la regarde comme nulle sans sa ratification. Il m'a déclaré que la Sublime Porte est prete à donner sa ratification à tonte convention conclue dans ce but sachant qu'il répugne au Gouvernement de la Roumanie de demander cette ratification. J'ai demandé au Granz Vizir s'il ne regarderait pas camme suffisant un protocole ou un échange de notes. Il m'a répondu que la Sublime Porte accepterait tout moyen d'arrangement qui sauvegarderait sa dignité et ses droits suzerains.

223

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AI MINISTRI A LONDRA, CADORNA, E A PARIGI, NIGRA

D. Firenze, 1° febbraio 1870.

Ella avrà certo saputo come il R. Incaricato d'Affari a Tangeri abbia interrotto le sue relazioni col Governo locale in seguito ad un incidente del quale hanno discorso, in termini meno esatti, i giornali, togliendone il racconto da una Gazzetta di Gibilterra.

Stimo utile di qui narrarle brevemente l'accaduto.

Certo Mohamed Ducaly, oriundo marocchino, figlio però di tale che aveva reso importanti servigi al Governo del Re, dopo aver goduto da grandissimo tempo della protezione sarda dapprima, e poscia italiana, chiese ed ottenne in questi ultimi mesi la nazionalità italiana.

Un suo zio paterno, certo Hamed Ducaly, suddito marocchino, accusato di aver favorito intrighi che si erano orditi tempo fa, a danno della guarnigione spagnuola di Ceuta, fu nel novembre scorso incarcerato nelle prigioni di Tangeri, sulla richiesta di quel Ministro di Spagna, Signor Merry y Colon. L'Hamed Ducaly era ed è tuttavia l'amministratore dei beni del nipote, le proprietà del quale sono anzi, per buona parte, indivise con quelle dello zio. Il Mohamed Ducaly supplicò adunque il R. Governo perché volesse estendere la sua protezione anche allo Hamed.

Una somiliante domanda non poteva essere accolta, e noi fu. Però, essendo indubbiamente dovuta al Mohamed, R. suddito, la piena tutela dei suoi interessi, fu scritto al R. Incaricato d'Affari al Marocco perché in tal senso si adoperasse. Nel tempo stesso fu fatto conoscere al Mohamed essere indispensabile, per evitare spiacevoli complicazioni ch'egli si affrettasse a liquidare le proprie ragioni ed a separarle da quelle dello zio.

Prima ancora che queste comunicazioni pervenissero al R. Incaricato d'Affari ed al Mohamed sopravvenne a Tangeri una complicazione.

L'Hamed Ducaly, infermo, continuava ad essere trattenuto nel carcere di Tangeri, né si aveva indizio che fosse per essere tradotto altrove. Ond'è che il R. Agente, in attesa delle istruzioni del R. Governo, si era astenuto dallo intromettersi nella vertenza, limitandosi solo a far notare al Governo locale, fin dai primi giorni della prigionia dello Hamed, il danno che ne sarebbe derivato al R. Suddito Mohamed, laddove fosse per esserne impedita una opportuna liquidazione dei reciproci interessi. Il R. Incaricato d'Affari, Iungi dal supporre che un nuovo atto del Governo locale sarebbe venuto ad aggravare la situazione, in [quei] giorni appunto si fece a visitare Larache, a due giorni e mezzo di cammino da Tangeri, la quale località aveva tralasciato nella ispezione compiuta nell'assumere il posto di R. Rappresentante al Marocco.

Il Cavalier Scovasso trovavasi da quattro giorni assente, allorquando un messaggio improvviso gli fece conoscere che l'Hamed Ducaly, malgrado l'in

fermità ond'era gravemente travagliato, veniva tradotto ad altra carcere nell'interno dell'Impero. Ed infatti, il cavalier Scovasso. accorso senza indugio, inerme ed accompagnato da un amico, incontrò a breve distanza da Tangeri l'Hamed, il quale, carico di ceppi e sfinito dalla febbre e dai patimenti, veniva trascinato sopra una mula da una scorta di quattro soldati e d'un capo. Alle osservazioni del cavalier Scovasse si arrese la scorta, e l'Hamed, dopo una notte di sofferenze passata in un villaggio delle vicinanze, poté l'indomani essere ricondotto a Tangeri. Il R. Incaricato d'Affari accompagnò il prigioniero fino alla residenza di S. E. Sidi Mohamed Bargash, primo Ministro marocchino, in presenza del quale due medici visitarono l'infermo e dichiararono che sarebbe certamente morto per via se lo si fosse trascinato a Fez od a Marmo.

Restituito per tal guisa il prigioniero nelle carceri di Tangeri, il R. Incaricato d'Affari diresse in data del 21 dicembre 1869, a S. E. Bargash, una nota nella quale, esposti brevemente i fatti e le ragioni del proprio operato, chiamava responsabile il Governo marocchino dei danni che avrebbero potuto derivare al R. Suddito Mohamed Ducaly dal trattamento che fosse per essere inflitto all'Hamed.

A sua volta il Ministro Bargash, faceva, con apposita Nota, espressa riserva dei diritti del Governo marocchino, reclamando contro l'immistione del

R. Incaricato d'Affari. Ond'è che il cavaliere Scovasso facevasi novellamente a spiegare l'indole del suo intervento, ed a protestare pel pregiudizio cui sarebbe per recare al R. Suddito Mohamed l'allontanamento intempestivo dell'Hamed da Tangeri. In questa ultima Nota che è del 23 dicembre, il R. Incaricato d'Affari stabilisce in termini precisi la salvaguardia degli interessi del Mohamed essere il movente esclusivo della sua condotta, ed in prova della lealtà delle sue intenzioni, offre spontaneo la propria cooperazione per quei provvedimenti che si fossero stimati atti ad affrettare la liquidazione degli interessi tuttora comuni tra lo zio, suddito marocchino, ed il nipote, suddito italiano.

L'autorità marocchina non rispose nulla a quelle giuste domande del R. Agente che erano dirette alla pura e semplice tutela dei diritti del suddito italiano Mohamed. Pochi giorni di poi, l'Hamed Ducaly veniva tradotto senza più in un'altra prigione dell'interno dell'Impero. A fronte di così inaspettato procedere, il R. Incaricato d'Affari stimò conveniente di interrompere ogni rapporto officiale col ministro Bargash, ammainando la bandiera della Legazione e facendo conoscere al Ministro stesso, per mezzo del R. Vice Console, le ragioni che lo spingevano a cosi fare. Astenendosi per tal guisa da ogni rapporto ulteriore col Governo locale, il cavaliere Scovasso ebbe in animo di declinare, in forma solenne, ogni responsabilità dei danni che fossero per essere cagionati al R. suddito Mohamed Ducaly.

n Governo del Re, riuniti diligentemente tutti gli elementi di fatto della vertenza, sta ora adoperandosi per giungere ad un giusto componimento. Siffatto compito gli sarà, per avventura, agevolato dai buoni officii del Governo spagnuolo, l'intromissione del quale, in mancanza di rapporti diretti col Governo marocchino, parve essere la più opportuna. Siccome poi lo scopo al quale tende il R. Governo continua ad essere quello che fu fin da principio.

ossia la salvaguardia degli interessi del R. suddito Mohamed, così è a sperare che non si tarderà a rinvenire i termini di una soluzione reciprocamente onorevole e conveniente (1).

224

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, ALL'ONOREVOLE BERTI (l)

L. P. [Firenze], 1° febbraio 1870.

Giacché hai deciso di recarti a Roma per i tuoi studi storici, mi approfitto di questa occasione, per pregarti di volere indagare attentamente le cose del Concilio ecumenico, onde conoscere le questioni più importanti che vi si vogliono trattare, la loro relazione cogli interessi morali e politici d'Italia, la discrepanza delle opinioni fra l'episcopato convocato colà, e massime il modo di pensare sopra di esse da parte dei prelati italiani.

Lo schema della infallibilità pare sia quello che predomini sopra ogni altra questione e che sia anche l'argomento sul quale siasi palesato il maggiore dissenso fra i prelati colà convenuti. I Governi civili non possono neppur rimanere indifferenti alla soluzione di quella questione, per il riflesso che può avere sui rapporti tra il Papato e lo Stato.

Qualora venisse proclamata l'infallibilità del Pontefice, i responsi in materia di fede e sopra qualsiasi argomento verrebbero pronunciati da colui, che per essere contemporaneamente Capo della Chiesa e Principe temporale, potrebbe far servire a questo duplice interesse le sue decisioni e creare gravi conflitti tra la Chiesa e lo Stato.

II regno italiano sarebbe per certo il primo a sentire i colpi di questa nuova possanza data al Papa.

Non sarebbe a maravigliarsi se alla proclamazione del nuovo dogma, si volesse pure associare la necessità del potere temporale, come condizione indispensabile all'esercizio sicuro di quel nuovo attributo, e così portare al colmo l'antagonismo tra l'Italia ed il papato, e tra il clero e gli italiani.

La costituzione stessa della Chiesa Cattolica verrebbe profondamente vulnerata, giacché essa è fondata sulla indipendenza e libertà de' suoi rappresentanti riuniti nel Sinodo e le sue decisioni sono appunto reputate dai credenti come vere, perché si suppone che siano prese ed accettate da tutti i fedeli in seguito ad un esame coscienzioso, profondo, libero. Sommo interesse degli Stati e dei Governi è certo quello di custodire questa forma costitutiva della Chiesa.

Queste considerazioni e molte altre, che sarebbe inutile rammentarti, dotto come sei nella materia, ti avranno già fatto persuaso della utilità di adope

rarsi, per quanto sia possibile, acciocché. venga rimosso il pericolo della proclamazione della infallibilità e perciò d'incoraggiare quella parte dell'episcopato italiano, non sistematicamente avversa all'Italia, a respingerla.

Tu, nel recarti a Roma, potresti contribuire utilmente a questo intento, mettendoti in relazione con quei Vescovi che stimerai più adatti, per la loro influenza e per le loro convinzioni, a promuovere questa crociata contro le pretese esorbitanti del partito gesuitico ed ultra cattolico.

Ancorché la tua missione andasse fallita, avresti nullameno reso un segnalato servizio al Governo ed all'Italia, tentando di scongiurare un avvenimento che può arrecare serie conseguenze.

(l) -Su questo incidente, che assunse tale gravità da far persino balenare l'ipotesi di una guerra fra Italia e Marocco, esiste in ASMAE una vasta documentazione che non si pubblica. Le relazioni fra Italia e Marocco furono riprese solo nel settembre, dopo lunghe trattative svoltesi con la mediazione della Spagna. (l) -Da Archivio Lanza, ed. in Carte Lanza, vol. V, pp. 25-26.
225

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2043. Costantinopoli, 2 febbraio 1870, ore 12,05 (per. ore 13,45).

Je me borne pour le moment à faire connaitre à V. E. que le général Ignatieff m'a dit avant hier d'avoir fait des démarches auprès du grand vizir contre intervention Monténégro (l) et avoir eu longue et vive discussion avec lui mais sans résultats positifs. Il est de fait que la Sublime Porte a réuni aux frontières 45 bataillons et que Alì pacha est en ce moment tout-à fait dans les vues de l'Autriche.

226

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2044. Costantinopoli, 2 febbraio 1870, ore 20,33 (per. ore 0,50 del 3).

Je m'empresse de mieux expliquer ma dépeche télégraphique de ce matin (2). Ce n'est pas une véritable démarche que le général Ignatieff a fait, il attend pour cela que les représentants des autres grandes puissances aient reçu des instructions dans le meme sens; il est allé demander des renseignements au grand vizir sur la concentration de troupes près du Monténégro. Le grand vizir a soutenu qu'on n'a envoyé d'ici que quatre bataillons, mais ne pouvoir pas nier qu'il y en eùt déjà auparavant quarante autres. Il lui disait que la Sublime Porte doit se défendre des prétentions du Monténégro pour le paturage. Il se plaint de M. de Beust qui fait des observations, mais au fond on croit qu'ils sont d'accord.

(l) -Cfr. n. 213, nota l. (2) -Cfr. n. 225.
227

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA (l)

L. P. Firenze, 2 febbraio 1870.

La ringrazio delle sue lettere. Ho comunicato al Ministro di Grazia e Giustizia la nota del Signor Erskine sulle immunità dei deputati.

Ella avrà ricevuto colla spedizione di ieri una Nota Confidenziale sul Concilio (2). Mi pare che in principio noi siamo pienamente d'accordo, perché questa Nota non ha altro scopo che quello di tener vivo Io scambio delle idee, delle informazioni, delle previsioni.

Per quanto può concernere il Governo Inglese, questo mio desiderio fu prevenuto dal dispaccio nel quale Ella riferisce la sua conversazione con Lord Clarendon (3). Io divido pienamente le idee e i principi! di cui Ella si fece, con tanta autorità, l'interprete presso il Ministro Inglese.

Fu l'attitudine liberale dei Governi rispetto al Concilio, fu la libertà lasciata alla Chiesa che favorì quel moto vitale di idee che si produsse in seno all'Episcopato Cattolico. L'intervento del Governo, la pressione del potere civile avrebbe avuto per probabile risultato che i Vescovi avrebbero cercato di difendere l'indipendenza religiosa contro Io Stato schierandosi muti e disciplinati intorno al loro Capo Spirituale. Non minacciati dal potere laico, essi difendono ora la loro legittima indipendenza contro chi la minaccia, vale a dire, contro la S. Sede.

Noi non abbiamo dunque per ora che a tenerci bene informati, da un Iato su quanto avviene a Roma e sulle deliberazioni del Concilio, bene informati, dall'altro Iato, su quanto pensano i Governi, sopratutto i Cattolici, e su quanto in date eventulità, si proporrebbero di dire o di fare, per metterei in grado di poter regolare in proposito, anche le nostre previsioni e la nostra attitudine.

È un fatto degno di attenzione che nelle file dell'Episcopato anti-infallibilista, anzi di quell'Episcopato che mostrò tendenze concilianti verso la società civile e i principii della libertà moderna vi sia un numero di Vescovi italiani, non grande, certo, ma superiore a quanto poteva aspettarsi. Fra questi Vescovi benemeriti si mostrano generalmente i Piemontesi. Noi cerchiamo, con que' mezzi che la prudenza e la loro stessa convenienza concedono, di far loro sentire come il Governo italiano non consideri con occhio indifferente la loro coraggiosa condotta. Ma la nostra azione morale in Roma deve essere oltremodo cauta per non compromettere la causa istessa, e l'autorità morale dei Vescovi pe' quali conveniva mostrare le nostre simpatie.

Desidererei ora parlarle della questione dell'intervento francese nel territorio romano. Benché questa questione non sia stata ancora da noi sollevata ufficialmente né sia stata ancora l'oggetto d'alcuna comunicazione fattami dal Governo francese, desidero dirle quale sia la condizione attuale delle cose e

quali siano le considerazioni che essa ci suggerisce. Ma è oggi il giorno in cui ricevo il Corpo Diplomatico, e amo meglio scrivergliene domani o domani l'altro a miglior agio e con minori interruzioni.

(l) -Da ACS, Carte Visconti Venosta. (2) -Cfr. n. 218. (3) -Cfr. n. 180.
228

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI

T. 1064. Firenze, 4 febbraio 1870, ore 12,45.

En attendant les instructions plus détaillées que je pourrai avoir à vous envoyer je vous autorise à vous joindre à vos collègues s'ils ont tous instruction de faire de bons offices pour éviter envers le Monténégro des mesures de nature à amener des complications.

229

IL MINISTRO A VIENNA, PEPOLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2045. Vienna, 4 febbraio 1870, ore 13,15 (per. ore 16,03).

Reçu aujourd'hui note par laquelle le comte de Beust exprime au nom de son Gouvernement tous ses regrets pour affaire de Sebenico (l) et désavoue toute intention de violation de pavillon ou de territoire italien. Procès continue. J'envoye copie de la note par poste (2).

230

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AI RAPPRESENTANTI DIPLOMATICI ALL'ESTERO

CIRCOLARE 72. Firenze, 4 febbraio 1870.

La stretta connessione che esiste, nella situazione presente del mercato europeo, tra le condizioni finanziarie dei varii paesi, fa vivamente desiderare al R. Governo di avere sott'occhio relazioni periodiche e complete sul movimento economico, sulle vicende del credito e sull'andamento della pubblica finanza presso gli Stati principali d'Europa. D'altra parte l'influsso che lo stato finanziario d'ogni singolo paese esercita sopra la sua politica estera, deve necessariamente richiamare sull'argomento di che si tratta tutta l'attenzione delle Legazioni di Sua Maestà.

(l} Cfr. serie I, vol. XI, n. 513. (2} R. 185, pari data, non pubblicato.

20 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. XII

Gli studii riflettenti questa materia possono utilmente compiersi dal Primo Segretario d'ogni Legazione, sotto l'alta direzione del Capo della Missione; ed il Ministero potrà trovare in codesti lavori, non solo le nozioni occorrenti alla amministrazione delle nostre Finanze, ma anche un mezzo di porre il nostro personale diplomatico in grado di acquistarsi nuovi titoli di benemerenza.

Prego adunque la S. V. Illustrissima di voler disporre perché, all'oggetto di dar principio al divisato compito, venga preparato, per la fine del prossimo marzo, dal Primo Segretario di codesta Legazione, un rapporto generale sulle condizioni economiche di codesto paese e sulla situazione finanziaria del Governo presso cui Ella rappresenta il Governo di Sua Maestà.

231

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 34. Costantinopoli, 4 febbraio 1870 (per. l'11).

La quistione insorta già fra il Governo Ottomano ed il Montenegro sul diritto di pascolo ne' territori di Veli e Malo Brdo, a cui pretendono da ambe le parti i Monteriegrini ed i sudditi circostanti della Sublime Porta minaccia, a quanto pare, di assumere un aspetto grave. La situazione d'altronde in cui trovansi tuttavia alcune provincie della Dalmazia e il fermento, che esiste nella Bosnia, nell'Erzegovina e nella Bulgaria, non lasciano di preoccupare seriamente gli animi sugli avvenimenti, di cui quelle contrade potrebbero essere il teatro nella prossima primavera, se una scintilla qualunque venisse a provocare Io scoppio de' materiali combustibili che vi sono da gran pezza accumulati.

Col mio rapporto de' 6 dello scorso mese, di n. 26 Serie Politica (1), ebbi cura di trasmettere a V. E. copia della lettera diretta dal Gran Vizir al Principe di Montenegro, nella quale egli cerca di sostenere i diritti della Porta sul territorio in litigio.

Ai consigli di moderazione e di temperanza, che gli vengono da tutti i lati ed alle osservazioni che gli si fanno sul poco o niun valore che ha per la Turchia il suolo contestato, mentre che ai poveri montanari abitatori dei luoghi limitrofi esso offre una preziosa anzi necessaria risorsa, Aali Pacha risponde mettendo innanzi la dignità del Sultano, che non consentirebbe che si ceda alle pretese insussistenti del Principe di Montenegro, e la importanza strategica del sito in cui trovansi i forti di Podgoritza e Spouz.

Questi consigli di prudenza sono ora dati alla Porta anche dall'Austria, la quale sebbene dapprima, al momento in cui ferveva la insurrezione in Dalmazia, avesse spinto il Governo ottomano a prendere misure di precauzione

e ad inviare in quei paraggi un rinforzo di milizie, non desidererebbe però, a quanto sembra, che una rottura fra la Porta ed il Montenegro venisse ad aggravare ancor più la situazione e provocare una crisi.

Io mi sono astenuto finora dallo intervenire in modo attivo in si delicato affare, ma posciaché le cose sono giunte a tale, che lasciate in balia di loro stesse possono compromettere la pace generale, sarei di avviso, se V. E. altrimenti non stima, che il Governo del Re faccia sentire anche la sua voce nello intento di contribuire a calmare gli ardori ormai troppo bellicosi del Governo Ottomano.

(l) Non pubblicato.

232

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. XXVI. Berlino, 6 febbraio 1870 (per. il 9).

J'ai reçu la circulaire que V. E. a bien voulu m'adresser en date du 31 Janvier échu (1), ainsi que les six documents annexés. Malgré son caractère confidentiel, je n'ai vu aucun inconvénient à en donner lecture au Secrétaire d'Etat pour son information particulière et réservée. Et bien m'en a pris, car il n'a pas hésité à me dire que le Cabinet de Berlin pourrait parfaitement apposer sa signature à une semblable circulaire qui reflétait si bien sa propre manière de voir. Comme nous, il trouverait, dans les lois et le Parlement, un antidote pour sauvegarder, au besoin, les intérets politiques de l'Etat et les institutions nationales. Comme nous, il se borne, dans la phase actuelle des délibérations conciliaires, à laisser pleine responsabilité au Saint Siège. Il n'aviserait que s'il se produisait quelque acte dont il aurait connaissance officielle et qui constituerait un empiètement contre l'indépendance du pouvoir civil. Il se préoccupe aussi des changements qui pourraient etre apportés à ses relations avec Rome, relations qui ont été réglées par la bulle de salute animarum à laquelle on attribue faussement le caractère d'un Concordat. D'après cette bulle les hauts dignitaires de l'Eglise Catholique sont, sinon nommés, du moins confirmés par le Roi. Or Monseigneur de Ketteler aurait pris l'initiative de proposer au Concile oecuménique, vu la diversité des modes de procéder au choix des Eveques, d'adopter désormais un système uniforme qui consacrerait de plus en plus l'autorité de l'Eglise sur cette importante matière. Que deviendraient alors les prérogatives de l'Etat, si la Cour de Rome se déliait elle-meme de ses engagements à cet égard? Et cependant l'Eglise Catholique jouit de fait dans ce Royaume d'une assez grande indépendance. En effet, quoique à la rigueur l'Etat ait le droit d'inspection, il n'en use jamais, et comme pour les Eglises tolérées, son intervention se borne à la simple répression en cas de délit. Aucun acte épiscopal n'a besoin de l'Exequatur Royal; pour toutes les publications de l'Autorité ecclésiastique, telles que mandements, lettres pastorales etc. etc. elles ne sont soumises qu'à la loi commune de la presse etc. etc. Enfin, d'après l'art. 15 de la constitution, l'Eglise Evangélique et l'Eglise

Catholique, de meme que tout autre société religieuse, se gouvernent et s'administrent d'une manière indépendante; elles ont la possession et la disposition des biens, des sommes et des établissements destinés aux cultes, à l'instruction et à la bienfaisance.

Un tel état de choses est trop avantageux pour que les Pères du Concile, pour peu qu'ils tiennent compte des conseils qui ne leur manquent pas de la part des Prélats allemands, veuillent s'exposer à provoquer une opposition de la part des Gouvernements en deça comme au delà du Mein. Le Cabinet de Berlin par conséquent n'a pas encore renoncé à tout espoir qu'on réussisse à écarter un conflit dont les suites seraient si regrettables. Cependant il ne se dissimule pas qu'il y a quelque péril en la demeure, en ce sens qu'on pourrait du jour au lendemain se trouver en présence d'un fait accompli, auquel il serait certainement plus difficile de remédier. Peut-etre eut-il mieux valu s'entendre pour prévenir cette éventualité. Mais après mure délibération on a préféré garder une attitude expectante, le Cabinet de Berlin s'est meme abstenu d'effectuer son premier projet d'envoyer un délégué ad hoc à Rome pour appeler l'attention sérieuse du Vatican sur certaines doctrines du parti ultramontain aussi peu profitables à la cause de la liberté civile, qu'à la cause de la liberté religieuse. C'est qu'entre deux maux, on a choisi le moindre, car la situation toute spéciale de la Prusse -ainsi que je l'ai signalée dans maints rapports -est telle qu'elle doit se retrancher dans une excessive réserve soit pour ne point porter ombrage aux populations catholiques, soit pour éviter de pousser peut-etre l'Episcopat de ce pays dans une autre voie si elle prenait ouvertement parti dans l'opposition.

J'ai demandé à M. de Thile s'il avait de Paris quelques indices sur les vues de la France dans cette question. Il ne croyait pas que le programme de

M. Emile Ollivier et du Comte Daru fut autre que celui de l'ancienne administration. Il me semble qu'on peut partager cet avis, et que dès lors il convient de n'accepter que sous bénéfice d'inventaire le récit contenu dans le premier article du document portant la date du 29 Janvier (annexe à la dépeche précitée). J'ai relu les différents discours prononcés par M. Ollivier sur les affaires romaines, sur la Convention du 15 septembre. Certainement il s'est exprimé de la manière la plus sympathique pour l'Italie dont les destinées devaient s'accomplir. Reste à savoir si la responsabilité du pouvoir, si l'association de Ministres peu homogènes si ses efforts bien explicables pour rallier à tout prix la majorité dans les Chambres, ne modifieront pas provisoirement du moins sa manière de voir, jusqu'à ce que de nouvelles élections aient accentué davantage les tendances du pays. Dans ces conditions, le maintien du status quo à Rome est assez indiqué. n convenait lui-meme dans un discours fait à Turin avant les événements de 1866, avant ceux de Mentana, que nous commettions une grave erreur en considérant la question romaine comme une question de la politique étrangère de la France, tandis que c'était une question capitale de sa politique intérieure, car un Gouvernement ne peut se soutenir qu'appuyé sur des groupes d'hommes qui constituent un parti. Il est vrai qu'il laissait entrevoir une évacuation pour l'époque du couronnement de l'édifice quand on rentrerait dans les voies de la liberté. Le patrimoine de Saint Pierre (discours à la Chambre du 13 Avril 1865) n'appartiendrait ni aux Catholiques, ni aux Italiens. Il constituerait une souveraineté indépendante sur le sort de laquelle n'auraient plus à se prononcer que le Pape et ses sujets. Touchons-nous à ce moment? J'ai peine à m'en convaincre. Si l'Ollivier de la sphère gouvernementale reste fidèle à l'Ollivier à la recherche du pouvoir, s'il n'a pas renié son passé, il formerà toujours une rare exception parmi ses compatriotes chez lesquels ne dominent certainement pas des sentiments très amicaux envers l'Italie pas plus que vis-à-vis de la Prusse.

J'ajouterai une dernière considération.

Nous devons nous féliciter de l'attitude réservée du Cabinet de Berlin vis-à-vis du Concile oecuménique parce qu'elle ne contrarie en rien l'entière liberté d'action des Evèques Allemands qui jouent le r6le de modérateurs. Il y a plus. S'il changeait d'allures et se mettait sur la brèche pour combattre l'ultramontanisme, on y verrait peut-ètre à Paris un jeu concerté entre Florence et Berlin, et si le Cabinet des Tuileries se mélait de la partie qui pourrait garantir qu'il se rangerait du mème bord, surtout si le nouveau Ministre des Affaires Etrangères, le Comte Daru, s'inspirait des doctrines de M. Thiers qui se donne à lui-mème le brevet de représentant de la politique traditionnelle française?

(l) Cfr. n. 218.

233

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2047. Costantinopoli, 7 febbraio 1870, ore 17,05 (per. ore 23,18).

L'agent de Roumanie vient de recevoir l'ordre de notifier à la Sublime Porte que le prince Charles de Roumanie prendra le titre de Prince de Roumanie et Saint Gal confiant qu'elle considérera cette mesure comme conséquence logique de la réunion des deux Principautés. L'Angleterre la première, et après f'Autriche et la France ont fait ici des démarches auprès du Grand Vizir dans ce sens, mais sans résultat. L'ambassadeur de France conseille donc à l'agent des Principautés Unies de différer sa démarche à temps plus opportun, et celui-ci a cru demander nouvelles instructions à son Gouvernement. Les ministres de Prusse et de Russie n'ont aucune instruction et gardent en conséquence la meme réserve que moi en cette affaire.

Baron Fava arrivé par bateau autrichien ne peut pas continuer voyage, les communications étant lnterrompues.

234

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2049. Parigi, 8 febbraio 1870, ore 15,50 (per. ore 18,30).

M. Rochefort a été arreté hier. Il y a eu dans la nuit à Belleville un attroupement d'environ 800 individus qui a été dispersé. On a fait 200 arrestations. Tout est rentré dans l'ordre ce matin.

235

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 7. Lisbona, 8 febbraio 1870 (per. il 2 marzo).

In una recente conferenza con questo Ministro degli Affari Esteri in cui accennai tra gli altri temi politici a quello di un Dispaccio riservato di V. E.

(n. 43 serie politica) (l) il quale sebbene in data dei 31 ottobre pervenne qui per occasione dopo il mio arrivo ed offre perenne argomento di preoccupazione, il Ministro Portoghese colse l'opportunità per intrattenermi a lungo dei pericoli, a lui pur noti, e segnalati nel Dispaccio ministeriale, soggiungendo che tali pericoli non erano temibili in Portogallo perché le idee socialiste e repubblicane erano limitate in questo Regno a due sole e ristrette categorie; quella che ne fa mestiere proprio per vivere e pescare nel torbido ma non per convinzione l'altra quella dei rifuggiti Spagnuoli nell'intento di far propaganda a futuro danno del Portogallo, ambe categorie incoraggiate in parte, al credere del Signor di Mendes-Leal dal partito dell'opposizione puramente per fini politici nella prossimità delle elezioni, ma maggiormente e con maggior pericolo presente e futuro dal partito Ultramontano-Clericale il quale nell'attualità del Concilio Ecumenico ha tutto l'interesse ad agitare Popoli e Paesi, provocare malcontento politico e sociale, allarmare coscienze, osteggiare libertà, e giungere per mezzo del caos per così dire, se vi riescisse alla piena dominazione anche politica di Roma Papale sull'Universo intero.

Questa ultima categoria dissemi il Ministro è assai più temibile di ogni altra perché abile, ricca e sparsa ovunque non ostensibilmente ma insinuandosi nelle famiglie con lavoro lento e perenne, e sarà ben giunto quel giorno, soggiunse s. E., che tutti i Governi si porranno d'accordo per render innocua una tale setta; in allora anche alle idee repubblicane e socialiste mancherà una delle maggiori basi.

Dopo tali parole che riferisco in succinto ma fedelmente il Signor di Mendez-Leal mi disse che il Governo aveva in mano e seguiva attentamente tutte le fila di questa doppia propaganda, ne conosceva perfettamente le individualità, non credeva opportune misure preventive perché le popolazioni erano essenzialmente monarchiche, per nulla socialiste e anti Iberiche al n·on plus ultra, ma che qualora il lavoro degli Agitatori divenisse realmente pericoloso il Governo aveva la volontà e la forza di mantenere l'ordine sempre ed ovunque venisse turbato.

D'altro lato un Personaggio stimabilissimo come individualità e come posizione ma ostile all'attuale Ministero, con cui in addietro ebbi rapporti officiali di affari, mi diceva giorni or sono non esser dubbia a vero dire la vittoria elettorale pel Governo, ma che il Paese trovavasi malcontento e profondamente agitato, ed in breve tempo se ne vedrebbero ostensibilmente gli effetti. Che la questione finanziaria diverrà gravissima perché avvi un deficit annuo di

7 mila contos di Reis sopra un bilancio di 16 mila dei quali 9 mila sono assorbiti da frutti, né egli scorgeva nel programma Ministeriale rimedi efficaci a questo deplorabile stato di cose.

Alcuno dei miei Colleghi si mostrò puranche meno recentemente non poco allarmato dell'agitazione che può in breve divenir pericolosa nel Paese se il Ministero non spiega forza, attività e capacità.

In mezzo a sì diverse opinioni V. E. di leggieri comprende esser avventuroso far prognostici. Quanto parmi accertato frattanto è la lotta politica à outrance tra i due partiti Governativi capitanati l'uno dagli uomini attualmente al potere, l'altro da quelli del cessato Ministero, coll'adesione tacita o espressa del Duca di Saldanha. Ambidue i partiti hanno Capi abili, popolari e mezzi di exploiter la situazione a profitto del loro. Ma ognuno di essi vede a traverso il prisma delle sue aspirazioni politiche. Se la lotta di questi due partiti li portasse a distruggersi a vicenda un terzo verrebbe approfittarne a mio giudizio quello del partito Fontes, il di cui probabile ritorno al potere ebbi già occasione di segnalarlo in avvenire. Membri militanti di questo partito trovansi già impiegati dal Governo, come il Signor di Casal Ribeiro nuovo Ministro a Parigi e il Signor Corvo Ministro a Madrid. Quanto al Signor Fontes è benissimo in Corte, ed un alto personaggio mi diceva non ha guarì esser d'uopo le garder sous la main per delle eventualità Ministeriali.

Malgrado tali lotte il Paese è buono in se stesso, di sua natura calmo e monarchico, né proclive a lasciarsi trascinare in agitazioni da compromettere seriamente l'ordine pubblico, né più tardi d'jeri parlando con uomini d'affari, disinteressati nelle lotte politiche, ma capi delle prime Case Bancarie in Portogallo, mi assicuravano che nulla eravi a temere nel Paese all'infuori della naturale agitazione elettorale. V. E. sa bene che il parere delle grandi individualità Bancarie e Finanziarie è generalmente un buon termometro anche politico.

P. S. Qui unita una lettera pressante pel Capo del Gabinetto particolare di Sua Maestà con preghiera di farla pervenire (1).

(l) Cfr. n. 48, inviato a Lisbona con numero di protocollo 43.

236

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 8. Lisbona, 8 febbraio 1870 (per. il 2 marzo).

Nella conferenza segnalata nel mio precedente Dispaccio (2), informai puranche il Ministro degli Affari Esteri di quanto degnò dirmi il Suo Augusto Sovrano relativamente al successore del Conte di Lavradio (mio Dispaccio politico n. 6) (3) segnalando anche a S. E. tutto l'interesse che aveva l'Italia nella scelta del personaggio che doveva rappresentare a Roma in momenti così ardui

tl) Nota a margine: «Rimessa».

e solenni non solo gli interessi Portoghesi resi attualmente più difficili pei rapporti assai tesi tra il Governo e la Nunziatura, (già ne feci cenno a V. E.) ma puranche gli interessi Italiani, ancor più difficili nell'attualità del Concilio e coi rapporti sì anormali tra noi e la Santa Sede.

Il signor di Mendes-Leal risposemi non aver d'uopo di ulteriori raccomandazioni perché comprendeva egli pure l'importanza della scelta dal doppio lato. Non mi nascose però come già non me l'aveva nascosta il Re, la grande difficoltà di riunire nel futuro successore del Conte di Lavradio non solo tutte ma una parte delle qualità di questo defunto e compianto Ministro.

S. E. si compiacque perfino passare in rassegna le individualità di molti uomini politici di ogni partito, tra i più autorevoli, maggiormente atti, soggiunse, nelle attuali circostanze al posto di Roma che il personale dell'attuale Corpo Diplomatico Portoghese. Io declinai naturalmente ogni discussione personale e concreta su tale terreno !imitandomi alla doppia raccomandazione di scelta buona ed idonea pel Portogallo come per l'Italia, e di esser posto in grado, se possibile, di informarne preventivamente il mio Governo.

Sia dal tenore del linguaggio di S. M. il Re, sia da quello del Suo Ministro dovei convincermi della grande difficoltà di tale scelta, e pel momento onde aver campo di farlo maturamente [sarà prolungata la] gestione interinale dell'attuale Incaricato d'Affari Portoghese a cui furono in tale qualità inviate lettere speciali di credenza.

Relativamente alla Corona Spagnuola per S.A.R. 11 Duca di Genova, aveva già pressoché uniformato il mio linguaggio al tenore dell'annesso al Dispaccio Ministeriale N. 48 (1), ringraziando però sempre V. E. di avermi posto in grado colla sua pregiata comunicazione di uniformarmivi con più completa cognizione di causa.

P. S. Il Signor Sighinolfi, scultore Italiano che ha fatto busti e altri lavori per questa Famiglia Reale e parte domani per Firenze è latore del presente piego.

(2) -Cfr. n. 235. (3) -Non pubblicato.
237

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2051. Parigi, 9 febbraio 1870, ore 15,45 (per. ore 17,40).

Hier au soir à Belleville et aux environs de la donane il y a eu de nouveaux troubles, des barricades ont été faites avec des voitures renversées. L'émeute a été dispersée, mais les émeutiers ont fait feu avec les révolvers sur les agents qui ont été forcés à faire usage de leurs épées. On assure qu'il y a eu une vingtaine entre morts et blessés. La population est restée étrangère aux troubles. Tout est tranquille ce matin.

(l) Cfr. n. 156, nota l, p. 156.

238

IL :MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2052. Costantinopoli, 9 febbraio 1870, ore 22,05 (per. ore 0,10 del 10).

L'agent de Roumanie a fait sa démarche aujourd'hui pour le titre de Prince de Roumanie auprès du Grand Vizir, qui ne lui a pas fait l'accueil si défavorable au quel on s'attendait. Il a dit qu'il prendra les ordres du Sultan, mais que son opinion était, qu'il faudrait dans tous les cas un acte collectif de la Sublime Porte et des [Puissances]. Lettre du Grand Vizir au Prince du Monténégro m'a été envoyée par la Sublime Porte dans la meme forme qu'aux autres représentants des puissances garantes.

239

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL :MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 523. Berlino, 9 febbraio 1870 (per. il 14).

L'Agence télégraphique Wolff annonçait avant hier que le Conseiller de Légation Comte Puliga avait présenté au Sénat de Hambourg des lettres de créance camme Chargé d'affaires d'Italie près cette ville libre. Aucune mention n'était faite de sa qualité de Consul Général.

Pour mieux établir la vérité et prévenir ainsi toute interprétation exagérée, il m'a semblé opportun d'en parler au Comte de Bismarck que j'avais rencontré le meme jour à un bal chez le Prince Albert.

Je lui ai dit dans quelles circonstances cette nomination avait eu lieu. Notre intention avait été d'abord de ne laisser à Hambourg qu'un Consul Général dans la personne du Chevalier Verdinois, mais le nouveau titulaire ayant été transféré à Pesth, le Comte Puliga avait été destiné à Hambourg. Camme il appartient à la carrière diplomatique, il avait été jugé convenable de lui ajouter un titre plus honorifique que réel dans une résidence où ses fonctions seront avant tout consulaires. Le Cabinet de Florence salt en effet qu'étant accrédité près le Chef de la Confédération, il rentre en première ligne dans mon ressort de m'occuper de tout ce qui concerne les relations internationales entre cette Confédération et l'Italie.

Le Chancelier fédéral m'a répondu que la confiance dont je jouissais auprès de mon Gouvernement et nos sentiments bienveillants pour le Cabinet de Berlin, constituaient les meilleures garanties. Nous n'admettrions pas, entre autres, qu'il s'établit deux courants d'idées contraires dans l'appréciation générale de la situation, fait qui pourrait se produire quand des dépeches partent de deux centres où les vues seraient parfois divergentes. Ce serait ouvrir la vaie à l'incertitude èt à la confusion dans les esprits. Il était convaincu que la présence à Hambourg d'un Agent politique d'Italie, n'avait point de notre part la signification de patronner des tendances particularistes. Il espérait néanmoins que l'exemple donné par un ami de la Prusse ne contribuerait pas à encourager d'autres Puissances encore à se faire représenter diplomatiquement dans ce poste.

Il est de fait, quoique le Comte de Bismarck ait eu le tact de ne pas le relever vis-à-vis de moi, que l'Autriche elle-meme venait d'y supprimer sa mission. Je ne sache pas que d'autres Puissances songent à remplacer les titulaires actuels, assez peu nombreux au reste, dans le cas où ils devraient recevoir ou un avancement ou leur retraite.

Le prédécesseur de V. E. ne m'avait pas consulté sur une pareille nomination. Autrement je n'eusse pas manqué d'émettre un avis diamétralement opposé. Mais il m'eùt répugné d'en prendre l'initiative du moment où j'avais appris par la Liste du personnel diplomatique et consulaire du 15 octobre dernier, la candidature du Comte Puliga, un de mes anciens secrétaires de Légation. Il m'eùt été pénible de nuire meme indirectement à sa carrière. Je pensais d'ailleurs qu'après avoir décliné la Mission d'Envoyé à Buenos Ayres, il prierait a fortiori le Ministère de surseoir au choix de sa personne pour un poste certes moins important. Par ma dépeche Série commerciale n. 154 du 29 du meme mais (1), je laissais pourtant entrevoir combien j'avais été surpris que le nouveau titulaire à Hambourg conservat le titre de Chargé d'affaires, lorsque conformément à la dépeche ministérielle du 23 Aoùt 1869 -série affari in genere -(l) j'avais déjà informé la Chancellerie fédérale que le successeur du Comte Galateri n'aurait plus ce rang.

Quoiqu'il en soit, le Comte de Bismarck en a dit assez pour laisser comprendre que cette nomination ne produit pas ici une impression satisfaisante. Elle ne cadre pas en effet avec les vues de la politique de ce Ministre qui ne saurait voir d'un bon oeil qu'une Puissance, camme l'Italie, qui personnifie un programme national, et unitaire, qui a concouru en 1866 à l'établissement de l'ordre de choses actuel, destine un Chargé d'affaires à Hambourg au moment meme où s'opère un travail de concentration à Berlin, camme vient de le prouver, entre autres, le transfert du Ministère des Affaires Etrangères de Prusse à la Confédération.

Le Cabinet de Berlin sans doute ne vise pas ouvertement à priver ses Etats confédérés du privilège qu'ils ont encore d'envoyer et de recevoir des Agents diplomatiques. Il est tenu à observer beaucoup de ménagements. Mais il laisse agir l'opinion publique par l'organe de la presse et des Chambres. Or à ce point de vue, tout porte à croire, malgré le vote récent du Parlement en Saxe, que le moment approche où le Parlement fédéral réclamera lui-meme la suppression d'une représentation diplomatique des plus anormales quand les Etats secondaires sont déjà représentés dans leur ensemble par le pouvoir directeur centrai (Praesidium). Dès lors les diplomates étrangers dans ces résidences devront à leur tour battre en retraite, à moins que leurs Gouvernements ne veuillent les livrer à la déconsidération qui s'attache aux fonctionnaires publics occupant des sinécures. La Prusse, camme telle, a encore des Agents diplomatiques auprès de quelques Etats de la Conféderation, c'est là la conséquence d'une situation spéciale et passagère, mais son but principal est évidemment de contrecarrer,

au besoin, les menées de certaines Puissances qui ne sont pas aussi sympathiques que nous envers l'Allemagne.

Dans ces circonstances, V. E. jugera peut etre à propos de toucher Elle meme quelques [mots] sur cet incident vis-à-vis du Comte Brassier de Saint Simon, afin de constater que ce sont surtout des raisons inhérentes à la carrière du Comte Puliga qui ont provoqué la décision du Gouvernement du Roi.

Je ne saurais trop insister pour qu'en pareille occurrence le Ministère veuille me pressentir avant de prendre un parti définitif sur la convenance soit de remplir une vacance consulaire, soit de créer un nouveau poste. La Législation fédérale est tellement compliquée dans cette période de transition qu'il faut etre sur place pour se prononcer en parfaite connaissance de cause, afin que tout en tenant compte des exigences du service, on ne s'expose pas à froisser des susceptibilités. Il n'est pas toujours opportun d'user de son droit surtout quand il peut se trouver en opposition avec notre intéret de ménager le sentiment national d'une Puissance appelée tòt ou tard à personnifier l'Allemagne entière.

(l) Non pubblicato.

240

IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 73. Berna, 9 febbraio 1870 (per. il 12).

Il Signor Welti, che, negli ultimi giorni in cui tenne la Presidenza della Confederazione mi disse che avrebbe incaricato in forma privata e confidenziale un Commissario federale il quale si trovava allora nel Ticino, di assumere, senza il concorso e la consapevolezza del Governo di esso Cantone le informazioni necessarie all'uopo di venire in chiaro circa a quanto mi era stato scritto dal

R. Console in Lugano, e mi era pervenuto per altri riscontri intorno al fatto e alle voci sparse che Giuseppe Mazzini in onta all'ordinanza federale che lo riguarda avesse di nuovo preso stanza nei dintorni di questa città, ha creduto dovermi partecipare ciò che da quel Commissario ritornato dalla sua missione gli è stato verbalmente riferito intorno all'incarico che egli personalmente gli aveva affidato.

Secondo questa relazione: a due riprese dopo la citata ordinanza si è buccinato nel Cantone che il Mazzini fosse ricomparso nel paese, ed ogni volta si parlava di fatti e di indizii proprii a rendere tal voce credibile. Senonché, sono ogni volta riuscite a vuoto le ricerche che si sono fatte per venire in cognizione del vero. Le autorità cantonali non vogliono tenersi in sospetto a questo proposito, poiché, a quanto sembra, non son mancate in questa occasione di fare quanto era da loro per tener mano alle prescrizioni del Consiglio federale.

Egli è impossibile, al dire del Commissario riferente, che dopo l'indulto cui ha dato occasione la nascita del Principe di Napoli, il grande cospiratore abbia traversato il Cantone, e vi si sia, anche, per qualche giorno. soffermato, avanti di entrare nel Regno, dove, per avventura, trovasi tuttora; ma non essere ora nel Ticino alcuno che non sia perst:aso che sia ora colà; e quando, dopo l'epoca indicata, vi sia venuto, non vi può essere stato che per brevissimo tempo. Il silenzio che serba con me il Cav. Chiora da qualche tempo a tale riguardo viene in conferma dei ragguagli forniti che, del rimanente si accordano coi rapporti ufficiali fatti dalle autorità cantonali, al Dipartimento federale di Giustizia e Polizia.

Il Signor Welti mi ha assicurato e di ricapo che malgrado il prefato indulto reale, e malgrado la interpretazione recentemente data all'amnistia imperiale sulla proposta del signor Ollivier e della quale profitta per necessità giuridica anche il Mazzini, il Consiglio federale terrebbe mano alla esecuzione della menzionata Ordinanza federale, tanto per ciò che concerne i Cantoni che toccano la frontiera italiana, quanto per quelli che toccano la frontiera francese.

La comunicazione fattami dall'ex-Presidente della Confederazione non contiene in sé nulla che non sia già noto all'E. V., ed io non Le ne do ragguaglio se non se per far fede della inalterabile buona volontà del Consiglio federale per tutto ciò che concerne la incolumità delle relazioni amichevoli della Svizzera e dell'Italia.

241

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 132. Pietroburgo, 9 febbraio 1870 (per. il 17).

Nel circolo diplomatico precedente ad una festa da ballo che ebbe luogo nel palazzo d'Inverno, l'Imperatore Alessandro indirizzandosi a Conemenos Bey, Incaricato d'Affari del Governo ottomano, erasi con lui lamentato direttamente dell'invio di forze considerevoli fatto dalla Turchia nel Montenegro, come di cosa che poteva compromettere la pace europea. Il diplomatico ottomano si affrettò al domani di trasmettere al suo Governo questi sentimenti espressegli dallo Czar, e ne ebbe dopo alquanti giorni risposta telegrafica da Aalì pascià, della quale io ebbi testual cognizione: negavasi nel dispaccio del Gran Vizir che pure un sol uomo fosse stato inviato nel Montenegro, e affermavasi che sol quattro battaglioni turchi s'erano mossi alla volta della Erzegovina, che quanto al Divano imperiale stavagli a cuore non meno che ad altra potenza l'evitar congiunture compromettenti della pace in Oriente, ma non poteva ciò non di meno impedire che le truppe ottomane si difendessero nel caso che fossero aggredite.

Codesto telegramma di Aalì pascià recò non poca maraviglia a tutti quelli che aveano presa conoscenza dei fatti allegati dalla Cancelleria russa, dei quali ebbi l'onore di far menzione nel mio precedente rapporto (l) su questo oggetto al R. Governo. Il Principe Gortchacow nel riceverne comunicazione prese atto delle disposizioni pacifiche in quello accennate, ma però non s'indusse a credere false od inesatte per la contraddizione in cui erano con esso le notizie

dapprima pervenute al Ministero d'Affari Esteri di Pietroburgo. Se non che un dispaccio inviato dal signor Bourée al Governo delle Tuileries e da quello trasmesso al Generale Fleury chiarisce, ed attenua in gran parte cosiffatta contraddizione poiché mostra siccome fossero nell'Albania, nell'Erzegovina e nella Bosnia in forma di stabile occupazione militare intorno a 18 mila uomini di milizia turca equivalenti a circa 30 battaglioni a cui bisogna aggiungere per il computo delle forze totali i quattro battaglioni di cui è parola nel telegramma di Aalì pascià, il che in tutto ammonterebbe a quella cifra considerevole di cui il Governo russo erasi preoccupato.

È molto probabile congettura che questa riunione di forze eccedenti le guarnigioni ordinarie nelle tre provincie suddette dell'Impero ottomano siasi operata d'accordo fra la Sublime Porta ed il Gabinetto di Vienna, forse al tempo in cui il Conte di Beust era in Costantinopoli, per effettuare un concentramento eventuale alla frontiera quando il movimento di Cattaro avesse presa in minacciose proporzioni; è da credere altresì che il nuovo incidente sorto a proposito dei pascoli del Montenegro abbia indotto i Ministri del Sultano a rafforzarsi in questa attitudine con la spedizione di nuove truppe. Informai l'E. V. nel già citato mio rapporto di una proposta fatta dal Principe Gortchacow a comporre la vertenza montenegrina summentovata, la quale consisterebbe nel neutralizzare il terreno contrastato che è quello segnalato nel protocollo del 1856 come compreso tra Podgoritza e Spouz, sui quali la Porta concede ai Montenegrini il diritto di coltivazione ma non già quello di pascolare e di legnare restringendo le espressioni del protocollo per la tradizione e per la pratica dei fatti anteriori: sovra questo terreno la diplomazia russa proporrebbe che il Montenegro ed i Turchi indistintamente si obbligassero a non far veruna fortificazione né apparato di guerra. Una comunicazione pervenuta ieri al Conte Chotheck, nuovo Inviato Austriaco presso questa Corte, e già trasmessa al Principe Cancelliere, annunzia quali siano le disposizioni del Gabinetto di Vienna sovra siffatta proposta. Esso cioè accogliendola in massima è di parere che lo stabilimento della neutralità richiederebbe preventivamente la trattazione della vertenza principale, cioè quella della proprietà delle due colline di Velié e di Malo Brdò che sono nei confini sovra indicati. Ignoro fino a quest'ora in cui scrivo quale sia stata l'impressione prodotta sull'animo del Cancelliere Imperiale dalla comunicazione dell'Inviato austriaco, ma parmi ad ogni modo che la vertenza non abbia fatto fin'ora dei grandi progressi verso la sua soluzione.

(l) Cfr. n. 214.

242

IL CONSOLE A SCUTARI, PERROD, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 79. Scutari, 10 febbraio 1870 (per. il 21).

Ho l'onore di segnare ricevuta all'E. V. del riverito di Lei Dispaccio n. 17 del 4 gennajo (l) e degli annessi documenti per cui Le porto infinite grazie.

Da dieci giorni giunse in Scutari il nuovo Vali Dervich Fascia, dopo un soggiorno di altri dieci giorni in Antivari ove sbarcò dal vapore di guerra ottomano due mila casse di munizioni da guerra tra cui tre mila cinque cento fucili ad ago.

Egli è latore della risposta della Sublime Porta al Principe del Montenegro. Quella risposta pare assolutamente negativa, tratta di abusivo il possesso delle colline in questione per parte dei montenegrini e dichiara sarà d'ora innanzi represso colla forza.

Tale risposta pervenne in copia sin dai primi di gennajo a questo Consolato francese speditagli dall'Ambasciata imperiale a Costantinopoli e da quel momento vennero scambiati varj telegrammi tra questo Consolato a Cettigne e l'Ambasciata. Pare sia stato questione di compenso in denaro negato dal Principe e siasi finalmente quest'ultimo deciso a proporre ogni sua qualsiasi rinunzia a Veli e Mali Berda mediante la cessione del distretto di Sesero nell'Erzegovina. Avvicinandolo tale cessione alla Serbia dubito che la Porta vi acconsenta. In ogni modo il Montenegro si è di nuovo valso dei buoni uffici del Governo francese e tal fatto non è certamente privo di significazione.

(l) Non pubblicato.

243

IL CONSOLE GENERALE A SERAJEVO, DURIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. R. 52. Serajevo, 10 febbraio 1870 (per. il 19).

Mi risulta da buonissima sorgente che il pericolo cui si credeva poter dire sfuggita la Turchia colla pacificazione delle Bocche di Cattaro, possa non essere ancora stato radicalmente scongiurato. Parrebbe che se, contro l'aspettazione, le Bocche saranno per stare tranquille, sarà questa volta il Principe del Montenegro che attaccherà direttamente briga colla Turchia contro cui gli falliva recentemente la sperata occasione di accreditarsi trascinato pei capelli. Si pretende diffatti che il suddetto Principe perfettamente pronto ad entrare in campagna, sfruttando quella tal sua abitudine sempre antica e sempre nuova di accagionare la Turchia di colpe immaginarie, si disponga (se pur non lo ha già fatto) a reclamare contro l'agglomeramento delle truppe turche scaglionate in modo provocante a conflitti nei pressi del Montenegro ed a chiedere cessioni di territorio alla Turchia in Albania ed in Erzegovina.

Immaginarie colpe perché, se si eccettuano i cinque battaglioni turchi che a far tempo dalla rivolta delle Bocche vennero in furia spediti ed accantonati sulla frontiera austro-turca in Erzegovina, non vi ha sulla frontiera turcomontenegrina un battaglione che ecceda l'effettivo della usata guarnigione.

Se le cose stanno come mi vennero riferite, è evidente che il Principe del Montenegro deve avere delle attendibili assicurazioni di assistenze efficaci che potrebbero venir tradotte in diversioni predisposte delle forze della Turchia sopra diversi punti del suo vasto ma tarlato Impero, vale a dire che converrebbe attendersi ad un nuovo tentativo di ravvivare quella questione d'Oriente non ha guarì riaddormentata in Candia, in Grecia ed in Egitto, ed alla quale la nostra Italia non potrebbe rimanere straniera.

Convinto che la peggior disgrazia che i nemici possano apprecarci sia quella che l'Italia possa non godere del beneficio oggi più che mai ad essa vitalissimo della pace, faccio voti perché il Principe del Montenegro, questo precursore di quella nordica civiltà e tolleranza religiosa che coll'ineffabile piacere di tutti si vede avviata verso Bokhara, Samarcanda, il Kandahar e la China, riceva quella finale lezione che si merita, o sia messo in sull'avviso da chi spetta che, guaisca poi o non guaisca, la lezione non gli mancherebbe, se vorrà arrogarsi di turbare quella pace che è nei voti dell'Europa civile.

Riassumo: che la Turchia non sia uno Stato modello, che le riforme interne sue sieno polvere pura all'indirizzo degli occhi dell'Europa dove più dove meno, a seconda delle convenienze, conscii che si tratta di polvere pura, che i suoi sudditi sieno pur troppo in balia a governanti, salvo gradazioni nella comune rapacità e corruzione, tutti d'una risma e quasi tutti sprovveduti di ogni nozione di patriottismo, converrebbe essere un insensato per non ammetterlo. Reputerei però me stesso peggiore di uno insensato se non avessi la coscienza della necessità per l'Italia di avere ancora per qualche anno sulla opposta sponda dell'Adriatico una così buona, così accomodante, così per nulla intraprendente e temibile vicina come la Turchia.

Prevalgono dunque gli interessi nostri alle aspirazioni a quelli diametralmente opposte del Montenegro o di chi per esso nei suoi rapporti colla Turchia.

244

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. R. 35. Costantinopoli, 11 febbraio 1870 (per. il 18).

Ho dato annunzio per telegrafo a V. E. (l) delle pratiche qui fatte dai Rappresentanti d'Inghilterra, di Francia e di Austria per indurre la Porta a riconoscere al Principe Carlo il titolo di Principe di Romania. Non avendo istruzioni di associarmi a tali pratiche mi tenni, come era mio dovere, sulla riserva; ma in un abboccamento che ebbi col Gran Vizir per altri affari, venne egli stesso a discorrermene e da quanto mi disse, mi parve scorgere che egli non facesse buon viso alla domanda, non perché la trovasse ingiustificabile od inopportuna, ma perché gli giungeva per la via intermedia di altre potenze e non direttamente dal Governo rumeno.

Non mancai di rendere di ciò confidenzialmente avvertito l'Agente di S. A. il Principe Carlo, signor Stourdza, il quale si affrettò a riferirne al suo Governo.

In risposta egli ebbe ordine di rivolgersi al Gran Vizir per esprimergli il desiderio del Principe Carlo di assumere il titolo di Principe di Rumenia e la speranza nel tempo stesso che la Sublime Porta non avrebbe frapposto dal canto suo alcun ostacolo a siffatto desiderio. Gli veniva inoltre dato istruzione

di dichiarare alla Porta che le pratiche antecedenti delle tre potenze erano state fatte spontaneamente e non per sollecitazione del Governo rumeno.

Il signor de Stourdza riceveva pure comunicazione di una notificazione fatta dal suo Governo agli Agenti esteri in Bukarest, con la quale il Principe significava loro di voler assumere il dianzi mentovato titolo (1).

In tal frangente l'Ambasciatore di Francia, il quale rimaneva tuttavia sotto la impressione del primo reciso rifiuto datogli da Aali Pacha, consigliò l'Agente di Romania di sospendere il passo che era incaricato di dare e chiedere al suo Governo autorizzazione di differir lo a tempo più opportuno; ciò che egli fece.

Ma avendo io esternato al signor de Stourdza un contrario avviso ed avendogli fatto notare, che trattandosi di una quistione di forma e di suscettibilità più che di fondo, ogni ritardo fosse pregiudizievole, ei si decise a non più aspettare le nuove istruzioni e si condusse a compiere presso il Gran Vizir la missione di cui era stato incaricato.

L'esito che essa ha avuto può considerarsi come soddisfacente, posto che la Porta non pone altra condizione al suo assentimento che il nuovo titolo sia sanzionato da un atto collettivo delle Potenze, e queste si mostrano tutte disposte a secondare il Principe Carlo nel suo desiderio.

(l) Cfr. n. 233.

245

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. R. 1059. Parigi, 11 febbraio 1870 (per. il 13).

L'avversione manifestata da una gran parte della popolazione parigina contro i tentativi dei faziosi, l'inanità dei primi sperimenti, l'efficacia della repressione, e fors'anche l'aspra temperatura che qui regna da due giorni estinsero, almeno momentaneamente, le velleità insurrezionali che durante tre consecutive serate eransi tradotte nell'erezione di qualche inutile perché indifesa barricata, e nello scambio di colpi e di ferite per fortuna non provenienti che eccezionalissimamente da armi da fuoco. La sera di ieri passò, anche nei quartieri e nelle contrade ch'erano stati il centro dell'insurrezione, cosi perfettamente tranquilla che l'Autorità di sicurezza non stimò neppure necessario di prendere alcuno straordinario provvedimento, né di farli perlustrare da forze eccezionali. Il numero degli arrestati, durante tutti i recenti giorni di torbidi, ascenderebbe a circa cinquecento persone, tra le quali trovansi molti degli agitatori principali e più conosciuti.

La condotta della polizia imperiale in quest'occasione non cessò d'essere degna d'elogio.

Alla sua avvedutezza altrettanto quanto alla sua energia devesi che l'azione più terribile dell'armata e delle armi da fuoco siasi potuta evitare e rendere superflua. In alcuni casi, essa non esitò neppure a ricorrere a stratagemmi i

quali impedirono l'effusione di sangue od accelerarono la repressione. Così, è notorio che quando fu fatto l'arresto del signor Rochefort alle porte stesse della sala di conferenze che conteneva i suoi più ardenti amici e difensori, la polizia ebbe cura di far circondare la vettura che adduceva il deputato della l" circoscrizione da agenti suoi travestiti da operai, i quali simularono d'essere là per proteggere e coprire il deputato. In un'altra circostanza, mentre gl'insorti della Rue du Faubourg du Tempie costruivano una barricata e si precipitavano sopra tre omnibus allora sopravvenienti onde farne discendere i viaggiatori e valersi delle vetture, ne scendevano degli agenti di polizia che facilmente si impadronirono degli aggressori e nelle vetture istesse ne tradussero una trentina circa in prigione.

(l) Cfr. n. 212, allegato.

246

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. XVIII. Parigi, 11 febbraio 1870.

Ieri ebbi una interessante conversazione col Ministro Imperiale degli Affari Esteri intorno al Concilio Ecumenico. Pigliando argomento dalla circolare confidenziale che l'E. V. mi fece l'onore di dirigermi in data del 31 gennaio scorso (1), chiamai l'attenzione del Conte Daru su questo grave argomento e gli dissi che il Governo del Re desiderava mantenere intorno ad esso col Governo Imperiale uno scambio d'idee e d'informazioni, che a nostro giudizio non potrebbe che tornare utile ad entrambi i Governi. Non riporterò qui testualmente il linguaggio che tenni al Ministro Imperiale. Questo linguaggio m'era tracciato in modo preciso dalla circolare, pur ora citata, dell'E. V. nel qual documento le idee che guidano il Governo di Sua Maestà su questo oggetto sono chiaramente e degnamente esposte. Non ebbi quindi che a ripetere, colle medesime espressioni, le assennate riflessioni contenute nella di Lei circolare, accompagnandole all'uopo da qualche osservazione conforme allo spirito di essa.

Il Conte Daru, dopo avermi attentamente e senza interruzione ascoltato, mi rispose che entrava ben volentieri in uno scambio d'idee con me intorno al modo con cui il Governo Imperiale intendeva procedere rispetto al Concilio e si mise senz'altro ad espormi colla concisione e colla franchezza che caratterizzano il suo linguaggio, le idee alle quali intende conformare la sua condotta a questo proposito. La sostanza del discorso tenutomi dal Conte Daru può riassumersi nel modo che segue.

<<Le idee del Governo Imperiale, mi disse egli, relativamente al Concilio Ecumenico, furono da me esposte pubblicamente al Senato pochi giorni dopo che ebbi l'onore d'esser chiamato a sedere nei Consigli dell'Imperatore. La linea di condotta che in allora pubblicamente esposi fu e sarà seguita dal Governo Imperiale. Potrei quindi riferirmi puramente e semplicemente alle di

21 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. XII

chiarazioni da me fatte al Senato per rispondere alla comunicazione fattami dal Governo Italiano. Tuttavia, perché la mia risposta sia più completa e più conforme all'oggetto di questa comunicazione, aggiungerò, ma in via particolare, che ho fatto pervenire alla Corte di Roma, per mezzo dell'Ambasciata di Francia, osservazioni più speciali che riguardano più particolarmente il modo di procedere del Concilio. L'episcopato francese è rappresentato in seno al Concilio dalla quasi totalità dei Vescovi dell'Impero. La maggioranza dei Vescovi francesi presenti a Roma si trova, rispetto a certe questioni e specialmente rispetto a quella dell'infallibilità del Papa, in opposizione al maggior numero dei Prelati riuniti nel Concilio. Essa costituisce quindi, insieme con un numero ragguardevole di Vescovi d'altre nazioni, una minoranza in seno al Concilio stesso. Importa al Governo francese che i diritti e la libertà di questa minoranza sieno intieramente rispettati. Il rispetto dei diritti delle minoranze è una delle principali guarentigie della libertà e noi intendiamo mantenerlo nell'ordine politico come nel religioso. D'altro lato noi, come Governo, vogliamo astenerci dall'entrare nelle questioni dogmatiche e puramente religiose. Il Governo Imperiale ha quindi fatto sapere alla Corte di Roma queste principali cose, cioè:

l) che il Governo Imperiale quanto alle questioni di dogma, di morale e di disciplina ecclesiastica, non ha ad entrarci e non intende d'entrarci per nulla;

2) che però intende che il concordato in vigore da 60 anni in Francia, rimanga intatto; 3) che intende egualmente che sia rispettata la libertà di opinione e siano rispettati i diritti delle minoranze del Concilio~.

Ho ringraziato il Ministro Imperiale di queste informazioni. Confido che la notizia di esse potrà essere di qualche utilità al Governo del Re sia per l'esame delle questioni sollevate dal Concilio, sia per la linea di condotta da seguirsi in ordine ad esse, sia infine per la previsione delle conseguenze che ne possono scaturire.

(l) Cfr. n. 218.

247

L'ONOREVOLE BERTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. Napoli, 11 febbraio 1870.

Ho mandato una prima lettera a Lanza che verrà a te privatamente trasmessa secondo le intelligenze prese di comune accordo avanti la partenza. Vedrò domani l'Acton. Ho indugiato a consegnare la tua lettera per le ragioni accennate in quella che scrissi a Lanza. La frazione dei centocinquanta che oppugna l'infallibilità e che costituisce quindi ciò che io chiamo parte opponente risoluta e decisa è troppo autorevole per ingegno, per dottrina e per po

tenza perché Roma, e dirò meglio i Gesuiti ardiscano venire a colpi arrischiati valendosi della maggioranza numerica. Sai meglio di me che nelle quistioni di fede le minoranze dissidenti inspirano grandissimo timore. Perciò se i centocinquanta come pare restano saldi non si proclamerà l'infallibilità e si eviterà che il potere temporale sia elevato a dogma. Se per caso i centocinquanta si scindessero o se alcuno dei più autorevoli oppositori abbandonasse la bandiera insino ad ora seguita, la parte gesuitica piglierebbe il sopravvento ed accelererebbe le decisioni. Non continuo per non ritardare la partenza della lettera che è scritta per te e per Lanza.

(l) Da AVV.

248

L'ONOREVOLE BERTI AL MINISTRO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE, CORRENTI (l)

L. P. Napoli, 11 febbraio 1870.

Sono giunto quest'oggi in Napoli, e vi scrivo subito alcune notizie che, se non erro, mi pajono importanti. Ho parlato due volte con S. E. il Vescovo Strossmayer, la prima assieme con altri prelati Austriaci nella casa del Vescovo Haynald e la seconda nella sua abitazione a Via Ripetta n. 108.

Domani vi scriverò intorno alla istituzione della Cattedra di lingue e letterature slave, per ora permettetemi di accennare in fretta a quello che ho udito intorno all'importanza, le tendenze, e i probabili risultati del presente Concilio Ecumenico.

Il Vescovo Strossmayer da quello che ho raccolto dalla sua bocca, e da altre notizie di Vescovi e Diplomatici che appartengono alle due legazioni tedesche a Roma, cioè l'Austriaca e la Prussiana, è il capo della opposizione al Concilio, cioè di quella parte dell'Episcopato, il quale volendo rimanere fedele ai principii storici del Cristianesimo cattolico, non intende punto cedere alle pretensioni del papato, e ne vorrebbe circoscrivere in certi limiti la sovranità temporale e spirituale.

Lo Strossmayer prepara l'opposizione in due riunioni differenti, cioè in quella dei Vescovi austriaci, e nell'altra così detta internazionale, alla quale partecipano Dupanloup ed altri Vescovi francesi e fra gli italiani alcuni piemontesi, dei quali mi occorrerà di parlarvi nelle seguenti mie lettere.

Il Vescovo Strossmayer piuttosto che un teologo mi è sembrato un uomo politico e pratico di affari. Con ciò non voglio dire, che egli non conosca perfettamente le discipline teologiche, ma la sua attenzione è rivolta specialmente alle quistioni morali e politiche della Chiesa nelle loro connessioni collo Stato e c:olle presenti condizioni di Europa. Sebbene da' suoi discorsi sia facile il capire, come egli non ignori la critica tedesca, e le sue opinioni e ragionamenti suppongano studii forti ed estesi di storia ecclesiastica, e di esegesi biblica, non mi è però sembrato molto preoccupato da definizioni e scrupoli, che vogliate dire, dogmatici. Egli è un parlamentare nel senso più rigoroso della parola, ed è venuto al

Concilio preparato dalle discussioni della Dieta croata e del Reichsrath. Quello che importa più di tutto notare si è, che egli è uno di quei caratteri, che non sono disposti a cedere davanti ad alcuna difficoltà o pericolo. Pochi uomini ho incontrato nella mia vita così naturalmente eloquenti come il Vescovo Strossmayer.

Gli ho Ietto la Vostra lettera, e non fu necessaria alcuna traduzione. Egli parla tuttavia più volentieri l'Illirico, il Tedesco e il Latino, ed usa di queste tre lingue con una facilità, che è meravigliosa.

Nel secondo colloquio abbiamo quasi sempre parlato tedesco, quando sono entrato nella sua camera verso le 7 di sera, egli era solo ed ha avuto la bontà di dirmi, come egli mi aspettasse con impazienza! Ha ripetuto una seconda volta, che egli era stato profondamente commosso dalla vostra lettera, e subito con evidente desiderio di essere ben inteso, non dissimulò punto le sue sincere simpatie pel nuovo Regno Italiano.

Egli mi ha parlato a un dipi:esso nel seguente modo: «II conflitto dello Stato italiano col Papato è uno dei più gravi e più difficili, ma quando non sia compromesso dalle impazienze, e condotto dalla parte italiana con tutta la consapevolezza morale, di non dubbio risultato. L'Italia invece di affliggersi e di sentirsi umiliata dalle presenti difficoltà del Concilio, deve rallegrarsene ed esserne contenta. Ormai gli uomini più imparziali e più devoti alla causa della Chiesa cattolica si sono persuasi, che al Papato, come ora è costituito in Italia, manca ogni intelligenza, ogni forza morale, ed ogni previdenza nel suo avvenire. II Papato in Italia non rappresenta più l'universalità della coscienza cristiana, ma è un partito, il quale vuole per fini, che tutti conoscono, imporsi colla dissimulazione ed anche colla violenza alle giuste risultanze del sentimento religioso, e alle più nobili tendenze della civiltà in Europa.

Questa è l'esperienza, ha ripetuto più volte lo Strossmayer, non solamente mia, ma della miglior parte dell'Episcopato, e dite pure al Vostro Ministro, che la Provvidenza, la quale ha riunito gli Italiani in una nazione, ora col presente concilio li ajuta a risolvere la difficoltà che era stata creduta finora la più grave per la costituzione definitiva del Regno Italiano.

La Curia Romana ha contato troppo sulla cieca obbedienza dell'Episcopato. Chiamati in Roma per difendere e confermare la Chiesa pericolante, molti di noi ci siamo accorti, che il maggiore pericolo viene da coloro, che vogliono sostituirsi alla vera Chiesa fondata da Gesù Cristo.

La Chiesa non è il papa, né il collegio dei Cardinali, né i Gesuiti, ma tutta la coscienza cattolica illuminata dalla grazia e dai meriti del Redentore. E la miglior parte, come vi dico, dell'Episcopato, sa il posto che ha nella Chiesa, ed è decisa a non abbandonarlo, ma a difenderlo con tutta l'autorità della sua missione storica e divina».

«L'Infallibilità del Papa non sarà dunque votata dal Concilio? Non sono dunque vere le voci, che ho udito in questi giorni a Roma, cioè che molti Vescovi dell'opposizione incominciano a pentirsi della prima protesta? ».

«Io ho fiducia, mi rispose lo Strossmayer, in quella parte dell'Episcopato cui appartengo. Non credo fondate le voci alle quali accennate. So che si è detto il Ketteler di Magonza già passato all'altra parte, e che l'Episcopato

prussiano dubiti delle conseguenze di una opposizione aperta. Io non posso persuadermi che rimarremo soli noi altri Vescovi austriaci, cioè Ungaresi, Croati e Tedeschi. Ma comunque, sia per essere la cosa, la scissione, che la Curia Romana assieme coi Gesuiti ha creduto impossibile, si è manifestata (Der Bruch ist da), l'Episcopato si è diviso in due parti e questa divisione non può non avere le sue conseguenze.

Inoltre la quistione sollevata intorno all'infallibilità del Capo della Chiesa comunque principalissima, non è quella che determinerà la crisi del presente Concilio. In questi giorni i nostri avversarii vogliono tentare un colpo che sarebbe la negazione della Chiesa. Hanno veduto che l'opposizione, invece di menomarsi colla discussione si allarga. Se ciò che hanno meditato avviene, è chiaro che non è un Concilio, ma un Conciliabolo che hanno voluto. In questo caso le risoluzioni della parte cui appartengo non possono essere dubbie. Se l'episcopato non può parlare in Roma, parlerà altrove. Il Concilio Vaticano non sarà stato che l'occasione di un altro Concilio.

Non vi posso dire di più, vi ripeto ancora che l'Italia si deve molto rallegrare di quello che è accaduto e sta per accadere in questi giorni a Roma.

A questo punto lo Strossmayer si è fatto rileggere la vostra lettera ed abbiamo incominciato a discutere sulla istituzione di una cattedra di filologia Slava in Italia.

(l) Da AVV.

249

IL MINISTRO DEGLI ESTERI. VISCONTI VENOSTA. AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI

D. 30. Firenze, 12 febbraio 1870.

Vous m'avez envoyé avec votre dépeche du 6 Janvier (l) la lettre que la Sublime Porte vous a communiquée, ainsi qu'aux représentants des autres Puissances, au sujet de la contestation existante entre le Gouvernement de S.M.!. le Sultan et le Prince de Monténégro pour la possession de Veli et Mali Berda.

Veuillez remercier en mon nom S. A. Aali Pacha pour cette intéressante communication. Vous devez l'assurer que nous y avons attaché beaucoup de prix. Nous y avons vu en effet une preuve de l'intention du Gouvernement impérial de conserver son véritable caractère à cette question, qui doit demeurer susceptible de transactions diplomatiques.

C'est pourquoi nous regretterions d'apprendre que la nouvelle de la concentration d'un corps d'armée considérable sur les frontières du Monténégro se trouvait confirmée. Tout ce qui peut rendre moins faciles les arrangements diplomatiques dans l'affaire de Veli et Mali Berda ne pourrait que former un contrast fàcheux avec les dispositions bienveillantes dont les puissances ont donné maintes preuves envers les intéréts de la Sublime Porte.

Vous voudrez bien, M. le Comte, faire ressortir ces considérations, dans vas entretiens avec S. A. Aali Pacha, et lui représenter que c'est en vue de l'intéret commun de la Turquie et des autres Puissances que le Gouvernement du Roi désire la solution pacifique des questions de cette nature.

(l) R. 26, non pubblicato.

250

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, BLANC, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI

D. R. 31. Firenze, 12 febbraio 1870.

Le invio oggi un dispaccio (n. 30 di questa serie) (l) relativo al contegno assunto dalla Sublime Porta verso il Montenegro. È nostra intenzione che quel dispaccio Le serva unicamente per regolare, in modo generico, il di Lei linguaggio con S. A. Ali Pacha. Noi vorremmo sopratutto evitare che la Porta possa supporre in noi il progetto di pigliare l'iniziativa per deferire la questione alla diplomazia delle potenze garanti. Se fra la Porta ed il Montenegro interverranno diretti accomodamenti, noi saremo ben lieti di prenderne atto.

251

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 527. Berlino, 12 febbraio 1870 (per. il 15).

J'ai demandé aujourd'hui au Secrétaire d'Etat s'il avait connaissance de pourparlers relatifs à la demande éventuelle du Prince Charles d'etre reconnu officiellement par les Puissances avec le titre du Prince de Roumanie, et quelle était la manière de voir du Cabinet de Berlin dans cette question.

M. de Thile m'a répondu qu'on était instruit ici de ces pourparlers, de l'avis favorable émis nommément par l'Italie, la France, l'Angleterre et l'Autriche, mais que des nouvelles reçues de Londres portaient que la Sublime Porte n'était rien moins que disposée à donner son assentiment. Le Cabinet de Berlin s'est abstenu de toute démarche. D'après l'opinion du Comte de Bismarck, elle eut été inopportune.

M. de Thile me disait confidentiellement que dans ces derniers temps on avait été ici fort peu satisfait de la conduite du Prince Charles dont l'entourage Iaisse beaucoup à désirer. II est vrai, ajoutait-il, que dans ce pays il est extremement difficile de faire des choix qui offrent Ies garanties voulues au Gouvernement.

S. -E. m'a parlé aussi d'une entente qui était en train de s'établir entre la France et l'Angleterre pour insister nouvellement à Bukarest en faveur des Israélites qui ne cessent dans les Principautés Unies d'etre en butte aux persécutions. C'est là un point sur lequel le Consul Général de la Confédération est nanti depuis longtemps des instructions nécessaires, et dont il a été dans le cas de se prévaloir, il y a un an environ, pour recommander vivement au Gouvernement princier d'adopter une ligne de conduite plus conforme aux principes de la civilisation et de la liberté religieuse.

J'ai l'honneur d'accuser réception de la dépéche de V. E. du 4 Février -Division politique sans numéro (l) -et des documents diplomatiques y annexés du n. 50 au n. 57, sauf le n. 56.

En vous remerciant de cet envoi, ...

(l) -Cfr. n. 249.
252

L'ONOREVOLE BERTI AL MINISTRO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE, CORRENTI (2)

L. P. Napoli, 12 febbraio 1870.

Ciò che si propone di tentare la maggioranza del Concilio in questi prossimi giorni è di ridurre al silenzio l'opposizione. Si tratterebbe di votare in complesso, cioè senza discussione delle singole tesi uno schema generale, che è stato, come voi già saprete, redatto dai Gesuiti e che ha il titolo de Ecclesia. Si vuol fare quello che farete probabilmente anche voi alla riapertura del Parlamento, cioè ottenere una votazione in complesso sulle economie e riforme che intendete proporre. Non so quello che succederà nel Parlamento Italiano, ma quello che secondo S. E. il Vescovo Strossmayer dovrà succedere senza dubbio nel Concilio è la separazione, o meglio Secessio, come si diceva nelle Diete di Polonia, della minoranza.

Mentre dei Vescovi, che hanno sottoscritto la protesta contro l'infallibilità del Papa, alcuni incominciano, come già vi ho detto, a impaurirsi, o a soggiacere alle seduzioni dei Gesuiti, p. e. il Primate di Ungheria l'Arcivescovo Simor, al quale si è promessa la porpora; pajono invece tutti concordi a non permettere una violazione della libertà apostolica dell'Episcopato nel Concilio.

In questo caso la minoranza non si riunirebbe in un Anticoncilio, ma in tanti Concili nazionali per protestare, e premunirsi contro le conseguenze del voto della maggioranza. Se questo non è, come non mi pare, una illusione del Capo della opposizione il Vescovo Strossmayer, voi vedete che sono imminenti fatti gravissimi.

È chiaro che le discussioni religiose dei Concilii si complicherebbero in alcuni paesi, e principalmente in Austria colla quistione politica delle Nazionalità, e in Francia la rivendicazione della autonomia della Chiesa Gallicana potrebbe

offrire all'Imperatore una occasione opportunissima per rinunciare finalmente al suo intervento a Roma.

Io non capisco adunque, come la diplomazia italiana non si metta subito in relazione colla minoranza del Concilio e non cerchi di confermarla nelle loro probabili risoluzioni.

I governi di Europa che hanno legazioni stabili a Roma, come la Francia, l'Austria, e la Prussia sorvegliano colla più minuta attenzione il Concilio, come ho potuto ;,Jersuadermi nei colloqui coll'Arnim e col Trautmansdorff, e la Russia vi ha mandato accorti ed infaticabili agenti.

Le lettere importanti che si pubblicano in questi giorni nella Allgemeine Zei-· tur:g sono di Dollinger, e per lo più redatte sulle notizie esattissime che riceve e comunica la legazione prussiana. Sarebbe opportuno che fossero tradotte in qualche giornale italiano p.e. nel Diritto, e così invece di perseguitare e calunniare un vostro povero amico farebbe opera buona ed utilissima in questo momento.

Mi sono messo in relazione con due agenti russi, dei quali l'uno si chiama Blagumir Ivanovic Gheriac ed è professore di Storia universale a Mosca, e l'altro è il Dottore Pichler, Direttore della Biblioteca imperiale di Pietroburgo. Le corrispondenze del Viestnik Europi appartengono al primo ed al secondo un libro che sarà pubblicato in questi giorni in Alemagna e che conterrà rivelazioni importanti sul Concilio.

Il Professore Gheric è uomo dottissimo ed è mandato a Roma dal Ministro Miliutin. Il Pichler fu Professore di Teologia all'Università di Monaco e le sue pubblicazioni hanno avuto un'importanza presso che eguale a quelle del Dollinger. A ragione de' suoi conflitti cogli Ultramontani di Monaco, avendo dovuto abbandonare l'Università, è stato chiamato in Russia coll'ufficio apparente di Direttore della Biblioteca imperiale.

Dico apparente, imperocché il suo vero ufficio sia quello di consigliare il Governo russo in tutte le quistioni religiose, che si connettono coll'amministrazione della Polonia. Io sono lontano dall'approvare questa cooperazione tedesca ai fini non sempre nobili e giusti della politica russa in Polonia, ma ad ogni modo ho voluto capire quale fosse la missione speciale del Pichler ed ho passato una sera con lui nella casa del Professore Gheric.

La quistione speciale, su cui deve esercitare tutta la sua sorveglianza, è naturalmente quella di Polonia. Voi saprete come la Russia non abbia proibito ai Vescovi Polacchi di venire, ma bensì di ritornare dal Concilio. Questa misura coercitiva mentre è ingiusta non impedisce affatto che si sollevi nel Concilio la quistione polacca. Il che deve pure succedere in questi giorni per mezzo del Vescovo Sosnowski.

Ora il Pichler è stato mandato in Roma dal Ministro russo con lettere

per lo Strossmayer, il quale naturalmente non solo è il più competente, ma

ha il maggior interesse a parlare in una quistione che si connette così diretta

mente con quella generale degli Slavi. Il Pichler m'aveva promesso di farmi

leggere tutta la corrispondenza col Governo russo, ma voi sapete che il congedo

che mi avete accordato pel mio viaggio a Roma non fu che di 4 o 5 giorni

ed io quindi ho dovuto ritornare senza queste importanti notizie a Napoli.

Il Pichler è informatissimo di quello che si prepara e si discute al Concilio. Fu pregato da alcuni Vescovi tedeschi a scrivere per loro uso note sullo schema generale, di cui vi ho parlato in principio di questa lettera, cioè lo schema

de Ecclesia.

Lo Strossmayer parlerà adunque sulla quistione polacca ed io potrò comunicarvi alcune delle sue idee che ho udito nella occasione ch'io l'ho interrogato sulla cattedra che Voi volete fondare a Firenze di lingue e letterature slave.

Ho voluto mandarvi queste notizie personali perché mi pajono utili quando vogliate mandare un altro vostro confidente a Roma.

Per ora dovendo interrompere questa lettera, m'importa solamente farvi notare come nella casa di via Ripetta n. 108 giungano messaggi di varj governi e come lo Strossmayer, mentre è il Capo dell'opposizione al Concilio tenga nelle sue mani le fila politiche di molte importanti quistioni.

Quest'oggi ancora e domani continuerò di scrivervi sullo stesso argomento (1).

(l) Cfr. n. 230.

(2) Da AVV.

253

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI

T. 1068. Firenze, 13 febbraio 1870, ore 13,40.

Informez vous comme de votre initiative personnelle si Beust entend protester ou faire démarches contre adoption du syllabus par le Concile ainsi que l'annonce la Neue Freie Presse (2).

254

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1061. Parigi, 14 febbraio 1870 (per. il 17).

In questi ultimi giorni in parecchi giornali fu fatta menzione di pratiche e di note che si sarebbero scambiate fra il Governo francese ed il Governo prussiano a proposito delle discussioni sollevatesi a Monaco fra la Camera e il Ministero bavarese. Il Barone di Werther, Ambasciatore di Prussia a Parigi, con cui parlai ieri di questi rumori, mi disse ch'essi non avevano il menomo fondamento e che non fu mai questione fra i Gabinetti di Parigi e di Berlino degli incidenti parlamentari che si produssero in questi ultimi tempi a Monaco.

Altri rumori sparsi dai giornali tentarono d'accreditare la notizia che il Governo francese avesse mosso qualche osservazione al Gabinetto di Berlino relativamente ad una più stretta e più completa esecuzione del trattato di

Praga per parte della Prussia. II prelodato Barone di Werther mi assicurò che nelle sue conversazioni col Conte Daru non si fece mai di questo oggetto

o intorno ad esso alcuna menzione, alcun cenno, alcuna allusione anche lontana.

(l) -Non si pubblica la lettera del 13 febbraio. (2) -Per la risposta cfr. n. 259.
255

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA

D. 70. Firenze, 15 febbraio 1870.

Ho letto con vivo interesse il rapporto politico del 17/29 gennaio (l), col quale Ella mi rendeva conto dei passi fatti dal Gabinetto di Pietroburgo presso quelli di Berlino, Vienna, Parigi e Londra, relativamente ad un concentramento di truppe nelle provincie ottomane limitrofe del Montenegro.

Da ciò che Ella mi scrivea risulta che il Cancelliere imperiale ha fatto a questo riguardo due pratiche distinte. L'una, scrivendo ai rappresentanti della Russia, per essere comunicati alle quattro potenze sovr'indicate, l'altra puramente verbale, conversando di questo affare cogli Ambasciatori e Ministri esteri accreditati presso codesta Corte Imperiale.

L'Incaricato d'Affari di Russia in Firenze non ci ha finora comunicato alcun dispaccio in proposito. Dobbiamo dunque ritenere che S. E. il Principe di Gortchakow abbia voluto, a nostro riguardo, limitarsi a fare una comunicazione verbale per mezzo della S. V. Basterà perciò che, a mia volta, io Le trasmetta alcuni documenti relativi all'affare in discorso, dai quali Ella potrà per propria norma vedere in qual senso il R. rappresentante in Costantinopoli abbia istruzione di parlare col Gran Vizir (2).

256

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 529. Berlino, 15 febbraio 1870 (per. il 18).

Les débats sur l'Adresse dans la Chambre des Députés de Bavière occupent en Allemagne l'attention publique au plus haut degré. C'est parce qu'ils touchent non seulement aux circonstances intérieures de ce Royaume, mais aussi à ses rapports avec la Prusse. Les orateurs soi-disant patriotes interprètent en effet le Traité d'alliance de 1866, comme si leur Gouvernement avait le droit en toute occurence d'apprécier si le casus foederis existe. Cette manière de voir est condamnée par toute la presse nationale comme absolument inadmissible. Les Gazettes officieuses repoussent aussi une semblable prétention. C'est que tel est aussi l'avis du Cabinet de Berlin. Je constate le fait sans

relever les arguments pour et contre énoncés par de nombreux publicistes sur le sens des phrases et des mots qui présenteraient peut etre un sens douteux; s'il ne s'agissait pas avant tout d'une question de bonne foi.

Quoi qu'il en soit, le Gouvernement Prussien regrette que l'existence du Ministère Hohenlohe soit des plus compromises, surtout si la retraite de ce personnage devait donner une nouvelle impulsion aux menées dans le Wilrtemberg d'un parti influent qui travaille aussi à éluder des engagements analogues. Le Comte de Bismarck parait néanmoins envisager cette crise avec beaucoup de calme et de modération. Rien n'indique que pour le moment il songe à une ingérence quelconque. C'est bien là le parti le plus sage. En effet, si une administration arrive à Munich au pouvoir avec des sentiments contraires à la Prusse, il convient d'attendre qu'elle accentue son programme. Or, il est assez probable qu'elle révélera au grand jour son impuissance à réagir contre la marche naturelle des choses. Si par ses commentaires sur l'alliance offensive et défensive, elle cherchait à se dégager ouvertement de ses obligations, la Prusse pourrait y répondre par la déclaration qu'elle ne renouvelera pas vis-à-vis de la Bavière le Traité du Zollverein dont cet Etat recueille de larges bénéfices si nécessaires à son trésor.

Pour démontrer l'interprétabilité restrictive des Traités d'alliance de 1866, on a invoqué plus d'un précédent. M. de Varnbiihler affirmait, entre autres, en 1867 devant la deuxième Chambre Wilrtembergeoise que le Cabinet de Stuttgart, consulté par la Prusse sur le point de savoir si l'affaire du Luxembourg constituait le casus toederis, avait répondu qu'il faudrait avant de se prononcer prendre connaissance des faits et les apprécier, et que cette réponse avait été jugée satisfaisante. Mais la Gazette officieuse de l'Allemagne du Nord vient de répliquer que si le Cabinet de Berlin n'avait rétabli tout d'abord l'exactitude des faits, c'était pour ménager la position du Ministre Varnbilhler vis-àvis du Parlement. La Gazette ajoute: « on comprend bien que dans les communications qui ont été faites aux Gouvernements du Sud à cette époque, le Cabinet de Berlin n'a pas agité la question de savoir si le casus toederis existait, et dans quel cas il serait considéré comme existant. Un pareil droit d'appréciation, s'il pouvait etre concédé, serait une absurdité et l'annulation mt\me des Traités ».

Il est peut etre à propos de rappeler ici une des versions qui circulaient en 1867 sur la démarche faite auprès des Gouvernements du Sud. Pour gagner en popularité, certains partis au delà du Mein se donnaient des apparences belliqueuses avant meme que leurs Gouvernements eussent mis la main aux préparatifs d'une campagne. Ils ne jouaient pas gros jeu, car ils savaient que la Prusse penchait pour une transaction. Dans ces circonstances, le Comte de Bismarck aurait jugé opportun de mettre ces Gouvernements en demeure de se prononcer sur leurs dispositions véritables relativement à la question du Luxembourg, sur le chiffre de troupes qu'ils mettraient éventuellement sur pied, en les interpellant en meme temps s'ils seraient prets à défendre leur attitude soit vis-à-vis des Chambres soit vis-à-vis de l'opinion publique. On n'aurait pas tardé à remarquer dès lors une plus grande réserve dans la presse officieuse et non officieuse.

Au reste dans les cercles militaires de Berlin -je citerai, entre autres, le Général de Moltke -on n'attache qu'une importance assez médiocre aux stipulations avec la Bavière et avec le Wiirtemberg. On raisonne ainsi: en admettant que le sentiment patriotique allemand domine dans ces Pays, il agira de lui-meme, en cas de danger, sans qu'il soit nécessaire d'invoquer la lettre et l'esprit des Traités. Si tel n'était pas le cas, alors les garanties données ne vaudraient pas le papier sur lequel elles furent écrites. Les secours feraient alors défaut, ou ils arriveraient trop tard pour qu'on put les employer utilement.

Sans doute le Gouvernement prussien ne fait pas aussi bon marché de la coopération éventuelle du Sud de l'Allemagne, mais il est évident que l'opinion émise à cet égard par les généraux, les plus compétents doit exercer quelque influence sur son propre jugement.

II ne s'agit heureusement que de considérations purement théoriques sur la signification des Traités. Heureusement aussi que ni l'Autriche ni la France ne semblent vouloir s'immiscer dans ces querelles mtérieures de l'Allemagne. Au dire de la Correspondance de Berlin, dans son Numéro du 8 Février, ce serait du Journal de Rome que les patriotes Bavarois prennent leurs instructions parlementaires et le mot d'ordre d'opposition. Quoique la situation soit assez tendue, on ne désespère pas encore ici de voir bientòt le calme succéder à l'agitation des esprits en Bavière dont les conditions d'existence ne sauraient étre ailleurs que dans une entente intime avec la Confédération du Nord.

(l) -Cfr. n. 214. (2) -Cfr. nn. 249 e 250.
257

L'INCARICATO D'AFFARI A CARLSRUHE, LITTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 168. Carlsruhe, 15 febbraio 1870 (per. il 18).

Oggi, martedì, mi sono recato a fare la mia visita settimanale al Barone di Freydorf. Mi premeva conoscere l'impressione prodotta sull'animo del Ministro granducale degli Affari Esteri, dal discorso pronunciato jeri a Berlino da S. M. il Re di Prussia, all'apertura del Parlamento della Confederazione tedesca del Nord. Non appena ml trovai in presenza del Barone di Freydorf, mi accorsi essere egli di lieto umore, e non avendo esitato a domandargli se il discorso del Re di Prussia eragli piaciuto, mi rispose subito, e con sorriso di vera compiacenza: «J'en suis content vraiment très content ». S. E. rimarcava che era la prima volta che il Re Guglielmo si esprimeva in termini un po' più precisi relativamente ai rapporti esistenti, od a crearsi fra la Confederazione tedesca del Nord, e gli Stati della Germania meridionale. Quelle parole non escludono la possibilità di una Confederazione del Sud, ma nemmeno quella di altre combinazioni divergenti da quelle ideate o vagheggiate a Monaco, od a Stoccarda. Le allusioni fatte ai trattati d'alleanza offensiva e difensiva del 1866, ed all'impegno solenne preso dai Sovrani degli Stati meridionali di religiosamente osservarli, sono la risposta che da Berlino viene data all'agitazione clericale in Baviera, ed a quella radicale nel Wurtemberg. «La nostra situazione dirimpetto alla Prussia, continuava il Signor di Freydorf, non cambia, e noi continueremo più che mai a seguire la politica che abbiamo adottata e che il Parlamento approva».

Mi sono permesso di domandare a S. E. se egli credeva che dopo essersi espresso il Re di Prussia in que' termini circa i rapporti fra il Nord ed il Sud della Germania, la questione tedesca avrebbe fatto un passo in avanti. Al che il mio interlocutore rispose che non credeva fosse tale l'opinione dominante a Berlino e che fino ad oggi nessuna proposta era stata fatta che lasciasse supporre ciò, e che anzi da certi fatti si poteva arguire che a Berlino non si era gran che premurosi di far camminare la spinosa questione germanica. Egli mi citò fra gli altri il fatto che allorché si iniziarono le trattative fra la Prussia ed il Granducato di Baden per il trattato di giurisdizione, il Re di Prussia ed il suo Governo avevano espresso il desiderio che quel trattato fosse contemporaneamente a combinarsi colla Baviera, e col Wurtemberg, al che il Governo granducale non poté aderire, sinceramente essendo assai necessario che il trattato entri subito in vigore, non appena avuta l'approvazione delle Camere ora riunite, e poi perché non essendovi, come è noto, grande accordo fra i Gabinetti di Carlsruhe, Monaco e Stoccarda, la conclusione di quell'importante atto internazionale sarebbe stata di troppo differita.

Chiesi altresì al Signor di Freydorf se mai vi sarà una discussione politica in seno alla prima od alla seconda Camera quando verrà in discussione il trattato di giurisdizione più sopra accennato, al che egli mi rispose che ciò avrebbe fors'anco potuto avvenire, per iniziativa presa da qualcuno dei membri del Parlamento, ma non già dal banco dei Ministri, i quali non l'avrebbero provocata. Che però portata la questione su quel terreno, egli si sentiva disposto a trattarla ed a dare tutti quei schiarimenti che non si potrebbero forse ottenere né da Monaco né da Stoccarda.

S.A.R. il Granduca è da alcuni giorni indisposto. Credo che si tratti di indisposizione affatto passeggera, ma le persone di Corte evitano di parlarne e conservano su questo tema un misterioso silenzio. Sua Altezza Reale non intervenne né al ballo dato 1'11 corrente dalla Principessa Elisabetta di Baden, né a quello dato jeri a sera da S. A. Granducale il Principe Guglielmo. Tutti gli altri membri della Famiglia granducale, compresavi la Granduchessa, assistettero a quei due balli.

258

IL MINISTRO A MONACO DI BAVIERA, MIGLIORATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 112. Monaco, 15 febbraio 1870 (per. il 17).

Il telegrafo avrà già fatto conoscere all'E. V. che la Camera de' deputati di Baviera chiuse finalmente la discussione sull'indirizzo in risposta al discorso della Corona esprimendo contro il Principe di Hohenlohe un voto di sfi

ducia così concepito: «I trattati conchiusi colla Prussia e colla Confederazione del Nord potendo essere interpretati in differente maniera, questa è la causa delle apprensioni manifestatesi nel paese e che conducono alla conseguenza di desiderare che a Capo del dipartimento degli Esteri venga chiamato un uomo che possegga la fiducia del paese; prosegue poscia l'indirizzo dicendo: «siamo pronti a difendere la patria con tutte le nostre forze e speriamo che una Confederazione dei popoli tedeschi sulle basi di uguali diritti diventi una possibilità».

Questa solenne manifestazione della rappresentanza nazionale ebbe per risultato che il Principe di Hohenlohe riuniti a conferenza avant'jeri i suoi colleghi, onde discutere sul da farsi venne presa seduta stante la risoluzione ch'Egli solo avrebbe rassegnato al Re le proprie demissioni, il che, mi si assicura, ha avuto luogo jeri medesimo. Ignorasi sin'ora quali siano le disposizioni di Sua Maestà a questo riguardo sebbene si voglia da alcuni ritenere che sia intenzionato a modificare l'attitudine di resistenza che avea assunta sul principio. Non sarà isfuggito intanto all'attenzione dell'E. V. l'effetto deplorabile prodotto dalle discussioni parlamentari ch'ebbero qui luogo alla Camera sollevando la questione del casus toederis; a mio parere sarebbe stata da ogni lato opera da buoni patriotti di evitare una questione che trarrà il Gabinetto di Monaco ad una discussione grave colla Confederazione del Nord, ed è per conseguenza tanto più lamentevole che una tal questione abbia servito a motivare il voto di sfiducia inflitto al Principe di Hohenlohe, il cui successore sarà pertanto costretto d'inizLare la sua gestione spiegandosi chiaramente sul modo di interpretare il patto stipulato colla Prussia, e del quale i cosiddetti particolaristi vorrebbero diminuire il valore mantenendo alla Baviera il diritto di esaminare in ogni singolo caso la validità delle circostanze per cui si domanderebbe l'esecuzione del trattato di alleanza. Io ritengo però che il partito cosiddetto patriotta ove giunga al potere sia convinto della necessità per la Baviera di attenersi ad una politica nazionale, coltivando i migliori rapporti colla Confederazione del Nord, e che per conseguenza sia ben lungi dal nutrire progetti provocanti quali si manifesterebbero denunciando i trattati esistenti colla Germania; queste mie deduzioni sono la conseguenza di discorsi che ascoltai in questi ultimi giorni. Intanto il partito liberale progressista si affacenda onde ingrandire le apprensioni del paese per la crescente influenza clericale, annunciando che una dominazione ultramontana le cui radici stanno a Roma minaccia d'invadere la Baviera. Qui credo di dover far la parte dell'esagerazione che esce dai campi opposti. È verissimo che si debba attribuire in gran parte all'influenza clericale il risultato delle ultime elezioni in Baviera poiché le elezioni a favore degli ultramontani o patriotti escono dai collegii delle campagne ove il clero ha maggiore influenza, ma si esagererebbe grandemente attribuendogli l'impulso e la direzione partendo da piazza del Gesù a Roma. Nelle recenti operazioni elettorali il basso clero servì, io credo di strumento ai grandi proprietarii che per ragione di censo esercitano nelle campagne più che nelle città una preponderanza d'influenza sulle masse.

Al momento di chiudere il presente rapporto mi vien detto che Sua Maestà abbia l'intenzione di chiamare a suo primo Ministro S. E. il Conte di Bray

Steinburg Ministro di Baviera a Vienna da circa 10 anni. Se questa notizia è esatta sarebbe l'indizio di un singolare retrocedimento politico per parte di Sua Maestà scegliendo un personaggio che rappresenta una esaltata personificazione del partito che ha oggi il dissopra alla Camera.

259

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2062. Vienna, 16 febbraio 1870, ore 17 (per. ore 17,45).

En présence de l'adoption probable du Syllabus par le Concile, le comte de Beust a adressé une note au Comte de Trautsmandorff le chargeant d'exprimer au cardinal Antonelli son blàme. Si le besoin s'en faisait sentir l'ambassadeur d'Autriche serait autorisé à lui déclarer que le Gouvernement impérial se verrait obligé de protester, et d'empecher sur son territoire la publication des 21 canons. On est persuadé ici que l'on cèdera. J'écris par poste.

260

VITTORIO EMANUELE II A PIO IX (l)

L. P. Firenze, 18 febbraio 1870.

Mi hanno profondamente commosso le affettuose parole con cui piacque alla Santità di congratularsi meco per la mia recuperata salute, come dall'ossequiato foglio del 10 dicembre (2) pervenutomi con quello del 3 corrente gennaio (3). Mentre prego la Santità Vostra di accogliere le maggiori mie grazie, mi affretto a soggiungere che vi ho trovato un nuovo argomento di quella benevolenza di che Ella mi fu costantemente largo e che dal mio canto ho sempre ricambiata con la venerazione e la devozione la più sincera.

Sarei ben lieto di poterne offrire una prova alla Santità Vostra col dare seguito, secondo il pio di lei desiderio alla proposta di riprendere le trattative per la provvista delle sedi episcopali vacanti nel mio Regno. Ma il farlo ora che le questioni di amministrazione e sopratutto di finanza occupano straordinariamente per non dire esclusivamente gli animi in Italia, mi dà luogo a te

mere che apra la via ad inquietudini e vive discussioni, le quali anziché affrettare potrebbero allontanare il conseguimento dello scopo che la Santità Vostra si propone. Timore questo che si fa in me tanto più serio, quando considero la coincidenza della riunione del Concilio ecumenico, dalle cui deliberazioni io spero sempre che risultino agevolate le trattative per la risoluzione delle questioni fra la Chiesa e lo Stato.

Sarebbe troppo lungo e forse anco malagevole lo spiegare minutamente per lettera le varie ragioni per cui io fui indotto a concepire il timore che testé manifestavo alla Santità Vostra, ma io confido che quando Ella colla sua consueta benevolenza per me si fermerà qualche poco sull'ordine d'idee che le accennai, converrà meco che una prudente dilazione è per molti versi grandemente opportuna. Quanto agli altri desideri che la Santità Vostra si è degnata di manifestare nella sua lettera io son certo che Ella ed ora ed in avvenire come già pel passato, vorrà tener conto dei doveri che mi incombono in virtù della legge fondamentale del Regno cui prestai solenne giuramento ascendendo al trono. Posso però dire alla Santità Vostra che tanto io quanto il mio Governo mentre cerchiamo di rimediare nei limiti delle facoltà concesse dalle leggi ad eccessi deplorabili della stampa, non cessiamo dal fare quanto sta in noi per migliorare le condizioni economiche del clero secolare più povero che meritamente sta tanto a cuore della Santità Vostra.

Io mi lusingo sempre che debbano sorgere giorni in cui dissipate le prevenzioni esistenti possano essere scemati i mali che affliggono questa nostra patria diletta. Me ne è arra lu benignità paterna che sempre ha per me la Santità Vostra, per cui La prego di accogliere i miei rispettosi sentimenti ed impartire a me e alla mia famiglia la Sua santa benedizione.

(l) -Da Archivio Vaticano, autografo, ed, in PIRRI, vol. III, parte II, pp. 226-227 e in LP.tten< Vittorio Emanuele II, vol. II, pp. 1461-1462. (2) -Cfr. n. 111. (3) -Cfr. n. 150.
261

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 36. Costantinopoli, 18 febbraio 1870 (per. il 27).

Per conformarmi alle istruzioni ricevute da V. E. col telegramma del 4 corrente mese (l) mi condussi lunedì scorso dal Gran Vizir e gli esposi che ero incaricato di domandargli in via amichevole e confidenziale schiarimenti sulle forti concentrazioni di truppe, che il Governo ottomano operava da qualche tempo in qua sulle frontiere del Montenegro, ed intrattenerlo sulle apprensioni che ne' vari Gabinetti d'Europa aveva destata la notizia di siffatti movimenti, i quali avrebbero potuto dar luogo a conflitti e far sorgere in conseguenza complicazioni, che potrebbero turbare la pace generale, la cui conservazione sta tanto a cuore al Governo del Re.

Il Gran Vizir mi rispose negli stessi sens1 mcirca con cui erasi espresso co' Rappresentanti d'Austria, di Francia e d'Inghilterra, che pria di me lo avevano interpellato sullo stesso abbietto.

Egli negò che la Porta facesse sulla frontiera del Montenegro movimenti militari straordinari ed in uno scopo offensivo; il tutto si riduceva a semplici misure di precauzione prese per sostenere i diritti incontrastabili della Porta contro le esagerate ed inammissibili pretese dei Montenegrini; la Porta non poter cedere a costoro, sotto lo specioso pretesto della necessità di pascolo pe' loro armenti, posizioni strategiche importantissime; volersi del resto il Governo ottomano attenere intieramente ai termini del protocollo di delimitazione fatto dalla Commissione internazionale nel 1858, il quale secondo lui non ammette alcuna dubbia interpretazione.

Gli domandai se egli sperava che potesse trovarsi qualche soluzione pacifica e soddisfacente della questione e ciò che egli pensava del mezzo a ciò proposto da qualche potenza, e consistente nella neutralizzazione del territorio in litigio.

Ali Pacha mi rispose che certo la Sublime Porta non si rifiuterebbe a fare in omaggio della quiete, che anch'essa ha ragione di desiderare ardentemente, quelle concessioni, che fossero compatibili coi suoi diritti e coi suoi interessi; averne dato di ciò prova con l'avere offerto al Montenegro un compenso pecuniario da stabilirsi, ma non poter ammettere in niun caso né la cessione del territorio né la sua neutralizzazione, che sarebbe. a suo avviso, una cessione simulata.

Finiva egli poi col dire di non credere che tale quistione possa assumere gravi e minacciose proporzioni.

So che posteriormente il Rappresentante Austro-Ungarico ha messo innanzi la proposta di una Commissione internazionale d'inchiesta da farsi sul luogo per mezzo de' Consoli. Il Gran Vizir ha detto al Barone di Prokesch e poscia anche al Generale Ignatieff che gliene chiese, che la Porta, per mostrare fin dove giunga la sua arrendevolezza e la sua moderazione, non si sarebbe rifiutata ad acconsentire a siffatta proposta, ma a condizione che la Commissione non dovesse punto occuparsi della quistione di proprietà e mettere in discussione i diritti della Porta, ma dovesse solo intendere a stabilire il compenso pecuniario che potrebbe offrirsi al Montenegro.

Se dovesse essere ridotta a si esigue proporzioni l'opera della Commissione non parrebbe certamente che fosse opportuna cosa il ricorrere a simile espediente, tanto più che il Montenegro si è già dichiarato avverso ad una soluzione di tal genere.

In ogni caso se la Commissione dovesse essere nominata sarà mia cura e mio debito vegliare perché l'Italia non sia da essa esclusa.

Stimo opportuno mandare in questo riscontro a V. E. copia di un Memorandum che l'Ambasciata Russa ha redatto sulle cose del Montenegro e che ha comunicato confidenzialmente ai Rappresentanti delle Grandi Potenze (1).

22 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. XII

(l) Cfr. n. 228.

(2) Non si pubblica.

262

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2068. Vienna, 21 febbraio 1870, ore 19,20 (per. ore 23,40).

A la suite du silence absolu dans lequel le cardinal Antonelli s'est renfermé vis-à-vis du baron Trautmansdorff lors de la communication contenu de la dépeche du 16 courant (1), et afin de prévenir un nouveau réglement proposé par le Pape et destiné à combattre l'opposition au sein du Concile, Beust s'est décidé à donner connaissance de la dépeche aux principaux Cabinets. Le prince Metternich assure que M. Daru est très préoccupé de la question. On attend dans la semaine de Paris proposition de mesure préventive et collective à adopter. On ne sait encore ici si le mot collectif s'étendra à I'Autriche, aux grandes puissances, ou bien à toutes les puissances ayant des sujets catholiques (2).

263

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 56. Belgrado, 21 febbraio 1870 (per. il 28).

Nell'ultima settimana i diari di Belgrado, gli uni semi ufficiali, gli altri benevolmente oppositori al Governo, e tutti sottoposti alla censura, scrissero in modo audace, provocatore e quasi bellicoso, pigliando motivo in particolare dal raunarsi di battaglioni turchi a supposta minaccia del Montenegro, e dall'obbligo dello studio della lingua turca imposto ai sudditi di ogni nazionalità dell'Impero ottomano.

In altro dispaccio ebbi l'onore di menzionare le accuse che dai serbi dell'Ungheria movevansi acerbissime contro l'inerzia e l'indifferenza del Principato verso i connazionali della Bosnia. Scrivevano in pari tempo i giornali russi che la Serbia mostravasi impotente a compiere la sua missione; che le sue armi a ciò non basteranno; che la sua causa ristretta alla rivendicazione dell'indipendenza dei soli serbi dell'Impero ottomano era cagione di debolezza alla grande questione slava; che centro di questa più che la Turchia è oggi l'Austria, e che la Russia sola può dirigere e comandare il moto della conquista slava. Una piccola parte solamente degli articoli importantissimi e certamente noti a V. E. pubblicati nella Gazzetta della Borsa di Pietroburgo dal colonnello Fedyaef, riguardano i Jugo Slavi, ma in Servia essi furono letti con grandissima attenzione. Di più furono notati alcuni articoli del Golos scritti con fiele contro la Servia e nei quali è personalmente biasimato il

reggente Blasnavatz. Non è meraviglia se la prudenza e la circospezione del Principato nei suoi rapporti collo stato alto-sovrano gli valga i rimproveri dei patriotti serbi: e neppure, che in Russia si abbia a male che gli uomini che governano in Serbia facciano fondamento della loro politica l'esclusione di qualunque diretto ascendente straniero. Tuttavia è noto che l'oggettivo della Serbia è l'egemonia sopra gli altri serbi della Turchia e la riunione sotto una od altra forma della Bosnia e dell'Erzegovina al Principato; quando coloro i quali lottano per volgere a loro profitto ed a danno del Principato le inclinazioni di sudditi ottomani, accusano, gli uni di indifferenza e pusillanimità i governanti della Serbia e gli altri di impotenza e di ristrettezza di propositi, è manifesto che quelli debbono difendersi e non lasciar dimenticare che il chiodo è fisso e che non si desidera che le occasioni favorevoli a porre in azione i propositi immutabili della politica serba.

Feci parola al Reggente signor Blasnavatz di quei ripetuti articoli, osservando che la censura alla quale le gazzette son sottoposte lasciava ricadere sul governo il sospetto di averli ispirati, e che ciò potrà essere occasione di malcontento a Costantinopoli. Respinse, com'era a prevedersi la mia supposizione dicendo che la censura andava via via mitigandosi per fare passaggio meno sensibile alla libertà di stampa sancita nella costituzione. Chiesigli se da Costantinopoli fossegli stato scritto intorno al radunamento di numerosa milizia contro il Montenegro; risposemi ch'egli non credea a nessun intendimento minaccioso della Porta; che nondimeno non era a biasimarsi la Servia se non era interamente libera dal sospetto che il Governo ottomano desiderasse compiere la serie delle sue vittorie diplomatiche facendo alla Grecia ed all'Egitto seguire il Montenegro e la Servia; che essa credea interesse suo e dell'Europa il non lasciare alla sola Russia il diritto di parlare a nome degli Slavi della Turchia e che perciò ove questa minacciasse od assalisse il Principe Nicola, la Serbia piglierebbe nuove risoluzioni.

Ogni anno in questi stessi mesi rinnovansi le stesse inquietudini o dal lato della Bulgaria, o da quello del Montenegro. Credo e spero che anche ora non s'abbia nulla a temere; tuttavia non può celarsi che le condizioni mutano ogni giorno, che ogni giorno serve a maturare il programma degli slavi, sia nell'Impero ottomano sia nell'austro-ungarico, e che le nuove condizioni nelle quali si svolge la moltiforme politica di quest'ultimo Stato può favorire il prorompere del movimento. Così fra i Serbi è cagione di recriminazioni e di accuse la scelta del Generale Wagner a ministro della guerra nel ministero cisleitano, e le spiegazioni da esso presentate al consesso legislativo intorno ai moti di Dalmazia. Si fa giorno in quest'occasione il sospetto che il così detto partito militare non fosse innocente per tutto di quella rivolta ed una gazzetta stampata a Sissek (oggi centro politico dell'opposizione Slava e dell'agitazione diretta dal Vescovo Strossmayer) minaccia il Wagner, ove non corregga le sue asserzioni di pubblicare le prove dei maneggi secreti di quel partito, in Dalmazia nel tempo passato ed oggi nei confini militari.

A questo proposito ricordo aver scritto al Ministero che anche a Pest erasi risoluto di sospendere il provvedimento relativo alla zona militare e che nel seguente dispaccio, sulla parola del signor Kallay stesso, detti smentita alla mia prima informazione. Pare invece che vi ha alcun di vero in ambedue: il provvedimento non è prossimo ad essere posto in atto a cagione delle divergenze che manifestaronsi quando precisamente il Conte Andrassy discutea con un inviato del Ministero della guerra cisleitano i modi di effettuazione.

Il colonnello Blasnavatz nel corso del colloquio venne a parlarmi, come sempre gli accade, dell'agognata cessione dell'amministrazione della Bosnia, della maggior sicurezza che ne nascerebbe per i Sultani, i quali allora, diceami egli, poteano ancora far assegno sopra cinquant'anni di ameni sonni sulle spiagge del Bosforo, dell'aumento di tributo, ed ancora una volta svolgevami i motivi per i quali la Servia dovea tenersi avvinta ai legami collo Stato altosovrano, alla necessità di provare all'Europa che le libertà dell'Oriente dev'essere conquistata dagli orientali, e degli altri punti del programma serbo. «Così sovente mi parlate di questi disegni, permettetemi una volta di chiedervi, gli dissi, in qual modo intendereste di iniziarli ». «Non usciremo, se non trascinati e soprafatti, dai modi pacifici, risposemi egli; all'occasione tenteremmo di provare alla Porta quali sono i suoi veri interessi, ma frattanto ci adope-· reremo ad infondere nei popoli l'idea che nella Servia debbono cercare il sostenitore dei loro diritti». Ed infatti a ciò pajonmi intendere gli articoli dei giornali che sono motivo a questo dispaccio e che non avrebbero significato minaccioso fino a quando non si notassero provvedimenti di guerra. E di ciò non v'è ombra; domandai di molti cavalli introdotti in questi giorni malgrado il pessimo tempo; dissermi essere essi destinati alle poste; potrebbero anch'essere destinati alle ambulanze di guerra, perché degli stessi carri usano le poste e le ambulanze militari.

Non conchiuderò prima di aver riferito a V. E. un'affermazione del Blasnavatz, la quale parmi meritare alcun riguardo, relativa all'azione diretta e dannosa del partito militare viennese; egli dissemi avere nelle mani la provà scritta che esso studia il modo d'impadronirsi della Bosnia e dell'Erzegovina. Rammentai le smentite di Vienna e le promesse di Pest; risposemi che i fatti ai quali alludeva sono susseguenti. Non è possibile il non essere condotti a giudicare che l'uno dei pericoli per la pace nell'Oriente è la varia politica che seguesi nelle due parti della Monarchia Austro-Ungarica; le stesse parole dette a Costantinopoli dal Barone Prokesh e ripetute a Belgrado dal signor Kallay suonano in modo ben diverso, e non è piccola occasione di diffidenza la sicurezza che hassi in Pest che gli interessi Ungheresi anche sostenuti dal Barone Beust sono interpretati a rovescio dall'ambasciatore comune in Turchia.

(l) -Cfr. n. 259. (2) -Questo telegramma fu comunicato da Blanc a Nigra con t. 1072 del 23 febbraio con la seguente istruzione: «M. Visconti Venosta me charge de vous dire qu'!l importe au Gouvernement du Roi de connaitre d'avance forme et fond des propositions françaises ».
264

IL CONSOLE A CORFù, TRABAUDI FOSCARINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. s. N. Firenze, 21 febbraio 1870 (per. il 23).

Compio il dovere di presentare all'E. V. la relazione ch'Ella mì fece l'onore dì chiedermi col riveritissimo Dispaccio, Serie Politica n. 3, ìn data 16 corrente (l), circa a certe associazioni che si formerebbero in varie località d'Oriente fra persone di mal affare, d'origine italiana intente a mene sovversive, secondo quanto sta esposto nel rapporto comunicato da S. E. il Ministro dell'Interno.

Quel rapporto, che è fino ad un certo punto la riproduzione d'una conversazione ch'ebbi or sono alcuni dì coll'egregio Sotto Prefetto di Brindisi, emette una personale convinzione che esista un vasto complotto, non ben definito, di borbonici e sanfedisti, cospiranti a danni dello Stato, i quali avrebbero costituito i centri delle loro trame nelle nostre colonie del Levante, e di altri scali più vicini all'Italia. Un carattere particolare di questo complotto starebbe in che i cospiratori assolderebbero pei loro fini tenebrosi i malfattori fuorusciti dallo Stato, tramutati in sicari del sanfedismo. L'autore di quel rapporto dichiara di sentire che esiste questo complotto, senza paterne in alcun modo indicare la marcia e la diramazione; ma indica Alessandria, Corfù e Malta, come principali covi di questi malfattori, ch'egli afferma vi trovino immune e sicura stanza.

È cosa ben nota che adesso, come pel passato, agli scali levantini affluiscono, oltreché industriali ed operai in cerca di lavoro, anche individui di ogni risma, pronti ad ogni mala azione. Ed è una conseguenza appunto del crescente progresso in Italia, se i malviventi, e gli avanzi dei lazzaroni e camorristi, posti nell'impossibilità di continuare nelle colpevoli industrie e nel vagabondaggio in Italia, si rivolgano a paesi vicini o meno civilizzati o meno battuti dalle polizie; del che non piccolo merito è a darsi al servizio della pubblica sicurezza nello Stato.

E del pari si comprende che, specialmente in Alessandria, ove negli ultimi tempi le colonie estere vi andarono notevolmente crescendo a causa degli ingenti lavori del Canale, siansi diretti molti individui di malaffare; e ciò sia per la maggior frequenza e facilità di comunicazioni, sia perché cotestoro pei loro fini preferiscono i centri popolosi. Però è appena necessario l'accennare che nei paesi del Levante i Consoli dispongono dei poteri della giurisdizione penale per i malfattori, ed in certe località, come Alessandria, funzionano Tribunali Consolari presieduti da magistrati speciali inviati dal Governo. Quindi non comprendo come il rapporto dica, che «in Alessandria i malfattori, forti dell'impunità che i trattati internazionali assicurano ai sudditi delle Potenze Europee, crescano a dismisura».

Ma io non sono in caso di rispondere per quanto avviene in Alessandria ed in Malta. Dirò di Corfù ove un soggiorno di circa quattro mesi, e l'esercizio delle funzioni Consolari mi pongono in grado di giudicare della situazione.

In Corfù vi sono dei borbonici, e questi sono conosciuti e tenuti d'occhio. Ai nomi citati nel rapporto, e che vi osservai con sorpresa, perché non hanno un'importanza propria, potrei aggiungere altri, più da notarsi, tali che Andruzzi, Astarita, Licastro, Wolf, Zannoni, Boccheciampe ecc. Ma i borbonici di Corfù possono fare l'ufficio di corrispondenti, ed in un dato caso di manutengoli, non però possono dar vita, o sostenere complotti che richiederebbero

se non altro un campo meno ristretto per coprirne le operazioni. La popolazione di Corfù conta in tutto 17 mila abitanti, di cui 7 mila greci, 5 mila cattolici, e 5 mila israeliti. Questi ultimi intenti ai traffici ed alle speculazioni formano la parte più tranquilla ed operosa della popolazione, negli altri 12 mila si agitano gare di propaganda e d'intolleranza religiosa, che a vicenda si fanno la guerra e si sorvegliano, si agitano le ire fra i proprietari ed i contadini, interessi di politica locale ecc. Su questo terreno screziato ed infido, i Consoli di quasi tutte le potenze (fra cui non meno di sei sono inviati dai loro Governi) le Autorità locali, e la polizia tengono gli occhi. Come potrebbe impiantarsi ed attecchire, come essere nascosto un così nero complotto a danno di uno Stato vicino? I borbonici di Corfù sanno quante poche ore sarebbero necessarie perché una fregata italiana colla sua presenza mandasse a vuoto qualunque spedizione di più o meno formidabili malfattori; e le Autorità Greche non sono punto disposte ad aumentare gl'imbarazzi del loro Governo, attirando sopra di esso complicazioni internazionali, che non sarebbero punto leggiere.

Circa ai sanfedisti del rapporto citato dirò che propriamente l'applicarne il titolo ai clericali e reazionari di Corfù è un lusso di espressione. Il clero Latino coi suoi aderenti si maneggia assai ad estendere la propria influenza e propaganda per guadagnar terreno sull'elemento Greco. L'Arcivescovo Maddalena che non è punto una creatura dei Gesuiti, è in strette relazioni colla propaganda di Lione, ne riceve danari per sostenere il Collegio Cattolico, visto di mal occhio dalle autorità Greche, contro le quali egli combatte passo a passo, appoggiandosi alla Legazione Francese in Atene. Questi sono i maneggi che premono ai sanfedisti di Corfù, ed hanno abbastanza che fare poiché il Clero Greco sente un sostegno nella politica Russa.

Non tacerò dell'esistenza in Corfù di una Società di San Vincenzo di Paola il cui presidente è uno sfegatato nemico dell'Italia. Egli è un tal Rivelli, suddito Greco, ma di genitori italiani (un suo fratello è Sottotenente nel R. Esercito). Questa società si adopera per la propaganda Latina; ma per dar una giusta misura della sua forza dirò che avendo essa posto in opera molti mezzi per attraversare il progetto del Consolato di creare una Società Italiana di beneficenza non vi poté riesci re; e la Società si costituì rapidamente e solidamente con oltre cento soci di tutte le classi e di tutte le parti d'Italia; e ciò senza che il Consolato disponesse di alcun mezzo eccezionale.

Il rapporto citato fa menzione di un non lieve numero di renitenti. Senza dubbio ve ne sono a mia cognizione in numero di circa una dozzina, e vi attendono a diversi mestieri; quelli che rimangono oziosi sono fatti sgombrare dalla polizia locale.

Degli individui poi nominativamente designati in quel rapporto non crederei sia il caso di farne oggetto di speciale attenzione, in questa relazione. Però onde corrispondere alla richiesta di precise informazioni dirò che il Mele, qualificato come Agente Borbonico, è un infimo mascalzone, che essendo in relazione con tutti i suoi simili, serve in certi casi di un mezzo qualunque per sorvegliarli. Perché, se costui è un emerito truffatore, (come dice il rapporto), non fu egli assicurato alla giustizia nel recente suo soggiorno di alcuni mesi in Gallipoli?

Il Martoccia, designato come famoso ladro, è un volgare birbante che commise un furto in Minervino. Il Consolato gli fe' sequestrare dalla polizia il marsupio involato, e s'istituì processo contro di lui; ma in mancanza di prove positive ch'egli fosse realmente il ladro, piuttosto che un ricettatore, il derubato venne a transazione con lui che gli fece restituzione. Devo aggiungere che ridotto a stremo di mezzi questo furfante venne a supplicarmi di un soccorso; e siccome i sanfedisti di Corfù lo lasciavan morire di fame egli abbandonò quella città.

Circa il Caputi che è realmente un borbonico, sebbene faccia mostra di sentimenti molto liberali, dirò che non solo adesso, ma da oltre trenta anni egli abita in Corfù. Egli fu oggetto di parecchi rapporti del Consolato, allorché per mezzo di un Deputato di Sinistra al Parlamento Nazionale chiese, non ha molto, al R. Governo, la sudditanza italiana; la quale non gli fu concessa appunto perché l'opinione pubblica lo ritiene complice del tradimento, di cui furono vittima i fratelli Bandiera. Per difendersi da questa taccia egli provò il bisogno di scrivere un opuscolo, in cui addossa al Boccheciampe tutta intiera l'infamia del tradimento; e dimostra che esso Caputi fu ed è in relazione con Mazzini e seguaci.

Riassumo pertanto il sin qui esposto dicendo che a Corfù mancano il mezzo ed il modo di poter ordire un serio complotto contro la sicurezza interna del nostro paese.

Però a fronte della mancanza di stipulazioni d'estradizione fra l'Italia e la Grecia è certo che la vicinanza di Corfù offre facilmente non un asilo, né immune e sicura stanza, ma un riparo più o meno temporario a quei malfattori che giungono a sottrarsi dalla Giustizia dello Stato. Questo inconveniente fu l'oggetto di ripetuti carteggi fra codesto Ministero ed il Consolato di Corfù, e questo fece in diverse circostanze pratiche in via affatto personale presso le Autorità locali per ottenere, come si ottennero, espulsioni di malfattori; ed altre ne farà a suo tempo con quella debita opportunità su cui ebbi a riferire col rapporto Affari in genere N. 25 in data 11 gennaio p.p. (1).

A questo proposito io potrei citare dei fatti, isolati senza dubbio, che indicherebbero qualmente gl'imbarchi per l'Estero sui piroscafi che salpano dall'Italia non siano sempre sorvegliati colla stessa attenzione; ma mi limito a riferirmi a quanto dice il rapporto comunicato dal Ministero dell'Interno, che cioè, questa triste gente (cioè ladri, falsari, accoltellatori ed altri affiliati alle associazioni dei malfattori) entra e sorte nel nostro Regno con grande facilità. È fuori dubbio che finché i malfattori si trovano sul territorio dello Stato questo dispone di mezzi molto più diretti e adatti ad assicurarli alla giustizia, che non quando hanno messo il piede su terra straniera. La considerazione poi delle difficoltà che s'incontrano sovente a scoprire i malfattori nascosti sotto mentito nome mi porta a presentare una domanda che oso pregare l'E. V. di volere sia rivolta aJ Ministero dell'Interno; ed è che alle sedi consolari finitime dei RR. Stati (ed in particolare a quella di Corfù) siano rimesse liste periodiche di quei malfattori, che, ricercati dalla giustizia, si sottraggono. Credo che simili comunicazioni contenenti i connotati ed altre indicazioni, siano fatte ai Consolati in !svizzera, ed io penso che sarebbero molto utili anche al Consolato di Corfù. Difatti attuai

mente in mancanza di qualunque avviso, indizio o connotato, il Consolato deve carteggiare ed attendere un tempo non breve prima di aver ottenuto indicazioni atte a confermare o togliere i sospetti concepiti contro qualche nuovo venuto. Cosi ultimamente al mio passaggio in Brindisi avendomi fatto comunicare (da quel Delegato di Pubblica Sicurezza) molte note, indicazioni e connotati, le spedii al Consolato, ed ho luogo di credere che non saranno infruttuose, avendo guidato nelle ricerche.

Ma per questo servizio di polizia che interessa la Giustizia dello Stato sarebbe molto opportuno che il Consolato di Corfù potesse disporre di un personale adatto, onde scovare anche quei malfattori che il rapporto precitato assicura siano ricoverati in quella città, con biechi intendimenti. Sarebbe cioè necessario l'invio di due RR. Carabinieri, abili, provati e forniti dei necessari requisiti per far all'Estero un servizio utile, prudente e sicuro. Io credo che questa disposizione darebbe eccellenti risultati e fra gli altri quello di allontanare i fuorusciti, da un luogo così vicino.

Ma non crederei che sia il caso di prendere alcuna disposizione in vista di mene borboniche o sanfedistiche, che attualmente non mi risulta punto siano in Corfù da temersi per la sicurezza interna dello Stato. Disposizioni in questo senso, invece di accrescere quell'influenza che compete al R. Governo, e sviluppare le relazioni fra i due paesi con utili provvedimenti, al che attende il Consolato non farebbero che sviarne l'azione.

(l) Non pubblicato, inviato anche a Costantinopoli e Smirne e Malta.

(l) Non pubblicato.

265

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI

D. 37. Firenze, 22 febbraio 1870.

Ho ricevuto il Rapporto ch'Ella mi diresse in data dell'Il corrente (l) sulle pratiche le quali ebbero luogo in Costantinopoli per indurre la Sublime Porta ad ammettere il titolo di Principe di Rumania che S.A. il Principe Carlo vorrebbe assumere.

Dai dispacci che Le ho trasmesso in copia Ella avrà veduto che interpellato dal Ministro di Francia sulle nostre disposizioni in proposito, io aveva manifestato un'opinione favorevole alle domande del principe Carlo (2).

Posteriormente il R. Governo ha ricevuto dalla sua agenzia in Bucarest copia della nota colla quale il ministro Callimaki significava al gerente di quel R. Ufficio il desiderio del Governo principesco relativo a quel cambiamento di titolo e chiedeva a tale effetto la nostra adesione ed il nostro appoggio presso la Sublime Porta (3).

I passi che Ella signor Conte ha fatto a Costantinopoli e dei quali mi ha informato col sovra riferito rapporto corrispondono esattamente a ciò che il Governo del Re aveva in animo di fare in questa occasione.

Siamo ben lieti di sapere che il Governo ottomano si mostra disposto ad accogliere la domanda del principe Carlo sotto la sola condizione che il nuovo titolo sia riconosciuto in un atto collettivo delle Potenze. Dal canto nostro quando un tale atto abbia unicamente per effetto il riconoscimento di quel titolo, non esiteremo a sottoscriverlo, epperò la S.V. potrà considerarsi fin d'ora autorizzata, entro questi limiti a firmarlo, se le ne venisse fatta la proposta.

(l) -Cfr. n. 244. (2) -Cfr. n. 161. (3) -Cfr. n. 212.
266

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, ALL'ONOREVOLE BERTI (l)

L. P. Firenze, 22 febbraio 1870.

Non risposi alle tue pregevolissime perché mi ero inteso col Visconti che dovesse scriverti lui: ora essendo egli partito col Re per Napoli, dubito chP non se ne sarà più ricordato.

Supplisco brevemente io, perché debbo pure partire per Napoli questa sera.

Tu ci suggerivi (2) di scrivere a ciascheduno dei vescovi più eminenti del Piemonte per incuorarli a persistere nella via in cui erano entrati. A me pare inutile farlo dopo avere fatto loro conoscere i nostri voti per mezzo di lettere consegnate al Prefetto Colucci. Non sarebbe che una ripetizione delle stesse cose: d'altronde la tua presenza costì, e la sicurezza che hanno essere tu un alter ego del Ministero dovrebbe bastare.

Ci pare più difficile di trovare modo a far pervenire qualche buon ufficio all'orecchio del signor Arcivescovo di costà; se mai tu puoi suggerircela non mancheremo di farlo.

La nota diplomatica che abbiamo fatta pervenire alle potenze cattoliche (3) ha prodotto qualche effetto poiché le rimostranze della Francia e dell'Austria vennero dopo quella nota.

Tuttavia pare che la Curia Romana persista ne' suoi propositi; cosicché non ci rimane altra speranza se non quella che l'opposizione episcopale si mantenga salda; e basterà certo per vincere la pervicacia di Roma. Ricevei recenti notizie di costì che l'opposizione alla infallibilità conti non meno di 260 prelati fra i quali solo quattro italiani! Lo schema pare che sia stato modificato nel senso di cancellare la parola Infallibilità, ma la sostanza rimarrebbe sempre la stessa. Mi adoprerò perché non sia fatta nella imminente sessione parlamentare alcuna proposta disgradevole al clero; ma non ti celo che debbo lottare con idee che non sono

affatto le mie, almeno in quanto alla opportunità. Tu conosci quanta difficoltà vi sia a camminare d'accordo con un ministero non intieramente omogeneo! frutto però della situazione.

(l) -Da Museo Risorgimento Torino, ed. !n Carte Lanza, vol. V, pp. 48-49. (2) -In una lettera del 13-14 febbraio, non pubblicata (AVV). (3) -Cfr. n. 218.
267

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. R. 133. Pietroburgo, 22 febbraio 1870.

L'E. V. avrà conoscenza a quest'ora, per quel che io mi penso, di un opuscolo pubblicato per i tipi di Tanera editore, in Parigi, che porta per titolo «l'Impasse politique actuelle », quel medesimo di cui i diarii del Belgio prima, e il Giornale di Pietroburgo in data di oggi fanno parola. In siffatto opuscolo, di cui ho l'onore di qui compiegarLe un esemplare che ho potuto procacciarmi, si svolge il concetto di un'alleanza tra la Francia e la Russia per uscire dalle incertezze della politica odierna, e assicurare sovra basi più stabili la pace di Europa mercé alcune concessioni che alla Francia si richiederebbero dal Gabinetto di Pietroburgo, le quali avrebbero tratto principalmente alle cose di Polonia e d'Oriente, senza per altro indicare veruna delle concessioni che per ragionevole compenso si farebbero dalla Russia al Gabinetto delle Tuileries. Intendimento dell'autore è manifestamente quello di levar la Russia dall'amicizia che ha presentemente con la Prussia ingrandita, e con la nuova Allemagna di cui si diffida; e in questo pensiero a malgrado di alcuni suoi argomenti che appartengono all'arsenale delle antiche officine diplomatiche, si accosterebbe piuttosto al concetto nazionale moscovita.

Il Giornale di Pietroburgo e le persone ufficiali negano la provenienza governativa che da molti a codesta pubblicazione si attribuisce. Il Barone Jomini, figliuolo del celebre Generale e stratega di Ginevra, che è Direttore al Ministero d'Affari Esteri, diplomatico e scrittore tenuto in gran pregio dal Principe Cancelliere, fu apertamente indicato dalla Indépendance belge come autore della scrittura di cui qui è parola. Non potrei risolutamente affermare che la notizia spacciata dal Giornale di Bruxelles sia conforme al vero, ma questo pur so, che intorno ad una ventina di giorni prima che del nominato opuscolo si facesse pubblica menzione, il Generale Fleury ebbe a parlarmene privatamente dicendomi che il Barone Jomini egli stesso aveagliene fatta comunicazione riservata come di cosa uscita del resto da penna francese, richiamando l'attenzione di lui sui concetti in quello espressi come degni di essere presi in qualche seria considerazione.

Dello scritto summentovato si ragiona molto, come la E. V. può bene immaginare nei crocchi politici della Società di Pietroburgo, e in ispezialtà fra i componenti del Corpo Diplomatico. Io ebbi particolarmente a discorrerne alquanto col Principe Reuss, Ministro di Prussia. Questi non mostrava dl considerare la pubblicazione come atta a ingenerare verun pratico effetto né veruna grave e durevole mutazione nell'indirizzo politico della Russia: «ben ci ha, Egli dicevami, alcuni uomini politici a cui approda il concetto significato nell'opuscolo; questi procacciano di determinare in tal senso l'animo del Cancelliere Imperiale e dareb'Dero senza alcun dubbio a cosiffatta politica un principio di esecuzione qualora scadesse nelle loro mani il potere »; e fra gli uomini di tal fatta il diplomatico prussiano mi nominò il Barone di Budberg, già Ambasciatore dello Czar a Parigi. Ma soggiungevami che a tal partito non erano già nella pratica le cose del Governo nell'Impero, e che non solo l'animo del Sovrano e dei Suoi più intimi confidenti ma che la parte istessa del paese più vivace nei suoi sentimenti nazionali non accetterebbe quel programma di politica generale, e non consentirebbe ad esser dominata dagli interessi francesi in Europa più che non consenta ad essere dominata oggi da quelli di Allemagna.

L'E. V. noterà certamente come fin dalle prime pagine lo scritto enunciato si mostri poco favorevole alla causa della nostra unità nazionale, avvegnaché non accenni nella conclusione a verun consiglio o proposta che potrebbe indurre i Ministri dello Czar ad avversarla effettualmente, poiché riesce a dire poi in ultimo che nel campo della politica italiana non vi è punto alcuno di vera discrepanza fra i sentimenti e le opinioni delle due Corti. Ma certo è non pertanto che quando le idee significate in quelle pagine od idee somiglianti avessero a prevalere nel consiglio dei due Sovrani, la diplomazia italiana dovrebbe molto attesamente sopravegliarne lo svolgimento e l'attuazione. Io non entro, signor Ministro, a ragionare il merito di codeste opinioni, anzi confesso volentieri che esse potrebbero conferire sotto molti rispetti all'avanzamento di un diritto pubblico più liberale fra le potenze perciocché non si potrebbero effettuare che a discapito della parte cosidetta oltremontana che per essere nemica dell'Italia libera non è meno nemica per questo dell'assolutismo moscovita in Polonia ed in Levante. Ma Ella ben sa che la pratica dei Governi è retta ben spesso dalle tradizioni e dai pregiudizi molto più che dalla logica degli interessi ben intesi: e in onta delle relazioni ufficiali coi nuovi Governi, che non si potrebbero desiderar migliori, è pure innegabile che dagli atti e dalle parole di alcuni uomini di Stato in questo paese traspare un rammarico mal dissimulato in favore delle cadute dinastie e di un passato irrevocabile.

Nel toccare eziandio di questo argomento in generale con persona intima del Principe Cancelliere che richiedevami del mio parere sulla pubblicazione parigina io mi limitai al dire che sovra opinioni riguardanti la ragion politica della nazionalità russa a me non si apparteneva il portare una opinione con piena conoscenza di causa, ma che avea solamente notato nei ragionamenti dell'autore una diffidenza non giustificata rispetto all'ordinamento italiano ed una assimilazione ancor meno giustificabile tra la causa d'Italia e quella della Polonia russa, le quali non mi parevano potersi ridurre al medesimo ragguaglio che dietro certi apprezzamenti molto superficiali, perciocché le passioni clericali e l'arroganza politica della Corte Romana disunivano nella pratica profondamente le aspirazioni di questi due popoli, nella qual cosa conveniva il mio collocutore, ma soggiungevami come egli credesse che quelle parole poco simpatiche agli ultimi rivolgimenti di Italia fossero state inserite nello scritto quasi come una concessione e un argomento da ottenere grazia presso la scuola parlamentare che oggi tiene il sommo del Governo di Francia.

268

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2070. Parigi, 23 febbraio 1870, ore 17,55 (per. ore 19,45).

Voici ce que M. Daru vient de me dire: « Je ne me suis pas associé à la dépeche d'Autriche à propos du concile parceque les conclusions de M. de Beust me semblaient puériles, mais le Gouvernement français a agi seui à Rome. Toutes les puissances qui le jugeront utile pourront s' associer. Je ne puis vous dire en ce moment la substance de cette communication. Je n'en ai fait part jusqu'à présent à aucune puissance et à aucun de vos còllegues. Dans cinq ou six jours j'en ferai part à tout le monde. Tout ce que je puis vous dire c'est que d'abord j'ai agi seui et qu'il n'y a rien de collectif dans ma démarche, en suite que dans mes demandes à la Cour de Rome il n'y a rien de comminatoire, mais qu'elles devront etre écoutées. M. Daru m'a dit en outre que la lettre à Merode qu'on lui attribue est apocryphe. Quant au contenu de sa commnication à Rome je crois que les demandes de la France doivent etre très probablement dans le sens que je vous ai écrit dans ma dépeche du onze courant (l).

269

IL SEGRETARIO GENER:\LE AGLI ESTERI, BLANC, AI RAPPRESENTANTI DIPLOMATICI ALL'ESTERO

CIRCOLARE 73. Firenze, 23 febbraio 1870.

Il Ministro di Grazia e Giustizia ha chiesto a quello degli Affari Esteri di invitare le legazioni di Sua Maestà a dare notizie:

l. -Delle leggi che si pubblicano in materia civile, penale, costituzionale, commerciale, religiosa, di organizzazione giudiziaria, sul notariato ecc.;

2. --Dei progetti di legge che sono studiati, o presentati per le riforme nelle materie sopra indicate; 3. --Delle discussioni nelle Assemblee e nei parlamenti; 4. --Delle decisioni dei magistrati sulle stesse materie quando tali decisioni per la speciale loro importanza destano la pubblica attenzione.

Il Ministero per gli Affari Esteri comprende le difficoltà di varia natura che a prima vista si affacciano per soddisfare al desiderio espresso da quello di Grazia e Giustizia, ciò non di meno l'importanza affatto speciale dell'argomento consiglia al sottoscritto di raccomandare particolarmente ai signorl capi di missione l'incarico che con questa circolare loro viene affidato.

Per i paesi dove si parlano le lingue più generalmente conosciute presso di noi, quali sono il francese, l'inglese, lo spagnuolo o portoghese ed il tedesco, le legazioni potranno sempre utilmente valersi delle pubblicazioni periodiche che trattano più specialmente delle materie sopra indicate. A questo riguardo i signori Capi di missione, rispondendo a questa circolare, potrebbero, ove lo credessero, subito segnalare il titolo di tali pubblicazioni ed indicare il prezzo di un abbonamento annuale per l'Italia.

Nei paesi invece dove è in uso una lingua poco conosciuta in Italia bisognerà che le legazioni procurino di tenersi esattamente informate di ciò che concerne le materie sovra indicate per poter riferire con rapporti sommari e con sollecitudine al R. Governo.

Comprendono poi i signori Capi di missione che tanto negli uni come negli altri paesi la semplice trasmissione delle leggi, progetti e discussioni riflettenti le riforme e le modificazioni che s'introducono mano mano nella legislazione non riuscirebbe completamente allo scopo che si propone il Ministero di Grazia e Giustizia se l'invio di tali documenti nel loro testo originale o per sunto non fosse accompagnato di quelle indicazioni e di quei riflessi che possono trovare posto nei rapporti politici di codesta R. Legazione. L'importanza speciale che talvolta acquista una legge dipende essenzialmente dalle circostanze particolari del paese dove la medesima deve venir applicata. Le condizioni politiche generali, le disposizioni dei partiti e quelle della pubblica opinione sono altrettanti elementi dei quali importa che si possa tener conto nello studio delle riforme e delle modificazioni che si vanno introducendo nella legislazione dei vari paesi.

Se a meglio conseguire lo scopo per il quale è scritta questa circolare, i signori Capi di missione trovassero opportuno di offrire al Governo presso il quale sono accreditati lo scambio delle pubblicazioni ufficiali che si fanno nelle sovra indicate materie, questo Ministero si affretterebbe di far conoscere a quello di Grazia e Giustizia a quali condizioni e con quale spesa quello scambio potrebbe effettuarsi.

In ogni caso i signori Capi di missione vorranno ricordarsi che quando i rapporti che faranno per corrispondere al desiderio loro espresso in questa circolare saranno voluminosi ed ai medesimi andranno uniti annessi stampati, i mezzi i più economici di trasporto loro sono c~o_ètlamente raccomandati stante la ristrettezza delle spese di posta fissate dal bilancio.

(l) Cfr. n. 246.

270

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1070. Parigi, 23 febbraio 1870 (per. il 26).

Il Ministero francese ebbe una nuova e numericamente considerevole vittoria nel Corpo Legislativo. In seguito alle spiegazioni presentate nella seduta di ieri a nome dei suoi colleghi da S. E. il Conte Daru, Ministro degli Affari Esteri, sull'interpellanza che era stata svolta nella precedente seduta dal deputato Giulio Favre intorno alla politica interna, la Camera adottò con 232 contro soli 18 voti, un ordine del giorno di esplicita approvazione, così concepito:

«In presenza delle dichiarazioni così precise e così leali del Ministero che assicurano alla Francia l'ordine e la libertà, la Camera passa con fiducia all'ordine del giorno».

Nella seduta di lunedì il Signor Giulio Favre avea in un discorso invero molto moderato posta la questione se il Ministero, uscito dal centro destro e dal sinistro, si sentisse abbastanza omogeneo e fosse ben risoluto a combattere in ogni estremo suo tentativo il potere personale, oppure se, viziato nella sua origine egli sino da ora non riconoscesse la sua impotenza di fronte alle esigenze della politica condannata dal paese ed a quella propugnata dal programma del centro sinistra. Il signor Giulio Favre tirò uno dei principali argomenti per render sospette le tendenze del Ministero dagli atti di repressione che furono opposti ai recenti tentativi insurrezionali e che esso, non dissimile in ciò dai rappresentanti delle opinioni più estreme, qualificò di atti di provocazione.

S.E. il Conte Daru, nella risposta che ieri fece all'Onorevole Giulio Favre, protestò anzitutto contro questa accusa dicendo che da quarant'anni fu sempre rimproverato ai Governi in Francia di difendersi allorquando erano attaccati colle armi, salvo a vantarsi dell'attacco quando era riuscito. Il Ministro constatò il perfetto accordo che regna tra i membri del Gabinetto attuale, malgrado la diversità della loro origine e disse che questo accordo fondavasi sulla comune loro fiducia nelle intenzioni dell'Imperatore che si mantenevano conformi ai loro principi politici, nel comune ed ardente loro desiderio di raffermare la pace dell'Europa, nel comune loro voto infine di stabilire la pace sociale nel paese non col disarmare imprudentemente l'autorità dei suoi necessari attributi, ma disarmando con lealtà l'opposizione delle sue legittime querele. «Cecché si faccia, disse il Conte Daru, non si staccherà una pietra sola dall'edificio del 2 Gennaio senza che esso crolli tutto intiero ».

Il Ministro rispose anche alla questione a qual partito si appiglierebbe il Governo qualora egli rimanesse nella Camera in minorità. Egli dichiarò che in tal caso il Ministero chiederebbe al Sovrano di scegliere tra lui e la Camera. Tuttavia egli espresse il suo rincrescimento di dover parlare di una tale ipotesi mentre il Gabinetto, nato da sei settimane tra le agitazioni della tribuna e quelle della contrada è obbligato a consacrare il mattino agli affari, la giornata ai discorsi, la notte alle sommosse, e mentre pressoché tutto è da farsi, una legge elettorale, una legge municipale, una legge sulla stampa, una legge di sicurezza generale, una legge di discentralizzazione, un'inchiesta industriale, e nuove leggi di finanza. II Ministro terminò consigliando alla Camera di non chiedere alla Amministrazione una azione chiassosa od una sorpresa al giorno e di lasciare in disparte le vane querele del passato che suscitano diffidenze reciproche che separano e che fanno perdere un tempo doppiamente prezioso in un periodo di trasformazione.

In presenza del voto di fiducia che ho sopra segnalato all'E. V. è manifesto che le discrepanze le quali sembravano essere di recente risorte tra il centro sinistra e l'antica maggioranza non produrranno per ora alcun effetto pratico, ed il Ministero può sperare con qualche ragione di vederle attenuarsi gradatamente colla votazione successiva dei varii progetti di legge opportunamclnte menzionati dal Conte Daru siccome quelli che dovranno costituire il bilancio attivo di questo Gabinetto.

271

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. XII. Vienna, 23 febbraio 1870 (per. il 27).

V. E. avrà a quest'ora ricevuta lettura della Nota di questo gabinetto concernente il Concilio ed accennata da me con precedente corrispondenza. Così operando, S. E. il Conte di Beust, oltre al premunirsi contro nuove dottrine che senza dubbio non mancherebbero di gettare l'agitazione nelle popolazioni della Monarchia, ha voluto rendere di pubblica ragione l'iniziativa presa in questa occasione, e raccogliere così il merito ed il plauso del partito liberale e dell'Episcopato Alemanno-Ungarico.

Il progetto d'una misura collettiva della quale ignoro il tenore, messa innanzi dal Conte Daru, siccome ebbi l'onore di informare l'E. V. con telegramma di ieri l'altro (1), sembra affatto abbandonato: il Principe di Metternich che comunicava questa mane per telegrafo tale mutamento, assicura pertanto che il Ministro degli Esteri di Francia, dopo aver avuto contezza della Nota austriaca ed approvato in termini non dubbii il modo di vedere del gabinetto di Vienna, siasi deciso ad esigere che tutte le determinazioni prima di essere adottate dal Concilio, vengan sottoposte all'esame delle Potenze Cattoliche onde non abbiano quelle a ledere i diritti e la libertà civili, mantenendo così sempre insormontabile la delimitazione tra Chiesa e Stato.

In questo senso è stata spedita comunicazione al Marchese di Banneville il quale giudicherà dell'opportunità d'intrattenerne il Cardinale Antonelli dalle disposizioni che troverà presso i suoi colleghi. Dopo i passi fatti non è a temere che il gabinetto di Vienna abbandoni quello di Parigi sul terreno delle esigenze, e dal linguaggio tenutomi dal Barone di Altemburg, in assenza del Conte di Beust, partito coll'Imperatore per Pesth, non mi recherebbe meraviglia che le idee del signor Daru si riassumessero nella parola Conferenza. Il mio interlocutore incalzato da me, non mi ha nascosto la probabilità di una tale proposta, ed alle mie osservazioni che difficile sarebbe il determinare quali siano le Potenze Cattoliche, essendo che molti Stati come la Russia, l'Inghilterra, ecc. sebbene non essenzialmente Cattolici, contano tra i loro sudditi molti di simile religione, risposemi che, a suo credere, la Turchia e la Grecia soltanto sarebbero escluse da un consesso Europeo.

Ora che il Governo austro-ungarico ha mosso pel primo le acque, sicuro dell'azione di altri gabinetti, sia per gelosia, sia per interesse, attende con apparente tranquillità che gli vengano fatte proposte di pressione collettiva alle quali tanto più si assocerebbe quanto più fossero energiche.

(l) Cfr. n. 262.

272

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. Bucarest, 24 febbraio 1870.

Ho l'onore di spedirle per mezzo della mia Signora, onde le giunga con più sicurezza, un rapporto che riassume brevemente le cause dell'ultima crisi ministeriale rumena (2). In esso ho accennato al malessere in cui versa questo paese, ma non ho potuto dir tutto. Lo fo con queste poche righe supplementari onde ella abbia un concetto pieno della situazione.

Sia per libidine di mutamenti, sia per gelosie di potere, sia per la poca fermezza del Principe, il malcontento è generale. Nei crocchi politici come nei pubblici ritrovi e per le vie non si parla che della prossima caduta del Principe Carlo come di una eventualità che potrà essere ritardata ma non evitata.

Salvo pochissime eccezioni gli uomini che potrebbero disporre di un partito addebitano al Principe di averseli alienati; epperò i più intrigano e gli altri si trincerano dietro un'inerzia assoluta. Fra essi ed il Principe esiste una diffidenza reciproca, che nella stampa e nel volgo si traduce in accuse da trivio all'indirizzo della casa degli Hohenzollern. Uno dei più gravi appunti è la concessione al prussiano Strussberg di quasi tutte le ferrovie rumene. Vuolsi che il padre del Principe, che lo spinse a preferire Strussberg, abbia trovato una California in queste ferrovie.

L'armata poi è del tutto demoralizzata, e cospira per le strade senza ritegno né vergogna. Né la venuta della virtuosa Principessa de Wied ha contribuito al miglioramento delle cose; questa intelligente Principessa che previene tutti in suo favore è presa di mira anche essa, ed oscene fotografie la rappresentano alle popolazioni delle città e delle campagne come una pitoccante venuta a smungere la nobile razza Daco-romana.

Ciò che mi rincresce non poco si è che il Principe e la Principessa conservano delle illusioni che dopo 4 anni di regno il primo almeno non dovrebbe più avere. Malgrado questo mio pessimismo che è pur diviso da tutti gli uomini imparziali, la logica presiede così poco agli affari di questo paese che sarebbe temerario tirare un oroscopo dal movimento di dissoluzione cui assisto. La salvezza si troverebbe verosimilmente in una mano ferrea che sapesse usare due o tre gabinetti senza esporsi costantemente come fa il Principe Carlo, forse per generosità forse per debolezza di carattere.

Giunsi a Bukarest il 19 del corrente, e le risparmio, Signor Cavaliere, il racconto degli ostacoli con cui ho dovuto lottare per arrivare qui sano e salvo. Le dirò solo che per obbedire agli ordini del Ministero ho rischiato la vita nel mar Nero, sulla ferrovia turca da Varna a Houstchouk ove a causa delle nevi il treno ha déraillé due volte, e finalmente sul Danubio che non era solidamente ghiacciato.

Le annunzio con vero piacere che il Conte Gloria migliora ogni giorno in salute. Egli non può ancora lasciare il letto; ma quando sarà in istato di alzarsi e di mettersi in viaggio si varrà del congedo che già sono verbalmente autorizzato ad accordargli.

(l) -Da ACS, Carte Visconti Venosta. (2) -Non pubblicato.
273

IL CONSOLE A RUSTCIUK, DURANDO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 2. Rustciuk, 24 febbraio 1870.

La legge costitutiva dei Vilajet che alla sua promulgazione era stata riguardata in Europa come il principio di nuova era per il reggimento civile in Turchia, continua in gran parte ad essere in vigore in Bulgaria, almeno per ciò che concerne il materiale organismo degli Uffizii amministrativi.

Arrecò quella legge qualche miglioramento? Egli è fuor dubbio che per la popolazione cristiana un miglioramento avvenne, ma questo è dovuto essenzialmente a tutt'altra circostanza. Io ebbi già l'onore, quando reggeva il Consolato in Bosnia, di esporre il mio parere sull'intrinseco valore della legge sui Vilajet, e conchiudeva con riferire che la medesima o era stata compilata da chi mai non fu in Turchia, o con essa si era mirato più a fare effetto in Europa che ad arrecar vantaggio alle popolazioni soggette.

Quella legge ebbe la sua prima applicazione in Bulgaria, per la quale anzi principalmente erasi fatta. Midhat Pascià, allora governatore del paese, si sforzò ad applicarla. Uomo energico spregiudicato in religione, patriota e utopista per una giovine Turchia, trattò Cristiani e Musulmani in eguaglianza, li chiamò alle elezioni, e lasciò libero il voto. Institui un orfanotrofio comune alle varie razze, un embrione di municipio; e tentò separare la giustizia dall'amministrazione. Sopratutto erasi dato a migliorare la pubblica economia. Costrusse un molino a vapore, ordinò un podere modello, insegnò a meglio fabbricare le case; e fece insomma che la Direzione dell'agricoltura e commercio instituita colla legge dei Vilajet avesse un lavoro serio e relativamente il meglio possibile adempiesse alla sua missione.

Si disse allora che quella legge aveva fatto buona prova, e vennero istanze dall'estero affinché fosse applicata in tutto l'Impero. Ma partì Midhat Pascià da Rustciuk e ogni cosa decadde.

Midhat Pascià che crede possibile la fusione tra Cristiani e Musulmani si era messo ad applicare la legge dei Vilajet colla volontà e colla coscienza del riformatore. Egli supplì all'inerzia delle popolazioni, agì in loro nome malgrado la resistente diffidenza, interpretò nel miglior senso liberale quella legge informe monca ed oscurissima tanto che ne dovettero stupire perfino gli autori.

I Vali che gli successero oltre ad essere di minor talento, e parteggiare pei vecchi tempi, sapevano forse anche che nei reconditi consigli della Porta lo zelo per l'applicazione coscienziosa delle leggi che si edittavano era male accetto. Quindi parte per propria iniziativa e parte per tacita approvazione si

23 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. XII

diedero a trascurare il nuovo ordinamento, e in poco tempo ogni cosa andò a fascio. Destituiti o cambiati i principali impiegati che parevano parteggiare per le idee di Midhat Pascià, sciolta la Direzione dell'agricoltura, trascurate le strade, il podere-modello abbandonato, chiuso il molino a vapore, si ritornò alla condizione che nel mezzo d'un paese feracissimo per grani si deve ricorrere all'Austria e Valacchia per le farine.

Nell'amministrazione della giustizia che pure qualche poco si era migliorata, si ricominciò alla prima e ben nota venalità, ai lunghissimi ritardi ai frequenti dinieghi, all'intromissione del Pascià.

Né poteva essere altrimenti. Non è di leggi che si abbisogna, ma di uomini di buona volontà.

Del resto poiché leggi si vogliono, le si facciano adatte e logiche. Colla legge de' Vilajet si decretò separata l'amministrazione dalla giustizia, e non si stabilì dove e questa e quella cominciano e finiscono: si parlò di competenze e non si fissarono: si presuppose un codice civile, un altro di procedura civile e non furono mai compilati: si ragionò di municipi e non si instituirono.

Ma frattanto, si dice, la legge fu attuata e funziona. Sì, teoricamente funziona; ma le cose non cambiarono punto: anzi con ciò di male. Che se almeno prima era direttamente risponsabile il capo dell'amministrazione ora egli è coperto da numerosi Consigli (Medjiliss) senza che da essi sia minimamente limitato il suo arbitrio.

Ho detto numerosi i Medjiliss: e veramente essi sono un vero intoppo all'amministrazione. Teoricamente niente di più liberale e popolare. È il sistema del giurì applicato sulla più larga scala d'una signoria di popolo. Ma come si compongono, e di chi sono composti? Si compongono dal Capo amministrativo, e sono sempre uomini intriganti ed avidi, e per dippiù inetti. Essere membro d'un Medjiliss, fare il Tciorbadjé è un mestiere lucroso. Il Tciorbadjé è infesto a suoi correligionari cristiani quanto un impiegato turco. Si potrebbe sceglierne dei migliori? Come onestà certamente, ma come attitudine è difficile. Poco su poco giù musulmani e cristiani sono tutti in egual grado d'istruzione. Ecco il perché i Medjiliss intralciano l'azione amministrativa anziché ajutarla.

Non farò appunti a che nei Medjiliss sieno sempre in gran maggioranza i Mussulmani, essi che in Bulgaria non costituiscono i sette decimi della popolazione. II governo del Sultano è ancora un governo musulmano, perciò egii è nel suo diritto se non vuole suicidarsi. Del resto ove fosse pure diversamente dubito assai che le cose anàrebbero meglio.

Avanti che i cristiani, voglio dire la gran massa bulgara possa essere realmente utile ci vorrà assai tempo. E quando essi saranno giunti a quel punto ne saranno discesi gli antichi padroni. Per il che io credo non essere di alcun valore pratico, nel senso civilizzatore e liberale, l'attuale esperimento di avere ammesso dei cristiani negli impieghi amministrativi. Fino a che il governo turco esisterà, i cristiani impiegati saranno sempre più turchi dei turchi. Io ho avuto cento volte esperienza di ciò, e le maggiori difficoltà in affari, le ho sempre incontrate negli impiegati cristiani.

Pare a me che a vece di leggi fatte sul modulo di quella dei Vilajet sarebbe assai meglio per le popolazioni e pel governo stesso instituire ordinamento più semplice; abolire la massima parte dei Medjiliss; lasciare al Capo della Amministrazione la diretta risponsabilità, e compilare in pochi articoli le principali regole di giustizia civile, ma adattandole all'indole e natura del paese; non fare come avvenne pel codice di commercio che è un letterale estratto di quello francese, e in cui ad ogni articolo vi ha rimando a leggi e disposizioni che non esistono.

Ogni altro conato fatto allo scopo di chiamare musulmani e cristiani al governo della cosa pubblica, e tentare così la fusione loro è la massima delle utopie. Contro le quali però non sembra, almeno apparentemente, che il governo della Porta ne stia guardingo, e ne è prova la legge sull'istruzione pubblica recentemente promulgata.

Non riferirò sui liberalissimi principii a cui essa si informa. Additerò solamente la disposizione per le scuole miste. Per certo ottima è la teoria; ma sono esse possibili in pratica? Bisognerebbe non conoscere l'animosità di razza di religione di condizione politica tra musulmani e cristiani per affermarlo. Si cita l'esempio degli istituti misti di Costantinopoli. Innanzi tutto resta a vedersi quali ne sieno i risultati; poi l'esempio della capitale non calza. lvi si agglomera una quantità di popoli diversi senza scopo e tra loro disgregati: chi non commercia assedia gli uffizii del governo. lvi si troverà sempre chi per varie ragioni personali accetterà e profitterà della scuola mista. Ma ben altrimenti è nelle provincie dove esistono le difficoltà che costituiscono il nodo della questione d'oriente.

Ai cristiani di Bulgaria fu proposto dal Governo il nuovo partito: ma essi il rifiutarono. Per non addurre il vero motivo i bulgari risposero che essi avevano scuole sufficienti dove l'insegnamento era più avanzato che non nelle scuole ottomane, perciò in una scuola mista gli allievi cristiani avrebbero perso il tempo per attendere di essere raggiunti dagli allievi musulmani. Il Governo si tenne pago della risposta.

Da sì facile contentatura non nasce forse il sospetto che la recente legge sull'istruzione sia un secondo saggio della legge sui Vilajet?

Ma in certa qual maniera è pure scusabile la Porta Ottomana. Vi hanno potenze amiche che insistono affinché riformi. La Porta si libera dall'importunità con adottare le leggi di quelle, ma rendendole ancora più liberali. Cosa vi è più a contraddire?

Ho detto in principio di questo rapporto che per le popolazioni cristiane un miglioramento avvenne. Ma ciò non fu già l'effetto delle nuove leggi emanate; sibbene perché non si osa più trattare i cristiani come si trattavano per l'addietro. La presenza di molti consoli, l'affluenza degli europei, le maggiori comunicazioni, e sopratutto la tema della pubblicità hanno fatto, quanto gli ordini i più perentori dati in buona fede dal governo centrale non avrebbero ottenuto. Messo così un freno alla durezza dei funzionari, i cristiani ne approfittarono con iniziare tra loro qualche istruzione, accrescere col commercio la loro fortuna, e importare dall'estero, dove ora più liberamente possono recarsi, quei germi di migliorìa che frutteranno la salute loro. Ciò sarà loro tanto più di vantaggio in quanto i mussulmani saranno lasciati addietro. Dire che i Turchi non saranno capaci di fare altrettanto, è un pronosticare azzardoso.

Ma se si bada ai fatti presenti non si può a meno di constatare che essi stentano ad entrare nel movimento; e ad un tempo deperiscono in numero e in fortuna.

Le conseguenze di tal fatto possono divenire importantissime in un non lontano avvenire.

Resterebbe ancora a riferire sullo stato della questione della Chiesa bulgara col Patriarcato di Costantinopoli; e delle cause che contribuiscono a mantenere in questo Vilajet di Bulgaria quella irrequieta situazione che fa temere tratto tratto di essere alla vigilia di una insurrezione.

Oltreché su queste circostanze io avrei bisogno di fare ulteriori ricerche. io mi avvedo pure che cotesto mio rapporto è già troppo prolisso, per cui lo farò di compierlo in altra occasione.

Ebbi l'onore di ricevere a suo tempo il dispaccio n. 11 Serie politica in data 4 gennajo u s. (l) coi documenti diplomatici ivi annotati. Precedentemente ebbi pure a ricevere un piego contenente un gran numero degli stessi documenti.

274

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI

D. 109. Firenze, 25 febbraio 1870.

Alcuni giorni or sono, S. E. il Barone di Kiibeck mi informava per ordine del suo Governo, che il Gabinetto di Vienna avea risoluto di associarsi alla Russia nel fare buoni uffici a Costantinopoli per consigliare alla Sublime Porta di non dipartirsi da una linea di condotta moderata e prudente ne' suoi rapporti col Montenegro. Il Governo Austro-Ungarico desiderava che l'Italia, sebbene non abbia sottoscritto gli accordi internazionali relativi a quel Principato, unisse la sua voce a quella delle altre potenze, negli adoperamenti da farsi in questa occorrenza in favore della pace e della tranquillità dell'Oriente.

Nella conversazione che ebbi in proposito con S. E. il Ministro di Austria, gli feci conoscere che il R. Rappresentante accreditato presso la Sublime Porta avea già ricevuto istruzioni nel senso desiderato dal Gabinetto di Vienna (2), e gli ho espresso la soddisfazione che noi provavamo nel trovarci anche questa volta in una perfetta uniformità di vedute col Governo di Sua Maestà Imperiale e Reale Apostolica. Gli feci poscia osservare che l'Italia come Potenza garante dell'integrità dell'Impero ottomano avea diritto ed interesse a prender parte a tutti gli atti ed a tutti gli accordi internazionali relativi alla posizione reciproca della Sublime Porta e del Montenegro. Il Governo del Re non permise mai che questo suo diritto venisse disconosciuto. Allorché nel giugno 61 si poté per un momento supporre che la Sublime Porta avesse l'intenzione di

riservare le sue comunicazioni relative al Montenegro alle sole cinque maggiori Potenze, noi abbiamo provocato dai Gabinetti di Parigi, Londra, Berlino e Pietroburgo dichiarazioni esplicite, le quali furono inserite nella Raccolta di documenti diplomatici presentati al Parlamento nel 1866, nel senso del nostro diritto di ricevere tutte le comunicazioni dirette ad altre Potenze, e di associarci a queste negli atti e negli accordi internazionali concernenti gli affari della Turchia con quel Principato.

Quindi soggiunsi che noi dovevamo accogliere ora le parole colle quali il Gabinetto di Vienna ci manifestava il suo desiderio di vederci prender parte agli adoperamenti da farsi a Costantinopoli non altrimenti che come una sua adesione esplicita a ciò che dagli altri Governi era stato precedentemente riconosciuto circa il nostro diritto. Questo passo che il Gabinetto di Vienna fa verso di noi, nella prima occasione in cui, dal 1866 in poi, le Potenze vengono chiamate ad occuparsi delle relazioni della Sublime Porta col Montenegro, è agli occhi nostri una nuova prova dei buoni rapporti e della perfetta intelligenza esistenti fra l'Italia e l'Austria.

A queste mie osservazioni, S. E. il Barone di Kubeck rispose in modo da non lasciar sussistere alcun dubbio che tale infatti non fosse il senso delle parole da lui adoperate nella comunicazione che mi avea fatta.

(l) -Non pubblicato. (2) -Cfr. n. 249.
275

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 532. Berlino, 25 febbraio 1870 (per. il 28).

Le Reichstag devait se prononcer sur le Traité de juridiction conclu le 14 Janvier échu entre la Confédération du Nord et Grand Duché de Bade, et qui est l'application au delà des frontières fédérales du principe de l'égalité des Allemands devant les Tribunaux des divers Etats confédérés, principe déjà établi par la loi sur la compétence judiciaire du 21 Juin 1869. C'est un nouveau progrès dans la voie de l'assimilation, mais ici et surtout à Carlsruhe il existe un parti des impatients, qui voudrait précipiter le cours des événements et arriver, sans tenir compte obstacles, à l'unification nommément pour le Grand Duché de Bade dont les dispositions ne sauraient faire l'objet d'un doute.

Le député Lasker, l'un des organes de ce parti, a présenté hier une motion signée par bon nombre de ses collègues invitant la Chambre à exprimer sa satisfaction des efforts incessants du Gouvernement et du peuple Badois dans un but patriotique. «Le Reichstag reconnait dans ces tendances l'expression du sentiment national et y voit avec satisfaction l'indice du ralliement le plus prompt que possible à la Confédération actuelle ».

Dans son discours M. Lasker, après avoir énuméré les services rendus et les sacrifices portés par le Grand Duché de Bade demande pourquoi on lui refuse l'entrée dans la Confédération du Nord. Quels sont les empéchements?

On ne saurait alléguer des ménagements dus à la France et à l'Autriche absorbées par leurs embarras intérieurs. Voudraient-elles toutefois s'occuper avec l'étranger, une besogne suffisante se trouve à Rome. La responsabilité des ajournements indéfinis appartient à ceux qui dirigent la politique fédérale.

Le Comte de Bismarck n'hésite pas dans sa réponse, à déclarer qu'une semblable motion est une faute. S'il partage le meme sentiment de reconnaissance pour les tendances patriotiques de Bade, son incorporation avec le Nord ne saurait avoir lieu à moins d'une entente parfaite et réciproque, et en dehors de toute pression. Bade, camme champion des idées nationales, peut s'employer plus utilement parmi les Etats du Sud, que s'il appartenait à la Confédération du Nord. C'est pourquoi un changement dans le status qua n'est pas désirable. Il ne convient pas d'écremer le pot au lait, et de laisser aigrir le reste. Ne serait-il pas regrettable par l'admission de cet Etat, de contrarier le progrès national des autres Pays du Midi, et de fournir un nouvel aliment aux agitations en Bavière? Il n'est pas à croire que le parti en Bavière qui a écrit sur son drapeau le parjure et l'appel au secours étranger arrive au pouvoir, mais il ne faut pas lui prèter le flanc. Il résulterait également des difficultés pour le Zollverein et pour les libertés économiques. Au point de vue militaire, le manteau du Bund serait là sans doute pour garantir Bade contre le vent d'Est, mais il n'est aucune raison pour constituer en quelque sorte le Grand Duché camme une ile de la Confédération. Dane, si le Cabinet de Carlsruhe adressait une demande formelle d'accession, je dirais dans l'intéret de la Confédération et de Baden: «rebus sic stantibus, je dois décliner la requète, mais je vous indiquerai le moment où votre admission paraitra plus en rapport avec l'intéret général de l'Allemagne et avec l'intéret d'une politique que nous avons suivie jusqu'ici non sans succès. Le Roi de Prusse jouit dans le Nord et au Sud d'une puissance et d'une position inconnue depuis 500 ans. Ne le dépréciez pas; soyez contents de ce qui vous est accordé; sachez vous passer de ce que vous ne pouvez avoir pour le moment ».

Appelé à prendre une seconde fois la parole pour répondre à un autre orateur (M. Miquel) qui lui reprochait de renvoyer une telle solution aux calendes grecques, du moment où le Gouvernement ou ne voulait point de l'Allemagne du Sud, ou la voulait toute entière, S. E. a développé les considérations suivantes.

Aucune décision n'est formulée pour la réunion du corps germanique. On vise à un développement progressif et la Confédération du Nord n'est qu'une expression concrète d'une phase passagère. « Aussi longtemps que je suis au pouvoir la majorité doit se plier à mes vues. C'est moi qui suis responsable, non vous. Il n'est point vrai que j'aie dit: « Ou toute l'Allemagne du Sud ou rien! » Au contraire, il y a tel cas, par exemple celui d'une demande d'admission de la Bavière, où mon jugement serait tout autre. Comprenez-vous mieux que moi les affaires, devenez alors Chancelier fédéral, car c'est lui qui doit diriger la politique de l'Allemagne ». Les malentendus qui surgissent prouvent combien il serait désirable de ne pas adresser des interpellations, car le langage aussi bien que le silence du Ministre des Affaires Etrangères dans des cas semblables donnent facilement lieu à de fausses interprétations.

Le député Lasker après avoir repoussé l'ins1nuation d'avoir agi sur les instances du Cabinet de Carlsruhe retire sa motion, puisqu'il a atteint le but de provoquer chez tous les partis de la Chambre une manifestation de sentiments de reconnaissance envers le peuple Badois, et que le rejet de la seconde partie de cette motion prèterait à des commentaires inexacts.

Ces débats ne nous apprennent rien de nouveau, mais j'ai cru devoir les résumer parce qu'ils confirment les exposées de ma correspondance officielle et particulière. La situation reste donc la meme. Le Mein n'est pas encore guéable. Ainsi il fallait s'astreindre à des tempéraments. Il manque surtout une démarche formelle des Etats du Sud. Mais il ne tient qu'à eux d'y entrer. On les attend. Les déclarations du Comte de Bismarck n'ont pas moins produit une impression facheuse sur le parti national-libéral, à en juger par un article de san organe, la National-Zeitung. Mais le temps porte conseil, les libéraux finiront par comprendre que la réserve du Chancelier fédéral était indiquée par les circonstances. Il faut aussi se rappeler que nous touchons au moment des élections, et qu'il est d'usage, en pareille occurrence, de faire ce qu'on appelle la réclame électorale aussi bien de la part des différents partis que de la part du Gouvernement. Cette circonstance expliquera certains passages du discours du premier Ministre.

Je signalerai encore ce fait que des députés appartenant au centre, à la gauche aussi bien qu'à la droite ont fait des allusions à ceux qui partout se considèrent en quelque sorte sans patrie (heimatlos), qui placent le but de leur politique dans une autre capitale, et qui séparés des autres catholiques se livrent à l'ultramontanisme (M. Lasker). Si l'adresse Bavaroise vise plus loin que le renversement du Prince Hohenlohe, il ne reste plus à la majorité du parti qu'elle représente qu'à prendre le mot d'ordre dans la Rome absolutiste dont l'esprit est suffisamment défini dans la bulle de 1701 (M. de Blankenbourg). L'ultramontanisme à Munich n'est pas plus mauvais que le kryptocatholicisme à Berlin (M. Li:iwe).

Le Comte de Bismarck s'est soigneusement abstenu de s'engager sur ce terrain. Et c'est là une nouvelle preuve que rien n'est changé dans l'attitude du Cabinet de Berlin pour la question du Concile, et qu'il se ménage une entière liberté d'action.

276

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 57. Belgrado, 26 febbraio 1870 (per. il 5 marzo).

Sulla fede delle dichiarazioni ufficiali del Governo austro-ungherese e delle parole del mio collega che qui lo rappresenta, io scriveva, mesi sono, che dalle previsioni dell'avvenire pareami dovere essere tralasciato il disegno dell'Austria di muovere ad aggressione e conquista delle provincie ottomane, la Bosnia e l'Erzegovina. Non a sufficienza iniziato allora nei misteri delle varie

politiche che s'incrociano in quella monarchia, e convinto che a Pest si giudica che l'interesse ungherese richiede che non si aumenti il numero e la forza degli Slavi dell'Impero, che alla Serbia sia lasciato il dirigere i suoi voti e l'azione sua, fino ad oggi, poco minaccevole verso le vicine provincie, e che infine di nessuna delle fazioni dei Jugo-Slavi sia aumentato l'ascendente e creata l'egemonia, pareami di non dovere prestar fede ad inquietudini suggerite, credevo io, da coloro ai quali pesano le relazioni di buon vicinato fra l'Ungheria e la Serbia.

M'ingannai. Nel mese di giugno passato lo stesso generale Wagner radunava a casa sua, in Zara, alcuni capi dei patriotti croati, con essi fu discussa l'aggressione delle provincie suddette e con ufficiali di Stato Maggiore stabilite le tappe ed i modi di esecuzione. Fra i Croati eravi l'Orescovic, noto in Italia, per la parte alla quale era destinato allorché, quando preparavansi le nostre guerre nazionali, da noi voleasi suscitare la defezione fra i confinarli. Or che il Wagner accusa dei moti di Dalmazia intrighi stranieri diretti contro la Turchia, le gazzette di Sissek pubblicheranno le prove di ciò che scrissi più sopra.

Forse questi ragguagli giungeranno più completi e più esatti da altra parte a V. E. ma fommi lecito di scriverne perché non vidi traccia di ciò nei documenti che il Ministero compiacesi inviare regolarmente a questo ufficio.

Non cessò l'agitazione nei confini militari; pare che si pensa a dare un passo innanzi nella via della riforma civile: il Conte Andrassy, se le mie informazioni sono esatte, sarebbesi recato a Vienna allo scopo di ottenere che il Reggimento di Petervaradino ed uno nel Banato sieno ammessi alla libertà civile. Quei reggimenti occupano ricchi territorii e gli oppositori non mancano di osservare che giustizia vorrebbe s'incominciasse dalla così detta frontiera secca, cioè dalla Croazia militare confinante alla Croazia turca, ove per la povertà della terra vorrebbesi che il contadino avesse la piena scelta del modo di provvedere a se stesso.

Sembrami non errare giudicando che la fazione viennese la quale in odio al Regno di Ungheria stende la mano e coopera coi radicali slavi a suscitare ostacoli al consolidamento di esso, procede all'avventata, e getta scintille là dove l'incendio potrebbe prorompere con violenza. Alcune persone credono che se non si opporranno rimedii potenti, s'insorgerà nelle frontiere, come in Dalmazia; l'insurrezione troverebbesi in pieno organamento: il cittadino vi è soldato, e non vedo quale sarebbe il modo di combatterla. Finora le varie frazioni politiche fra i Iugo-Slavi (quantunque difficile a chi non sa la lingua, mi proverò pazientemente ad indagarne le condizioni) non hanno programma definito, hanno interessi diversi, perché o sono quasi indipendenti ovvero appartengono a stati diversi, ed a condizioni di civiltà di vario grado; questi sono i soli motivi, a mio avviso, per i quali v'è una questione croata, v'è una questione bulgara e montenegrina, v'è la serba, ma non la jugo-slava.

A Zagabria coltivansi le lettere: Belgrado gode di una quasi intera indipendenza: i confinarii hanno la forza militare. Se a questi accadesse di farne uso e di ricavarne profitto non sarebbe assurdo il giudicare possibile che l'una delle altre frazioni se ne valesse per iniziare una coraggiosa ed iniziatrice politica di egemonia, posta la quale sarà posta la questione jugo-slava

nella sua pienezza. Forse a Vienna credesi che i generali austriaci sieno una diga sufficiente e valgano a giuocare col fuoco e non esserne scottati: la cattiva prova fatta in Dalmazia non lascia dubbio intorno ai risultamenti in casi consimili.

277

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, BLANC, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI

T. 1073. Firenze, 27 febbraio 1870, ore 15,30.

Marquis Pepoli a montré intention de donner sa démission, mais rien n'est encore décidé (1).

278

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 1074. Firenze, 27 febbraio 1870, ore 15,30.

On m'annonce de Rome que plusieurs éveques français auraient été avertis que le Gouvernement impérial va envoyer ambassadeur au Concile.

279

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1075. Parigi, 1° marzo 1870 (per. il 3).

La dichiarazione fatta dal Signor Ollivier in seno al Corpo legislativo sull'astensione completa del Governo nelle candidature alle elezioni politiche, dichiarazione che cagionò una recisa scissione tra cinquantasei deputati di destra e il Governo, continua a formare l'oggetto dei discorsi e degli apprezzamenti nelle conversazioni politiche e negli organi principali della pubblica stampa.

Sembra che in sulle prime l'Imperatore stesso ne sia stato alquanto commosso. Certo è che gli uomini più compromessi col Ministero precedente ne

«Consegnai oggi al Cav. Baratti la mia dimissione. Compiangimi amico e rispetta il mio dolore. Egli verrà martedì a Firenze, se credi che sia più urgente far firmare dal Re, fallo e telegrafa mediante il Prefetto al Baratti di venire subito.

Egli ti dica lo stato dell'animo mio, egli ti esprima la verità delle cose.

Fui vittima e mi rassegno di un orrendo ricatto!

Ho però coscienza di aver reso qualche servizio al paese tlcnne conto, ed ho la coscienza

che oggi son fatto segno di indegni int~eressi.

P. S. Desidererei che tu vedessi Baratti ».

furono vivamente irritati. D'altro Iato si può domandare se in pratica la teoria dichiarata dal Guardasigilli non presenti difficoltà gravissime ed anche un vero pericolo, ove l'applicazione di essa sia fatta nel modo assoluto con cui venne formulata. Ma lasciando in disparte quest'ultima questione, è per me evidente che la votazione di venerdì scorso ha avuto il vantaggio di rendere chiara, netta e bene definita la situazione del Ministero e dei partiti. Nella votazione precedente provocata dal discorso del Conte Daru, l'estrema destra si era pronunciata pel Ministero, il quale si era così trovato ad avere con sé tutta la Camera, ad eccezione di 18 voti di sinistra. II Ministero attuale fu portato nei consigli della Corona da una vera reazione contro il potere personale e contro quelli che più l'avevano sostenuto e ne erano stati i collaboratori e i Ministri. Il Ministero attuale scaturisce da un partito che aveva formolato un programma molto chiaro e ben definito.

È conseguente ch'esso applichi quel programma ed è logico che il signor de Forcade La Roquette e il signor Pinard, che furono entrambi ministri del potere personale e che applicarono il sistema delle candidature ufficiali, insieme con tutti quelli che ne dividono le idee, siedano in un campo diverso da quello ove siedono i signori Ollivier e Daru. Fa quindi specie lo scorgere che l'estrema destra si mostri attonita di ciò che accade in questa circostanza. Ciò proverebbe ch'essa non si rese ben conto del cambiamento avvenuto. Comunque sia, ora la posizione è chiara per tutti, e credo che ciò sia pel meglio. Nessuna illusione è ormai più possibile. Il Ministero non conterà una maggioranza così numerosa, come quella che votò dopo il discorso del Conte Daru; ma quella che gli rimane, benché poco numerosa (giacché converrà eliminare i voti di sinistra) gli sarà più fedele e più sicura.

Le questioni interne preoccupano talmente il Ministero francese, che poca parte rimane alle questioni estere, delle quali poco o nulla si parla. II Governo francese non diede molta importanza, a quanto mi si assicura, alla querela insorta tra la Porta e il Montenegro, sulla quale la Russia parve voler chiamare l'attenzione delle Potenze. La Turchia negò il movimento di truppe sulla frontiera montenegrina di cui era stata accusata.

Della questione del Concilio parlai all'E. V. in separata corrispondenza.

Quanto all'Allemagna, non credo che l'attuale Ministero abbia fatto o intenda fare pratiche o dichiarazioni nuove. Tuttavia il pericolo, se esiste, sta là. L'attuale Ministero francese si dichiarò pel mantenimento della pace. Ma quella dichiarazione fu fatta in tuono abbastanza fiero, come da persone che stanno in sull'avviso e che portano, per servirmi d'un'espressione volgare, il cappello in sull'orecchio.

Una tale attitudine, nello stato presente delle cose e degli uomini in Francia, con Ministri, onorevolissimi, onestissimi, ma resi eccessivamente suscettibili sia dalla propria natura, sia dalle circostanze che li portarono al potere e da quelle in mezzo a cui si muovono, può ragionevolmente destare qualche inquietudine per un avvenire più o meno lontano. Fortunamente la tendenza generale della popolazione francese è assolutamente pacifica al di fuori, come è antirivoluzionaria al di dentro.

(l) Con t. 2072 del 25 febbraio Curtopassi aveva richiesto informazioni circa l'esattezza delle voci di dimissioni di Pepoli. Cfr. la seguente lettera di Pepoli a Visconti Venosta, datata febbraio 1870 e conservata in A VV:

280

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2076. Costantinopoli, 2 marzo 1870, ore 13 (per. ore 22,05).

Rustem bey a été chargé par télégraphe de notifier à V. E. que les consuls à Scutari des Puissances garantes pourront faire partie de la commission mixte réunie pour la question de délimitation avec le Monténégro. Il y a eu un moment d'hésitation à nous admettre vu les précédents de 1858, mais le grand vizir a fini pour déclarer qu'il n'avait jamais eu la pensée de nous exclure, mais seulement d'éclaircir état des choses. Ambassadeur de France nous convoquera en réunion pour tàcher de mettre tous d'une manière, afin qu'on puisse donner aux consuls à Scutari instructions identiques. Je soumettrai à V. E. le résultat de la réunion avant d'écrire au consul. Il serait urgent d'envoyer le cordon des Saints Maurice et Lazare à Halil bey qui m'a admirablement sécondé en cette affaire.

281

L'ONOREVOLE MINGHETTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. Bologna, 2 marzo 1870.

Pepoli desidera che tu dia corso al Decreto senza indugio (2), e gli mandi a Vienna il dispaccio di richiamo per presentarsi e far finire la sua missione. Resta dunque intesa che la sua dimissione fu motivata dal sospetto di traslocazione e quel tal processo della cambiale falsa è sempre sospeso. Di più a voce, ma non ho voluto tardare a darti questa risposta. Egli sarà fra tre giorni a Vienna.

282

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (3)

T. 2079. Parigi, 3 marzo 1870, ore 18,45 (per. ore 20,35).

Le comte Daru m'a dit aujourd'hui confidentiellement que sa note avait dù étre remise lundi au cardinal Antonelli. Dans cette note le Gouvernement impérial déclare à la Cour de Rome que si on donne suite au schème « De Ecclesia » on en

verra un ambassadeur de l'Empereur auprès du ConcHe. On attend la réponse de la Cour de Rome. Si elle conteste le droit d'envoyer un ambassadeur au Concile le Gouvernement impérial avisera. Le comte Daru ne m'a pas dit le nom de la personne qui serait choisie pour cette mission. Il m'a dit seulement que ce serait un laique et qu'il aurait toute sa confiance personnelle.

(l) -Da AVV. (2) -Il decreto di collocamento a riposo di Pepoli reca la data 7 marzo. (3) -Ed., con qualche variante, in Carte Lanza, vol. V, p. 50 con l'errata indicazione di Lan•a come destinatario del telegramma.
283

IL MINISTRO A MADRID, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2080. Madrid, 3 marzo 1870, ore 22,30 (per. ore 8,30 del 4).

Due de Montpensier arrivé hier au soir à Madrid. On dit proposition de sa candidature prochaine. Montpensier exploite voyage du prince des Asturies à Rome.

284

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 534. Berlino, 3 marzo 1870 (per. il 6)

Les objections présentées par le Comte de Bismarck pour combattre la motion Lasker (dépèche n. 532) (l) ne touchaient qu'à des considérations de politique intérieure allemande. Mais il est évident que son langage était aussi dicté par des motifs ayant trait à la situation générale de l'Europe. Il n'est dont pas hors de propos de chercher à expliquer sur ce point le fond de sa pensée.

Le Comte de Bismarck qui en 1866, sans l'appui de l'opinion publique, et mème contre ses tendances hautement avouées, n'hésitait pas à entreprendre une grande guerre. se refuse aujourd'hui où il aurait de son còté les sympathies de la majorité à faire un pas qui méme indirectement pourrait amener un conflit. Il ne veut pas dépasser la ligne du Mein, aussi longtemps que l'Allemagne du Midi, ou une partie considérable de celle-ci ne lui tende elle mème la main. Les Nationaux-libéraux poussent à des actes matériels, tandis qu'il calcule sur des conquètes morales. Les ròles sont changés. Il est vrai que la situation est toute autre qu'en 1866. Alors il s'agissait pour la Prusse d'une question d'existence, sa grandeur ou son abaissement était en jeu. En présence de cette alternative on pouvait beaucoup risquer, et d'ailleurs, les circonstances étaient propices. Notre concours était assuré. La Russie, la France et l'Angleterre penchaient à quelques nuances près, pour la neutralité. Les troupes prussiennes avaient

pris les devants par leur organisation, et surtout par l'armement de l'infanterie. Maintenant la mise et le jeu ne sont plus les memes. Le gros lot est déjà gagné. Il faudrait l'exposer pour y ajouter un gain moindre dont on peut parfaitement se passer pour le moment, et que dans quelques années on sera en mesure d'encaisser sans risico. En outre les chances favorables de 1866 n'existent certes plus au meme degré. Les grands Etats Militaires dans leurs armements ne sont autant distancés par la Prusse. L'Italie essentiellement pacifique n'a aucune raison pour rentrer en !ice. L'Angleterre et la Russie verraient de mauvais oeil une politique de provocation de la part de la Prusse. La France succomberait peut etre alors à la tentation d'employer les moyens les plus énergiques pour empecher une consolidation de l'Allemagne, et l'Autriche ne refuserait pas son concours pour la destruction de cette oeuvre.

Si telle est la pensée du Chancelier fédéral, il est assez nature! qu'il se tienne sur la réserve, et qu'il préfère calculer sur le bénéfice du temps, laisser aux choses leur cours régulier, de manière à ce que les transformations ultérieures s'opèrent sans secousse, librement, sans apparence de pression. Les appréciations, dans les camps hostiles à l'étranger, se modifieront quand chacun se rendra mieux compte qu'en définitive il résulterait de ce travail d'unification un état de choses favorable à la liberté et à la paix générale, en suite d'une meilleure pondération des forces vis-à-vis de la France et de la Russie.

En accusant réception des documents diplomatiques n. 61 à 63, 65-69, 71-75 au nombre de 13, et en remerciant V. E. de cette communication ...

(l) Cfr. n. 275.

285

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 535. Berlino, 3 marzo 1870 (per. il 6).

A en juger par le langage du Comte Benedetti, il ne semble pas que ni le discours du Tròne à l'ouverture du Reichstag, ni l'incident de la motion Lasker pour l'entrée du Grand Duché de Bade dans la Confédération, soient de nature à troubler les bons rapports avec la France. Ce diplomate estime, il est vrai, que les paroles du Roi et celle de son premier Ministre ne sont pas strictement conformes au Traité de Prague; mais ce ne so n t encore que des tendances déjà connues à Paris. L'essentiel est que pour le moment le Cabinet de Berlin s'oppose à ce qu'on s'engage dans la vaie beaucoup plus compromettante des faits. Ici aussi on n'entrevoit rien d'inquiétant à l'horizon, au moins dans un avenir rapproché, car il serait téméraire de se livrer à des calculs à long terme. En attendant, c'est ce que je constate, les assurances données au Baron de Werther sont satisfaisantes. Les déclarations franchement pacifiques énoncées par le Comte Daru à la séance du Corps législatif (22 février) inspirent confiance. Cependant tout n'est pas encore vérité dans la nouvelle situation en France. Or, c'est dans la vérité d'une situation politique que se trouve la garantie certaine de sa durée. A ce point de vue on n'est point encore ici délivré de toute préoccupation. Le sentiment général est que si le commencement du régime parlementaire est fait en France, il y aura encore bien des difficultés, bien des désillusions peut etre avant qu'elle possède les moeurs et les vertus nèeessaires à ce régime, mais que ce serait une dernière expérience, si elle n'aboutit pas heureusement, la guerre ou la révolution serait inévitable.

Il est curieux de voir que si le Ministère Ollivier se sépare de la droite, ce qui est dans la logique des choses, le Comte de Bismarck fait mine de rompre avec les Nationaux-libéraux, et partant de se rapprocher davantage des conscrvateurs. Mais ici ce n'est qu'une feinte pour tempérer chez le parti libéral la conscience de cette force qui le pousse à jouer le ròle des impatients. Mais je doute fort qu'on en vienne à une rupture, De part et d'autre existe le sentiment d'une mutuelle solidarité dans tout ce qui tient au programme de la re(:onstitution d'une Allemagne unie.

286

L'INCARICATO D'AFFARI A CARLSRUHE, LITTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R.. 173. Carlsruhe, 3 marzo 1870 (per. il 6).

La stampa badese non tardò ad occuparsi del discorso del Conte di Bismarck pronunciato il 24 dello scorso mese nel Parlamento della Confederazione del Nord. La Gazzetta di Carlsruhe pubblicò a tal proposito nelle sue colonne un comunicato, del quale più sotto inserisco la traduzione. Il Badische Beobachter giornale ultramontano mise in testa ad un suo numero il discorso per intero del Conte di Bismarck, facendolo precedere da alcune linee poco benevole al Ministero ed al partito liberale. La Badische Landerzeitung giornale liberale, che da qualche tempo si ritiene giornale officioso, dacché fu autorizzato a fregiarsi dello stemma granducale, trattò con poche linee dapprima, e con un lungo articolo di fondo di poi di questa questione. Quest'articolo è riprodotto dalla Badische Correspondenz nuovo periodico del partito nazionale-liberale.

Do di esso un sunto nel corso di questo mio rapporto, così che l'E. V. potrà vedere come l'inaspettato ed inopportuno incidente, che per un momento sbigottì i Ministri badesi, ed il partito liberale, sia da quest'ultimo considerato.

Ecco il comunicato della Gazzetta di Carlsruhe:

«Secondo il sunto delle discussioni avvenute nel Parlamento della Confederazione tedesca del Nord, circa la proposta Lasker, il Cancelliere federale Conte di Bismarck manifestò il timore che quella proposta fosse stata fatta « per incarico » e dalle ulteriori sue parole si potrebbe dedurre che il Governo badese abbia dato motivo a quella proposta. Nel modo il più reciso noi dichiariamo che il Governo badese è assolutamente estraneo a quella proposta, che essa gli tornò al pari che agli altri affatto improvvisa, e che né direttamente né indirettamente esso la provocò o favorì menomamente.

Anche la tema che il Cancelliere federale a torto od a ragione trova espressa nel discorso del signor Lasker, che il Governo granducale si possa stancare della politica da esso seguita fino al dì d'oggi è sì poco fondata quanto la supposizione che ad un simile spossamento si possa rimediare col mezzo di elogi spesi a profusione. Il giudizio portato dal Conte di Bismarck sul contegno del Governo badese, e sul coraggio da esso mostrato in ogni tempo contro le minacce e le pressioni estere ed interne è per certo molto lusinghiero pei membri dl questo Governo: ma ciò non giustifica né infonde nuova vigoria alla sua politica.

Il Governo segue la direzione politica ch'esso scelse perché convinto corrispondere essa il meglio agli interessi del Granducato di Baden. Baden non può vivere d'una vita compiutamente indipendente: la sua sicurezza all'estero, come anche il fecondo sviluppo all'interno sono condizionati all'unione nazionale col resto della Germania. II Governo e la maggioranza della rappresentanza nazionale trovano conforme alla dignità ed agli interessi dello Stato di completare in modo stabile questa unione, anziché mantenere lo stato di cose attuale malsicuro ed incerto.

La dichiarazione, molto precisa del resto, del Cancelliere federale essere egli al presente contrario all'ammissione di Baden nella confederazione tedesca del Nord, non tornò nuova al Governo granducale, e non poteva sorprendere coloro i quali hanno esaminato da vicino i fatti. Noi eviteremo di discutere finché il Cancelliere federale offra le ragioni della sua politica, come emananti dagli interessi dello Stato affidato alla sua direzione; ma queste ragioni noi no:J. rossiamo considerare valevoli anche per il Governo granducale, al quale sono affidati, avanti tutto, gli interessi di Baden. Noi dobbiamo altresì respingere quanto disse il Cancelliere federale, d'aver egli insistito sulle trattative per la pace nel 1866 sulla rilevante contribuzione imposta al nostro paese per difendere la persona di S.A.R. il Granduca da qualunque siasi possibile mala interpretazione.

Del resto il Governo granducale sa già che non ad esso spetta, ma bensì alla presidenza della Confederazione tedesca del Nord, di decidere quale sia il momento opportuno pel compimento della grand'opera nazionale: egli è innegabile che già da anni in qualunqu.csiasi circostanza il Cancelliere federale si mostrò fedele a questa linea di condotta. Se ciò malgrado il Governo mira sempre al suo scopo, esso non s'abbandona però, come i suoi avversari glielo rinfacciano, ad una politica fantastica, in favore di una unione nazionale irrepetibile, alla quale il paese non vuole sottomettersi, ma esso basa la sua speranza sul raggiungimento di questa unione, sugli interessi medesimi del paese, i quali sono strettamente collegati colle indistruttibili esigenze e colle aspirazioni di tutto quanto il popolo tedesco. Questa speranza può ricavare nuova forza dalla ripetuta precisa dichiarazione del Cancelliere della Confederazione tedesca del Nord che l'attuale incompleta unione della Germania non può essere considerata come cosa definitiva».

Come ho detto più sopra la Badische Landerzeitung parlò due volte del discorso del Conte di Bismarck. La prima volta sono poche linee all'indirizzo degli ultramontani i quali credono che dopo le esplicite dichiarazioni sentite dalla bocca del Cancelliere federale nella giornata del 24 febbraio, la politica nazionale di Baden abbia a cessare. Il periodico liberale dice che il partito di cui esso è l'organo era così penetrato dalle attuali condizioni politiche, che fu appunto in omaggio ad esse che al principio della sessione parlamentare non venne né consigliata né determinata una proposta chiedente l'entrata di Baden nella Confederazione tedesca del Nord. Baden propende ad una politica nazionale, non già per amor proprio, o per ambizione, ma unicamente perché essa è la sola possibile, la sola che corrisponde allo spirito della nazione, la sola morale. Né il diritto del Governo, né il suo dovere, né la convinzione del popolo badese vennero meno per la discussione avvenuta a Berlino. Tutto ora sta per raggiungere lo scopo nazionale nel guadagnare a poco a poco, e con mezzi pacifici gli abitanti della Germania meridionale, ad onta dell'influenza ultramontana e radicale nella Baviera, e nel Wiirtemberg.

Le prime linee dell'articolo di fondo pubblicato nel numero susseguente della Badische Landerzeitung encomiano il discorso e la proposta del deputato Lasker, il quale venne con ciò a constatare il perfetto accordo che esiste fra i liberali della Confederazione tedesca del Nord, e quelli del Granducato di Baden. La condotta del Signor Lasker e compagni è tanto più degna d'essere apprezzata in quanto essa non venne in alcun modo provocata dai circoli politici badesi, ma unicamente dagli amici liberali di Baden nella Germania settentrionale. È con orgoglio che furono sentite nello Stato di Baden le parole lusinghiere colle quali nella prima assemblea politica della Germania vennero tributate le dovute lodi al Principe, al Governo, ed al popolo badese per la loro fedeltà, e per i loro servigi resi alla gran causa nazionale.

Le dichiarazioni del Conte di Bismarck spettare alla presidenza della Confederazione tedesca del Nord di decidere del momento opportuno per far cadere la linea del Meno, non potevano essere cosa nuova per il popolo badese. Ognuno sa che la questione badese, è una di quelle questioni destinate a diventare una questione europea, per cui noi sappiamo che essa soltanto può essere sciolta con un buon risultato, quando l'iniziativa venga dalla presidenza della Confederazione tedesca del Nord. Egli è per questo che né dal Governo né dalle Camere riunite, venne sollevata questa questione. Bisognerebbe sconoscere le condizioni attuali dell'Europa, e quelle sovratutto della Germania.

Il giornale liberale lamenta la forma acre del discorso del Conte di Bismarck, la quale fornirà occasione insperata agli avversari della causa nazionale nella Germania del Sud, i quali trarranno profitto di questo incidente a favore delle loro tendenze antinazionali. La superflua ed eccessiva suscettibilità del Conte di Bismarck, di non lasciarsi sfuggire di mano la prerogativa della direzione superiore della Germania, non era motivo sufficiente per declinare la proposta del signor Lasker, producendo così una penosa impressione in molti circoli della popolazione della Germania meridionale. Malgrado quanto avvenne nel Parlamento della Confederazione tedesca del Nord, i liberali del Granducato di Baden non cesseranno dal prestare l'opera loro alla gran causa nazionale, né si lasceranno scoraggiare dalle parole del Conte di Bismarck che il nostro Stato può prestare maggiori servigi alla causa tedesca all'infuori della Confederazione tedesca del Nord piuttosto che dopo la sua ammissione in essa.

Le dichiarazioni del Conte di Bismarck non ci possono né sorprendere né scoraggiare. Se quelle dichiarazioni sono destinate ad esercitare sovra di noi una influenza qualunque, essa è quella di dare nuova vigoria all'operosità del partito nazionale: noi continueremo con raddoppiata energia, sicuri che lo spirito liberale ed eminentemente tedesco del popolo Badese ci presterà valido ajuto per superare le difficoltà che incontreremo per via. Che i nostri amici del Nord, e con essi il Conte di Bismarck siano certi che noi non ci scoraggeremo, e non rinunceremo alle nostre speranze sull'avvenire. Del resto noi siamo convinti che anche in Prussia si sa che il solo mezzo per compiere l'opera grandiosa incominciata nel 1866 sì è quello di riunire il Sud al Nord della Germania, e di formare un nuovo Stato nazionale sui ruderi dell'antica Confederazione tedesca.

Un articolo redatto nello stesso senso apparve anche sulla Badische Correspondenz né giova ch'io ripeta quello che già scrissi più sopra. La Gazzetta di Carlsruhe di jeri mattina dava nella terza pagina un estesissimo sunto dell'articolo della Badische Correspondenz prova questa che nei circoli governativi pienamente si dividono le idee emesse dagli organi del partito liberale.

In generale l'impressione prodotta in paese dal discorso del Conte di Bismarck non è buona: temesi che le popolazioni si stanchino dal sopportare i gravi pesi ad esse imposti colla prospettiva di una prossima ammissione di Baden nella Confederazione tedesca del Nord. Ed in questo senso parlavami l'altro giorno anche il signor di Freydorff. Un amico mio dicevami stamattina che da lettere venute da Berlino si poteva dedurre che il discorso del Cancelliere federale era all'indirizzo del partito militare bellicoso in Prussia, capitanato dal Principe Carlo.

287

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 40. Costantinopoli, 4 marzo 1870 (per. l'11).

Dopo molte discussioni e trattative fra i rappresentanti delle grandi Potenze ed Aali Pacha, intente tutte a ricercare una soluzione pacifica e soddisfacente della questione di limiti fra il Montenegro e la Sublime Porta, questa si è indotta, come V. E. saprà già dai miei telegrammi e dalle comunicazioni fattele da Rustem Bey, a consentire che alla Commissione mista sedente sul luogo si aggiungessero i Consoli delle sei Potenze suddette residenti a Scutari.

Dovranno eglino studiare di unita ai Commissari ottomani e montenegrini l'argomento in questione, esaminare i titoli e le pretese delle due parti contendenti, e riferirne ai loro rispettivi Governi.

Non sono a dir vero ancora ben determinati i limiti delle attribuzioni da concedere a tale commissione, che la Porta desidererebbe fossero assai ristretti, e si riducessero ad una semplice operazione d'inchiesta. Essa pretende sopratutto che non si abbia punto a mettere in quistione il suo diritto di pro

24 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. XII

prietà sulle colline di Veli e Malo Brdo. Ma di ciò si ragionerà meglio in una prossima adunanza, che sarà tenuta presso l'Ambasciatore di Francia. Tre sono i progetti di soluzione che finora sono stati messi innanzi:

l) Neutralizzazione del territorio contestato. Questa proposta vagheggiata in pria dalla Russia, è respinta recisamente dalla Porta e non ha alcuna probabilità di essere accettata.

2) Compenso territoriale da darsi al Montenegro mediante altri pascoli in siti limitrofi o non lontani. Questo progetto è posto ora in campo in seconda linea anche dalla Russia. Esso ha il gran difetto di non piacere intieramente al Montenegro e molto meno alla Porta, ma sarebbe forse, a mio parere, il più pratico e il più equo.

3) Compenso in denaro. Questo progetto, a cui forse la S. Porta finirebbe per acconciarsi, e che pare sia propugnato dall'Austria, incontrerà la più viva opposizione da parte del Montenegro. Il Principe temerebbe, ed a ragione, essere accusato dai suoi sudditi di aver fatto mercimonio dei loro più urgenti bisogni.

Per abbondare in cautela stimo utile mandar copia a V. E. della Circolare, che la Sublime Porta spediva ai suoi Agenti diplomatici presso le Potenze garanti per accompagnare l'invio del Memorandum, che ebbi già l'onore di trasmettere all'E. V. col passato corriere (1).

288

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI

T. 1076. Firenze, 6 marzo 1870, ore 16.

Marquis Pepoli n'ayant pas cru devoir accepter une destination nouvelle qui lui a été proposée a donné sa démission qui a été acceptée. Télégraphiez moi si dans une huitaine de jours le marquis Pepoli pourra ètre recu par l'Empereur à Pesth ou à Vienne pour audience de congé.

289

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI

T. 1078. Firenze, 7 marzo 1870, ore 13,45.

Tàchez de savoir si l'Autriche est d'avis que les autres Gouvernements devraient camme la France envoyer des ambassadeurs au Concile. Nous croyons que ce serait s'exposer à des embarras que l'Autriche et nous avons pris soin dès le commencement d'éviter (2).

(l) -Non pubblicato. (2) -Per la risposta c!r. n. 294.
290

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI

D. v. Firenze, 7 marzo 1870.

Il Barone di Kubeck mi ha Ietto un dispaccio che il Conte di Beust ha indirizzato recentemente al Conte di Trauttmansdorff per avvertire con linguaggio fermo e moderato la Corte Romana delle conseguenze che risulterebbero, ove il Concilio pigliasse risoluzioni contrarie ai diritti che alla potestà civile appartengono, e che il Governo imperiale intende conservare in tutta la loro integrità. Per tale eventualità il Conte di Beust fa prevedere l'interdizione della pubblicazione dei relativi canoni nella monarchia e l'applicazione delle penalità stabilite contro le infrazioni alle leggi dello Stato.

Nel trasmettere copia di quel documento il Conte di Beust scrive al Barone di Kubeck, autorizzandolo a darmene confidenziale comunicazione.

In questo secondo dispaccio S. E. il Cancelliere dell'Impero dichiara che l'Austria ha fatto di propria e spontanea iniziativa questo passo a Roma, unicamente in considerazione delle circostanze speciali e nell'interesse proprio della monarchia austro-ungarica, e appunto perciò egli ritiene che dai passi medesimi non rimane punto pregiudicata la possibilità di ulteriori accordi fra le Potenze interessate, accordi che potrebbero diventare opportuni quando certe eventualità venissero a verificarsi.

Ringraziai il signor di Kubeck della comunicazione fattami e gli risposi attenendomi a quanto ebbi già occasione di far conoscere a codesta R. Legazione. La linea di condotta che il Governo del Re continua a seguire è quella stessa che io ebbi a tracciare nel dispaccio circolare del [31 gennaio] (1). Confermai al Barone di Kubeck i proponimenti in quello espressi.

Gli dissi che desideriamo mantenere cogli altri governi e specialmente coll'Austria uno scambio d'informazioni e di idee circa le questioni che si agitano in seno al Concilio e gli ricordai che in più circostanze abbiamo fatto varie comunicazioni su questo argomento al Gabinetto di Vienna.

Soggiunsi che noi studiamo attentamente le possibili conseguenze delle deliberazioni del Concilio e che in conformità del nostro precedente contegno, noi entreremo volentieri quando ciò diventi necessario, in concerti più determinati per quelle dichiarazioni collettive e quei provvedimenti di comune interesse, che fossero consigliati dall'andamento delle cose a Roma.

291

IL MINISTRO A MONACO DI BAVIERA, MIGLIORATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 115. Monaco, 7 marzo 1870 (per. il 9).

Da quattro giorni il Conte Bray travasi a Monaco, in seguito all'invito ricevuto dal Re di assumere il portafoglio degli Esteri; sembrava dapprima

ch'egli fosse deciso a declinare l'offerta del suo Sovrano e ciò tanto per ragioni di famiglia quanto per considerazioni politiche; fra queste ultime primeggiava quella di volersi incaricare di una completa ricostituzione del Gabinetto anziché assumersi la direzione delle relazioni estere conservando al loro posto gli antichi colleghi del Principe Hohenlohe; mi si assicurava però questa mane che il Conte Bray sarebbe sul punto di ottemperare alle vive istanze del suo Sovrano e si ritiene che oggi stesso o domani al più tardi egli entrerà nell'esercizio delle sue nuove funzioni, ponendo così un termine alla crisi ministeriale cui diede luogo il voto di sfiducia inflitto dalle due Camere all'amministrazione del Principe Hohenlohe.

Io non conosco sinora personalmente il Conte di Bray e nella sua carriera politica, sebbene abbia fatto parte di un ministero liberale nel 1848, non ebbe sufficienti occasioni per dar luogo ad atti dai quali si possa desumere con qualche precisione quale sarà il suo programma. Converrà pertanto attendere ch'egli sia sul terreno per sapere a cosa attenersi e come giudicarlo.

Osservatore imparziale di quanto è avvenuto nella capitale della Baviera dacahé scoppiò l'attuale crisi parlamentare considero quale piena di difficoltà la missione del nuovo Presidente di questo Gabinetto. Vorrà forse egli appoggiarsi sull'elemento patriota conservatore che motivò la sua entrata al potere?

o vorrà egli seguire l'andamento del suo predecessore cercando appoggi nelle aspirazioni del partito Nazionale'? In ognuno di questi casi egli incontrerà gravi difficoltà, che potrebbe dirsi cosa imprudente il sollevare.

Il discorso recentemente pronunziato dal Conte Bismarck onde respingere la mozione del deputato Lasker tendente a compiere l'incorporazione del Gran Ducato di Baden, contiene mi sembra dichiarazioni così chiare la cui impressione dovrà mantenersi viva in un Ministro di Baviera; ma esso ebbe altresì per effetto di esacerbare maggiormente il partito conservatore il cui sentimento di resistenza va purtroppo spingendosi verso il fanatismo: ed a questo riguardo ascoltava jeri ancora emettere l'idea fissa che la Baviera non deve tardare a provocare colla Confederazione del Nord uno scambio di idee sulla validità dei trattati di alleanza offensiva e difensiva: havvi però da lusingarsi che il carattere conciliante e prudente del Conte Bray sorgerà vittorioso da intempestive e puerili pressioni.

In quanto alla moderazione che emana dall'elevato discorso del Conte Bismarck essa è qui attribuita, non so se a torto od a ragione, al timore di provocare conflitti Europei, e turbare la pace che sembri si desideri a Berlino di mantenere quanto a Parigi.

I liberali colgono intanto ogni occasione per fare dimostrazioni a favore delle loro aspirazioni ed il Principe Hohenlohe invitato da essi ad un banchetto fece un toast all'unità Germanica concretandolo nelle seguenti parole «La Germania avanti tutto». Questo partito riportò pure in questi giorni una vittoria essendo stati eletti i sette deputati di Monaco tutti fra i liberali progressisti: soltanto i tre deputati di Gi.inzbourg uscirono dai ranghi dei conservatori di modo che questi oggi sono in Numero di 81 alla Camera contro 71 con una maggioranza di 12 voti [sic].

(l) Cfr. n. 218.

292

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. CONFIDENZIALE. Londra, 7 marzo 1870.

Aggiungo poche righe al dispaccio che troverà qui unito riguardante le cose di Roma (2), per dirle cosa, che non posso comunicarle che in via affatto particolare, e privata. Il signor Marchese la Valette nel discorso che ebbi con lui, e che durò circa tre quarti d'ora non si limitò a dirmi che non aveva mai ricevuto neppure una riga dal suo Governo intorno a questa questione; ma mi espose pure, senza velo e reticenza, le opinioni sue, ciò che egli giudicava sulle tendenze attuali del signor Conte Daru, e di parecchi altri membri del ministero francese e mi narrò ieri cose relative a questo avvenute fra lui, l'Imperatore, ed i già suoi colleghi al tempo degli affari di Mentana e di poi, non risparmiando i suoi giudizii sulla situazione del Governo Francese in questa questione. Il signor marchese Lavalette è per avventura meno favorevole alle variazioni recenti della politica interna della Francia, le quali però egli stesso riconosce che erano divenute inevitabili, egli è però nelle questioni riflettenti le relazioni della Chiesa collo Stato, ed in ispecie a riguardo della questione Romana, molto più avanzato di tanti altri liberali francesi, e sopratutto è assai benevolo all'Italia, almeno relativamente, ove si voglia pur dare un po' di di tara alla esplicita dichiarazione da lui fattami a questo riguardo, la quale però concordava in massima colle cose che io già sapevo di lui da buona fonte.

Il Marchese mi fece la storia di ciò che avvenne alle Tuileries all'epoca di Mentana epoca nella quale egli era sollecitato dall'Imperatore a prendere il portafogli degli Esteri. Non sarebbe possibile di comprendere in una lettera tutte le cose da lui narratemi a questo riguardo; ma fra le altre egli mi disse, che aveva dichiarato all'Imperatore, che mai, e poi mai avrebbe voluto contribuire a che avvenisse il triste e rivoltante fatto che i chassepots francesi fossero sparati contro le truppe italiane, né che la Francia ricominciasse quella occupazione di Roma della quale tanto a mala pena si era liberata. E poiché il nuovo intervento in Roma era deliberato, né purtroppo poteva più evitarsi, egli aveva posto all'accettazione del detto portafoglio la condizione, che l'intervento francese si facesse con tale pesantezza, che potesse, bisognando, cacciarsi l'invasione garibaldina, e compiere questo atto prima che le truppe del Regno Italiano avessero avuto agio, e ragione di avanzarsi, e che, appena ciò si fosse ottenuto, i soldati francesi fossero immediatamente ritirati dal suolo pontificio, sul quale non v'era più ragione, che rimanessero. Mi disse, che nonostante la sua insistenza, e la lotta sostenuta a questo riguardo con altri suoi colleghi, egli non poté conseguire che questo sistema fosse accettato; onde è che egli non consentì allora di prendere il Ministero degli Esteri; e la Francia

si trovò ripiombata nella difficile e falsa situazione in cui era negli anni prima.

Parlando poi di questa situazione egli non risparmiò le frasi più incisive per definirla. Approfittando dell'amichevole esposizione, che egli mi faceva dei suoi pensieri io battei pure il chiodo su questo oggetto: gli dissi, fra le altre cose, che era forse un fatto unico nella storia quello di un Governo che confessava che agiva contro il diritto, che era impossibile l'immaginarsi l'impressione che faceva nell'Italia un tale fatto anche sugli uomini più assennati e moderati, e che erano i più disposti a non dimenticare ciò che l'Imperatore aveva fatto per l'Italia, e che lo stato di costringimento morale, in cui si trovavano perciò gli animi in Italia era veramente deplorevole al punto di vista di coloro a cui stava più a cuore l'amicizia di questi due Paesi.

Il Marchese Lavalette mi rispose, che io aveva tutte le ragioni, che f:!ra verissimo, e deplorevole, ciò che io avevo detto, e che era deplorabile il vedere la Francia distruggere ciò che aveva fatto, e nuocere ad uno dei suoi più bei titoli di gloria.

A riguardo del Concilio, e della attitudine della Francia rispetto al medesimo egli si mostrò molto preoccupato prevedendo, che nulla avrebbe trattenuto il Pontefice nella sua via, e che il Governo Francese non avrebbe esercitata quella azione, che a lui spettava. Molte cose egli mi soggiunse sulla vanità di Pio IX e sulle cose che egli aveva conosciute, vedute e provate a Roma.

Io qui dissi a lui francamente ciò che non avevo taciuto a Clarendon, qualunque Paese, gli dissi, potrebbe titubare sulla misura della ingerenza ad esercitarsi in Roma in questa circostanza, fuori della Francia, mercè il cui aiuto, ed appoggio si fa in Roma ciò che vi si fa, e doversi fare ciò che ognuno, prevede, e che sarà dal mondo intiero imputato alla Francia. «Voi avete perfettamente ragione», egli mi disse, e qui entrò a parlare della tendenza affatto clericale del signor Daru, e di parecchi altri dei suoi colleghi, e del poco che era da sperarsi a questo riguardo nell'interesse dei principii liberali, e del principio della separazione della Chiesa dallo Stato. Non è poi vero, egli mi disse, che in Francia sia stato necessario l'appoggio del partito clericale, e tanto meno che questo partito abbia fatto del bene, ed abbia giovato al Governo.

Insomma facendo anche a questo discorso la parte che vi aveva forse un sentimento di disgusto nel signor Marchese La Valette mi parve, che, sebbene esso fosse affatto amichevole, e privato, fosse opportuno che ella ne avesse conoscenza, dappoiché ella mi onora di molta confidenza, ed io desidero per parte mia di ricambiargliela nel miglior modo, che posso. Occorre perciò appena che io le esprima il desiderio che questa lettera non esca dalle di lei mani.

Io non mancherò di approfittare della cordialità che il signor Marchese

Lavallette pone nelle sue relazioni con me, in continuazione di simili relazioni,

che egli aveva col mio collega il Cavalier Nigra a Parigi.

Le cose che ora le scrissi hanno relazione col soggetto, che ella mi indicava

sul fine della sua privata lettera del 2 febbraio p.p. (l) cioè all'intervento fran

cese al quale riguardo si era riservato di scrivermi ulteriormente.

(l) -Da AVV. (2) -Non pubblicato.

(l) Cfr. n. 227.

293

IL CONTE VIMERCATI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. Parigi, 7 marzo 1870.

Scusami se non ti ho più scritto, ero sempre in aspettativa di una tua risposta e non avendo nulla ad aggiungere alla corrispondenza di Nigra, ti ho risparmiato il disturbo di leggermi.

Ora la situazione non è mutata essenzialmente, se ne eccettui la nota che il Daru ha mandato a Banneville. L'Imperatore dopo di avere modificate varie di queste, ha accettata quella che lo impegna meno. È però, a senso mio, un errore che si commette minacciando il Papa del ritiro delle truppe, se persiste a essere irreconciliabile e se proclama l'infallibilità ed il sillabus. O il

S. Padre s'arrende, il che non credo e speriamo di no, i Francesi sono inchiodati a Roma, o s'aggiorna il Concilio, ed il ritiro delle truppe da Civitavecchia è aggiornato per conseguenza, o Pio IX ricordandosi d'essere un Ferretti, passa oltre e fa decretare la condanna di tutti i principii moderni (fiat), in questa ipotesi i Francesi andandosene in seguito al malcontento del Governo Imperiale e del Clero Gallicano, questa partenza ab irato avrebbe la conseguenza di mettere in moto da noi il partito avanzato che ci rigetterebbe nell'era delle avventure, il che potrebbe portare conseguenze funestissime, non essendo più in potere dell'Imperatore di dirigere gli eventi. Conosco le tue intenzioni e Nigra mi ha letto le tue lettere, tu sei nel vero e spero che ti vi manterrai continuando a fare il morto non facendo più altre domande oltre a quelle che facesti fare. Quanto fu scritto a Banneville ti sarà comunicato e se il Daru vuole associare le potenze cattoliche al suo modo di vedere, io credo che l'Italia debba essere fra queste assolutamente l'ultima ad aderire alle proposte.

Dacché la Francia fa della questione d'occupazione un atto estraneo alla convenzione di Settembre, il Governo del Re, parmi, debba restare all'infuori, acquistando così la sua libertà d'azione, e lasciar venire. Attendiamo Artom, comprendo che gli hai dato missione di venir qui, più per aderire ad un suo desiderio che per giudicarvi le cose. Egli non avrà altre idee che quelle di Nigra le quali non differiscono dalle mie che in qualche dettaglio. Sere sono parlai coll'Imperatore, gli chiesi francamente come trovava la situazione del suo Governo, mi rispose, « je suis ni content ni découragé », mi ripetè mantenersi le sue idee sempre le stesse, essere queste il fondo della sua politica, studiando i mezzi più convenienti per applicarle compatibilmente al nuovo stato delle cose. E qui parmi il suo piano essere il seguente: fare con Daru, che applica le idee di Thiers, dell'alleanza austriaca la base della politica francese insinuando all'Italia d'avvicinarsi all'Austria e cosi incontrarsi a certe date condizioni a Vienna, senza avere l'aria d'esserci andati insieme.

Questo problema arriverà a scioglierlo? ai posteri l'ardua sentenza. Per me vedo nero assai, da una parte l'orleanismo si applica senza ritegno, offendendosi giornalmente il Sovrano, ed attaccando impoliticamente il governo personale -dall'altra, cioè alle Tuileries, nulla sfugge, si tollera tutto quanto sarebbe inopportuno d'impedire. Ma già una volta l'orage fu vicino a scoppiare contro Ollivier che senza consultare né Ministri né Imperatore a livré les candidatures officielles che volevansi trasformate en candidatures ministérielles. Colla mobilità dello spirito francese, col progresso delle idee, il suffragio livré à lui-mème, conduce necessariamente alla repubblica ed alla reazione se di reazione è ancora capace il Sovrano al quale sarà tattica toglier poco a poco di mano, preventivamente, le redini del potere.

Mi dirai che sono nero come il tabarro del diavolo, Nigra continua a farmene rimprovero ma con meno asseveranza, egli comincia ad avvicinarsi più alle mie idee, su questo punto, che io alle sue. Non mi dare del reazionario, ma io non posso, italiano, far della politica francese, se fossi francese ragionerei probabilmente in modo diverso, ma siccome non è dato che a Domenedio di essere più persone in una, io ragiono sempre dal nostro punto di vista e deploro che i nostri nemici si~mo venuti al potere e che si faccia della libertà col protezionismo, clericalismo, orleanismo e si retroceda di 20 anni, sacrificando il fondo alla forma.

Ollivier è molto meno di quanto mi pensava, egli perde ogni giorno nelle relazioni politiche e nelle lotte del Ministero quanto acquista coi successi alle Camere, qmmtunque sia per la parola il leader del Ministero, subisce nel Consiglio dei Ministri l'influenza di Buffet e di Daru, questa influenza subisce, convinto che sono sempre le sue idee che egli fa prevalere, mentre è completamente remorqué. Inabile assolutamente agli affari, di una versatilità immensa, non è di forza a lottare contro i suoi colleghi che seguono direttamente la via tracciata da Thiers sotto mano, qui tire toutes les ficelles senza compromettersi e senza mai appoggiare alle Camere le idee che soffia ai Ministri.

Daru passa il suo tempo esercitandosi a scrivere note varie rese all'Imperatore che non trovandole opportune passano nel dimenticatojo, sono fra loro freddamente ed il Ministro degli Esteri qui veut établir un grand Empire à la condition d'en amoindrir le chef, lo credo nell'opera sua di buona fede et si l'Empereur se laisse tondre tranquillement, il ne fera rien contre lui, mais s'il résiste ou il complote, Daru tachera de lui faire le meme voyage que l'Empereur lui a fait faire de la Mairie du dixième arrondissement au Chateau de Mazag.

Buffet e Daru sono nelle stesse idee, Chevaudier de Valdròme, dell'Interno,

è più attaccato all'Imperatore, gli altri Ministri non contano, eccettuati quelli

di guerra e di marina che sono devoti al Sovrano.

Esamina col tuo giudizio cosa può uscire da un Ministero così diviso, e

per avere un'idea del come si sia offeso il Sovrano e le persone che lo servi

rono nel governo personale, ti basti l'esaminare la massa delle commissioni

che si sono nominate in tutti i rami ove si è andati a déterrer tutte le vecchie

anticaglie dell'orleanismo.

M. Guizot non ha accettata la vice presidenza della commissione per l'instruction publique che alla condizione que le Ministre qui en est naturellement le Président n'aurait jamais présidé ed ha esatto una dichiarazione ministeriale ad hoc.

La conseguenza di questa situazione che ti ho dipinta con colori oscuri ma non al di là del vero, si è che in Italia si continui a fare il morto in politica, come si fa ora, occupandoci dei nostri affari e sviluppando le risorse del paese che vedo con piacere accrescersi.

Al Corpo legislativo i partiti si frazionano e non sarei sorpreso che un bel giorno il Ministero si trovasse per terra. Rouher sta all'infuori di tutto, nessuno ne parla, non è contento, teme le incertezze e le debolezze del Sovrano, per lui suffragio universale e libertà di parola si combinano difficilmente in un paese come la Francia, ove i partiti politici sono talmente confusi che niuno sa ove il proprio finisce e dove comincia l'avverso, pel momento però non v'è da temere, le forze vere sono ancora in mano del Monarca, però il partito repubblicano lavora ed acquista terreno.

Ti prego, mio buon amico, a voler dire al Re che ti ho scritto, che ti ho mandate le mie apprezziazioni per quello che valgono, aggiungendogli che se pel momento ho cessata la mia corrispondenza telegrafica con lui, si è perché ciò che potrei mandargli non vale la spesa, conto però inviargli un telegramma onde non pensi che io l'oblii e con lui dimentichi la causa comune che mi è sempre cara. Per te le affettuose espressioni sono superflue perché sai quanto affetto mi abbia e quanto ti apprezzi. Scrivimi, non fosse che per dirmi che hai ricevuta la mia lettera. Ti vedrò prestissimo a Firenze di passaggio per l'Egitto ove mi reco per alcuni affari.

Ho scorta la mano del bravo Gino nella politica in maschera che s'è fatta fra Milano a Torino, ne ho piacere perché l'opportunità d'aggiustarsi fra noi, cresce in confronto della riserva all'estero.

(l) Da AVV, ed. in MoRI, pp. 592-595.

294

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2084. Vienna, 8 marzo 1870, ore 23,20 (per. ore 0,45 del 9).

Des informations puisées aux meilleures sources il me résulte que l'Autriche est décidée à suivre la France pour envoi d'un ambassadeur au Concile. Ne voulant pourtant pas influencer conduite des autres Gouvernements les deux sous secrétaires prétendent que aucune ouverture à ce sujet n'à été faite de Paris au Cabinet autrichien. Mon impression est que Paris et Vienne sont d'accord, et si l'on ne s'est point adressé à Florence ce serait à cause du refus du cardinal Antonelli d'admettre ambassadeur italien. L'Italie n'a qu'à traiter directement avec Rome, ont-ils répondu aujourd'hui les deux sous secrétaires à un représentant étranger. J'écrirai demain. Je n' agirai pas avant de recevoir vos instructions.

295

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI

D. 38. Firenze, 8 marzo 1870.

Ho ricevuto il dispaccio (l) col quale Ella mi ha segnalato che S. A. Aali Pacha Le ha dichiarato che non fu mai intendimento della Sublime Porta d'escludere l'Italia dal prender parte agli affari del Montenegro, e Le ha spiegato la momentanea esitazione che da principio avea provato come un effetto della necessità in cui il Governo Ottomano si era trovato in vista di ciò ch'era accaduto nel 1858, di rendersi esattamente conto del vero stato delle cose.

Ella mi significava nel tempo istesso che Rustem Bey era incaricato di farci conoscere che per la risoluzione della questione pendente fra la Turchia ed il Montenegro relativo al pascolo del Veli e Mali Berda, verrà istituita una commissione mista di delegati ottomani e montenegrini e che i Consoli delle Potenze residenti in Scutari potranno far parte di quella Commissione.

Ieri infatti venne Rustem Bey a comunicarmi un dispaccio del suo Governo tendente a dimostrare i diritti della Porta sulle località sovra indicate e l'insussistenza delle pretese accampate in proposito dal Montenegro. Le quistioni trattate in quel documento toccano a molte particolarità delle quali non riesce possibile formarsi un concetto preciso, ascoltandone la semplice lettura; non entrai quindi nel merito delle considerazioni in esso svolte, !imitandomi ad assicurare l'Inviato ottomano dello spirito di conciliazione e d'assoluta imparzialità che ci animerà nell'esame dei punti che formano oggetto di controversia fra la Sublime Porta ed il Principe del Montenegro.

Terminata che fu questa lettura Rustem Bey mi disse che il Governo lo avea incaricato per via telegrafica di portare a nostra notizia la istituzione d'una Commissione mista turco-montenegrina nella quale le Potenze interessate poteano farsi rappresentare dai loro Consoli residenti a Scutari. La Sublime Porta intendeva però che il mandato di tale commissione dovesse essere puramente consultivo e conseguentemente che alla medesima non si potesse attribuire un carattere arbitrale.

Il telegramma di S. A. Aali Pacha terminava dicendo che avendo i Gabinetti delle Grandi Potenze già accettato la proposizione di riunire questa Commissione la Sublime Porta sperava che questo progetto incontrerebbe anche il nostro gradimento.

{l) Cfr. n. 280.

Ella comprende, Signor Conte, che io non poteva lasciar passare l'occasione fornitami da quest'ultima parte della comunicazione di Rustem Bey senza mettere definitivamente in sodo il nostro diritto di partecipare a questi negoziati nello stesso modo e ad egual titolo delle altre cinque Potenze. Non mi fu difficile dimostrare all'Inviato ottomano come riandando le cose accadute dopo il 1856 non si trovasse circostanza in cui quel nostro diritto ci fosse stato validamente contestato. Se per esigenze estranee alla sostanza delle questioni che la concernevano s'era la Porta trovata costretta talvolta di cercare dei temperamenti per evitare il contatto allora difficile dei rappresentanti d'Austria ed d'Italia, gli atti diplomatici scambiati in quelle circostanze aveano pienamente riservato ogni nostra ragione ed aveano fatto palese che i Gabinetti di Francia, Inghilterra, Prussia e Russia erano unanimi nello ammetterle. Il contegno istesso della Sublime Porta a nostro riguardo quando non le si presentavano di quelle difficoltà che non era in suo potere di risolvere avea inoltre costantemente confermato che l'opinione di quei Gabinetti era da lei pienamente divisa. L'Italia desidera che anche negli affari della Turchia l'intromissione delle Potenze si renda sempre meno necessaria; potei quindi far osservare a Rustem Bey che la nostra condotta era conforme a tale nostro sincero desiderio; ma quando la Turchia istessa si rivolge ai Gabinetti europei ed accetta le proposizioni che questi gli fanno per risolvere di comune accordo le difficoltà che insorgono noi intendiamo che all'Italia si faccia la parte istessa che è fatta alle altre Potenze. L'Italia che ha comune con quest'ultime le obbligazioni derivanti dai trattati, deve godere con esse di un'assoluta parità di diritti. Venendo quindi a parlare della comunicazione di cui Aali Pacha lo avea incaricato feci notare a Rustem Bey che se alla medesima Sua Altezza avea voluto attribuire il carattere di una semplice notificazione dell'accordo stabilito fra la Turchia ed i Gabinetti delle altre cinque Potenze per la riunione della Commissione, io mi vedea in obbligo di dichiarargli espressamente che non accettavo per il mio paese la posizione intermedia che ci si volesse fare. Sebbene infatti nella presente occasione le nostre idee ed i nostri propri interessi ci portino ad accettare senza osservazioni il progetto di riunire una commissione mista come un avviamento alla risoluzione delle difficoltà insorte, non intendiamo con ciò di rinunciare menomamente al nostro diritto di discutere al pari delle altre Potenze l'opportunità e l'utilità delle proposte di tale natura, che potranno esser fatte in seguito, e teniamo per fermo che il Divano Imperiale dividerà con noi questo nostro modo di vedere.

Queste cose premesse dissi a Rustem Bey che il Governo del Re si farebbe rappresentare nella Commissione dal R. Console in Scutari e che questi avrebbe ricevuto da Lei, Signor Conte, le occorrenti istruzioni.

Siccome Ella mi fa poi sapere che i rappresentanti delle Potenze a Costantinopoli doveano concertarsi per dare a,i Consoli da loro dipendenti delle istruzioni identiche, così La autorizzo a prendere coi medesimi quelle intelligenze che valgano a rendere l'intromissione dei Governi efficace nel senso del rispetto e di una equa interpretazione dei diritti di tutti non che della conservazione della pace e della tranquillità fra le popolazioni d'Oriente.

296

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI

T. 1079. Firenze, 9 marzo 1870, ore 14,30.

Le Gouvernement autrichien ayant montré l'intention de continuer l'échange de nos communications sur le Concile dites au comte de Beust que la décision précédente des puissances et spécialement de l'Autriche de ne pas envoyer d'ambassadeurs au Concile nous semblait conforme à la liberté de l'Eglise et utile à la liberté d'action des Gouvernements. La Cour de Rome repoussant cependant tous les conseils et voulant attaquer les bases constitutionnelles des autres Etats, nous croyons qu'une déclaration collective des puissances sur les conséquences de pareilles décisions du ConcHe serait le meilleur moyen sinon de les empecher du moins de se soustraire à toute responsabilité. Ce serait une manifestation d'une haute valeur de la part des Gouvernements restés dans leur cercle légitime d'action contre l'empiètement de l'Eglise. Si le comte Beust accueille cette ouverture nous aimerions à le voir prendre l'initiative de cette démarche de la manière qu'il croira plus efficace {1).

297

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA (2)

D. 332. Firenze, 9 marzo 1870.

Je crois inutile d'insister sur les considérations qui portèrent le Gouvernement du Roi, avant la réunion du Concile, à représenter au Gouvernement Imperia! les inconvénients particuliers de la présence d'un corps d'occupation français sur le territoire romain pendant les délibérations de cette assemblée ecclésiastique. Nos prévisions ne se sont que trop réalisées et si nous en croyons des documents publiés récemment et non désavoués, le Ministre des Affaires Etrangères de l'Empereur serait amené aujourd'hui à faire officieusement appel aux intérets temporels liés plus ou moins étroitement à l'occupation française, pour obtenir l'abandon des thèses proposées au Concile par les théologiens du Saint-Siège. Cet état de choses n'est certes pas de nature à infirmer Ies convictions qui nous guident, et qui assignent pour but à la politique italienne la liberté de l'Eglise dans le droit commun, et la séparation des compétences respectives du pouvoir spirituel et du pouvoir civil. L'opinion publique, instruite par le témoignage des prélats éclairés qui voient aujourd' hui de près Ies effets de la confusion des pouvoirs à Rome, jugera si ce sont nos principes, ou ceux que la Cour pontificale applique à ses sujets et veut faire proclamer par le Concile qui jettent réellement le trouble dans le monde

religieux. Les faits prouvent de plus en plus que la situation anormale où le Gouvernement papa! est maintenu par la force étrangère, et les intéréts factices où la direction de la catholicité se trouve ainsi engagée, ont pour conséquence forcée de déplorables incertitudes dans les relations des Gouvernements les mieux faits pour s'entendre et de graves complications dans les rapports intérieurs de chaque Etat avec l'Eglise catholique elle méme.

En vous signalant, M. le Ministre, ces remarques qui se présentent d'ellesmémes à tout esprit non prévenu, je ne veux point soulever actuellement un débat sur l'occupation française, ni chercher comment, après deux années d'une tranquillité qui n'a pas été moins complète en Italie qu'en France, cette occupation peut se concilier avec l'appel que fait fréquemment la France à la Convention du 15 septembre 1864. Notre bon droit à cet égard est trop incontestable pourqu'il nous convienne d'en renouveler l'affirmation avant que le moment soit venu où il devra enfin prévaloir, et ce moment ne saurait étre indéfiniment différé.

En nous abstenant cependant de discuter avec le Gouvernement français à cet égard nous ne pourrions, dans le cas où les lettres de M. le Comte Daru, publiées dernièrement seraient authentiques, et exprimeraient la pensée du Gouvernement français, nous dispenser de faire une réserve de principe sur l'assertion que la promulgation de certains canons par le Concile «rendrait impossible le maintien de la garnison française l). Si le Gouvernement Impérial juge à propos de dégager sa responsabilité en décidant de son propre mouvement l'évacuation du territoire romain, nous n'aurons qu'à le féliciter d'avoir pris le parti que lui conseillent selon nous, les intéréts politiques et religieux les plus élevés qui se relient aux affaires de Rome. Mais nous ne comprendrions pas, comment le Gouvernement Impérial qui invoque vis-à-vis de nous la convention du 15 septembre 1864, pourrait soumettre la retraite des troupes françaises à de nouvelles conditions non stipulées dans cet acte international, et négocier avec le Gouvernement pontificai sur l'exécution ou la non exécution des engagements qu'il a contractés envers nous.

Je ne doute pas que cette observation, sur laquelle je crois superflu de m'étendre, ne soit loyalement accueillie et je vous autorise, M. le Ministre, à vous exprimer dans ce sens avec M. le Comte Daru.

(l) -Per la risposta cfr. n. 300. (2) -Ed., con data 16 marzo, in Carte Lanza, vol. VI. pp. 56-57.
298

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA (l)

L. P. Firenze, 9 marzo 1870.

Il dispaccio d'oggi (2) mi parve necessario dal che le lettere del Conte Daru furono pubblicate. Esso non modifica l'attitudine conservata da noi finora.

Noi non solleviamo la questione dell'occupazione francese. Indichiamo una riserva che ci sembra ragionevole e giusta senza volerei impegnare più oltre nella questione. Vi scrivo queste due righe per togliere ogni dubbio che la lettura del dispaccio potesse sollevare nell'animo vostro a questo riguardo e per determinare il carattere delle vostre osservazioni e il grado di insistenza del vostro linguaggio. Rimaniamo sempre nella stessa linea.

Vi scrivo di furia perché sono chiamato alla Camera e non posso aggiungere altro.

(l) -Da AVV. (2) -Cfr. n. 297.
299

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. R. 136. Pietroburgo, 9 marzo 1870 (per. il 15).

Le onorevoli accoglienze fatte dalla Corte di Pietroburgo al Generale Fleury e al Conte Chotek, Ministro di S.M. l'Imperatore d'Austria, nonché il linguaggio degli uomini politici e dei diarii che ricevono ispirazioni dalla Cancelleria russa dimostrano che nell'ora presente le relazioni di questo Governo con la Francia e con l'Austria siano nell'ultimo scorcio di tempo notabilmente migliorate, e potrebbesi arguire conseguentemente che la pubblicazione di quello scritto su cui ebbi l'onore di attirare l'attenzione dell'E. V. in uno degli ultimi miei rapporti (l) non sia una mera contingenza, ma la manifestazione di tutta una politica la quale tenta di prevalere nei consigli del Governo imperiale. Senza alcun dubbio la perseveranza nel programma dell'unità germanica, i nuovi disegni minacciosi per l'indipendenza degli Stati del Sud, che si attribuiscono al Conte di Bismarck in occasione dell'ultima crisi bavarese, le parole in vario modo interpretate che quel Ministro ebbe a pronunciare contro la mozione Lasker, le voci sparse di agenti prussiani inviati in Baviera ad usufruttuarne le presenti incertezze, tutto ciò ha risvegliato anche in Russia i sospetti e i timori del Governo rispetto alle ambizioni della monarchia prussiana, ed ha per il momento rafforzato gli avversarii ed indebolito gli amici di quella. So anzi di buon luogo che le cose di Baviera han formato soggetto di discorso più di una volta fra il Principe Cancelliere ed i rappresentanti delle due potenze sovra indicate, e avrò cura di risapere con la maggior possibile precisione fino a qual punto sia riuscito a stabilirsi l'accordo fra quei diplomatici sopra cosiffatto particolare, e quali pratiche conseguenze siano eventualmente per risultarne. Questo per ora credo di poter affermare che l'ufficio iniziato dal Generale Fleury nella sua prima udienza dello Czar quanto all'art. V del Trattato di Praga, e la lettera dell'Imperatore Alessandro al Re di Prussia che ne fu la conseguenza, non ebbero verun successo, e che la Corte di Pietroburgo sia venuta nella persuasione di dover considerare quella pratica come fallita almeno per il presente, e le disposizioni del Re di Prussia come affatto contrarie al desiderio da Lei espresso.

L'Ambasciatore di Francia non aveva, a dir vero, ricevuto istruzione alcuna dal suo Governo di operare in quel modo che si fece, ma vi fu tratto dal tenore istesso del colloquio avuto con l'Imperatore, che gliene porse occasione manifestandogli sentimenti non disfarmi da quelli del Gabinetto di Francia nel trattar degli eventi di Allemagna. Arroge che in quei giorni il governo personale non era del tutto cessato a Parigi e l'Inviato dell'Imperator Napoleone potea prendere alquanto più d'arbitrio nell'adempimento della sua missione informandone per avventura il Sovrano direttamente. Se non che, dopo avere conferito coll'Ambasciatore di Francia, lo Czar ebbe cura di informare della pratica il Principe di Reuss, che alla sua volta, ne rese istruito, come era suo debito, il Gabinetto di Berlino. A questo punto la trattazione della vertenza fu traslocata da Pietroburgo a Parigi e quivi prese un aspetto ancor meno favorevole e fu troncata in sul nascere: perciocché da una parte il rappresentante prussiano, nel dimandare spiegazioni al Conte Daru, parlò più francamente, e dichiarò in modo più esplicito gli intendimenti del suo Governo di non voler sapere dei consigli portigli dall'Imperatore Alessandro e d'altra parte il Ministro francese lo accertò com'egli non avesse presa nessuna partecipazione nell'operato del Generale Fleury, e come riservando le opinioni del suo Governo nel merito della cosa, non intendesse di assumere veruna responsabilità per quel fatto. Quali che siano adunque le più probabili previsioni quanto ai rapporti definitivi fra le tre potenze rispetto alle eventualità Germaniche, l'incidente di sopra mentovato, il quale vi si riferiva, può considerarsi come del tutto esaurito e rimasto privo di effetto.

(l) Cfr. n. 267.

300

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2085. Vienna, 10 marzo 1870, ore 22 (per. ore 23,20).

Baron de Beust n'est pas d'avis de !aire déclaration collective [soit] à cause de la difficulté de mettre d'accord les différents Cabinets, soit pour ne pas paralyser action de l'opposition qui siège au sein du Concile; il a ajouté que l'attitude du Cabinet autrichien a été clairement dessinée par sa dépéche au baron de Trauttmansdorff où si le mot protestation ne se trouve pas, il est pourtant nettement déclaré qu'on ne souffrirait jamais empiètement de l'Eglise sur les droits de l'Etat. Il m'a assuré que rien n'est décidé jusqu'à présent sur ambassadeur d'Autriche au Concile; qu'il est personnellement contraire à suivre la France sur ce terrain et qu'il combattra la proposition lorsque le conseil des ministres en sera saisi comme il parait s'attendre. Il a fini en me disant qu'il tient dans cette affaire à marcher avec le Gouvernement du Roi et qu'il allait écrire à Kubeck dans ce sens. J'écrirai par une occasion sure ne pouvant pas ~onfier à la poste mes dépéches.

301

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI

D. VI. Firenze, 10 marzo 1870.

Le Gouvernement Austro-Hongrois, en nous faisant donner communication confidentielle de la dépeche récente qu'il a adressée à son Ambassadeur à Rome sur les conséquences de certaines décisions de la part du Concile, nous a exprimé le désir d'entretenir avec nous des communications suivies en vue des accords que les Gouvernements intéressés pourraient se trouver dans la nécessité de prendre ultérieurement à ce sujet.

La situation dont le Gouvernement Impérial s'est ainsi que nous justement préoccupé acquiert une gravité toujours croissante, et nous croyons devoir lui faire connaìtre dès à présent notre manière de voir sur un intéret commun qui doit etre considéré camme urgent.

En préseace du parti que la Cour de Rome a pris de précipiter les délibérations du Concile, le Gouvernement français se prépare à envoyer un Ambassadeur spécial auprès de cette assemblée. Les autres Gouvernements examinent, de leur còté, s'il leur convient de prendre une détermination analogue.

Nous persistons, quant à nous, dans l'opinion qui a été également celle des autres Cabinets et particulièrement de celui de Vienne, lors de la convocation du Concile. A notre avis, il y a plus d'inconvénients que d'avantages à engager formellement l'action et par conséquent la responsabilité du pouvuir souverain dans les déliberations intérieures d'une assemblée ecclésiastique réunie pour traiter des questions de doctrine. Que ces questions touchent directe·· ment aux intéréts et aux droits de la société civile, et que les Gouvernements doivent s'appreter à défendre contre les actes de l'Eglise les institutions qu'elle veut faire condamner, c'est ce que personne n'a proclamé plus haut que nous; mais pour ne pas s'exposer à imiter les empiètements du pouvoir ecclésiastique, il convient, d'après notre manière de voir, de suivre en ceci la règle d'abstention que le respect de la conscience humaine impose aux pouvoirs publics vis-àvis de tout examen théorique de problèmes posé au point de vue moral et religieux.

Ce n'est dane pas, selon nous, en intervenant dans les discussions du Concile que les Gouvernements peuvent et doivent protéger les droits dont ils sont les gardiens: c'est en faisant les déclarations et, au besoin, en préparant les mesures nécessitées par les moyens effectifs d'action dont la Cour de Rome dispose. Tous les sages conseils donnés isolément au Saint Siège n'ayant abouti qu'à hàter la marche fàcheuse des choses à Rome, nous pensons qu'une déclaration collective des puissances, signalant les conséquences inévitables des atteintes portées par les propositions pontificales contre l'ordre de choses établi dans les autres Etats pourrait si non prévenir encore de regrettables délibérations de la part du Concile, du moins dégager, camme il est juste, la responsabilité et la liberté d'action ultérieure des gouvernements. A l'immixtion incompétente de l'Eglise daes une sphère d'intérèts auxquels sa mission ne s'étend pas, répondrait ainsi un acte légitime d'une haute valeur émané des pouvoirs qui seuls sont les organes et les représentants des droits civils et politiques des sociétés actuelles.

Si S. E. le Comte de Beust accueillait cette ouverture, nous verrions avec plaisir qu'il prit l'initiative des démarches à faire dans ce sens, et en ce cas nous nous en remettrions avec une entière confiance à son appréciation sur le choix des moyens et des formes convenables.

Je vous prie, M. le Chargé d'Affaires, de vous exprimer en ce sens auprès de S. E. le Chancelier de l'Empire, en lui laissant copie de la présente dépikhe s'il le désire (l).

302

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (2)

L. P. 8. Roma, 10 marzo 1870.

Arrivé a Rome ce matin, je suis immédiatement allé trouver quelques-uns de mes amis panni les évèques autrichiens et allemands. Ils regrettaient ma longue absence de Rome pendant laquelle il s'est passé beaucoup des choses qui méritaient d'ètre portées à la connaissance du gouvernement du Roi. J'en rendrai compte à V. E. dans une de mes lettres prochaines, en me bornant aujourd'hui à communiquer à V.E. seulement les faits les plus importants.

* Le Schème sur l'infaillibilité du Pape a été distribué aux Pères du Concile lundi dernier et m'a été immédiatement communiqué à Florence dans une lettre que malheureusement je n'ai pas reçue. En voici le texte:

« Caput addendum Decreto de Romani Pontificis Primatu.

Romanum Pontificem in rebus fidei et morum definiendis errare non posse.

Sancta Romana Ecclesia summum et plenum primatum et principatum super Universam Ecclesiam Catholicam obtinet quem ab ipso Domino in Beato Petro Apostolorum Principe, cujus Romanus Pontifex est successor, cum potestatis plenitudine recepisse veraciter et humiliter recognoscit. Et sicut prae caetens tenetur fidei veritatem defendere, sic et si quae de fide subortae fuerint quaestiones, suo debent judicio definiri. (Ex professione fidei edita a Graecis in Concilio Oecumenico Lugdunensi II). Et quia non potest Domini Nostri Jesu Christi praetermitti sententia dicentis: <<Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam » (Matth. 16,18); haec quae dieta sunt, rerum pro

bantur effectibus, quia in Sede Apostolica immaculata est semper catholica servata religio et Sancta celebrata doctrina (Ex formula S. Hormisdae Papae sub

25 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. XII

scripta a Patribus Concilii Oecumenici VIII, Constantinopolitani IV): hinc, Sacro approbante Concilio, docemus et tamquam fidei dogma definimus, per divinam assistentiam fieri, ut Romanus Pontifex, cui in persona Beati Petri dictum est ab eodem Domino Nostro Jesu Christo: «Ego pro te rogavi ut non deficiat fides tua» (Luc. 22,32), cum supremi omnium christianorum Doctoris munere fungens cum auctoritate definit, quid in rebus fidei et morum ab Universa Ecclesia tenendum sit, errare non possit: et hanc Romani Pontificis inerrantiae seu infallibilitatis praerogativam ad idem objectum porrigi, ad quod infallibilitas Ecclesiae extenditur. Si quis autem huic nostrae definitione contradicere (quod Deus avertat) praesumpserit, sciat se a veritate fidei Catholicae et ab unitate Ecclesiae defecisse » *.

Je crois pouvoir me dispenser d'insister sur la gravité de cette définition qui ne laisse subsister aucun doute sur le but réel de ses auteurs. Avec la naYveté qu'on lui connait Pie IX prend Iui-méme l'initiative de sa défication: il se substitue lui-méme à l'Eglise toute entière, il ne limite pas son infaillibilité à ses decréts donnés ex Cathedra: tous ses aperçus, tous ses caprices «en matière de la foi et des moeurs » deviennent désormais des dogmes imposés aux consciences catholiques. Ou je me trompe fort, ou cette définition de l'infaillibilité sera pour le Catholicisme ce que l'apothéose des empereurs romains fut pour la religion romaine, je disais méme que les Néron, !es Caligula, Ies Héliogabale n'ont pas si brutalement insulté l'esprit de Ieur temps que Pie IX insulte l'esprit humain et la conscience de notre époque.

Aussi !es Pères !es plus pieux et les plus sincèrement attachés au Catholicisme sont-il pris du plus profond désespoir. Ils s'étudient à rechercher des moyens de parer à ce coup de gràce dont le nouveau Canon menace l'Eglise. Ils continuent à s'assembler en conférences nationales et en comité international sans encore avoir fixé le pian de campagne. On espère cependant l'arréter dans la séance de samedi prochain. J'en serai immédiatement informé.

A ce qu'on me dit, M. de Banneville s'appréte à partir ce soir ou demain pour Paris. Le Cardinal Antonelli, m'affirme-t-on, aurait opposé une fin de nonrecevoir à toutes !es communications du gouvernement français faites dans Ies semaines dernières, et M. de Banneville se trouverait obligé d'aller à Paris prendre des instructions nouvelles; il avait dit au Cardinal Antonelli en plaisantant, « qu'il était au bout de son Iatin »; des personnes de son intimité disent cependant que ce n'était pas une simple plaisanterie.

M. de Trauttmansdorff, dit-on, n'a pas été plus heureux que l'ambassadeur de France. Le Cardinal Antonelli a réfusé d'accepter la copie de la note verbale de M. de Beust, et n'y a partant pas répondu par écrit. Ce que le Mémorial Diplomatique dit d'une note du Cardinal au gouvernement autrichien ne se rapporte qu'à la conversation, ou, si l'on veut, la réponse verbale que le Cardinal a faite à l'Ambassadeur d'Autriche: et méme dans ce sens l'analyse du Mémorial ne serait pas exacte parce que le Cardinal a soigneusement évité d'entrer dans une discussion des affaires du Concile dont il prétend ne rien savoir.

Le gouvernement anglais a, dit-on, confidentiellement informé la Cour de Rome que, lorsque M. de Beust avait demandé au Cabinet de Londres de l'ap

puyer à disposer les grandes puissances à une demarche collective contre le Syllabus et l'infaillibiblité pontificale, Lord Clarendon a non seulement refusé en motivant son refus par la circonstance que l'Angleterre éta1t une puissance protestante mais aussi en désapprouvant carrément le projet de M. de Beust comme contraire à tous les précédents diplomatiques. C'est le Cardinal Antonelli lui-méme qui a raconté ce fait à un de ses amis qui est aussi de mes amis, et a ajouté que les Cabinets de St. Pétersbourg et de Berlin ont également rejetté la proposition autrichienne. M. de Trauttmansdorff nie cependant que son gouvernement ait jamais fait un pareille proposition.

M. d'Arnim est tout charmé de la fermeté et dignité de l'attitude de la Cour romaine envers les puissances catholiques: il y trouve «un trait de la dignité de la Rome antique » et avoue que «le Cardinal Antonelli lui impose diablement ». Il est toujours très bien en cour quoiqu'il continue à fèter les évéques de l'opposition.

Voilà ce que j'ai appris aujourd'hui; je le donne pour ce qu'il vaut, seulement je me crois obligé d'ajouter que, bien naturellement, je n'ai pas eu le temps de contròler et de vérifier ces nouvelles assez piquantes au reste.

(l) -Curtopassi venne avvertito con t. 1080 dell'invio di questo dispaccio con l'istruzione di informarne Beust. (2) -Ed., ad eccezione del brano fra asterischi, in TAMBORRA, pp. 238-240.
303

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2086. Lisbona, 11 marzo 1870, ore 12,20 (per. ore 13,10 ).

Ministre des affaires étrangères vient de me dire, confidentiellement, que instructions spéciales ont été envoyées au chargé d'affaires portugais à Rome pour déclarer respectueusement mais fermement au cardinal Antonelli que les doctrines du Syllabus ne pourront jamais étre acceptées ni permises en Portugal comme loi de l'église parce que contraires aux lois civiles constitutionnelles. En signalant à Antonelli le Syllabus étant consacré dogme, tous les dangers de futurs conflits sociaux, politiques et religieux partout. Cette communication du ministre des affaires étrangères n'a été faite qu'à l'Espagne pour l'encourager à suivre exemple à Rome, et à moi comme un renseignement confidentiel pour le Gouvernement du Roi. M. Mendez Leal ajoute que cette déclaration à Rome est isolée et spontanée, mais que le Portugal sera toujours prét, le cas échéant, à s'associer à une action collective simultanée des Puissances catholiques pour empécher tendances romaines, par lui qualifiées révolutionnaires, de se propager, dogmatisées par le Concile. Ce télégramme déjà chiffré quand celui de V. E. (l) arrivé. Réponse à votre dépéche aussitòt que raurai vu le ministre des affaires étrangères demain.

33f

(l) Non si è rinvenuto nei registri il telegramma circolare cui rispondono questo ~e i telegrammi successivi.

304

L'INCARICATO D'AFFARI A BRUXELLES, DE SONNAZ, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2088. Bruxelles, 11 marzo 1870, ore 14,10 (per. ore 18,15).

Le ministre des affaires étrangères m'a déclaré formellement que la Belgique n'enverra par d'ambassadeur au Concile. Le Gouvernement belge ne se melera pas de ce qui se passera à Rome pour garder son entière liberté d'action en Belgique.

305

IL MINISTRO A MONACO DI BAVIERA, MIGLIORATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2087. Monaco, 11 marzo 1870, ore 14.30 (per. ore 15,55).

Bavière tend à abstention, mais elle attend de connaitre officiellement résolution des Cabinets de Paris et de Vienne pour prendre une décision.

306

IL MINISTRO MINISTRO DEGLI A MADRID, CERRUTI, ESTERI, VISCONTI VENOSTA T. 2089.

Madrid, 11 marzo 1870, ore 15,50 (per. ore 19,40)

Ministre d'Etat nous est reconnaissant de la communication au sujet du Concile. Il désire marcher complètement d'accord avec nous. L'Espagne n'envoye pas ambassadeur au Concile. Olozaga écrit que la France ne l'enverra que dans le cas où aurait lieu la discussion sur l'infaillibilité. Demain rapport par écrit.

307

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2091. Parigi, 11 marzo 1870, ore 16,25 (per. ore 8,22 del 12).

J'ai reçu votre dépeche politique du 9 (1). Je la communiquerai jeudi prochain. En attendant permettez moi de vous soumettre quelques considérations sur son contenu. Cette dépeche est fondée sur des premises qui ne sont pas officiellement constatées. Il n'est pas certain que le Gouvernement français ait déclaré à la Cour de Rome qu'il retirera ses troupes si certains dogmes sont proclamés. Le Gouvernement impérial s'est borné à demander l'admission d'un ambassadeur de l'Empereur au Concile. Je ne crois pas qu'on puisse se baser sur un fait qui n'est pas certain et qui n'est pas constaté officiellement. D'autre part il est à craindre qu'en ce moment une démarche de l'Italie n'ait pour résultat d'arreter le mouvement qui se fait en France contre la Papauté et le Concile. Ce mouvement est déterminé exclusivement par la considération de l'intéret français. Mon avis serait d'attendre l'issue de la discussion dans laquelle M. Daru s'est engagé un peu à l'aventure. Si elle se termine pàr le rappel des troupes impériales, tant mieux: nous profiterons d'autant plus de cet acte qu'il ne nous aura couté aucune démarche, et qu'il ne sera pas une concession faite à nous. Si au contraire le Gouvernement impérial persiste dans l'occupation de Rome et s'engageait à la maintenir, cet engagement que ne peut avoir vis-à-vis de nous aucune valeur, nous donnerait une occasion naturelle de faire les réserves et les protestations que réclame notre dignité, et de prendre une attitude conforme à nos intérets. M. Artom est ici. Si vous le désirez, je l'enverrai à Florence vous rendre compte de la situation, et je lui confierai les lettres pour vous. Il est bien entendu que, sauf ordre contraire, je communiquerai la dépeche au comte Daru, jeudi prochain

308

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2090. Lisbona, 11 marzo 1870, ore 20,45 (per. ore 1 del 12).

Ministre des affaires étrangères partage l'opinion du Gouvernement du Roi sur les graves inconvénients d'un ambassadeur au Concile et il croit pouvoir garantir que le Portugal n'enverra personne, tout en réservant réponse définitive après avoir consulté ses collègues. M. Mendez Léal regrette envoi

ambassadeur de France et il va écrire au ministre de Portugal à Madrid pour signaler le cas échéant au Gouvernement espagnol inconvénient de suivre l'exemple de la France.

(l) Cfr. n. 297.

309

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AI RAPPRESENTANTI NELLA COMMISSIONE INTERNAZIONALE PER LA RIFORMA GIUDIZIARIA IN EGITTO, G. DE MARTINO E GIACCONE Cl)

D. 44. Firenze, 11 marzo 1870.

Unitamente a questo dispaccio mi pregio trasmetter loro uno scritto (2) in cui sono compendiate le quistioni che solleva il progettato riordinamento giudiziario in Egitto ed i riflessi suggeritici dall'esame delle singole disposizioni in Psso contenute.

Mi è grato di cogliere questa occasione per ringraziare le SS.LL. della parte che hanno presa nei lavori della Commissione internazionale. Dai processi verbali delle sedute ho rilevato con vera soddisfazione come il contegno dei Commissari: italiani abbia grandemente contribuito al buon esito dei lavori della medesima, assicurando nel tempo stesso alla R. Rappresentanza la posizione influente che è conforme ai gravi interessi dell'Italia in tutto ciò che si riferisce allo sviluppo dei rapporti economici fra l'Egitto e gli altri paesi.

Il R. Ministero ha però osservato che delle varie parti del mandato affidato ai suoi Commissari:, alcune soltanto poterono essere eseguite. Tale mandato era stato determinato nei termini stessi dell'impegno assunto direttamente dal R. Governo nelle sue trattative con Nubar Pacha all'epoca in cui questi era venuto in missione a Firenze.

Dai termini della nota del 5 ottobre 18GB, non meno che dalle trattative che l'aveano preceduta e seguita (trattative ricordate particolareggiatamente nelle istruzioni ai Commissari' italiani) (3) appariva che la Commissione riunita in Egitto era anzitutto chiamata a riferire sullo stato di cose esistente in quel paese, sul fondamento vero od apparente delle lagnanze alle quali quello stato di cose dava motivo, sulla legislazione locale, e sulle riforme da introdurvisi. Riusciva infatti utile il sapere come mai avesse potuto accadere che malgrado le difficoltà ed anomalie che presentavano le giurisdizioni consolari ed i vizi a tutti noti del regime in vigore, questo fosse ognora da tutti preferito alla giustizia dei suoi magistrati locali e considerato, se non come un bene in sé, almeno come il minor male, ed anzi come la salvaguardia indispensabile dei diritti degli europei in un paese dove la costituzione politica e la legislazione dello Stato erano informate ai princ~pY, alle tradizioni ed agli usi dell'Islamismo.

Al momento in cui la Commissione internazionale si riuniva in Egitto, il

R. Governo non ignorava le diffidenze suscitate nella colonia italiana non

meno che in quelle degli altri paesi dall'annunzio che le Potenze aveano accettato in massima di studiare un progetto di riforma giudiziaria.

Questa diffidenza era tanto grande che, trasfusasi anche nella opinione ili persone autorevoli, faceva mettere in dubbio non solo l'efficacia, ma persino la possibilità delle riforme proposte.

* Basta riferirsi a quanto in proposito ha scritto nel paragrafo 9 del suo rapporto la commissione francese per formarsi un concetto delle immense difficoltà che una radicale riforma deve vincere per introdursi negli usi e nelle 8.bitudini dell'Egitto. Ed il Governo del Re si preoccupava anche più di questa condizione di cose in quanto ché dai rapporti dei funzionari appositamente interpellati dal R. Ministero sulla opportunità di accettare le riforme progettate dalla amministrazione egiziana, veniva appunto confermato ciò che la Commissione francese diceva risultarle da documenti e testimonianze. *

Ben comprende il Ministero che l'esame delle condizioni di fatto del paese dove la riforma deve essere applicata e delle guarentigie che presenta il Governo chiamato ad assicurarne l'esecuzione avrebbe facilmente potuto condurre la Commissione a mettersi in una via di sterili recriminazioni; ma, in presenza di un'opposizione appoggiata a diffidenze che non possono essere tenute in conto di volgari, il Governo del Re avrebbe desiderato che la necessità di una riforma dello stato presente delle cose risultasse da un voto esplicito e solenne della Commissione.

Prescindendo infatti da ogni altra considerazione, noi dobbiamo riflettere che soltanto un'evidente utilità può consigliare ai Governi di affrontare gli inconvenienti sempre inerenti alla introduzione di una riforma radicale quale è quella domandata dall'Egitto.

Noi desideriamo pertanto che i Commissari italiani ci facciano conoscere se, nello stato attuale delle cose, dopo la divulgazione avvenuta in Egitto del progetto esaminato ed emendato dalla Commissione, vi sia ancora ragionevole motivo di temere che la riforma giudiziaria ecciti una ripugnanza assoluta per parte delle colonie straniere e sopratutto degli italiani dimoranti in quel paese. Come osservava opportunamente uno dei RR. Commissari in seno della Commissione, può esservi del pericolo a voler far il bene quando l'opinione pubblica vi si oppone.

(l) -Ed., ad eccezione del brano fra asterischi, in LV 21. p. 66. (2) -Non pubblicato, cfr. LV 21, pp. 66-76. (3) -Cfr. n. 13.
310

IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 74. Berna, 11 marzo 1870.

Per pormi in grado di rispondere, categoricamente, al telegramma ministeriale di ieri (1), col quale mi s'invitava a procacciar con ogni maggior diligenza di sapere se la Svizzera fosse disposta a mandare, sull'esempio della Francia, oratori che la rappresentassero presso il Concilio Generale riunito in

Roma, e mi si dava nello stesso tempo l'incarico di far opera perché distogliessi il Consiglio federale dal seguire un tale esempio, mi sono recato questa mattina al palazzo federale e, dopo un lungo colloquio col Presidente della Confederazione, ho potuto trasmettere immediatamente a V. E. il telegramma (l) che, ora, secondo gli ordini ricevuti, mi faccio a svolgere con apposita relazione.

Già fin da quando ebbi a conferire col signor Dubs intorno ai pericoli cui, senza paterne sperare vantaggio di sorta alcuna, si esponevano gli Stati minori, e, principalmente, i misti per diversità di confessione, qual era la Svizzera, cedendo all'invito che la Francia loro indirizzava di farsi rappresentare alle Conferenze convocate dal Governo Imperiale per l'assestamento degli affari di Roma, io ebbi a dirgli che, essendo l'influenza nel mondo cattolico uno degli elementi storici della politica francese, fosse prudente consiglio per tali Stati il non fare a comunella con lei, sopratutto quando si tratta di regolare materie ecclesiastiche. Mancata poi la Conferenza, io ebbi in un altro colloquio ad aggiungere che, a mio credere, conveniva alla Svizzera di stare sull'avvertito, poiché alla vigilia dell'intimato Concilio Generale o durante il medesimo, la Francia, d'accordo, per avventura, coll'Austria, tenterebbe di riunire sotto certe forme gli Stati che invano aveva chiamati alla Conferenza per farsi attribuire dal Concilio, annuente la più gran parte degli Stati stessi, il protettorato che ha esercitato ed esercita in fatto sopra Roma e sopra una parte dei popoli di culto cattolico che si trovano in minoranza politica in molti altri paesi.

E pertanto, non ebbi appena aperto la bocca per esporgli l'oggetto della mia visita, che egli venne rammentandomi le conversazioni che avemmo insieme sul proposito cui doveva oggi la mia visita, ed i pronostici che, non sono peranco due anni, io gli faceva sull'attitudine che prenderebbe il Governo francese rispetto al Sinodo Ecumenico, ed aggiunse che non era mutata la mente del Consiglio federale a codesto riguardo; che le agitazioni che provocano sotto specie di libertà nella santa assemblea parecchi dei Vescovi che finora non aveano levato grido nel mondo cattolico che come banditori e propugnatori del Sillaba, e come avversi dovunque alle ragioni della civile Società, non gli sembrano d'indole a persuadere il Governo della Confederazione a scostarsi dai principii che, in questo caso, consigliano una prudente astensione. Continuò quindi dicendo, che l'attitudine della Svizzera in quest'occorrenza era dettata dal carattere misto del Corpo Elvetico che impone al Governo federale se non l'indifferenza in materia di religione, la più assoluta riserva in materie ecclesiastiche. Non la potrebbe in vero, e la storia lo dimostra ad ogni tratto. semm porre a grave repentaglio la pace intercantonale e le libertà pubbliche.

All'osservazione che io gli faceva che la Svizzera fu rappresentata al Con

cilio Tridentino. l'eminente e dotto Magistrato rispose, che non vi furono pro

priamente rappresentati che i Cantoni Cattolici, onde si formarono poi le Le

ghe separate che costarono tante lagrime e furono si funeste alla pace del

Corpo Elvetico e ad ogni progresso nei Cantoni tutti. La Svizzera appartiene

oggi in maggioranza al culto riformato; gli eletti da questa maggioranza a

rappresentanti presso l'Assemblea ecumenica sarebbero necessariamente per

la loro origine privi d'ogni autorità in tale Assemblea ed invisi ai Cattolici Svizzeri di cui sarebbero riputati gli oratori; se si accordasse poi questa rappresentanza ai soli Cantoni Cattolici si darebbe ansa a far risorgere il Sonderbund nella disfatta del quale è costituito il nuovo diritto pubblico della Svizzera. Questi Cantoni del resto sono lontani dal chiedere un simigliante onore.

Disse quindi che il Concilio non si è occupato che di materie puramente religiose, ma quand'anche deliberando sopra le materie disciplinari e di carattere puramente temporale facesse canoni che impingessero sull'autorità civile, tanto la Svizzera, quanto ciascuno dei Cantoni separatamente onde essa è formata, sono dalla Costituzione sufficientemente armati, per respingere e rendere ineseguibili le decisioni Conciliari da cui il diritto di ciascuna delle repubbliche federali e quello della Costituzione fosse offeso.

Il mio interlocutore non sapeva capacitarsi del come molti Governi d'Europa, dopo d'essersi ad intento di libertà interamente secolarizzati, dopo aver lacerato i canoni di tutti i Concilii Ecumenici o nazionali, dopo d'aver preso a gabbo le Disposizioni pontificie, dopo aver disdetto i Concordati più recenti colla Santa Sede, dopo aver affrancato tutte le loro leggi da ogni vincolo ecclesiastico anco indiretto, siano tanto impensieriti oggi di ciò che son per fare a Roma i Vescovi che Pio IX senza consultare la potestà civile, vi ha chiamati. Secondo lui questi Stati avrebbero maggior ragione di temere delle decisioni che fosse per prendere, accanto all'Assemblea Ecumenica, un congresso di Diplomatici, la maggioranza dei quali, a seguito ed in compenso di concessioni ottenute in materie ecclesiastiche si facesse a guarentire, per esempio, il dominio temporale del Papa che i Vescovi di tutta la Cattolicità avrebbero dichiarato una necessità economica della chiesa e della libertà delle coscienze cattoliche. Da queste parole mi accorsi che il Signor Dubs stimava, non senza ragione credo io, che se l'Italia avesse ad essere impensierita di qualche pericolo, non è certamente di quello che può esser riposto nel Sillabo o nel canone che dichiari l'infallibilità del Papa.

Il Presidente della Confederazione mi disse che il Governo Reale potea a questo rispetto fare assegnamento sul Consiglio federale, il quale non manderà mai oratori al Concilio; e che quando alcuna delle Potenze cercasse di indurlo a ciò, egli risponderebbe come rispose quando fu invitato dal Governo francese a farsi rappresentare alle Conferenze per gli affari di Roma: che la Svizzera non in seno al Concilio Ecumenico, ma a casa sua saprà premunirsi, quando accada, contro le eventuali esorbitanze della Santa Assemblea. Il Signor Dubs non manifestava in questo colloquio, come ebbe cura di ripetermi, che la sua personale opinione; ma se si considera la sua autorità nel Consiglio federale dove, in questo punto, è interamente d'accordo col Signor Welti, se si pon mente al credito di cui tutte e due godono nelle Camere che costituiscono il Parlamento Elvetico, reputo che, non dissimile dalla loro, sarà a questo proposito l'opinione di tutti gli uomini che prevalgono nelle potestà pubbliche della Svizzera.

Per rendere compito questo mio rapporto, prego V. E. di volersi far presentar quelli che io ho già indirizzati al suo predecessore intorno al diritto pubblico ecclesiastico della Svizzera, ed alle questioni che si riferiscono sia a Roma, sia al Concilio Generale.

(l) Cfr. n. 303, nota 1.

(l) Non pubbl!cato.

311

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 11. Lisbona, 11 marzo 1870 (per. il 23).

In una recente conferenza col Ministro degli Esteri, riferendomi ad un precedente colloquio di cui resi conto a V. E. col mio dispaccio politico n. 8, delli 6 scorso mese di febbrajo (1), relativamente al successore a Roma del compianto Conte di Lavradio, osservai a S. E. che malgrado i rimproveri che l'attuale Ministero faceva costantemente al Duca di Saldafiha, caratterizzando la di lui individualità di impossibile per ogni impiego all'Estero od all'Interno informazioni mie particolari ed autorevoli m'inducevano a supporre che se il Maresciallo mostrasse desiderio di tornare all'Estero come rappresentante il Portogallo, il Governo non solo non sarebbe alieno ma lieto di affidargli una missione. Il signor Mendez Leal, comprendendo che le mie sorgenti d'informazioni erano buone, mi rispose: « non vi nego che se il Maresciallo si riponesse anzi tutto in una posizione regolare verso il suo Sovrano e verso il Governo, e la sua nuova attitudine ce ne fosse garante, noi seconderemmo probabilmente i suoi desideri, qualora ce li esprimesse in modo conveniente, per un posto all'Estero:~>. Spinto allora da me ad un linguaggio più concreto, poiché premevami, nel nostro interesse, di conoscere se il posto di Roma sarebbe di nuovo affidato al Maresciallo, il signor Mendez Leal si compiacque rispondermi che l'alta posizione personale del Duca esigeva in ogni caso uno dei primi posti, che pel Portogallo sono Roma, Parigi, Londra, Madrid, Rio Janeiro e Firenze. A Firenze no, dissemi il mio interlocutore, perché non abbastanza retribuito ed avvi il Visconte di Castro che è persona grata. Al Brasile no, chè non si può mandare un ottuagenario al di là dei mari. In Spagna no, chè al suo passaggio colà vi fece dell'Iberismo, secondando la candidatura del Re

D. Fernando. A Londra no, chè avrebbe difficoltà di famiglia, sociali e di Corte e poi il Visconte di Seisal fu ed è molto accetto colà, nè può essere mandato a Roma perché protestante. A Parigi no, chè il Duca è partito di colà trionfante con la fiducia nota a tutti di essere presso che Dittatore in Portogallo e vi ritornerebbe vinto e senza il dovuto prestigio. Inoltre il Portogallo ha bisogno, nelle sue critiche circostanze finanziarie, d'un Ministro più regolato nei suoi affari privati. Non rimane quindi che Roma e se l'eventualità d'un tale posto divenisse possibile, che tale non è per ora il caso, il Maresciallo ne sarebbe il titolare nominale più che effettivo, avendo ora il Portogallo colà un Segretario, Incaricato di Affari, abile ed attivo, che gode e merita la sua fiducia.

Ecco quanto io doppiamente desideravo porre in chiaro, da un lato cioè che questo Governo sarebbe lieto di disinteressare il Duca di Saldafiha, con un posto all'estero, delle sue aspirazioni al potere civile e militare in Portogallo, sebbene ormai più come bandiera politica che come Individualità, dall'altro che il posto di Roma è possibile e forse probabile per Esso.

In questa occasione il Ministro degli Esteri si mostrò me\:o preoccupato di prossime eventualità in Spagna per «une levée de boucliers » di cui gli era difficile prevedere le conseguenze. Assicurommi tuttavia che i rapporti tra il Governo Portoghese e lo Spagnuolo erano dei più amichevoli e che il Portogallo aveva perfino offerto alla Spagna d'internare i rifugiati Carlisti e Isabellisti alle Isole Azzorre, solo internamento efficace per renderli innocui, ma la sua proposta non fu creduta necessaria e che intanto ogni qualvolta questi rifugiati infrangevano le leggi Portoghesi ed i doveri di ospitalità venivano posti sotto regolare processo. Anche recentemente furono scoperte in Oporto fabbriche clandestine di armi e munizioni e gli autori, tutti Spagnuoli, arrestati e processati.

(l) Cfr. n. 236.

312

L'ONOREVOLE BERTI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

APPUNTO. Firenze, 11 marzo 1870.

Vi scrivo le mie annotazioni sotto forma di appunti per riuscire più breve e per non tediarvi costringendovi a leggerle in un fiato solo.

1. --Non conviene dare incarico ofticioso od ufficiale in Roma se non ad una persona nella quale i vescovi ripongano fiducia grandissima e che non possa credersi o anche solo dubitarsi che ciò faccia per acquistarsi o per esercitare influenza. Un incarico mal dato vi solleverà ostacoli e vi impedirà di poterlo trasferire in altra persona. 2. --Ci vuole tuttavia qualcuno al quale il Governo possa far capo e col quale i vescovi della minorità ed i neutri possano a quando a quando intrattenersi. Questo qualcuno potrebbe essere l'arcivescovo di Milano. Io gli aggiungerei come cooperatore il vescovo di Pinerolo. Manderei colà persona per pregarli di corrispondere col Governo per mezzo di una legazione straniera e di incaricarsi di far udire ai vescovi che essi stimano opportuno le osservazioni che il Governo ravviserebbe utile di loro comunicare. Offrirei cosi all'uno come all'altro il palazzo della nostra ambasciata ed assegnerei loro una somma per le spese di rappresentanza. Il modo più nobile sarebbe che il Governo (ove accettassero il palazzo) facesse egli stesso la spesa che occorre per il mantenimento della casa, per le vetture etc. Ma essendo difficile che vogliano presentemente sloggiare dal Vaticano converrà che per ora il Governo provveda in altro modo all'assegnamento indispensabile perché possano mantenere un segretario con cancelleria, un commesso, e perché abbiano il modo di ricevere i loro colleghi e conferire con loro. 3. --Bisogna far ben capire a cotesti vescovi, che sono persone piene di onestà e di delicatezza, che il Governo non intende con l'incarico che loro commette di legarli menomamente nel loro voto. Che quindi esso non ha altro scopo che quello di testimoniare loro la sua stima invitandoli a volerlo consi

gliare quando occorra e ad assumere di far note al maggior numero dei vescovi del Regno le osservazioni che esso giudicherà necessario che siano loro sottoposte.

4. --Potrebbesi eziandio aggiungere che il Governo desidera che sappiasi dagli altri vescovi che il Governo fa capo officiosamente a loro ove essi stessi non giudichino diversamente. 5. --In tal maniera il Governo anche quando non mandasse un suo ambasciatore al Concilio potrebbe per mezzo dei mentovati vescovi concordare, ove lo riconosca utile, le osservazioni che per mezzo dei medesimi si avessero a far udire nel Concilio stesso. 6. --Sapendosi che i mentovati vescovi esprimono con più sincerità e benevolenza le opinioni del Governo, i loro discorsi si avrebbero come indizio approssimativo degli intendimenti governativi. 7. --Torna poi sommamente utile che il Governo si valga di vescovi autorevoli nel Regno per condurre a termine un'opera piena di tante difficoltà. Il nome dei mentovati vescovi accrescerà credito alle sue deliberazioni. 8. --Mi pare che la pratica così condotta sortirà lodevole effetto. 9. --Occorre intanto che non si perda un momento di tempo e si faccia forza sull'animo dell'arcivescovo di Milano e del vescovo di Pinerolo; ove mostrassero di resistere valetevi dell'intervento del Re. 10. --Non bisogna parimenti indugiare nell'ordinare prontamente un servizio di corrieri coi quali si possano mandare ai vescovi lettere, scritti a stampa, e quanto altro può reputarsi giovevole all'intento. 11. --Intanto che ciò si compie è obbligo del Governo di non disgustare maggiormente i vescovi rifiutandosi di fare ciò che la giustizia e la prudenza consigliano o rimandando alle calende greche que' provvedimenti che fatti per tempo possono disporre a benevolenza i vescovi. 12. --Tra i primi di questi provvedimenti ne accenno due che si riferiscono l'uno al cardinale patriarca di Venezia, l'altro al cardinale di Napoli.

Badare che quest'ultimo è quello tra i cardinali italiani che ha più proba· bilità in caso di sede vacante di essere levato all'onore del triregno.

13. --II cardinale Trevisanato di Venezia mi disse con parole che vi riferisco testualmente «che egli non ricevette un soldo da due e più anni che venne compiuta la liquidazione della sua mensa». Dunque fategli pagare prontamente in Roma un acconto. Ed ove le Finanze siano in credito per qualche cosa dite alle Finanze od al Culto che poiché c'è il conto aperto mettano in partita l'acconto presente e ne tengano nota per i pagamenti futuri. - 14. --Vi prego che diate tutta la vostra attenzione alle proposte che vi fo per il cardinale Riario arcivescovo di Napoli dopo maturo studio della quistione.

Papa Benedetto XIV con bolla 6 luglio 1741 Convenit etc. confermando alcuni antichi privilegi e concedendone nuovi stabilì la cappellania maggiore del Regno di Napoli e concesse a Re Carlo Borbone e ai suoi successori nel Regno napoletano di poter nominare un sacerdote secolare o regolare approvato dal suo vescovo e vivente nella comunione della romana chiesa il quale faccia l'ufficio di cappellano maggiore in tutto il regno napoletano etc. Questo cappellano maggiore senza avere territorio proprio, ha giurisdizione soltanto personale per servizio della Regia Cappella, pel Re, la sua famiglia, la sua Corte, ed i soldati di terra e di mare. Egli stesso può eleggere alcuni cappellani inferiori che lo aiutino in tale ufficio.

Ciò posto, caduta la dinastia de' Borboni e disciolto l'antico Regno di Napoli si credeva che anche questa Cappellania maggiore dovesse venir meno; tanto più che Napoli non essendo sede della nuova Corte, manca assolutamente lo scopo di siffatta maniera di clero. Ad onta di ciò, dopo che Monsignor Naselli già cappellano maggiore ebbe rinunziato all'ufficio, nominavasi cappellano maggiore Monsignor Caputo vescovo di Ariano. Morto costui da parecchi anni, e dopo aver aggregati al suo clero palatino assai preti accogliticci e nomadi, non venne surrogato alcun altro a cappellano maggiore per effettiva nomina del Governo.

Non essendovi adunque cappellano maggiore nominato dal Governo di Sua Maestà pare debba seguirne che la giurisdizione esercitata dal cessato cappellano maggiore sulle persone reali etc. dovrebbe esercitarsi dall'arcivescovo o da prete nominato dal Re e riconosciuto dall'arcivescovo.

Accade tutto l'opposto. Le chiese della Cappella Reale di San Francesco di Paola e di Sant'Antonio abbate hanno per direttori alcuni preti che non riconoscono la giurisdizione dell'arcivescovo di Napoli e che si dicono dipendenti da un vicario della Cappellania maggiore non nominato da alcuno, che abbia questa autorità. E per tale ragione o condizione le mentovate chiese vennero interdette dall'arcivescovo. E siccome un tale prete Guerragio si proclami da se stesso con singolare ed utile ardimento vicario del cappellano maggiore non esistente ed esercita atti pienamente nulli di giurisdizione spirituale fu perciò dichiarato dalla Santa Sede scomunicato vitando.

Non vi pare che senza entrare nella quistione di diritto cioè se il privilegio di Benedetto XIV continui ad essere in vigore od abbia cessato, questione che vi solleverebbe contro il Raeli e tutti i giannonisti di Napoli e di Sicilia compresi Mancini e Pisanelli, non vi pare dico che senza clamori si potrebbe continuare il pagamento degli onorarii mensili, a tutti i preti raccogliticci che celebrano nelle due cappelle non eccettuato il vicario che si fece papa da sé dichiarando che non si ha più bisogno dei loro servizii? La famiglia Reale quando dimora in Napoli non potrebbe chiamare presso di sé alcuni dei cappellani legittimamente nominati?

Questo provvedimento tornerebbe accetto assai. Non ci vuole straordinario coraggio per mandarlo ad esecuzione. So che voi l'avete. Adunque adoperatevi perché anche i vostri colleghi si riducano alla vostra opinione.

15. -Veniamo ora ad alcuni provvedimenti di minore importanza.

Il vescovo di Pinerolo è minacciato di sequestro perché non può pagare o meglio perché non crede di dover pagare tutto quello di cui l'esattore lo aggrava. Sporse a tal fine ricorso alla Commissione centrale. Si tratta nulla più che di dire all'esattore che non proceda insino a che la Commissione centrale non abbia pronunciato il suo giudizio. Vedete se ciò sia possibile.

16. --Questo stesso vescovo è costretto di chiudere il Seminario per mancanza di mezzi. Non sarebbe il caso di raccomandarlo al Raeli per un sussidio? 17. --Il vescovo di Reggio ricorse al Ministero dell'Interno per la conservazione di certe suore di carità. Se la cosa non dipende dal Ministero ma dal Consiglio provinciale non sarebbe tuttavia opportuno che il Ministero scrivesse al vescovo una lettera alquanto gentile? Io stesso raccomandai per lettera al Lanza il negozio ma non potei insino ad ora ottenere un rigo di risposta. Forse non ha avuto tempo. 18. --So che al vescovo di Alba monsignor Galletti che certamente non è con la minoranza il ministero fu largo di onori e di sussidii, perché non si studierà di procedere con un po' più di celerità nella liquidazione e nel pagamento degli acconti degli altri vescovi che ci si dimostrano benevoli?

Mi riserbo le altre proposte per altro momento mancandomi oggi il tempo.

313

IL MINISTRO A MADRID, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2092. Madrid, 12 marzo 1870, ore 18,40 (per. ore 21).

Due de Montpensier a tué l'Infant Henri Marie en duel au pistolet. Lettre demain (1).

314

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI

D. 111. Firenze, 12 marzo 1870.

Il Barone di Kubeck mi ha dato lettura di un dispaccio del suo governo, col quale questi si felicita delle disposizioni favorevoli che ha incontrato presso di noi la proposta di agire di concerto colle altre potenze, ed in senso di conciliazione nella vertenza turco-montenegrina (2).

S. -E. il Conte di Beust ha incaricato il Barone di Ktibeck di dichiararmi che la parte della sua precedente comunicazione che aveva formato oggetto di una nostra riserva, voleva essere intesa, non come una contestazione del diritto dell'Italia di partecipare agli affari del Montenegro allo stesso titolo delle altre potenze chiamate ad occuparsene, ma soltanto come l'enunciazione del fatto che gli interessi nostri sono impegnati meno direttamente di quelli dell'Austria nelle quistioni riguardanti la tranquillità di quel Principato.

Queste spiegazioni mi parvero pienamente soddisfacenti. Ringraziai dunque specialmente il Barone di Ktibeck della premura colla quale egli le aveva provocate dal suo Governo, e lo pregai di far conoscere a S. E. il Conte di Beust il compiacimento che ne provavamo.

Dalle comunicazioni ch'Ella riceverà con questo stesso corriere, vedrà che, conformemente a quanto l'Austria e le altre potenze hanno deciso di fare, anche noi intendiamo di delegare il nostro Console a Scutari a prender parte alla Commissione mista istituita per proporre una soluzione della vertenza pendente fra la Turchia ed il Montenegro. Ella potrà anzi informare S. E. il Conte di Beust che noi abbiamo incaricato il Ministro del Re a Costantinopoli di concertarsi coi suoi colleghi sulle istruzioni da darsi al delegato italiano.

(l) -Non rinvenuta. (2) -Cfr. n. 274.
315

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 9. Roma, 12 marzo 1870.

N'ayant pas encore la lettre pour la personne qui se chargera de l'expédition de ma correspondance je n'ai pu expédier ma dépeche n. 8 (2) et je ne sais pas non plus si je trouve ici une occasion pour envoyer la présente à notre frontière. Je vais pourtant continuer à communiquer à V. E. les nouvelles que j'ai apprises hier et ce matin.

Les éveques de l'opposition sont surveillés par la police de manière à ne pouvoir plus recevoir chez eux que des ecclésiastiques. Les relations avec eux deviennent si difficiles que mes amis me conseillent de prendre un appartement en ville afin qu'ils puissent venir chez moi en famille. A l'Hotel de Rome, où je me suis mis, je ne puis recevoir personne parce que ma chambrette communique des deux còtés avec d'autres chambres par des portes simplement fermées à clef. J'ai donc loué un petit appartement meublé, très modeste et assez bon marché, du 15 mars jusque fin avril. Un des mes amis connait la propriétaire et m'assure que c'est un personnage fort respectable.

Hier, avant tout, j'ai cherché à m'informer sur la nature des communica

tions que la France a faites au gouvernement pontificai dans ce temps dernier.

Un de mes amis, qui est personnellement très intimement lié avec le Cardinal Antonelli, m'a rendu le service d'aller causer avec le Cardinal hier soir au «ricevimento diplomatico» qui a lieu tous les mardis et vendredis soir. Il a trouvé le cardinal très souffrant de goutte dans la maine droite, mais en très bonne humeur. Le Cardinal lui-mème commençait à lui parler du départ prochain pour Paris de M. de Banneville et des bruits qui s'y attachent. L'ambassadeur de France est réellement au bout de san latia; mais il ne va pas à Paris pour prendre des instructions nouvelles, il veut tout simplement éclairer son gouvernement sur la situation, et le cardinal ne s'en montre pas contrarié. Il affirme que la dernière note de M. de Daru n'a pas le caractère comminatoire qu'on lui attribue; elle serait plutòt très respectueuse et demande l'admission, non d'un ambassadeur (orator) au Concile, mais d'un envoyé spécial auquel la Cour de Rome devrait communiquer les Schèmes présentés au Concile afin qu'il puisse les examiner du point de vue du droit politico-ecclésiastique français et formuler les représentations et les observations qu'il jugera nécessaires ou opportunes. Le Cardinal n'attribue pas beaucoup d'importance à cette démarche et croit, sans préjuger la situation, que le Pape ne l'accueillera pas. V. E. jugera de la sincérité de ce langage, bien différent de celui que M. de Banneville a tenu, jeudi dernier, à Monseigneur Ginouilhac le nouvel archevèque de Lyon, qui m'en a parlé hier soir parce qu'il désirait savoir si j'en avais connaissance. M. de Banneville disait à Monseigneur Ginouilhac que l'Empereur a écrit au Pape et que

M. de Daru l'a répété dans une dépèche à lui, M. de Banneville, que, si le Syllabus et le Schème sur l'Eglise et sur l'infaillibilité sont votés par le Concile, le gouvernement français se trouverait dans la nécessité d'abandonner le SaintSiège à lui-méme et de retirer immédiatement les troupes d'occupation et le drapeau français de Rome. Lorsque M. de Banneville a communiqué cette dépèche au Cardinal Antonelli, celui-ci lui a répondu avec son calme impassible, avoir du Saint-Père reçu l'ordre de lui dire que, quant à lui, il laissait l'Empereur maitre absolu de ses résolutions et qu'il ne tenait pas le moins du monde à garder les français à Rome. M. de Banneville avouait avoir été singulièrement déconcerté de cette réponse et avoir insistè sur des explications; mais le Cardinal s'est borné à lui répéter les paroles du Saint-Père eu ajoutant seulemeut que ce langage si net et claire ne lui semblait pas avoir besoin de commentaire. M. de Banneville se plaignait amèrement de l'aveuglement du Vatican et a demandé tant à Monseigneur Ginoulhac qu'à Monseignéur Darboy de faire comprendre au Cardinal Antonem les dangers et les conséquences d'une situation inextricable. On lui a répondu qu'il était notoire que le Cardinal Antonelli échappait à toute discussion politique avec les éveques, et que le Pape ne recevait les évèques de l'opposition que pour les blamer et mème injurier comme il a fait naguère à Monseigneur Dupanloup. Monseigneur Ginouilhac m'a aussi dit que M. de Banneville a fait de cet incident un récit assez différent à Monseigneur Darboy, de sorte que, au fond, il n'en resterait que la dépèche de M. de Daru et une réponse, non du Pape, mais du Cardinal Antonelli. Quoi qu'il en soit cependant, ni le Pape ni le Cardinal ne croient la menace assez sérieuse pour trop s'eu inquiéter.

Aujourd'hui les évéques allemands et autrichiens se sont réunis en conférence chez le Cardinal Rauscher pour continuer leurs discussions. Le Cardinal Schwarzenberg leur a annoncé que les français et les américains n'ont pas réussi encore à s'entendre et qu'ils continueraient à débattre. Les discussions des Allemands et Autrichiens étaient très vives mais aussi tout à fait stériles. Monseigneur Ketteler, de Mayence, qui dans une conversation particulière avec Monseigneurs Darboy et Strossmayer avait, il y a quelques jours, qualifié de Crime contre l'Eglise et l'humanité le nouveau Schème sur l'infaillibilité, paralt avoir changé d'avis et préchait la plus grande modération. Monseigneur Strossmayer, passionné et irrité de ce changement, à rappelé à Monseigneur Ketteler ses propres paroles et engagé un débat des plus envenimés. Monseigneur Ketteler lui reprochait de dépasser les limites du pouvoir épiscopal et de manquer le but, et Monseigneur Strossmayer lui reprochait sa versatilité. En suite Monseigneur Ketteler a quitté la conférence, et Monseigneur Strossmayer déclara se retirer aussi, si la Conférence désapprouvait son attitude. Monseigneurs se taisaient d'abord, mais Monseigneur Hefele, de Rothenbourg, lui répondit que, au fond, la Conférence partageait les vues de Monseigneur Strossmayer, et que le différend, si différend il y a, ne saurait porter que sur la forme. Alors les évéques se déclarèrent d'accord avec Monseigneur Hefele et invitèrent Monseigner Strossmayer à formuler une motion. La voici:

l. Monseigneur Strossmayer se charge de prendre dans la Congrégation et dans la séance solennelle la parole à déclarer au nom de l'opposition, ou si l'opposition ne l'autorise pas, en son propre nom qu'il proteste contre tout décret que le Concile actuel voudrait voter, parce que ce Concile est dépourvu du caractère essentiel de Concile oecuménique, de la Iiberté de la parole et du respect du aux droits apostoliques de l'épiscopat; et que la décision par simple majorité des votes est contraire à tout les précédents des Conciles où les Canons reconnus par toute l'Eglise étaient votés à la presque unanimité qui seule représente le consentement de l'Eglise Universelle;

2. -Si cette motion est rejetée, l'opposition, pour sauver sa conscience, proposera la dissolution du Concile actuel; 3. -La dissolution rejetée, l'opposition protestera, dans un manifeste adressé Urbi et Orbi, contre la violence qu'on lui fait, quittera le concile malgré la menace de l'anathème et s'en appelera à un Concile libre et canonique.

Cette motion a été entendue avec un profond silence, quelques évèques cependant, Monseigneur Hefele en téte et les Cardinaux Rauscher et Schwarzenberg déclarèrent y adhérer et proposèrent de la discuter et de la communiquer à la Conférence française et américaine.

Les Français et les Américains n'ont pas tenu de Conférence ces jours derniers.

L'ex-due de Modène et l'ex grand-due de Toscane se trouvent à Rome. On remarque que le Pape ne leur a pas encore rendu la visite. C'est probablement que le Saint-Père ne s'intéresse pas beaucoup aux princes dépossédés dont il n'y a rien à espérer.

26 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. XII

(l) -Ed. in TAMBORRA, pp. 240-242. (2) -Cfr. n. 302.
316

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2093. Costantinopoli, 13 marzo 1870, ore 12,23 (per. ore 12,40).

Tous les autres Gouvernements ont fait connaitre à la Sublime Porte leur adhésion à la proposition d'une commission d'enquete pour question de délimitation avec le Montenegro. J'attends réponse de V. E. (1).

317

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI

T. 1081. Firenze, 13 marzo 1870, ore 14,15.

Vous aurez reçu dépeche du 10 courant (2). Après la réponse faite d'avance par le comte de Beust (3) il est entendu que nous n'insistons pas sur proposition déclaration collective. Elle avait pour but d'indiquer le système qui nous paraissait préférable à celui de l'envoi d'un ambassadeur dans le cas d'une manifestation des Puissances. Veuillez cependant donner lecture et copie, s'il le faut, de la dépeche. Nous attendons la réponse qui nous a été annoncée par le comte de Beust.

318

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. XXX. Berlino, 13 marzo 1870 (per. il 16).

J'ai reçu le télégramme de V. E. en date du 10 courant (4), et je me suis empressé le meme jour de le télégraphier en chiffre au Marquis Caracciolo.

L'attitude prise par le Gouvernement du Roi est en effet la mieux appropriée aux circonstances, surtout s'il est exact, ainsi qu'on le mande au Cabinet de Berlin, que le Saint Siége déclinerait l'admission d'un Ambassadeur de France chargé d'une mission spéciale auprès du Concile. De son còté, le Comte de Trauttmansdorff a reçu une réponse évasive quand il s'est acquitté des instructions contenues dans la note confidentielle qui lui avait été adressée par le Comte de Beust au sujet du schema tendant à ériger en canons les principales dispositions du Syllabus. En outre, d'après ce qu'écrit de Rome M. d'Arnim l'adoption prochaine du dogme de l'infaillibilité ne fait plus l'objet du moindre

(-3) Cfr. n. 300. (-4) Cfr. n. 303, nota l.

doute. Il resterait à l'opposition des 120 à 150 Eveques d'aviser s'il ne serait pas le cas de se retirer de cette assemblée, moins scrupuleuse que sa devancière au Concile de Trente, puisque celle-ci, au dire de M. de Thile, n'osait passer outre en matièrc de dogme quand il n'y avait pas unanimité. Mais la minorité ne voudra point protester de la sorte. Tout porte donc à croire que nous nous trouverons bientòt en présence de faits accomplis qu'il eùt été au reste fort difficile d'empecher.

Quant au Gouvernement Prussien, depuis l'abolition du placet, il se trouvera dans l'impossibilité de prévenir dans ses Etats la publication par les Eveques des décrets du Concile, lors meme qu'à ses yeux, camme Etat protestant, ces décrets n'aient pas plus d'existence légale que ceux du Concile de Trente. Le pouvoir civil n'aurait le droit d'intervenir qu'en présence de contraventions qui tomberaient sous la loi commune. Mais il ne se préoccupe pas moins des conséquences qui se produiront parmi ses populations catholiques en suite d'un tel état de choses. Sans prévoir un schisme, il en résultera du moins une surexcitation religieuse qui offre plus d'un danger. D'ailleurs il est un autre inconvénient des plus graves. La jeune génération laYque et cléricale recevra un enseignement religieux puisé à des doctrines ultramontaines, et elle fortifiera un jour un parti extreme qu'on désirerait au contraire voir s'affaiblir de plus en plus.

Quoi qu'il en soit, le secrétaire d'Etat m'a répété aujourd'hui encore que rien n'était changé à l'attitude expectante du Cabinet de Berlin. Il s'abstient de toute ingérence directe. Mais pour preter à son Episcopat un appui indirect, il lui a fait savoir que sa protection lui était assurée si l'un ou l'autre de ses membres se trouvait exposé à quelque persécution de la part de la Cour de Rome pour le fait de sa conduite au Concile.

J'ai demandé à M. de Thile s'il avait quelques indices sur les résolutions éventuelles du Cabinet des Tuileries dans le cas où le Saint Siège refuserait définitivement l'admission d'un Ambassadeur ad hoc. Le retrait des troupes françaises briserait peut-etre la force du parti en majorité à l'Assemblée oecuménique, mais rien jusqu'ici ne laissait entrevoir que telle fùt l'intention du Ministère Ollivier-Daru.

(l) -Visconti Venosta rispose con t. 1082, pari data: «En date du 8 [cfr. n. 295] je vous al écrit que vous pouviez donner !es lnstructlons nécessaires au consul du Ro! à Scutar! ». (2) -Cfr. n. 301.
319

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. XIV. Vienna, 13 marzo 1870.

Col mio telegramma in cifra del 10 corrente (l) ebbi l'onore di rendere sommariamente conto all'E. V. del colloquio avuto col Conte di Beust in ordine all'invio d'un oratore al Concilio ed alla proposta del Real Governo di fare una dichiarazione collettiva diretta a sottrarre i varj Gabinetti che vi avessero aderito da ogni responsabilità.

Quest'oggi, dopo aver preso attenta conoscenza del dispaccio politico n. VI (10 corrente), (l) nel quale era sviluppato il telegramma di V. E. del 9 (2), mi sono recato, giusta i di Lei ordini, dal Cancelliere dell'Impero onde intrattenerlo di bel nuovo sull'argomento; ed ecco qui appresso il tenore della nostra conversazione.

Anzitutto ho cercato di chiamare l'attenzione di S. E. intorno al poco o nessun conto in cui la Corte Romana tiene i consigli e le osservazioni che le giungono da tutti i lati, non che alla cura che pone nell'accelerare le deliberazioni del Concilio onde, se possibile, aumentare le pressioni delle diverse Potenze. In vista adunque di sentire acclamate teorie tendenti ad invadere il dominio del Potere Civile ed a combattere i principj costituzionali vigenti, V. E. reputava opportuno che si adottasse un mezzo atto a prevenirle o che, almeno, concedesse ai varj Governi piena libertà d'azione in taluna eventualità: tal mezzo, a di Lei parere, consistere in una dichiarazione collettiva delle Potenze contro le probabili usurpazioni della Chiesa sullo Stato.

Il Conte Beust accolse le mie parole con attento orecchio, e mi disse che il Governo Austro-Ungarico non è meno preoccupato di quello del Re per le conseguenze degli irresoluti ed avventati atti del Concilio. Avere egli riconosciuto già da qualche tempo la necessità di donner signe de vie in presenza della precipitazione con cui si agisce a Roma ed, aspettato invano che alcuna potenza più influente dell'Austria sul Tevere prendesse l'iniziativa, si decise, ad insaputa dei suoi colleghi del Consiglio, ad inviare al Conte Trauttmannsdorff il dispaccio che fu confidenzialmente comunicato a V. E.

«Con tale documento inspiratomi dalla mia coscienza e dal mio dovere, mi soggiungeva, ho implicitamente dichiarato alla Corte Pontificia che sono irrevocabilmente deciso a difendere il Santuario delle Leggi contro le esigenze e le prepotenze della Corte Romana. Il Gabinetto Francese, continuava, è stato destato dal mio linguaggio ed, onde non starsene indietro, ha fatto cenno d'una misura collettiva alla quale avrei aderito sol perché proveniente da una Potenza che meglio di ogni altra può assumere la parte di iniziatrice rispetto al Governo Pontificio. Questo progetto del Conte Daru venne immediatamente mutato in altro egualmente abbandonato (forse per opposizione incontrata a Roma) e finalmente sostituito dalla domanda di inviare al Concilio un Ambasciatore speciale. Io sono stato, al pari del Governo Italiano, contrario fin dal principio a tale misura, perché, oltre alla difficoltà di definire gli attributi dell'Oratore, ho sicurtà di scemare con questa ingerenza diretta la libertà d'azione della opposizione. Rimpiango la decisione presa della Francia e purtroppo mi è forza riconoscere che alla lunga dovremo imitarla, tanto più che i miei colleghi del Ministero, gelosi del mio dispaccio, vogliono ad ogni costo acquistare influenza a mio danno. Quant à moi, conchiudeva, je m'efforce d'écarter la question, mais je suis isolé ».

Qui devo aggiungere che l'insistenza attribuita dal Cancelliere ai Membri del Consiglio onde seguire le tracce della Francia deve estendersi allo stesso

Imperatore ed al partito Clericale capitanato dall'Arciduchessa Sofia, la quale non cessa di fare la propaganda in favore del Concilio e delle sue decisioni.

Al momento di prendere congedo dal Conte Beust, ricevei l'assicurazione che, ove mai fosse egli obbligato di nominare un Ambasciatore speciale, farebbe, sempreché l'E. V. lo desiderasse, appoggiare dal Conte Trauttmannsdorff l'ammissione dell'oratore italiano, sebbene poco si possa contare sull'influenza attuale del Governo Austro-Ungarico in Roma.

Il Gabinetto di Firenze, dicevami, dover fare maggiore assegnamento, nelle presenti congiunture, sulla inconsiderata condotta dell'Assemblea Cattolica, sull'energica attitudine della minoranza, e segnatamente da ultimo sulla pressione esercitata dalla Francia, la quale, a suo parere esauriti tutti i mezzi morali, potrebbe perfin ritirare le sue truppe dal territorio Pontificio.

Se sono bene informato la Corte Imperiale e Reale si darebbe già pensiero per la scelta dell'Ambasciatore, ma non sono ancora in grado d'indicare con probabilità qualche nome.

P.S. Il telegramma di questa mane (l) mi è giunto dopo la conversazione avuta col Conte Beust: credo utile pertanto inviare questo rapporto a V. E. insieme ad altro del 9 corrente (2) per corriere fino alla frontiera.

(l) Cfr. n. 300.

(1) -Cfr. n. 301. (2) -Cfr. n. 296.
320

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2096. Parigi, 14 marzo 1870, ore 14,40 (per. ore 15,45).

M. Ollivier que j'ai vu hier au soir m'a confirmé que le Gouvernement impérial n'avait fait au Gouvernement pontificai aucune déclaration portant que les troupes seraient retirées dans le cas de certaines déclarations du Concile. Le Gouvernement impérial s'est borné à demander l'envoi d'un ambassadeur auprès du Concile. La réponse du Gouvernement pontificai n'est pas encore arrivée.

321

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2097. Bucarest, 14 marzo 1870, ore 15 (per. ore 18,05).

Sans que pour le moment il y ait danger imminent pour la sécurité du prince, la situation devient tous les jours plus grave. Agitation anti-dynastique augmente à la suite des intrigues Couzistes et séparatistes des radicaux pour avoir fédé

ration. Action commune des représentants serait indispensable pour imposer à la Roumanie incapable de se diriger plus longtemps par qui s'est forcé [sic] la volonté de l'Europe qui ne veut pas de complications orientales. Ne serait-il pas opportun que l'Italie, qui n'est pas suspecte, fasse des ouvertures dans ce sens aux Cabinets garants? Je pl"ie V. E. de prendre en considération sérieuse ce qui précède, et si le Gouvernement du Roi le désire je suis prét à lui soumettre de quelle manière devrait s'excercer l'action des puissances (l).

(l) -Cfr. n. 317. (2) -Non pubblicato.
322

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA (2)

L. P. Firenze, 14 marzo 1870.

Ho ricevuto il vostro telegramma (3) e pienamente riconosco la gravità e la giustezza delle considerazioni da voi fatte. Mi suppongo che l'essere il dispaccio (4) redatto in francese e l'insistere che in esso si fa su qualche considerazione accessoria allo scopo del dispaccio stesso, vi abbiano fatto supporre che si trattasse necessariamente di darne lettura o di dare alla vostra comunicazione un carattere di gravità e di insistenza che non era e non è nelle mie intenzioni.

Dal momento che la forza delle cose, la condotta di Roma e la situazione nella quale lo stesso Governo Francese s'è andato impegnando, lavorano in nostro vantaggio, almeno assai probabilmente, sono pienamente d'accordo con voi nel pensare che il miglior modo di assecondare questo lavoro è di non turbarlo con premature intromissioni. E sono io pure convinto che se mai il Governo Francese si risolve a ritirare le truppe dal territorio pontificio senza che sia una concessione fatta a noi, ma perché la sua dignità o l'opinione pubblica lo pongono nella necessità di farlo, sarà per noi un grande vantaggio, anche per l'avvenire. Ma nello stesso tempo, non possiamo nascondere che, se non è certo che una comunicazione sia stata fatta ufficialmente al Cardinale Antonelli, le lettere del Conte Daru furono pubblicate e non smentite e quindi rese note e alla Francia e all'Italia e a Roma. E nello stesso tempo è anche certo che, se il Governo Francese, nelle sue trattative con Roma pel Concilio, si ponesse nella via di prendere degli impegni, in dati casi, per la continuazione dell'intervento, sarà utile avere accennato in anticipazione alle nostre eventuali riserve. Infatti il Governo Francese che parla volentieri dei nostri obblighi, da qualche tempo sopratutto, agisce

come se l'Italia non esistesse per quanto riguarda gli obblighi contratti da esso verso di noi.

Credo dunque che, nei termini indicati in questa lettera e nel mio telegramma d'oggi (l), una semplice conversazione con il Conte Daru non possa avere inconvenienti. Non occorre che diate lettura del mio dispaccio, fate cadere solo il discorso col Conte Daru sulle sue lettere, ditegli anche, se credete, che tenete conto del loro carattere ufficioso, ma che, ad ogni buon fine, gli esprimete questa riserva che sapete conforme al modo di vedere del Governo Italiano com'è conforme al vostro.

Vi scrivo queste parole non già per indicarvi la forma di cui vi servirete nella vostra conversazione che voi troverete la più opportuna e la più conveniente, ma solo per indicarvi con quale intenzione vi ho mandato il dispaccio e per togliere ogni dubbio in proposito. Dichiarate pure che questa riserva la facciamo senza sollevare la questione dell'occupazione francese. E naturalmente il maggiore o minor grado di insistenza del vostro linguaggio vi sarà indicato dal terreno in cui vi avvedrete di procedere.

Io non ho il proposito già determinato di pubblicare in seguito il dispaccio che vi ho scritto, ma nel caso che un giorno o l'altro, potesse essere pubblicato sono anche pronto a modificarlo in modo che non vada oltre i termini del dispaccio che voi mi scriverete per riferirmi la conversazione avuta col Conte Daru. In questi termini io suppongo che siamo d'accordo e credete pure che non ho alcuna voglia di compromettere coll'impazienza quello che colla calma e coll'aiuto dei nostri avversarii spero di poter forse raggiungere.

Quanto al nostro comune amico Artom, se credete che possa giungere il momento in cui un suo viaggio a Firenze sia utile, pregatelo di trattenersi a Parigi per venire poi in Italia quando a lui e a voi parrà opportuno. Non occorre che aggiunga anche subito, se il momento opportuno, vi pare il presente. Egli vorrà, spero, rendere a voi ed a me questo amichevole servizio.

(l) -In una l. p. a Visconti Venosta dello stesso giorno (ACS, Carte Visconti Venosta) Fava scriveva: «Neppure alla vigilia della cacciata di Couza l'agitazione nei Principati era cosi patente come adesso. So che i gabinetti di Parigi e Berlino scambiano mentre scrivo delle idee relativamente a questo stato di cose, e se l'Italia facesse dei passi nell'interesse della tranqu!llità generale la nostra azione sarebbe molto favorevolmente accolta. I gabinetti dovrebbero unanimamente imporre al governo di Sua Altezza la volontà dell'Europa, la quale non può permettere queste complicazioni in permanenza sul Danubio che potrebbero recar pregiudizio agli interessi generali d! un ordine superiore. Non dubito, signor Cavaliere, che vista l'urgenza della situazione, ella mi farà al più presto pervenire gli intendimenti del governo del Re>>. (2) -Da AVV. (3) -Cfr. n. 307. (4) -Cfr. n. 297.
323

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2105. Alessandria, 15 marzo 1870, ore 13,29 (per. ore 2,15 del 16).

Le Gouvernement anglais confia à ses commissaires qu'il accepte en principe unification jurisdiction, mais qu'il ne peut accepter tout ou partie des propositions de la commission avant d'avoir examiné code de procédure et lois. Son agent a communiqué cette opinion par lettre à Nubar pacha. Le Vice Roi me faisant cette communication m'a demandé de prier V. E. pour que le Gouvernement royal veuille accepter aussi réforme en principe, prenant toutes les réserves sur garanties lois. Il donne à cette déclaration de notre part la plus haute importance camme suite de notre initiative consultative (2).

(l) -T. 1084, non pubblicato. (2) -Per la risposta cfr. n. 325.
324

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1077. Parigi, 15 marzo 1870 (per. il 18).

Ho l'onore di chiamare l'attenzione dell'E.V. sulla seguente corrispondenza dell'Agenzia Havas che porta la data di Bologna e che fu inserita nei giornali parigini di ieri sera e di quest'oggi:

«Avvisi da Roma, provenienti da ottime fonti, ci permettono d'affermare che la nota francese del 20 Febbraio non ha in nessun modo per oggetto d'impegnare il Governo francese in un'azione ufficiale contro l'infallibilità del Papa.

In questa nota la Francia domanda d'essere intesa per la voce d'un mandatario speciale sulle quistioni sollevate dalla pubblicazione dei ventuno canoni relativi alla Chiesa, i quali nel loro insieme riescono ad un tentativo di teocrazia.

Questi canoni non sono che la redazione in un solo corpo di dottrina dei principii formolati nel Sillaba del 1864.

La pubblicazione di questi canoni è un fatto completamente nuovo, che il Governo francese ignorava assolutamente allorquando egli formolò la sua astensione rimpetto al Concilio, sia nella circolare del 9 settembre 1869, sia quando il Conte Daru fece le sue dichiarazioni a tale riguardo innanzi al Senato.

Alle dette due epoche sembrava bene inteso che il Concilio si rinchiuderebbe nell'esame delle materie puramente religiose.

Questa speranza aveva trovata la sua espressione nel discorso pronunciato dall'Imperatore nello scorso novembre, in occasione dell'apertura delle Camere francesi. Ma essa fu delusa dalla pubblicazione dei ventuno canoni che sono una rottura violenta con tutti i principii dei Governi e delle società moderne, violazione a cui nessun Governo in Europa può adattarsi».

Questa corrispondenza diretta a spiegare la condotta del Governo francese relativamente al Concilio e specialmente ad esporre le ragioni che indussero il Ministero a spedire a Roma la nota con cui si chiede l'ammissione al Consiglio di un mandatario speciale della Francia, porta il carattere d'un documento ufficioso e si crede generalmente ch'esso emani dal Ministero degli affari esteri.

325

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO

T. 1085. Firenze, 16 marzo 1870, ore 16.

Nous acceptons la reforme proposée en principe tout en réservant notre opinion sur les propositions de la commission qui forment l'objet d'un examen de la part d'une commission spéciale et en déclarant dès à présent que l'accord de toutes les puissances nous parait indispensable.

326

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 538. Berlino, 16 marzo 1870 (per. il 19).

J'ai maintes fois interpellé *le Département fédéral des Affaires Etrangères * (l) pour connaitre quelle était sa manière de voir sur la premi è re partie des travaux accomplis par la Commission internationale réunie au Caire, mais sans obtenir une réponse quelconque. Celle que j'ai reçue hier n'est pas des plus concluantes, mais j'y trouve cependant quelques indications que je crois opportun de transmettre à V. E.

Ce Département * eu connaissance dans le mois de février d'une dépèche adressée par Lord Clarendon au délégué Anglais à ces conférences. Si le Cabinet de S. James approuve en général les procédés de la Commission, il ne se trouve pas encore en état de donner un consentement aux réformes judiciaires avant de savoir d'après quelles lois la justice serait administrée par les nouveaux tribunaux mixtes qu'il s'agirait d'instituer. Le Gouvernement anglais ne prendra pas de décision avant de connaitre l'avis des autres puissances.

Le Cabinet de Berlin ne penserait pas autrement. Il reconnait l'utilité des réformes projetées. Il ne tient pas d'une manière absolue au maintien des juridictions consulaires, mais avant de se prononcer sur l'abolition de l'ancien ordre de choses, avant de constituer d'autres tribunaux, il faudrait s'occuper de modifier et de mettre en rapport l'ancienne législation avec celles des Etats européens. Pour organiser un bon système de justice, il est en effet indispensable d'éla;borer et de présenter de nouveaux codes en matière civile et criminelle. Ce n'est qu'à cette condition que les causes dévolues aux magistrats pourraient ètre jugées avec toutes les garanties que l'Europe est en droit de demander en échange de celles dont on ferait l'abandon.* (2)

Konig, chargé spécialement de cette question, m'a dit que son Gouvernement s'exprimerait très probablement dans ce sens. Un projet de dépèche est déjà rédigé. * Mais comme il s'agit d'une affaire délicate, dans l'examen de laquelle le Département fédéral veut apporter toute la prudence que réclament les intérèts complexes qui y sont engagés, cette dépeche pourrait subir quelques modifications avant d'étre expédiée à Londres et au Consulat Général de la Confédération de l'Allemagne du Nord en Egypte.

Il est évident que M. le Comte Brassier sera instruit dans le mème sens, pour ètre à mème de répondre aux questions que V. E. pourrait lui adresser à cet égard *.

(l) -I brani fra asterischi sono editi in LV 21, pp. 76-77. (2) -LV 21, invece della frase seguente: «J'ai tout lieu de croire que tel sera le sens des instructlons que le Oouvernement fédéral se propose de donner ».
327

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI

D. VII. Firenze, 17 marzo 1870.

M. le Baron de Kubeck est venu hier me faire une communication d'après laquelle j'ai dù. constater que le télégramme adressé par moi à la Légation Royale à Vienne le 9 courant (l) avait été inexactement interprété. S.E. le Baron de Beust suppose que l'Italie propose une protestation contre les actes du Concile, laquelle constituerait une immixtion dans les délibérations de cette assemblée et une atteinte au droit que l'Eglise possède de régler ses propres affaires. Le Chancelier de l'Empire croit à propos de remarquer qu'une action séparée de l'Italie et de l'Autriche dans ce sens aurait des inconvéniens à cause de la situation particulière des deux puissances. Il juge du reste que l'envoi d'ambassadeurs spéciaux au Concile aurait plus d'inconvéniens que d'avantages, et il émet à cet égard les considérations les plus convaincantes.

Je vois avec plaisir l'identité des vues qui existe entre le Cabinet Impérial et nous sur ce dernier point,et j'ajoute que nous sommes parfaitement d'accord avec lui sur tous les principes qu'il rappelle, sur la convenance de respecter la liberté du Concile, de s'abstenir de toute intervention dans les discussions doctrinales de cette assemblée. Ces principes de liberté de l'Eglise et la séparation entre le pouvoir civil et le pouvoir ecclésiastique, le Gouvernement du Roi les a toujours professés et les professe plus que jamais.

Ce n'est que par une erreur de fait, bien facile d'ailleurs à redresser, que l'on a pu nous croire les auteurs d'une proposition empreinte d'un autre esprit. Nous n'avons point fait de proposition formelle; nous n'avons point parlé de protester d'avance contre les délibérations que le Concile peut prendre; nous n'avons jamais pensé qu'une action commune de l'Italie et de l'Autriche en dehors des autres puissances put Hre utile ou opportune dans les circonstances actuelles. La lecture de la dépéche que je vous ai adressée le 10 (2) ne peut faire naitre l'idée de rien de semblable. Nous avons seulement, au moment où le Gouvernement français remettait sur le tapis l'idée d'envoyer des ambassadeurs au Concile, exprimé la résolution de nous en abstenir pour notre compte. Nous avons ajouté que le moyen le plus nature! selon nous de mettre à couvert la responsabilité et la liberté d'action des Gouvernements est que ceux-ci, évitant comme il convient toute immixtion dans les actes du Concile, demeurent sur le terrain de leur compétence, et déclarent dès à présent, puisque la gravité croissante de la situation est reconnue de tous, quelles conséquences entraineraient dans l'ordre civil les atteintes portées par les propositions pontificales à l'ordre de choses existant dans les divers Etats. Ces conclusions étaient conformes à celles que le Comte de Beust lui-méme a formulées dans sa dépéche récente à l'ambassadeur impérial à Rome, et nous avons voulu faire connaitre au Cabinet Impérial que s'il jugeait utile d'en faire l'objet d'une déclaration collective de

toutes Ies Puissances intéressées, nous seconderions volontiers pour notre part l'initiative qu'il prendrait dans ce but.

Veuillez, M. le Chargé d'affaires, rectifier dans ce sens, si c'est encore nécessaire maintenant que ma dépéche du 10 est dans le mains de S. E. le Comte de Beust, Ies premièj:es suppositions qu'il a faites sur notre manière de voir. Ce malentendu peut-étre considéré comme non avenu, et nous serons reconnaissants au Gouvernement Impérial s'il veut bien continuer avec nous un échange d'idées facilité par la communauté de nos intéréts et de nos principes.

(l) -Cfr. n. 296. (2) -Cfr. n. 301.
328

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI

D. VIII. Firenze, 17 marzo 1870.

Le invio, congiuntamente a questo dispaccio, un altro scritto in francese (l) e destinato ad essere Ietto al Conte di Beust, senza però che gliene si rilasci copia. Lo stesso procedimento è stato seguito dal Signor di Kubeck in occasione della comunicazione alla quale si tratta ora di rispondere.

Siccome questo scambio di spiegazioni si fonda esclusivamente sovra l'occorso malinteso, sarebbe superfluo che ne rimanesse traccia. Epperò Ella vorrà pregare confidenzialmente S. E. il Cancelliere dell'Impero di non voler comprendere la Nota della quale mi diede lettura il Barone di Kubeck tra quei documenti diplomatici che il Gabinetto di Vienna stimasse in seguito di pubblicare.

329

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (2)

L. P. 11. (3). Roma, 17 marzo 1870.

La Sénat romain était obligé de donner à feu le Comte Montalembert un Requiem à l'Eglise d'Ara Coeli, le Comte ayant été Patricien Romain. Hier dans l'après-midi on a envoyé aux amis du célèbre défunt les lettres de faire part ciincluses. Aujourd'hui donc, à 10 heures du matin, grand nombre d'évéques de l'opposition et quelques personnages laYques -j'ai été du nombre -sont allés au Capitole assister au Requiem. En entrant dans l'Eglise nous étions tous surpris de n'y trouver ni catafalque ni d'autres préparatifs de servi ce funèbre; seulement la chaire était tendue de draps noirs. Les 10 heures sonnées, entre un moine et annonce à un des évéques qu'il connaissait probablement, qu'il n'y aurait pas de service funèbre. L'évéque que je ne connais point, reste un instant stupéfié, et dit la nouvelle à ses voisins qui sortirent en suite avec lui. On me dit aussi la nouvelle et je sors aussi. Je me rappelle cepandant un franciscain

de Bosnie qui habite avec san évéque (franciscain bosniaque) le couvent d'Ara Coeli et qui pendant mon dernier séjour de Rome était venu me voir. Je songe à lui rendre la visite et à apprendre pourquoi il n'y avait pas de Requiem. Je monte au Couvent et je trouve mon homme en compagnie d'autres cordeliers. Je l'interpelle, mais il me dit, visiblement embarrassé, qu'il n'en sait rien. Quand cependant j'étais entré dans sa cellule, il s'excusait de sa réserve, et me racontait que vers les 11 heures de nuit un dragon du Vatican a apporté au « Guardiano » du Couvent un ordre du Pape défendant la célébration du Requiem pour feu M. de Montalembert. Vers midi, j'étais voir Monseigneur Ginouilhac, de Lyon, et il m'a, tout indigné, raconté le méme fait qu'il avait appris le matin et pour cela il n'était pas allé le matin à Ara Coeli. Il me dit que l'indignation des évéques français est générale, et qu'un des ultramontains français a dit que, si le Pape défend un Requiem pour le Comte de Montalembert, tout français doit se regarder camme étant hors de l'Eglise et que partant le service funèbre doit étre abolì dans l'Eglise parce qu'il n'y a plus de fidèles si

M. de Montalembert ne l'a pas été. Cette affaire va faire du bruit et provoquera les commentaires les plus désagreables pour le Pape.

Je suis en mesure de porter à la connaissance de V.E. une petite histoire dont je garantis l'exactitude et qui prouve que la politique autrichienne est encore bien loin d'une attitude ferme vis-à-vis des velléites du Vatican. Le due de Modène a dit au Pape que l'empereur d'Autriche l'a chargé de lui dire qu'il désapprouvait hautement la politique de ses trois ministères, mais que, n'ayant pas pour lui une majorité parlementaire catholique telle que l'avait le roi de Bavière, il était obligé malgré lui d'approuver la note de M. de Beust. Cependant non seulement il la retraite devant Sa Sainteté mais aussi il lui donne sa parole impériale que, quoi qu'il advienne, il maintiendra le Concordat au risque et péril méme d'une révolution. Ce langage, malgré san énormité, n'a pas satisfait le Pape. II repondit très-froidement au due, que l'homme qui veut le vrai bien ne doit pas tolérer le mal, que la révolution est plus forte et plus conséquente que les princes, et que, si l'Eglise ne l'anéantit pas, la révolution va balayer tous les trònes européens.

«Il male è più forte di noi, caro duca; voi eravate un principe forte e virtuoso e che siete diventato? Ancora qualche mese, qualche anno, e tutti quanti se ne andranno. Che volete, è così, e Dio solo potrebbe rimediare, ma non vuole». Le due était assez froissé de ce petit discours.

(l) -Cfr. n. 327. (2) -Ed. in TAMBORRA, pp. 243-244. (3) -Noh si pubblica la l. p. 10 di Tkalac del 16 marzo poiché non contiene notizie di rllievo.
330

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1079. Parigi, 18 marzo 1870 (per il 20).

In eseguimento delle istruzioni che l'E. V. m'impartì col dispaccio di serie politica n. 332 del 9 corrente (1), mi recai presso il signor Conte Daru, Ministro imperiale degli Affari Esteri, e gli feci verbalmente la comunicazione di cui l'E. V.

mi ha incaricato. Riassumendo le considerazioni svolte nel dispaccio precitato dell'E. V., dissi in sostanza al Ministro imperiale degli affari esteri che il Governo del Re non intendeva sollevare attualmente e per incidente la questione dell'occupazione francese nel territorio pontificio; ma che credeva necessario di fare una riserva di diritto in presenza di certe pubblicazioni le quali, comunque prive d'ogni carattere ufficiale, non essendo tuttavia state sconfessate, avevano avuto per effetto d'accreditare l'opinione che il Governo francese intendesse di far dipendere la continuazione o la cessazione dell'occupazione del territorio pontificio da considerazioni estranee alla convenzione del 15 settembre 1864 e dalle decisioni che in certe materie sarebbe per adottare il Concilio ecumenico in questo momento riunito a Roma. A questo riguardo, e nello scopo di ben constatare che la cessazione dell'occupazione francese è definita da un pubblico accordo fra l'Italia e la Francia, dissi al Conte Daru che, in conformità delle istruzioni impartitemi dal mio Governo, io aveva l'onore di fare ogni riserva di diritto.

Il Ministro imperiale mi rispose che prendeva atto di questa riserva. Egli non entrò in nessuna discussione sul fondo della questione dell'occupazione. Quanto alle lettere che gli furono attribuite e che andarono per le stampe, il Conte Daru mi disse che non aveva a riconoscerle né a sconfessarle, e che non potrebbe ammettere in regola generale che la sua condotta politica fosse apprezzata altrimenti che sui documenti ufficiali da esso emanati, e sul linguaggio da esso tenuto dinanzi al Parlamento. Aggiunse tuttavia che, in via confidenziale, poteva affermarmi che di quelle lettere, d'indole privata e pubblicate senza il suo consenso non solo, ma a sua insaputa, l'una era stata compilata a memoria, e quindi inesattamente, in seguito ad una semplice lettura, ed era stata attribuita ad un destinatario che non era il vero; l'altra era apocrifa.

Replicai al signor Conte Daru che lo ringraziava di queste informazioni confidenziali; ma che, non avendo io l'istruzione di sollevare pel momento un dibattimento qualsiasi intorno al fondo della questione, mi limitava a ripetere la riserva che aveva avuto l'onore di fare presso di lui.

(l) Cfr. n. 297.

331

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. Parigi, 18 marzo 1870.

Col mio telegramma del 12 corrente (2) vi esposi il mio avviso sull'inopportunità di dar e;orso al vostro dispaccio del 9 precedente (3). La comunicazione portata da quel dispaccio, meglio definita ed attenuata dal vostro telegramma e dalla vostra lettera particolare (4) fu da me fatta ieri al Conte Daru. Nella forma e nei limiti in cui fu fatta, essa non avrà spero, inconvenienti, e forse

potrà giovarci in caso d'interpellazioni. Ora vi esporrò le ragioni che mi avevano fatto e mi fanno ancora credere inopportuna e dannosa per ora ogni pratica intorno alla questione dell'occupazione, L'attuale Ministero francese fu portato nei consigli dell'Imperatore da un movimento di reazione contro il potere personale, contro i cooperatori di questo potere, e infine contro l'operato stesso del medesimo, La costituzione dell'Italia è considerata come uno dei risultati del potere personale, Quindi una tendenza nel Ministero e nell'opinione pubblica che lo sostiene a fare spesso il contrario di ciò che fecero i precedenti Ministeri. Vi è certamente nel Ministero una frazione, quella che è rappresentata da Ollivier, la quale è favorevole all'Italia, contraria all'occupazione di Roma, e che più s'avvicina al pensiero personale dell'Imperatore, Ma questa frazione non è per ora, e non sarà per qualche tempo, la frazione predominante, Chi veramente conduce il Ministero e la Camera è Daru, secondato da Buffet, Uomini convinti, energici, risoluti, si considerano chiamati a fondare il sistema parlamentare in Francia, ed hanno con essi l'opinione del paese. Clericali entrambi non hanno pei loro precedenti e per le loro convinzioni una grande simpatia per l'Italia. Non faranno certamente nulla e non potrebbero far nulla contro l'unità italiana. Ma non è a sperare che ritirino le truppe francesi da Roma, a meno che non vi siano spinti dall'opinione pubblica della Francia. Non sono disposti ad entrare in un sistema di accordi con l'Italia, né sulla questione romana né in nessuna altra questione. Crederebbero di perdere una parte della loro popolarità e della loro forza, facendolo. L'Imperatore in questo momento è quasi assolutamente senza azione. In tale stato di cose, ogni nostra pratica non riuscirà a nulla di bene, e nuocerà alla nostra dignità. Per ciò il dispaccio del 9 marzo mi parve meno opportuno. Esso mi sembra d'altronde un po' confuso ed imbarazzato. Le considerazioni sul concilio, sulla libertà della Chiesa e sulla sua separazione dallo Stato sono eccellenti, ma mi paiono qui fuor di luogo. Noi abbiamo una base solida, ben definita, luminosa: la Convenzione. O non dobbiamo dir nulla, o dobbiamo domandare l'eseguimento della Convenzione, e munire la nostra domanda con una sanzione. Una riserva sopra un diritto incontestato e incontestabile mi sembra una diminuzione di questo stesso diritto. Nessuno può contestarci il diritto di chiedere l'evacuazione portata da una pubblica convenzione. Per contro si può contestare il diritto di domandare spiegazioni intorno a lettere private, che un'indiscrezione ha reso pubbliche. Parlo al

l'amico e non al Ministro. Vi prego quindi di scusare il poco ordine di queste

considerazioni che scrivo come mi vengono al pensiero, e la poca scelta delle

frasi. Fatta questa osservazione, continuo.

Una domanda basata unicamente sulla Convenzione non ha nulla d'offensivo. Mentre invece un ufficio basato sulle lettere private dello stesso Ministro degli Affari Esteri, ha qualche cosa di personale. Difatti il Conte Daru, che del resto parlò di voi in termini di molta stima, fu visibilmente nojato della mia domanda di spiegazioni e mi disse ricisamente che non ammetteva una discussione basata su altri documenti che sui suoi dispacci ufficiali. Io misi innanzi l'effetto prodotto sull'opinione in Italia da quella pubblicazione, e le nostre esigenze parlamentari etc. Feci in modo che la discussione e la conversazione non ebbero nulla di aspro e ci separammo nei migliori termini.

Ma lasciamo stare quest'incidente e passiamo alla questione stessa di fondo. Che fare? Qual via seguire? Due sono le vie. O attendere in silenzio, o domandare l'evacuazione, sanzionando il rifiuto eventuale della Francia, colla soppressione del pagamento del debito pontificio, sola sanzione che possiamo adoperare, giacché le altre clausole della Convenzione dobbiamo eseguirle nel nostro proprio interesse e per considerazioni d'ordine interno.

La prima via ha il vantaggio di lasciare la questione sul terreno degli ultimi dispacci di Moustier, di non esporci al rischio d'una freddura colla Francia, e soprattutto di non attraversare il movimento che si sta facendo in Francia contro la Corte di Roma, movimento che può pigliare proporzioni tali da forzare il Governo francese al richiamo delle truppe.

L'altra via ha il vantaggio di mettere il Papa nell'imbarazzo, di forzare la Francia a domandarci essa stessa tosto o tardi l'esecuzione della Convenzione e di contentare in ogni caso il nostro comune amico Sella.

Entrambe queste vie hanno i loro inconvenienti. Svantaggio comune è che né l'una né l'altra ci conducono immediatamente allo scopo desiderato, cioé all'evacuazione pronta del territorio pontificio. Il non pagamento del debito pontificio solleva poi una questione di principio, sulla quale sarebbe utile il domandare consigli autorevoli più che non siano i miei.

Forse il migliore e il più assennato modo di procedere sarebbe di praticare successivamente le due vie, cioè la prima fino alla fine del Concilio, e la seconda dopo. Passati parecchi mesi, scorsa la sessione parlamentare, terminato il Concilio, ove l'occupazione persistesse, il Governo del Re potrebbe far sospendere il pagamento e ciò senza far nuovi tentativi diplomatici presso la Francia. Si vedrà del resto in allora quale sarà lo stato delle cose, giacché questo può mutare di giorno in giorno e dar luogo ad altri propositi. Forse tra qualche giorno la situazione sarà modificata. Si annunziano interpellanze su Roma per lunedì. Il Ministero non è interamente d'accordo su questa questione. Vi sono germi di dissenso fra i vari Ministri, e fra questi e l'Imperatore. Il Ministero stesso può cadere o modificarsi in Francia nella presente sessione. Da tutto ciò conchiudo che un'attitudine d'aspettativa e di dignitoso silenzio è ora consigliata dalla situazione come preferibile d'assai ad un nuovo e sterile scambio di dispacci e all'avvicendarsi di timide domande ora :1eglette, ora deluse e sempre infruttuose.

(l) Da AVV.

(2) -Cfr. n. 307, in realtà dell'll marzo. (3) -Cfr. n. 297. (4) -Cfr. n. 322, il telegramma non è pubblicato.
332

IL MINISTRO A CARLSRUHE, ARTOM, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. P. CONFIDENZIALE. Parigi, 18 marzo 1870.

Quando io mi accomiatai da te per ritornare al mio posto, tu mi esprimesti il desiderio che io mi recassi a Parigi, esponessi a Nigra la nostra situazione attuale ed il tuo modo di vedere sulla questione romana, e ti rendessi poi conto delle mie impressioni.

Arrivai a Parigi il 7 marzo, accettai l'ospitalità offertami gentilmente da Nigra, e dopo aver parlato a lungo con lui, mi recai a far visita al Principe Napoleone, cui Nigra ed io chiedemmo a tuo nome consiglio sulla condotta a tenere nella questione Romana.

Prima di riferirti il risultato delle lunghe conversazioni avute con Nigra e col Principe, io ti chiedo il permesso di esporre in breve qual è a mio avviso la situazione in cui si trova ora il Ministero Francese: giacché egli è solo facendosi una idea chiara di essa, ch'è possibile, seguire rispetto alla Francia, per ciò che concerne l'esecuzione della Convenzione di settembre.

Quando il Ministero Ollivier e Daru si è costituito, la questione romana non era in prima linea. Essa era nel novero di quelle questioni secondarie che si lasciano in nube, o su cui i membri del Gabinetto credono possibili delle transazioni reciproche. La lettera di M. de Boigne lo indica chiaramente. Le riforme interne parevano, e sono ancora in realtà la parte più importante del programma del Ministero. Per eseguire questo programma, Ollivier accettò come colleghi dei personaggi coi quali non s'era trovato fino a quell'epoca in comunione di idee. Forse egli credette di rimanere l'uomo più importante del Gabinetto, e di poter far prevalere in esso le sue opinioni. Ma una serie di incidenti parlamentari su cui è inutile di estendersi, diede invece la prevalenza al Daru, cui la Camera ed il paese attribuiscono una fermezza di carattere che negano, forse a torto, di riconoscere in Emilio Ollivier. Il Gabinetto però non cessò di essere liberale e parlamentare; ma nelle questioni estere, e specialmente in quelle relative al Concilio, e a Roma, la modificazione è grave, e tale da non potersene non tener conto. Il signor Daru ed il signor Buffet, ch'è dopo il primo il membro più autorevole del Ministero, sono preoccupati sovratutto di tenere in tutte le questioni precisamente la condotta opposta di quella seguita precedentemente dall'Imperatore. Essi sono quindi in generale poco favorevoli all'Italia e non lo dissimulano. Hanno fama di essere piuttosto clericali, e vorrebbero conciliare il mantenimento del potere temporale colla difesa che si credono in dovere di assumere dell'indipendenza dell'Episcopato francese. Le questioni del Sillaba e dell'Infallibilità li mettono quindi in grave imbarazzo, ne v'hà cosa che non siano disposti a fare per evitare la proclamazione di quei due dogmi. Le lettere attribuite al Conte Daru, furono scritte probabilmente all'insaputa di Ollivier. Tuttavia non credesi generalmente che esse bastino a suscitare tali dissensi nel Gabinetto da rendere probabile una mutazione ministeriale. In ogni caso non credasi che Ollivier avrebbe sulla camera attuale l'autorità necessaria per governare senza Daru e contro i suoi amici. Ollivier stesso pare sia divenuto dopo il suo matrimonio più favorevole al Papato di quello che lo fosse prima; egli non sembra finora disposto a separarsi per la sola questione del Concilio dagli uomini, la cui cooperazione crede necessaria all'attuazione del suo programma di politica interna. Tuttavia è noto ch'egli non approvi l'invio d'un Ambasciatore straordinario al Concilio; la nomina di questo personaggio non è ancora fatta, benché fossero designati due personaggi, il Conte di Courcelles, ed il Principe di Broglie. I deputati ed il pubblico incominciano a preoccuparsi gravemente di questo germe di dissenso esistente fra i Ministri; in generale l'idea di ingerirsi nelle questioni teologiche non è approvata, e fa capolino invece, anche fra gli uomini meno temerari dell'Italia e più aborrenti dalla rivoluzione, il pensiero che l'unico mezzo efficace d'esercitare un'azione sulle determinazioni della Santa Sede è il ritiro delle truppe francesi. Il Mazade nella Revue des Deux Mondes, John Lemoine nei Débats lo hanno dichiarato: altri giornali seguiranno questo esempio. Sarebbe una grande fortuna per noi se l'evacuazione del territorio romano fosse fatta da un Ministro semiclericale, che la si facesse esclusivamente per interessi francesi, e quasi col consenso di parte dell'episcopato francese. Purtroppo non è probabile che il signor Daru si appigli a questo partito. Ad ogni modo tu sarai pure dell'avviso del Principe Napoleone e di Nigra: cioè che in questo momento ogni atto che per parte nostra tendesse a far risuscitare la discussione sull'evacuazione, andrebbe direttamente contro lo scopo nostro. Per quanto gravi siano in questo momento le ire di Thiers e del suo partito contro gl'infallibilisti, essi non si decideranno mai à livrer le S. Père aux betes féroces. Egli è anzi coll'astensione assoluta per parte nostra, col continuare a rassicurare completamente la Francia circa le nostre intenzioni di non rinnovare i casi di Mentana, che potremo trar partito della impopolarità che il Papa è caduto ad un tratto in Francia, a cagione del Concilio e delle monete papali.

Tra breve vi saranno interpellanze al Corpo Legislativo intorno al Concilio; il Gabinetto dovrà dunque mettersi d'accordo sulla condotta e sul linguaggio a tenere. Se anche non si ritirano le truppe, e non accade una crisi ministeriale, che forse l'Imperatore non vedrebbe di mal occhio, è certo che fra breve le questioni sollevate dal Concilio dovranno essere risolute. Il Concilio stesso sarà prorogato, a quanto dicesi, verso Pasqua. Non può essere difficile a te ed ai tuoi colleghi l'ottenere che in questo intervallo niuna interpellanza venga fatta sulla questione romana. So benissimo e dissi a Nigra ed al Principe che per la sessione attuale tu eri fermamente deciso di non rispondere che in modo evasivo.

Forse non è ancora venuto il momento di discutere il partito cui l'Italia dovrà appigliarsi, qualora, terminato o prorogatosi il Concilio, le truppe francesi rimanessero a Roma.

Tuttavia io dissi al Principe che il Governo Italiano si troverebbe forse costretto a sospendere dal canto suo il pagamento del debito pontificio. Il Principe approverebbe senza esitare questa determinazione. Egli pensa che lo si dovrebbe fare con disinvoltura, avvertendone prima in modo confidenziale l'Imperatore ed Ollivier, ma questi senza dar campo al Daru di discutere o di protestare. Credo che ciò sarebbe quasi indifferente all'Imperatore: forse anche non sarebbe malcontento di questo nuovo imbarazzo caduto sulle spalle del Ministro. Quanto al modo di giustificare la sospensione, esso consisterebbe nel dire che per quanto riguarda il pagamento del debito sia moralmente un dovere inerente al possesso del territorio, quest'obbligo non esiste in modo positivo rispetto al Papa, finché continua a voler rivendicare le provincie perdute: e può essere sospeso rispetto alla Francia, finché questa dal suo canto non eseguisce la Con

venzione del settembre.

Nigra esita ad associarsi completamente alle idee del Principe. Egli dubita che convenga a te, che rappresenti nel Gabinetto il partito che in Italia fu sempre favorevole all'alleanza francese, di entrare nella via delle rappresaglie. Egli riconosce però inutile ogni discussione ed ogni negoziato cogli uomini che

27 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. XII

ora governano la Francia: per lui non v'ha via di mezzo; o rassegnarsi alla continuazione dello statu qua, o sospendere dal canto nostro l'esecuzione della Convenzione. Ogni discussione pare a lui meno dignitosa del silenzio; giacché dai Ministri attuali, appartenenti ad un partito che considera l'unità italiana come il primo dei peccati dell'Imperatore, non è a sperare altro che risposte sgradevoli o freddamente evasive.

Come dissi, prima che tu ed i tuoi colleghi siate nella necessità di deliberare, la situazione sarà mutata, e si avranno altri elementi di giudizio. Tuttavia non sarebbe forse male chiedere nell'intervallo il consiglio di qualche uomo di Stato a noi favorevole. Non mi rivolgerei però né a Bismarck né a Beust. Il primo vede con piacere la difficoltà in cui la Francia e l'Italia si trovano per la questione romana. Il secondo ha, egli è vero, interesse a far sì che noi siamo in buoni termini colla Francia; ed i suoi buoni uffici, in altre questioni, possono esserci utilissimi, giacché il governo attuale francese non ha tenerezze che per l'Austria. Ma io temerei che il segreto non fosse serbato, e che per farsi bello dei consigli di moderazione dati a noi il Ministro austriaco comunicasse a Parigi le nostre pratiche. Sarebbe meglio rivolgersi a Londra, e forse meno a Lord Clarendon. Questi interrogato familiarmente, per esempio da Lacaita, potrebbe darci un buon consiglio. Trattasi di una questione non solo di diritto, ma di credito pubblico: pare a me che Gladstone sia ora il più autorevole personaggio in questo genere d'affari.

Vorrei parlarti ancora della situazione interna della Francia, e delle intenzioni che si attribuiscono al signor Daru circa la Germania. Ma temo di allungare soverchiamente questa lettera, nella quale non potrei d'altronde che ripetere le informazioni del nostro comune amico Nigra. Dicono che l'Imperatore s'avveda che col regime attuale la sua influenza è ridotta allo zero, e ne esprima spesso il rammarico. Tuttavia gli uomini dei partiti più opposti s'accordano nel dire che l'Imperatore fu sincero nelle concessioni fatte, e non pensa a revocarle. Facendo astrazione del piccolo numero d'irreconciliabili, e dei socialisti operai, Parigi si trova ora attonito, quasi direi sgomentato di trovarsi per la prima volta unanime in fatto di politica. M. Philis (che mi pregò di farti i suoi saluti) mi diceva: «nous sommes dans la lune de miel: c'est trop beau pour que cela dure». M. Dupont White paragona lo stato attuale della Francia ai primi mesi del 1789, tanta è l'ingenuità degli uomini politici. L'Impero autoritario non esiste più: ma la dinastia imperiale si rassoda per mezzo degli orleanisti. Il Ministero ha con sé la Camera ed il paese, esso sarebbe ora più forte dell'Imperatore, se questi mostrasse di voler ritornare aux anciens errements.

Quanto alla politica estera, il Ministero Daru passa per essere sinceramente pacifico. Tuttavia la coscienza della sua autorità nella Camera e nel paese gli dà, rispetto alla Germania, un air cràne che potrebbe divenire pericoloso. E pericolosa è pure la tendenza di voler fare in tutto l'opposto di quanto fece il regime personale. Il Mazade mi diceva ieri: «guai se il trattato di Praga fosse violato o mutato lo statu qua. La Francia, non temendo più che si cerchi nella guerra una diversione agli imbarazzi interni, sosterrebbe unanime il Ministero nella guerra contro la Prussia».

A proposito del Mazade ti sarò g~ato se vorrai dire al Comm. Minghetti, facendogli i miei saluti, che la memoria e le carte topografiche saranno da Mazade consegnate a Nigra che le manderà poi a Firenze con la prima occasione.

Ti ringrazio della facoltà fattami di recarmi di nuovo a Firenze. Non ne approfitto perché ora non mi pare necessario. Imposto questa lettera a Carlsruhe e ti prego di farmene avere la ricevuta, con una riga tua, o, se non ne hai tempo, di Blanc o di Malvano.

(l) Da AVV.

333

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 12. Roma, 18 marzo 1870.

Hier soir est venu chez moi, me rendre la visite, Monseigneur Dupanloup et nous eumes une longue conversation aussi animée qu'intéressante. Je l'ai félicité de sa brochure publiée, il y a quelques jours, à Naples sur la question de l'infaillibilité pontificale, et connaissant son orgueil littéraire, j'ai sans peine réussi à donner à la conversation la tournure que j'ai voulue. Il entrait sans difficulté dans une discussion qui devint toute politique et dont j'essayerai d'esquisser à V. E. les points les plus intéressants.

Il se plaignait vivement de l'incapacité de M. de Banneville dont la réputation politique serait infinement supérieure à son mérite. M. de Banneville d'une école politique et religieuse toute différente de celle de M. de Daru, ne sait ou ne veut pas entrer dans les idées gallicanes que professe le ministère actuel; mais, comme il n'a pas la franchise de s'expliquer avec son chef, il se trouve dans une fausse position vis-à-vis du gouvernement français aussi bien que de la Cour de Rome et finit toujours par embrouiller toutes affaires. M. de Daru n'aurait pas songé à demander l'admission au Concile d'un agent lai:que, s'il était siìr que M. de Banneville suffirait à cette tàche. Mais connaissant son homme, le ministre était obligé de faire cette démarche, fiìt-elle mème un faux pas; peut-ètre espérait-il aussi que si le Pape y consentait, M. de Banneville demanderait son rappel de Rome. Il parait que l'Empereur a eu en vue « son canoniste privé », M. Baroche, mais il serait difficile d'admettre que M. de Daru accepterait ce choix. Si M. de Banneville va a Paris comme il le dit, il ne convertira pas M. de Daru; mais il fera semblant de se convertir lui-mème, et compromettra les évèques français de l'opposition qu'il continue à flatter et en mème temps à denoncer à Paris comme des ennemis irréconciliables de l'empire, et au Vatican comme des mécréants plus dangereux que les protestants. M. de Daru serait bien aisé de relever l'ambassadeur, mais l'empereur n'en veut pas entendre le premier mot quand on lui en parle. En continuant ainsi, la France peut devenir la fable du monde.

J'ai dit à Monseigneur Dupanloup que je crois cette ingérence diplomatique de la France inopportune et peut-etre meme nuisible, car le « Canoniste ~ français aura beau protester contre toutes les extravagances des janissaires de l'infaillibilité tandis que l'occupation française les protège non contre l'Italie qui ne menace pas le Pape, mais contre l'opposition des plus illustres éveques, les plus sincèrement devoués à l'Eglise, sur lesquels pèse bien plus lourdement le poids du pouvoir temporel que du pouvoir spirituel du Saint-Siège. En envoyant à Rome un plénipotentiaire d'une autorité si restreinte et si discutable, que la note de M. de Daru au dire du Cardinal Antonelli lui assigne, la France, je le crains, fera mauvaise figure, et non seulement qu'elle n'empechera pas le mal, mais elle se fera complice des résolutions que la majorité voudra prendre, le Vatican pouvant toujours alléguer contre les représentations du Canoniste impérial que le Pape ne saurait s'opposer à l'inspiration du St. Esprit qui selon la bible, « souffle où il veut ~. Ainsi, je crois, le remède serait pire que le mal, tout en faisant abstraction de la diminution inévitable du prestige de la France. Je regrette donc vivement la démarche faite par le gouvernement français et je voudrais qu'aucun autre gouvernement de l'Europe ne s'associat à cette idée qui, naturellement, porterait un rude coup à leur liberté d'action après le Concile. Si cependant le gouvernement français veut sérieusement prévenir une lutte funeste entre l'Eglise et l'Etat et préserver l'opposition du danger de la majorisation, il ne devrait selon mon humble avis, pas s'humilier par l'envoi à Rome de son Canoniste privé, mais devrait tout simplement rappeler ses troupes au lieu d'en menacer et de s'exposer aux cruelles railleries du Pape et du Cardinal Antonelli qui tous deux savent très bien qu'au fond l'occupation française n'est qu'un moyen de forcer la main à l'Italie pour le cas que l'Empereur dans son intéret personnel se lancerait à corp perdu dans une guerre qu'il ne pourrait soutenir qu'en s'assurant de la coopération active de l'armée italienne dont, malgré les désastres de 1866, il connait la valeur.

De plus, l'occupation de Rome me parait etre une espèce d'épée de Damoclès suspendue au-dessus de la tete du parti libéral. Franchement, je ne crois pas à la conversion de l'Empereur au système parlementaire; je crois plutòt qu'il laisse faire en ce moment, en espérant que les libéraux se compromettront et qu'alors il en tirera profit pour se présenter aux masses encore une fois comme sauveur, non plus de la société, mais de la démocratie de nuance socialiste, peu favorable au parti libéral. Pour ce cas il compte sans doute sur l'Italie qui, malgré elle, tant que les troupes françaises camperont dans le centre du pays, pourrait etre obligée pour ne pas dire forcée de suivre une politique de caprice et d'aventures de l'Empereur. Ce danger disparaitra du moment que la politique italienne regagnera sa complète indépendance par la cessation de l'occupation française de Rome. Pays libre et occupé à se remettre de ses maux financiers et administratifs, l'Italie a salué avec enthousiasme la renaissance libérale de la France et ne demande pas mieux que de rester étrangère à tous les conflits possibles de l'Europe centrale. Quant au Pape, il n'a certes rien à craindre de l'Italie ni pour sa personne ni pour son pouvoir spirituel; si un beau jour, il en est fait du pouvoir temporel, l'Italie sera obligée de prendre ses mesures pour empecher l'établissement de la république à Rome qui mettrait en danger l'unité nationale, mais j'en suis sur, le roi d'Italie n'aura pas d'envie de se fixer à Rome ni d'y jouer la second ròle, le premier étant aux yeux de 25 millions d'Italiens réservé au Pape. Quant à l'indépendance du Pape, il y a toujours moyen de l'assurer, d'autant plus que l'esprit italien, fin, souple, ennemi des extremes, n'alme pas à trancher rudement une question quelconque, mais préfère toute transaction raisonnable à une brusque solution.

Monseigneur Dupanloup m'a écouté avec beaucoup d'égards, m'a fait quelques observations sur la nécéssité du lien qui unit l'Eglise et l'Etat, et ne voulait pas admettre que M. de Daru ait fait une bévue en demandant l'admission de son Canoniste au Concile. J'ai, naturellement, défendu de mon mieux mon opinion et il n'a plus insistè. Ce qui cependant paraissait l'avoir vivement impréssionné c'étaient mes paroles sur les dangers que l'occupation française pourrait porter au parlementarisme. II m'a concédé que la conversion de l'Empereur au parlementarisme pourrait bien etre plus apparente que réelle, et que ma supposition pourrait etre fondée. Tout irait pour le mieux si l'Italie s'engageait à respecter l'indépendance du Pape et à ne pas transférer le gouvernement à Rome. II croit que, cette garantie dùment donnée, l'immense majorité de l'épiscopat français rejetterait le chapitre du Schème qui érige en dogme le pouvoir temporel. C'est une institution camme toutes les institutions humaines; elle peut bien avoir fait son temps; la grande question serait toujours de prèciser les garanties de l'indépendance du pouvoir spirituel du Pape si le pouvoir temporel vient à cesser. Sur ce détail j'ai, comme de raison, gardé une réserve absolue, ne connaissant pas exactement les vues de V. E. sur cette matière. Si cependant V. E. veut bien m'en informer, j'aurai bientòt occasion d'en reparler. II m'a été assez intéressant d'apprendre de Monseigneur Dupanloup que les éveques français de l'opposition, Monseigneur Darboy compris, étaient sur cette question à peu près du meme avis. Je n'ai pas encore pu voir l'archeveque de Paris parce qu'il ne reçoit personne, étant occupé de rédiger ses observations sur le Schème «de Ecclesia Christi '>, lesquelles devaient etre présentées au Secrétaire général du Concile jusque hier, 17, soir. Demain cependant je dinerai avec lui chez Monseigneur Strossmayer, et peut-etre auraije occasion de lui parler.

La séance du Concile d'aujourd'hui était tout insignifiante. Ont parlé le primat de Hongrie, Monseigneur Simor, Monseigneurs Tizzani, Morone et d'autres, tous dans le sens favorable au Schème réformé («de fide»). Les débats continueront mardi, 22 prochain.

La défense du Requiem pour feu M. de Montalembert fait beaucoup de bruit et froisse meme les Infaillibilistes français. J'ai entendu dire aujourd'hui que c'était Monseigneur de Mérode qui voulait donner le Requiem à son beaufrère, et que le Sénat de Rome n'y était pour rien; d'autre còté on insiste sur cette dernière circonstance. Malheureusement je n'ai plus les temps pour vérifier la nouvelle.

P. S. -Au dernier moment j'apprends que Monseigneur de Mérode (qui naguère a eu le malheur de se casser une jambe et se trouve alité) a hier, après la défense du Requiem, immédiatement envoyé au Pape la démission des charges de Cour qu'il occupe.

(l) Ed. in TAMBORRA, pp. 244-246.

334

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2112. Vienna, 20 marzo 1870, ore 18,50 (per. ore 19,15).

Reçu votres dépéches politiques n. 7 e 8 (1), je ne conçois pas comment Beust ait pu supposer une protestation où il ne s'agissait que d'une déclaration. Mon langage me semblait n'avoir laissé aucun doute sur le sens véritable de notre proposition, preuve mes communications successives à V. E. Du reste tout malentendu a du étre écarté après explications contenues dans votre télégramme du 13 courant (2) et données par mai au chancelier de l'Empire. Je le verrai demain, j'exécuterai vas ordres et je rendrai compte par télégraphe.

335

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 541. Berlino, 20 marzo 1870 (per. il 23).

Le Cabinet de Berlin ne se montre pas inquiet de la marche des choses dans l'Allemagne du Sud. Le Gouvernement Badois, quoiqu'il trahisse un certain mécontentement de s'entendre dire que le moment n'est pas encore venu de franchir le Mein, ne déviera pas pour autant de san programme national. Le nouveau Ministre des Affaires Etrangères en Bavière ayant pris part en 1866 à la conclusion du Traité d'alliance offensive et défensive, on espère qu'il fera honneur à sa signature. Sans doute que les excellents rapports qu'il entretenait avec le Comte de Beust, de méme que les idées dominantes dans les Chambres bavaroises, lui imposeront une certaine réserve en ce sens qu'il ne pourra pas accentuer à un égal degré que le Prince Hohenlohe, des sympathies pour la Prusse. Mais, sauf cette réserve, les exigences à elles seules de la situation l'obligeront à persister dans une vaie en dehors de laquelle il se préparerait les plus graves embarras, pour ne citer que celui d'une dénonciation du Zollverein dont la Bavière retire de si grands avantages.

Dans le Wtirtemberg, les particularistes, les ultramontains et les républicains auront peut-ètre la majorité dans le Parlement. Le systhème d'abstention dans lequel s'est renfermé M. de Varnbtihler en présence de l'agitation de ces partis, n'est certes pas de bon augure. On sait que ce Ministre est enclin à caresser la popularité en suite d'un amour excessif du pouvoir. Mais un vote

des Chambres notamment sur des réductions dans le budget de l'armée, ne serait pas plus décisif que ne l'a été le vote des Chambres bavaroises lors de la discussion de l'adresse. On ne réussira pas davantage à donner à ce pays une direction autre que celle où il est déjà engagé.

Il y a peut-étre une dose d'optimisme dans ce jugement si on veut se fier aux assertions très divergentes des rétrogrades ou des impatients en Prusse. Mais, en dépit des obstacles qui s'opposent encore à l'accomplissement des projets du Comte de Bismarck, et lors méme que lui aussi semble parfois perdre de vue ou du moins masquer le but de sa politique, on peut en quelque sorte le comparer à un rameur qui tout en tournant le dos à la rive, sait s'en rapprocher et y aborder quand le moment est venu. S'il n'avait à tenir compte que d'une résistance dans l'Allemagne du Sud, il en aurait facilement raison. Et meme cette résistance, pourvu qu'elle ne dépasse pas de certaines limites, lui vient en aide pour modérer l'ardeur de ceux qui voudraient précipiter le cours des événements sans calculer assez la question d'opportunité.

La diplomatie ne tranche pas les difficultés. Elle les tourne. C'est un service rendu à sa propre cause à laquelle il ménage des transitions dictées par la prudence, et aux intéréts généraux de l'Europe en éloignant et en écartant. si faire se peut, les chances d'un conflit.

(l) -Cfr. nn. 327 e 328. (2) -Cfr. n. 317.
336

IL MINISTRO A MADRID, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. Madrid, 20 marzo 1870.

Olozaga scrive a Sagasta d'aver avuto una nuova conferenza con Daru. Quest'ultimo gli avrebbe descritto la difficile situazione fatta al ministro dalla resistenza del Papa, la qualifica di nuovo di «ostinato acciecamento :.. Olozaga pensa che ciò possa ancora condurre al richiamo delle truppe francesi il quale forse si sarebbe già concertato se non si temesse l'opposizione dei deputati del mezzogiorno. Il Signor S. nel leggermi la lettera ad O. terminò col dirmi, e vi era anche questa volta il Sottosegretario de Blas: «tutto ciò finirà col condurvi a Roma e io ne sarò contento». Ora non bisogna prendere ciò per moneta contante perché conosco la mutabilità delle persone, ma pel momento spira qui aura favorevole per noi in questa questione. Vorrei che non fossero intorbidati i nostri buoni rapporti con altre questioni personali.

Per Tamberlik non le domando che la semplice croce di Cavaliere.

P. S. I giornali fanno l'elogio della di Lei condotta riservata nella questione Romana.

(l) Da ACS, Carte Visconti Venosta.

337

IL MINISTRO A MONACO DI BAVIERA, MIGLIORATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 118. Monaco, 20 marzo 1870 (per. il 23).

Scrissi all'E. V. in un mio recente rapporto che il Conte di Bray avrebbe diramata agli Agenti diplomatici della Baviera una circolare, all'oggetto di spiegare i proprii intendimenti intorno alle cause che produssero la crisi ministeriale, ed avrebbe in pari tempo indicata la linea politica che intende seguire ne' suoi rapporti verso l'Allemagna del Nord. Attinte a fonte sicura più esatte informazioni debbo rettificare le sovraesposte previsioni annunciandole invece, Signor Ministro, che il Conte Bray si asterrà per quanto dipende dalla propria iniziativa da qualsiasi atto che non sia assolutamente necessario e mantenendosi nella più assoluta riserva di parole e di fatto procurerà di conservare lo statu qua; in ciò fare egli si troverà in perfetta armonia colle recenti dichiarazioni del Conte di Bismarck sebbene abbiano una ben differente tendenza le viste di questi due uomini di Stato. Da ciò si può con qualche ragione inferire che il nuovo Ministro di Baviera non solo non penserà a seguire i consigli dei più esaltati fra il partito patriota che lo condusse al potere, i quali vorrebbero la denuncia de' trattati d'alleanza esistenti colla Prussia, ma eliminerà eziandio qualsiasi discussione sulla questione del Casus toederis, sollevata tanto intempestivamente, quanto imprudentemente in seno della Camera medesima allorché si voleva combattere la politica del suo predecessore; egli è troppo accorto diplomatico per non comprendere la grave responsabilità che assumerebbe ponendo la Baviera sopra un terreno d'isolamento ostile verso la Prussia senza poter contare sopra un compenso positivo. Riassumendo pertanto in poche parole il pensiero del nuovo Ministro del Re Luigi II, credo di poter annunciare all'E. V. ch'egli ha la ferma risoluzione di mantenere una politica nazionale basata sopra i trattati d'alleanza conchiusi colla Prussia senza però prestarsi al più piccolo passo verso il compimento dell'unità germanica. Si può pertanto ritenere che la Baviera seguendo una tale condotta contribuirà se non altro al mantenimento della pace europea, per cui l'avvenimento al potere del Conte di Bray si può riguardare come una nuova garanzia contro le velleità de' troppo impazienti agitatori, che sono fortunatamente condannati a Berlino come altrove.

338

IL CONTE VIMERCATI A VITTORIO EMANUELE II (l)

T. Parigi, 22 marzo 1870, ore 13,55 (per. ore 16,50).

Prie Votre Majésté me télégrapher promptement quelles sont ses intentions sur le remplacement de Pepoli à Vienne, c'est pour éviter une démarche qu~>

Empereur d'Autriche veut faire à Votre Majesté en faveur de Lamarmora, ce qui pourrait entraver liberté action de l'Empereur s'il voulait disposer autrement.

Ici Napoléon III se laisse entièrement dépouiller du pouvoir. J'ai écrit à Visconti Venosta (l) de ne faire aucune démarche pour Rome, il faut laisser passer du temps. J'attends réponse.

(l) Da ACR.

339

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2113. Vienna, 22 marzo 1870, ore 20,40 (per. ore 22).

Baron de Beust a accueilli rectification au sujet de notre prétendue protestation et m'a promis de revenir sur ce mot qui s'est glissé incidemment dans sa dépéche au baron de Kubeck en en modifiant la rédaction susdite. Il ajoute qu'il ne s'était jamais mépris sur notre avis et après lecture de votre dépéche confidentielle du 17 courant (2) il a constaté avec satisfaction que nous marchons d'accord sur la question du Concile. Envoi d'ambassadeurs spéciaux ayant été écarté, il croit que le Gouvernement français va proposer une démarche directe des puissances à laquelle il ne manquerait pas de s'associer. Giskra a offert sa démission à cause de dissentiment dans le conseil des ministres sur la réforme électorale et. malgré les sollicitations du Chancelier de l'Empire il parait inébranlable. J'écris à ce sujet.

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IL MINISTRO A CARLSRUHE, ARTOM. AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 182. Carlsruhe, 22 marzo 1870 (per. il 25).

Mi recai oggi a far visita al Signor di Freydorf, Ministro degli Affari Esteri. Il discorso cadde naturalmente sugli avvenimenti seguiti nella Germania del sud, durante la mia assenza da Carlsruhe.

Il Ministro mi chiese quale effetto abbiano fatto a Parigi la proposta Lasker per l'entrata del Granducato di Baden nella Confederazione del Nord, e le dichiarazioni fatte a tale proposito dal Conte di Bismarck. Risposi che l'attenzione della Francia è ora per fortuna rivolta assai più alla politica interna che alla politica estera, e che perciò l'opinione pubblica si era assai meno preoccupata di quella questione che per lo innanzi. Tuttavia non tacqui al Signor di Freydorf che si attribuiscono al Conte Daru rispetto alla Germania le stes

se opinioni che il signor Thiers ebbe campo di svolgere più volte dalla tribuna francese. In generale, diss'io, niuno mette in dubbio il desiderio sincero del Governo imperiale di conservare la pace in Europa. Il regime parlamentare fu salutato dalla Borsa di Parigi con una serie di rialzi sulla rendita francese, perché gli uomini di banca non sono più sotto l'incubo di qualche improvvisa mossa politica, da cui la guerra potesse sorgere ad un tratto. Si può quindi ammettere con qualche probabilità di certezza che la Francia accetti ormai lo statu qua e non cerchi di mutarlo violentemente con segrete alleanze ed altri tentativi aggressivi. Ma sarebbe, a parer mio, un errore pericoloso il supporre che la Francia sia divenuta per l'ultima trasformazione del suo governo, meno diffidente della Prussia e meno gelosa della sua cresciuta influenza politica. Epperciò ogni passo fatto dal Baden verso la Confederazione del Nord, ogni pressione che la Prussia volesse esercitare sulla Baviera e sul Wtirtemberg, ogni divergenza d'interpretazione circa il modo d'applicare gli articoli della pace di Praga relativi alla Germania meridionale, non sarebbero senza gravissimo pericolo per la tranquillità dell'Europa. Se uomini autorevoli, come i signori Daru ed Ollivier dicessero alla Camera francese, l'interesse e l'onore della Francia impongono la guerra alla Prussia, la Camera ed il paese l'accetterebbero senza esitare, perché sarebbero ormai sicuri che la guerra non sarebbe più un artificioso pretesto per fare una diversione agli imbarazzi della politica interna, un modo di eludere le aspirazioni verso un regime liberale.

Tenni questo linguaggio al Ministro degli Esteri perché credo fermamente che sia interesse dell'Italia di rimuovere finché ciò sia possibile ogni pericolo di ostilità fra la Germania e la Francia. Ed avendo avuto spesso occasione di conoscere quanto leggermente si giudichi nella Germania del Sud delle condizioni interne della Francia e della sua politica estera, mi parve sempre utile di far conoscere francamente la verità, perché si sappia almeno quali sarebbero le conseguenze d'un atto irreflessivo. Una delle conseguenze naturali della piccolezza dello Stato, si è di scemar perfino negli uomini politici il sentimento della propria responsabilità: ed io ebbi spesso a temere che il Gabinetto di Carlsruhe compromettesse quasi senza avvedersene il mantenimento della pace, per la smania di fare una politica più grande che non convenga alla Prussia stessa di accordare a questo piccolo stato. Per fortuna v'è altrettanta maturità di consigli a Berlino quanto slancio a Carlsruhe e so che invece di ricevere incoraggiamenti questo Gabinetto si trova spesso esposto a consigli disaggradevoli. Le esigenze della politica interna spiegano, a dir vero, e quasi giustificano le tendenze ultra nazionali del Gabinetto badese. Costretto dal trattato d'alleanza colla Prussia ad aumentare considerevolmente gli oneri militari e finanziari del granducato, il Governo dovè per riescire ad ottenere il voto dei deputati, e per scemare l'inevitabile malcontento della popolazione, appoggiarsi quasi esclusivamente sul partito unitario germanico. È noto a V. E. che il signor Mathi, il solo uomo politico badese la cui fama non fosse circoscritta alla Foresta Nera, dichiarò pubblicamente dopo Sadowa che Baden doveva essere fra un anno membro della Confederazione del Nord, se non voleva ricadere in balia del partito ultramontano e particolarista; quattro anni sono trascorsi dopo

quell'epoca: i ministri fecero eroici sforzi per ottenere l'ingresso nella Confe

derazione del Nord, e non riuscirono a mantenersi al potere che facendo sempre travedere come possibile un avvenimento che la Prussia considera come assai lontano.

Ora la sessione parlamentare volge al suo termine: il bilancio fu votato per due anni, la Camera sarà integralmente rinnovata con nuove elezioni, col suffragio universale, ma a due gradi. Essa però non si riunirà di nuovo che nel 1872, ed in questo intervallo di tempo la nuova organizzazione militare sarà compiuta ed avrà messo radici nel paese. Le difficoltà interne possono dirsi quindi superate per ora, ma risorgeranno più gravi nel 1872. In questo frattempo, dovranno rifarsi a suffragio universale le elezioni pel Parlamento Doganale tedesco. Sarà questa un'occasione pel partito nazionale liberale nel sud di dimostrare la sua forza. Si potrà giudicare allora se veramente, come qui lo si afferma, i fautori della Prussia vanno crescendo di numero e d'influenza, non solo nel Baden, ma anche nel Wtirtemberg e nella Baviera. In questi due paesi però le difficoltà vanno crescendo in guisa, che forse sarà difficile rimandare anche solo al 1872 la soluzione delle stesse. I trattati d'alleanza colla Prussia sono nominalmente mantenuti dal Signor di Varnbtihler ed anche dal successore del Principe Hohenlohe, Conte di Bray. Ma nella Camera wtirtemberghese il partito democratico, nel parlamento bavarese il partito clericale si sforzano di disorganizzare l'esercito, e di eludere così le condizioni essenziali del trattato d'alleanza, il cui vero scopo si è di fornire alla Prussia in caso di guerra contro l'Austria o la Francia, dei corpi di truppe che dovrebbero essere organizzati, vestiti ed armati alla prussiana, come dovranno essere comandati dal Re di Prussia. Se il Gabinetto di Berlino si rassegna e contempla tranquillamente questo lavoro di disorganizzazione, i trattati d'alleanza si troveranno implicitamente distrutti, almeno per quanto concerne la Baviera ed 11 Wtirtemberg. Nel Baden stesso l'influenza prussiana verrà certo scemando, in guisa che sarà difficile al Ministero attuale di mantenersi al potere e di far votare di nuovo nel 1872 le stesse leggi d'imposta e di coscrizione militare, che quasi sarebbero senza scopo. Dall'altro conto se la Prussia asseconda i voti del Baden, o se esercita una pressione troppo apparente sui Governi del Wurtemberg e della Baviera, essa si troverà di fronte alla Francia e all'Austria, sempre pronte a trovare un magnifico pretesto di guerra assumendo la difesa delle popolazioni degli Stati del sud, la cui indipendenza fu in modo formale sancita a Nikolsbourg.

Non è mio ufficio di prevedere in quale modo la Prussia e gli Stati del sud si trarranno dagli imbarazzi di questa situazione. Il Signor di Freydorf afferma che gli eccessi stessi del partito democratico a Stuttgard, del clericale a Monaco costringeranno i Governi di quei due paesi a legarsi maggiormente con la Prussia, ed a cercare un appoggio nel partito liberale-nazionale. Ignoro sino a qual punto questa speranza sia giustificata dalle attuali tendenze di quei due Governi, e lascio ai miei colleghi di Monaco e di Stuttgard la cura di ragguagliare su ciò il Governo del Re. Quanto a me, non volendo lasciare nel Signor di Freydorf l'impressione che il Governo del Re fosse assolutamente avverso alla unificazione germanica, risposi al quesito da lui fattomi, se la Germania dovesse per evitare il pericolo della guerra con la Francia rinunciare per sempre

alla sua unificazione, che a parer mio, l'edificio dell'unità germanica potrebbe aver compimento in modo pacifico soltanto allorché si potrà in tutta la Germania del sud ottenere un plebiscito unanime o pressocché unanime per una intima unione colla Germania del Nord. In questo caso la Francia non potrebbe più senza andar direttamente contro i suoi principii di diritto pubblico interno ed esterno opporsi colle armi alla costituzione spontanea e pacifica d'una nazionalità così vigorosa come la germanica. Citai l'esempio dell'Italia che appunto col plebiscito rispose alle obiezioni fatte dalla Francia alle annessioni delle varie provincie d'Italia: soggiunsi che occorre perciò che accada a Berlino una evoluzione analoga a quella seguita in Francia, vale a dire che l'elemento liberale e borghese prevalga all'aristocratico e militare, e presi congedo dal Ministro degli Esteri esprimendo la speranza che questo idillio d'una soluzione pacifica della questione germanica possa fra qualche anno avverarsi.

S.A.R. il Granduca partì la notte scorsa per Berlino per assistere alla festa del Re di Prussia. Sua Altezza Reale sarà di nuovo a Carlsruhe giovedì o venerdì. Invece la Granduchessa sua moglie rimarrà a Berlino sino al 4 aprile.

(l) -Cfr. n. 293. (2) -Cfr. n. 327.
341

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 14 (2). Roma, 22 marzo 1870.

La séance du Concile de ce matin a été la plus orageuse qu'on ait vue jusqu'à présent. Ont parlé du Schème « de fide ~ Monseigneurs Ginouilhiac, Cardinal Schwarzenberg, Simor primat de Hongrie, l'éveque de St. Louis (Amérique), l'éveque de Civita Vecchia et Strossmayer. Le cardinal Schwarzenberg a été interrompu et rappelé a l'ordre, et le discours de Monseigneur Strossmayer a produit un désarroi inouL Monseigneur Strossmayer a protesté contre la formule « Pius IX approbante Concilio etc. » et a, comme minimum des concessions à faire, demandé l'insertion des mots, judicante et definiente Concilio. II a blamé l es insultes lancées au protestantisme (« Impiae eiusmodi peste impune gradiente » etc.) et soutenu que cela est non seulement historiquement faux parce que des protestants tels que Leibnitz, Guizot etc. etc. ont soutenu les doctrines du Christianisme contre les Athées et les Matérialistes, mais aussi inconciliable avec la tolérance et la charité chrétienne. Il a été 5 ou 6 fois non seulement rappelé à l'ordre par les présidents, mais interrompu par des hurlements des 500 janissaires de l'Infaillibilité lesquels l'ont menacé à poignés et ont fait tant de tapage qu'il ne pouvait pas continuer san discours. En l'état, il a demandé en vain aux Cardinaux présidents de maintenir la liberté de la conscience et de la parole, et a fini par déclarer de « Conciliabule » ce Concile et par protester contre tout décret que cette assemblée pourrait voter comme

arraché aux Pères par la violence et les menaces. La Séance dut étre levée au milieu de clameurs et de vociférations. Le discours de Monseigneur Strossmaycr est le coup de grace donné à l'autorité du Concile. L'opposition a fait des signes d'approbation, mais s'ést tue. La Séance dissoute, Monseigneurs Haynald et Ginouilhaic sont cependant venus les premiers chez Monseigneur Strossmayer pour lui exprimer leurs sympathies; et depuis il y a toute une procession de Pères qui viennent lui faire visite. Cela m'a ennuyé et je m'en suis allé. Demain ou après-demain j'espère pouvoir transmettre une analyse complète de ce discours si remarquable. L'impression en était si forte sur les Pères que les présidents ont oublié de fixer le jour pour la prochaine séance.

On m'assure que, malgré le télégramme de l'Agence Havas, le Cardinal Antonelli n'a non seulement pas répondu par écrit à la note de M. de Daru, mais aussi qu'il ne songe pas méme à y répondre et que le gouvernement français devra bien se contenter de la réponse verbale que M. de Banneville portera en personne à Paris. Les meilleurs amis de l'Italie se prononcent pour la plus complète abstention du gouvernement du Roi et espèrent qu'il ne cédera pas aux instances de la France qui, croit-on, s'efforcera d'entrainer l'Italie dans la voie ou elle s'est mise avec tant d'insuccès.

(l) -Ed. in TAMBORRA, pp. 247-248. (2) -Non si pubblica la l. p. 13 di Tkalac del 21 marzo poiché non contiene notizie di rilievo.
342

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA (l)

L. P. Firenze, 23 marzo 1870.

Ho ricevuto la vostra lettera (2) e ve ne ringrazio vivamente.

Voi sapete che di una cosa sola io potrei alquanto rarnmaricarmi ed è se, qualche volta, scrivendomi, vi rivolgeste al Ministro e non all'amico. Artom mi scrisse pure una lunga lettera (3) e mi riferì le conversazioni avute col Principe Napoleone. Vogliate, vi prego, quando vedrete il Principe, ringraziarlo da parte mia dei suoi consigli e dirgli quanto gli sarò riconoscente se mi permetterà in ogni occasione di poter fare assegnainento sul suo avviso e, occorrendo, sul suo appoggio.

A me pare che noi siamo d'accordo sulla linea di condotta da seguirsi nella questione dell'occupazione francese. L'ultima comunicazione, nei limiti e nella forma in cui fu fatta, non ebbe, parmi, inconvenienti. Essa non tendeva a sollevare direttamente, né, peggio ancora, di straforo la quìstione. La riserva, ne' termini ne' quali fu espressa, rimaneva a mio avviso nella logica della nostra attitudine. Ogni politica, infatti, può avere co' suoi vantaggi anche i suoi inconvenienti. La politica d'astensione è la sola che ora ci convenga, ma, per taluni fatti indipendenti dalla nostra volontà, può avere il pericolo di lasciare compromettere le questioni o di offrire l'apparenza di implicite adesioni.

Allora si può essere costretti a fare o a dire quel tanto che basti per dimostrare che, se non facciamo ancora valere il nostro diritto, non lo dimentichiamo e non lo abbandoniamo. La quistione sarebbe dunque tutta nell'esaminare se le lettere del Conte Daru costituiscono una di queste occasioni.

Quando Artom partì per Parigi io lo pregai di esporvi quale era la situazione nostra, e quale il mio modo di vedere per quanto riguardava la Convenzione di Settembre. Quello che gli dissi allora coincide perfettamente col contenuto della vostra lettera.

Io dissi ad Artom: «Le tendenze del paese in proposito sono ora moderatissime, tutti i partiti sono d'accordo nel far silenzio intorno alla questione romana considerata in se stessa e negli intenti del programma nazionale. Ma anche i più moderati non possono ammettere che si prolunghi indefinitamente, che indefinitamente si accetti una condizione di cose secondo la quale vi sarebbe un Trattato in vigore, ma eseguito da una parte e non eseguito dall'altra. Questa situazione si può palliare per qualche tempo, ma non si può protrarre all'infinito. Inoltre, al punto in cui siamo ormai, la questione non può sollevarsi che per giungere a un risultato, per ottenere cioè l'accordo colla Francia come vivamente desideriamo, o per dar qualche conseguenza pratica e seria al rifiuto che ci fosse fatto. Ma, appunto per questo, è tanto più necessario che per sollevare la questione si scelga un momento opportuno, un momento nel quale il Governo Francese non possa, con fondamento, risponderei mascherando il rifiuto con considerazioni accessorie. Ciò non può dirsi del momento attuale, v'è anzi ora un complesso di fatti che lo rendono particolarmente inopportuno. Le preoccupazioni interne del Governo francese, le incertezze della situazione, il Concilio a Roma e le vive quistioni impegnate diplomaticamente intorno al Concilio, le condizioni stesse del Governo italiano che non ricevette ancora dal Parlamento alcuna manifestazione che ne rafforzasse l'autorità morale, sono queste altrettante circostanze delle quali è impossibile non tener conto.

Ma se non avviene alcun fatto nuovo e imprevisto a introdurre nuovi elementi nella situazione attuale, se le presenti previsioni si realizzano tranquillamente, fra alcuni mesi, alla fine dell'estate o nell'autunno, quando il Corpo legislativo avrà compiuti i suoi lavori, quando il Concilio sarà sciolto

o prorogato, quando il Governo italiano avrà attraversato, in modo favorevole, la sessione parlamentare, allora sarà giunto il momento, per quanto sin da ora si può giudicare, per sollevare risolutamente la quistione.

Sino a quell'epoca conserviamo il silenzio». Questo dissi ad Artom ed è questo ancora il mio piano che vedo con piacere s'accorda colle vostre idee.

Ma non verrà nulla a turbarne l'esecuzione'? Questa è la difficoltà. Per quanto concerne l'Italia, sono, posso dire, sicuro. Nella Camera l'opposizione non desidera impegnarsi sulle questioni estere e si riserba per le interne e per le finanziarie. Il deputato Ferrari mi voleva interpellare sul Concilio, poi ritirò la interpellanza per disciplina al partito, me lo disse egli stesso. Quand'anche l'opposizione mutasse d'avviso e volesse discutere la quistione romana, nello stato attuale delle cose io non mi lascerò neppure con una sillaba trascinare fuori dal campo in cui ci siamo posti e riserberò intera la libertà d'azione del

Governo. Il pericolo sta nelle discussioni al Corpo Legislativo. Il Conte Daru potrebbe in fatti fare delle dichiarazioni, tenere un linguaggio tale da compromettere la quistione dal nostro punto di vista, da obbligarci ad uscire dal nostro silenzio, da non !asciarci ,infine la libera scelta di quel momento che, secondo le attuali nostre previsioni, ci siamo prefisso siccome il più opportuno.

Ma in politica non si possono regolare previsioni troppo lontane, sopratutto quando alcuni de' loro elementi non appartengono all'arbitrio nostro.

La sospensione del debito pontificio, in caso di rifiuto della Francia, è una misura grave, non lo nascondo, perché tocca, sotto certi riguardi, una quistione d'equità, di fede pubblica e di credito. Ma, nel tempo stesso, è la sola sanzione effettiva che possiamo adoperare e che sia tale da non rendere ogni nostra dichiarazione, sul valore della Convenzione, puramente teorica e priva di ogni conseguenza utile per noi e imbarazzante per gli altri. Ad ogni modo bisognerà presentarla in guisa da non ledere la quistione di giustizia, in principio, ma da constatare piuttosto perento o sospeso il titolo della Francia a intervenire in questa quistione, secondoché si voglia considerare sospesa o perenta la Convenzione in seguito del rifiuto della Francia ad eseguirla.

Vedo, dalla lettera di Artom, che al Principe Napoleone parrebbe che il pagamento si debba sospendere puramente e semplicemente senza far precedere questa misura da una domanda al Governo Francese pel ritiro delle truppe.

Si dovrà invece rivolgere prima alla Francia una domanda ufficiale? E in caso di rifiuto si dovrà senz'altre risposte e comunicazioni da parte nostra, sospendere il pagamento? Oppure denunciare la Convenzione? Oppure dichiararla sospesa, lasciando che, nell'un caso e nell'altro, la sospensione del pagamento ne sia la conseguenza implicita? Sono tutte quistioni sulle quali sarà bene rivolgere sin d'ora il pensiero.

Potete ben supporre, carissimo amico, ch'io non guardo con piacere a queste eventualità, penso anzi con tristezza e con repugnanza all'effimero favore popolare che potranno guadagnare al Governo. L'interesse vero della politica italiana sta nella pronta partenza delle truppe francesi dal suolo della penisola. Il raggiungere questo scopo mi rallegrerebbe, e non già l'attitudine che prevedo dovremo prendere appunto perché non ci è dato l'attenerlo. Comprendo bene ciò che v'ha di sterile in questa politica. Ma non si ha sempre la scelta. E nessuno in Italia, neppure i più moderati, ammettono che si possa prolungare indefinitamente la situazione che la Francia ci vorrebbe fare per quanto riguarda la Convenzione del settembre. E quando si pensa che questa politica della Francia è tutta en pure perte, perché Mentana non si può più rinnovare, la sicurezza del Pontefice sarebbe egualmente assicurata, e l'intervento non giova che a compromettere la Francia, a offendere l'Italia e a impedire qualunque riavvicinamento fra noi e il Pontefice! Comprendo anche che una grave freddura fra l'Italia e la Francia sarà, quel giorno, inevitabile e duolmi che tocchi il provocarla a me che rappresento nel Gabinetto l'opinione favorevole all'alleanza francese. Ma il Governo parlamentare ha mutato le condizioni nostre a Parigi, perché infine rispetto moltissimo il Conte Daru, ma penso anche che le battaglie di Magenta e di Solferino non furono date da lui. Qualunque sia il carattere dei nostri rapporti, fossero anche i migliori possibili, è certo che il Governo parlamentare ha pronfondamente modificato la nostra situazione diplomatica a Parigi, il nostro centro e i nostri mezzi d'azione. La vostra lettera spiega perfettamente questo nuovo stato di cose. È naturale dunque che anche l'effetto e il vincolo di certi precedenti si vada attenuando, e che il modo di considerare e di trattare i rapporti internazionali fra l'Italia e la Francia perda a poco a poco quel carattere eccezionale e speciale che ebbe sinora.

(l) -Da AVV. (2) -Cfr. n. 331. (3) -Cfr. n. 332.
343

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 187. Vienna, 23 marzo 1870.

La partenza del Conte Pandolfi, a cui consegno una voluminosa spedizione pel R. Ministero, mi porge il destro di riferire all'E.V. alcune informazioni raccolte in questi ultimi giorni intorno alla questione pendente de' Ducati che sembra si riannodi al recente viaggio del Colonnello Stoffe! a Parigi del quale i giornali han menato tanto scalpore.

L'Imperatore di Russia, al quale l'assestamento della vertenza dello Schleswig sta a cuore nell'interesse dei Reali di Copenhagen, siccome potrebbe farne fede la di lui lettera diretta or son due mesi al Re Guglielmo, avrebbe prevenuto sin dal febbraio ultimo S. M. Danese che una proposizione sarebbe presto stata fatta da Berlino a Parigi in ordine alla questione suddetta. Il Re Cristiano, pur sapendo qual peso dare a simile amichevole avviso, la comunicava immantinenti al signor Moltke, suo rappresentante presso la Corte delle Tuileries, incaricandolo di darne confidenziale contezza al Conte Daru, perché questi, ove la congiuntura si avverasse, si compiacesse intrattenerne il Governo danese, prima di rispondere alle proposte della Prussia.

Ora poi che, incalzato dal partito nazionale germanico il Conte di Bismarck si vede costretto ad agire, e segnatamente dopo il di lui recente rifiuto di accettare per ora nella Confederazione del Nord il Gran Ducato di Baden, assicurarsi che abbia fatto presentire a Parigi ndea di mediatizzare gli Stati che compongono quel concerto, e che, in compenso, sarebbe disposto a definire la pendenza dello Schleswig.

Tale proposta che sarebbe stata recata in Francia dal Colonnello Stoffe!, col quale il Conte Bismarcl{ è in grande dimestichezza, confermando le previsioni della Corte di Pietroburgo non avrebbe sorpreso il Gabinetto francese, il quale, già prevenuto, siccome ho detto più sopra, sarebbe d'accordo con quello di Londra per proporre una Conferenza destinata a regolare la vertenza in parola.

Interrogato da me un alto impiegato del Ministero Esteri sull'importanza che dava a questi rumori riferiti sostanzialmente dal Mémorial Diplomatique, dal Courier du Dimanche ed altre pubblicazioni, mi si rispose eludendo il punto principale della questione, la mediatizzazione cioè degli Stati del Nord, ma esprimendo l'opinione che, ove mai la Prussia affacciasse delle esigenze riflettenti gli Stati del Sud, la Francia non mancherebbe di chiedere lo stretto adempimento dell'Articolo 5 del trattato di Praga. Questa maniera di linguaggio e le frequenti interiezioni cagionate dalle mie interrogazioni, mi fan credere che qui si abbia sentore della cosa; mi risulterebbe inoltre avere il Principe d,i Metternich diretto non è guarì al suo Governo un dispaccio sull'argomento.

344

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 15. Roma, 23 marzo 1870.

V. E. pourra bien s'imaginer l'impression profonde que la scène de la séance d'hier du ConcHe défraie toutes les conversations de salon. Hier soir il y a eu chez M. d'Arnim grand ricevimento à cause du jour de naissance du roi de Prusse. J'y suis allé en compagnie de quelques membres du Corps diplomatique. La conversation n'a roulé que sur l'événement du jour. Nous y avons trouvé grand nombre d'évéques allemands et américains. Leurs recits n'ont pas trop différé du mien. Les évéques allemands et américains ont beaucoup loué l'attitude de Monseigner Strossmayer. Monseigneur Ketteler de Mayence s'en est fait le panégyriste le plus chaleureux, et Monseigneur de Saint-Alban l'a approuvé sans réserve. Monseigneur de Savannah alla ancore plus loin; il a dit que parmi les protestant de bonne foi on trouvait de meilleurs chrétiens qu'au Vatican. Un autre évéque a raconté que l'Eglise de St. Pierre était comble de monde hier matin, et que lorsqu'on a entendu les clameurs dans la Salle du Concile et la sonnette des présidents, quelques fanatiques anglais et français commençaient à crier: «Vive le Pape infaillible » mais la majorité des assistants se mit à siffler et à crier « à bas les noirs » et le domestique d'un évéque hongrois (c'était, camme j'ai appris aujourd'hui, le valet de chambre de l'évéque de Transylvanie, Monseigneur Fogarassy) à poussé les hauts cris et engagé la moltitude à forcer la porte de la salle et à sauver «son maitre et les libéraux » qu'il croyait menacés par les « noirs ». Cette sommation a produit une hilarité générale et a donné lieu à une scène indescriptible. Jamais l'église de St. Pierre ajoutait l'évéque, n'a rien vu de pareil: on n'a cessé de rire et de menacer les « noirs » qui ont fini par s'en aller.

Ce matin, par hasard, je me suis rencontré avec Monseigneurs Haynald et Dupanloup. Ce dernier nous a raconté un épisode de la Séance d'hier qui était tout à fait échappé à Monseigneur Strossmayer. Nombre d'évéques assis près de Monseigneur Dupanloup avaient crié contre Monseigneur Strossmayer «Ecce haereticum, ecce protestantem, condamnemus eum, anathema si t etc. etc.», et un prélat romain, cérémoniaire du Pape, Monseigneur Gastaldi, s'était élancé sur la tribune d'où parlait Monseigneur Strossmayer, et criait qu'il en précipiterait cet hérétique. Le bruit était si grand que Monseigneur Strossmayer n'est pas parvenu à saisir ces paroles; il croyait que Monseigneur Gastaldi

28 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. XII

était venu ouvrir la grille de la tribune pour qu'il pùt descendre. Puisque Monseigneur Dupanloup l'a éclairé sur cet incident, Monseigneur Strossmayer en fera sujet d'une interpellation aux présidents, et demandera aussi une satisfaction publique de la part des évéques qui l'ont qualifié d'hérétique. Et comme il ne se contentera pas de simples excuses et explications il se pourrait bien qu'on allat à une rencontre assez sérieuse. Ce matin, lorsqu'il entrait dans la Salle du Concile, il fut chaleureusement salué par les évéques de l'opposition; et à la séance, ses propos d'hier furent victorieusement soutenus par Monseigneurs de Chalons et de Rio de Janeiro (ou S. Salvador). La séance s'est passée sans autre incident.

Dans l'après-midi beaucoup d'évéques sont venus saluer Monseigneur Strossmayer chez lui. Les Cardinaux Schwa1zenberg et Bonnechose étaient du nombre. Le ministre de Bavière, M. de Tauffkirchen. était venu lui présenter ses hommages.

J'apprends en ce moment que M. d'Eotvos, ministre des Cultes de Hongrie, a présenté à l'empereur d'Autriche le décret de nomination de Monseigneur Strossmayer à l'archevéché d'Agram. C'est un hommage bien mérité mais jamais Pie IX ne conf.irmera cette nomination. Il est toujours douteux que le Pape préconise Monseigneur Ginouilhiac, nommé archevéque de Lyon. Quant aux dernières préconisations, un habitué du Vatican m'a dit le charmant mot que c'étaient «pecora campi infallibilitatis ».

A titre de curiosité on me raconte que dernièrement le Pape a trouvé sur sa table de nuit un paquet d'allumettes « infaillibles » (j'en envoie à V. E. l'étiquette), qui se vendaient à Rome depuis bien longtemps, et, hors de gonds de colère parce qu'il supposait une raillerie de sa fixation, a donné ordre de les confisquer dans les magasins. Aujourd'hui tout le monde s'en moque sans pitié et les Anglais courent les magasins pour acheter de ces boites à des prix ridicules. Tout le monde se moque de cette bévue.

(l) Ed. in TAMBORRA, pp. 248-249.

345

IL CONTE VIMERCATI A VITTORIO EMANUELE II (l)

T. Parigi, 24 marzo 1870, ore 15 (per. ore 18).

Ma dépéche dernière (2) n'avait d'autre but que d'éviter à Votre Majesté des demarches directes de l'Empereur d'Autriche qui voudrait avoir à Vienne général Lamarmora au lieu de général Cialdini. Votre Majesté sait que Lamarmora a brisé en Italie ma carrière que je suis ami de Cialdini, mais ma démarche auprès de Votre Majesté est dans le seui but de lui éviter des ennuis en dehors de tout, et complètement retirée de la politique. J'ai cru donner à Votre Majesté nouvelle preuve de mon dévouement.

(-2) Cfr. n. 338.
(l) -Da ACR.
346

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 542. Berlino, 24 marzo 1870 (per. il 29).

Dans ces derniers temps il a circulé des bruits inquiétants pour le maintien de la paix, camme s'il y avait un retour à des préoccupations belliqueuses qu'on croyait assoupies. On parlait de notes comminatoires du Comte Daru au sujet du discours prononcé par le Comte de Bismarck en réponse aux interpellations du député Lasker, etc.

Le Secrétaire d'Etat opposait un démenti à ces nouvelles propagées surtout dans le but d'encourager les soi-disants patriotes de l'Allemagne du Midi auxquels on laisse ainsi entrevoir que la France n'attendait qu'un bon prétexte de chercher querelle à la Prusse. Il me donnait en meme temps l'assurance que les rapports avec le Cabinet des Tuileries étaient d'une nature satisfaisante.

Au propos je dois signaler un article qui a paru dans un des derniers numéros de la Gazette de Cologne. J'en joins ici la traduction (1). Il m'a été dit de bonne source que s'il avait été publié à l'insu du Gouvernement Prussien qui ne pouvait en garantir l'entière exactitude, cet article n'était pas moins un reflet fidèle de la situation. Il s'agit du langage tenu par M. E. Ollivier sur la politique de la France vis-à-vis de l'Allemagne. Tout en faisant la part de certaines réserves dans le cas où le mouvement unitaire atteindrait son but, ce Ministre se montre conséquent avec les discours qu'il avait prononcés camme député au Corps législatif en 1867. Il manifeste des sympathies pour une telle transformation, pourvu qu'elle s'opère graduellement, sans une pression qui serait contraire à la 1ibre volonté des populations, cette règle souveraine de la politique étrangère d'un grand peuple.

Son programme est-il aussi celui du Comte Daru? Le fait est qu'à peu près vers la meme époque où la Gazette de Cologne ouvrait ses colonnes à l'article précité, des journaux Autrichiens imprimaient une correspondance de Paris attribuant à ce Ministre des Affaires Etrangères des vues d'un tout autre caractère. Il se serait déclaré partisan du système un peu fantastique qu'on appelle l'équilibre Européen. Ce serait la doctrine de M. Thiers qui voudrait sauvegarder les intéréts et les droits de son pays par la faiblesse et la désunion chez les voisins. Ces suppositions ont-elles quelque valeur? Les documents diplomatiques que V. E. veut bien me transmettre ne sont pas assez explicites sur ce point. Je sais seulement par M. de Thile que le Baron de Werther n'aurait eu jusqu'ici aucun motif de douter de la sincérité du Comte Daru quand il se déclare pour la conservation d'une paix qui est dans les besoins de tous. Il est vrai d'un autre còté que si à certains égards la France du Gouvernement parlementaire pourrait étre plus modérée que la France du Gouvernement personnel, elle aurait, le cas échéant, à tenir compte, plus que par le passé, des susceptibilités et des exagérations du patriotisme français.

{l) Non si pubblica.

n est un autre point sur lequel j'eusse désiré transmettre quelques indications à V. E., sur le séjour à Parls de l'Archiduc Albert. Il passe pour ètre très hostile à la Prusse. Avait-il une mission politique? Je n'ai pu obtenir ici aucun éclaircissement à cet égard. M. de Thile ne savait rien, ou feignait de ne rien savoir. Je crois au reste que le Gouvernement Prussien lui-mème manque de données positives, à en juger du moins par l'attitude de son journal officieux qui, en reproduisant des citations d'autres Gazettes sur une prétendue entente entre l'Autriche et la France négociée par l'Archiduc, semblait vouloir provoquer des démentis qui jusqu'icl du moins n'ont pas été donnés par la voie de la presse.

Quoi qu'il en soit V. E. saura sans doute que le Cabinet de Vienne n'est guère en mesure de jouer un grand ròle s'il survenait quelque grave complication étrangère. La division des partis s'accentue toujours davantage dans l'Empire, la position mème du Comte de Beust est loint d'ètre affermie, et qui plus est les 800.000 hommes de l'armée n'existent que sur le papier. En cas de guerre on pourrait tout au plus disposer de 250.000 hommes.

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IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 44. Costantinopoli, 25 marzo 1870 (per. il 1° aprile).

* È qui giunto nella settimana scorsa Nubar Pacha, Ministro degli Affari Esteri del Khédive con la missione di ottenere dalla Sublime Porta l'autorizzazione di entrare in negoziati con le potenze estere sulla sanzione da darsi al rapporto fatto dalla Commissione internazionale sulla progettata riorganizzazione giudiziaria in Egitto.

Nubar Pacha è stato già ricevuto due volte dal Gran Vizir, il quale gli ha dichiarato di non avere alcuna abbiezione sul fondo della quistione anzi essere disposto a secondare le pratiche da farsi perché possano sortire un buon successo. Solo egli crede che a tutela dei diritti sovrani del Sultano, sia necessaria una legge organica, un'iradé, che conceda speciali facoltà ed attribuzioni alla provincia egiziana perché essa possa procedere ad accordi di simil fatta* (1).

Il Generale Ignatieff faceva osservare a Nubar Pacha, ed io concorsi con lui nello stesso avviso, che sussistendo già un firmano, il quale accorda al Viceré di Egitto la facoltà di conchiudere accordi con le potenze estere sopra materie relative agli interessi interni del paese, sarebbe assai miglior consiglio il persuadere la Porta che la riforma giudiziaria va compresa fra le materie accennate nel mentovato firmano.

Nubar Pacha approvò naturalmente siffatta idea e disse che avrebbe tentato dimetterla innanzi, ma non celava di aver poca speranza di vederla trionfare.

(l} Il brano fra asterischi è edito in LV 21, p. 78.

Ed invero io dubito assai che la Porta, poggiandosi soprattutto sulle comunicazioni, che ebbe dalla Francia e dall'Inghilterra in senso opposto, allorché quelle due potenze dichiararono che non sarebbero entrate in trattative con l'Egitto senza la espressa sanzione del Governo ottomano, voglia ora lasciar sfuggire la bella occasione che le si presenta di far sempre più patente al mondo l'alto dominio, che esercita su quella importantissima contrada.

348

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 16. Roma, 25 marzo 1870.

. Je m'empresse d'informer V. E. d'une nouvelle que je viens d'apprendre cet après-midi. Demain, samedi, la Congrégation générale doit voter sur le premier chapitre du Schème, «de Fide», et Monseigneur Manning, avec ses fidèles, va proposer un amendement qui implicitement doit trancher la question de l'Infaillibilité avant méme la discussion du Schème «de Ecclesia Christi » et son appendice sur l'Infaillibilité. On ne connait pas le texte de l'amendement en question parce que ses auteurs se sont engagés à le tenir secret afin de surprendre le Concile; toutefois il a transpiré que cet amendement sera proposé. Si réellement l'amendement est voté demain, je dépécherai un personnage de confiance à Terni pour en informer V. E. par le télégraphe.

Ce matin, à cause de la féte de l'Annonciation, il y a eu Chapelle papale à

S. Maria sopra Minerva. Je suis allé chez un évéque américain qui demeure au Collège Américain, Piazza della Minerva, pour voir le spectacle. Il y avait comme toujours grande pompe militaire, Guardie nobili. Dragons, Chasseurs, Carabiniers etc etc., beaucoup de populace et d'étrangers. J'ai vu sortir le Pape -qui parait très bien portant et montre une joie naYve à ce faste militaire. Toutes les renetres du Collège Arnéricain et de l'Hotel de Minerva étaient garnies de spectateurs -femmes et enfants surtout -et lorsque le Pape sortit, les enfants se mirent à crier «Viva Pio Nono», Ies femmes à agiter les mouchoirs. Sur la piace j'ai entendu crier «Viva Pie Neuf » et «Viva Pio Nono» avec ce charmant accent anglais qui rend l'italien à peine intelligible. Pas de voix italiennes -pas de cris de « Viva il Papa infallibile » bien que ce soit à présent le mot d'ordre -et pas non plus d'enthousiasme. Lorsque le Pape monta en voiture, on prétend avoir remarqué le peu de satisfaction que ces cris lui causaient; je ne m'en fais pas cependant garant parce que je ne l'ai pas vu monter en carosse.

Les évéques allemands et français n'approuvent pas les derniers discours de Monseigneur Strossmayer; ils le trouvent trop violent. Le Cardinal Schwarzenberg qui d'abord l'avait approuvé est revenu hier chez Monseigneur Strossmayer pour lui dire que quoiqu'il admit ses idées, il se sentait obligé de désapprouver sa vlolence. On attribue ce changement soudain à des incitati.ons venues du Vatican. Monseigneur Strossmayer lui a très-bien répondu que, si violence il y

avait, il fallait en rendre responsables les janissaires du Vatican. L'incident de Monseigneur Gastaldi est vidé de la manière la plus convenable. Monseigneur Gastaldi a declé publiquement qu'il n'était monté à la tribune que pour ouvrir la grille parce qu'il lui paraissait que Monseigneur Strossmayer ne pouvait pas l'ouvrir. Quant aux cris «Haereticus, condamnemus te » etc., Monseigneur Strossmayer a demandé aux Cardinaux-présidents par écrit une réparation publique, en disant sans ambages que, si cette réparation lui était refusée, il aviserait s'il pourrait encore rester au Concile. On continue à parler partout de cet incident. Quant au discours, Monseigneur Strossmayer nous l'a lu, à moi et à Lord Acton; je ne le trouve pas assez important pour en donner une analyse après l'avoir très exactement resumé dans ma dépeche n. 14 (l).

Aujourd'hui, à 5 heures, se réunit le comité international chez le Cardinal Rauscher en vue des choses qui doivent se passer demain. J'en informerai V. E. par ma lettre prochaine (2).

(l) Ed. In TAMBORRA, pp. 249-250

349

L'INCARICATO D'AFFARI A YOKOHAMA, ROBECCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 285. Yokohama, 26 marzo 1870 (per. 1'11 maggio).

Devo accennare ad un incidente che rivela vie più come il Governo imperiale sia guidato nella quistione dei Cristiani indigeni da sensi di mera intolleranza.

Dai documenti ch'ebbi sin qui l'onore di comunicare, ai quali ora aggiungo la Relazione dei Governatori di Nagasaki di cui è cenno nel mio rapporto 29 gennaio scorso (3), V. E. rileva come il Governo imperiale sostenga essersi visto costretto a deportare i cristiani dei dintorni di Nagasaki perché erano per ultimo giunti a tale punto d'audacia da ribellarsi alle leggi del paese, sobillati da missionarii, e chiedesse che i Rappresentanti esteri volessero por freno a questi vietando loro d'uscire dai limiti assegnati dai Trattati.

Non avevano i Rappresentanti esteri esitato ad assicurarmelo, ma per rimuovere fin l'ombra di pretesto, vi s'impegnarono per uno scritto a forma di Memorandum, a condizione però che il Governo imperiale riconducesse i deportati alle prime lor sedi, come appare dalla copia che ho l'onore d'acchiudere (3).

Accadde però che il Governo ebbe prove fra gli atti suoi stessi che già i Ministri esteri, quello di Francia in ispecie, il signor Roches, avevano costantemente e a tutto rigore dei Trattati, contenuto i missionarii dall'uscire dai limiti delle concessioni. Ciò visto il Governo dichiarò non aver più ragione d'insistere nel suo gravame contro i missionarii.

Chiesero allora i Ministri che, non sussistendo questo, venissero i cristiani ritornati ai loro villaggi. Ma il Governo ora si trincera dietro l'affermazione vaga

che quegli uomini sono ribelli all'autorità, professano principii e commettono atti contrarii all'ordine pubblico ed ai costumi del paese, e che non potranno esser ricondotti alle loro case se non mano a mano e a misura che si saranno emendati.

Messo alle strette perché dica quali siano in concreto tali atti, e in che debba consistere l'emendazione dei traviati ha finito, per bocca del Ministro Terasima, per concedere che v'ha fra essi atti la professione del nuovo culto contrario alla religione nazionale, e che il ravvedimento ha da consistere nell'abbandono di questo culto, cioè dei simboli e manifestazioni esteriori quali il segno di croce, il battesimo, il convegno ai loro tempii speciali, che ne rendono palese la professione.

Ridotto a questi termini si è dunque fatto manifesto il divisamento del Governo, di voler spingere la sua intolleranza sino ad esigere per mezzo delle violenze l'abbandono d'una diversa credenza religiosa, e unanimi furono i Rappresentanti esteri ad affermargli che la simpatia dei Governi e delle Nazioni che rappresentano, come quella d'ogni popolo civile è acquisita a quei cristiani deportati che preferiranno rimanere fra le durezze del loro confino, anziché abiurare la loro fede religiosa.

Tale è lo stato attuale della quistione, all'ulteriore sviluppo della quale Rappresentanti esteri stanno in attesa delle istruzioni dei rispettivi Governi.

(l) -Cfr. n. 341. (2) -Del 26 marzo, ed. in TAMBORRA, pp. 250-251. (3) -Non pubblicato.
350

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. R. P. 165. Firenze, 27 marzo 1870 (per. il 29).

Il sottoscritto si è procurata la certezza che Mazzini si trova in Lugano, da dove, come lo addimostra il continuo andirivieni di emissarii in sua casa nei trascorsi giorni, e l'essere là ora convenuti i fuggitivi di Pavia e di Piacenza, prepara e dirige i movimenti, coi quali tenta di agitare il paese.

Lo scrivente ne dà avviso alla E.V., affinché, nei modi che stimerà convenienti, faccia conoscere al Governo Svizzero, come la dimora di Mazzini in una città di frontiera sia una continua minaccia di turbolenze per lo Stato nostro, e provochi gli opportuni provvedimenti.

351

IL CONSOLE A LUGANO, CHIORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. P. s. N. Lugano, 27 marzo 1870 (per. il 29).

Dietro i recenti tristi fatti di Pavia, Piacenza etc. essendosi qui fatto osservazione, che da qualche giorno prima scomparvero da Lugano il Castigliani ed il Nathan Giuseppe senza che siano sinora ritornati, io mi faccio un dovere di ciò informare ad ogni buon fine l'E. V., come eziandio, qualora non fosse a di lei conoscenza, che la famiglia di quest'ultimo tiene una proprietà presso il Comune di Bereguardo, Provincia di Pavia, dove abita un suo figlio, e dove, dicesi siavi stato qualche tempo fa il Mazzini.

Da jeri qui giunsero diversi individui fra i quali vi sono di quelli, che dal vederli accompagnati da questi esaltati, che già qui si trovavano. e dal loro portamento vengono giudicati per militari ora fuggiti.

Con quest'occasione poi mi occorre pure informarla, che questo Commissario mi comunicò, che trovasi in Lugano da qualche tempo con sua moglie il nominato De Bei Massimiliano di Sante, da Badia, (Rovigo) indicato al n. 382 nella circolare dei catturandi n. 4 del 1° di questo mese ed anno. Egli tiene un passaporto, dietro il quale ottenne qui la carta di domicilio (1).

352

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI

D. IX. Firenze, 28 marzo 1870.

Il Barone di Kubeck mi ha dato lettura di una circolare del Gabinetto di Vienna nella quale il Governo imperiale espone i suoi intendimenti in presenza dei passi ai quali il Governo francese fu indotto dalle tendenze del Concilio in ordine a materie concernenti la vita civile delle popolazioni cattoliche.

Il Conte di Beust riferisce che il Governo francese ha chiesto a Roma che

non si precipitino i lavori del Concilio né si proceda a decisioni prima che egli

abbia fatto udire la propria voce al Concilio stesso. L'Austria ha fatto vivamente

appoggiare a Roma la domanda ed i consigli della Francia preferendo così una

via indiretta per conseguire lo scopo che essa ha comune col Governo francese

e cogli altri governi. Ma il Gabinetto di Vienna non poteva associarsi comple

tamente alle domande francesi perché non poteva mettersi interamente né sul

terreno della Francia, né su quello della opposizione formata dalla minoranza

dei Vescovi. Il Governo francese, infatti, chiedendo d'essere udito, invoca il suo

concordato colla Santa Sede; all'Austria invece manca questa base per rivolgere

una simile domanda a Roma. Non volle poi il Governo Austro-Ungarico mettersi

precisamente sul terreno della minoranza dei Vescovi convenuti al Concilio sia

perché egli ripugna ad entrare in discussioni d'ordine ecclesiastico, sia perché

non ha ragioni sufficienti di credere che anche in avvenire egli potrà trovarsi

d'accordo con quei prelati sulle varie quistioni che potranno essere discusse,

né sulla condotta che i medesimi potranno in seguito tenere.

Tale è il senso della circolare austriaca colla quale viene chiaramente defi

nita la posizione presa dal Gabinetto di Vienna nella fase presente degli affari

relativi al Concilio.

(l) Annotazione a marg!nP-: «Già comunicato in copia a s. E. Lanza ».

353

IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2121. Berna, 20 marzo 1870, ore 9,45 (per. ore 10,30).

Hier au soir le président de la confédération m'a assuré qu'à la nouvelle des faits de Pavie et de Plaisance le Conseil Fédéral a invité le Gouvernement du Tessin de veiller à ce que les prescriptions de l'ordonnance de l'année dernière concernant les réfugiés et leur éloignement de la frontière soit le plus strictement observée.

354

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERNA, MELEGARI

D. 43. Firenze, 29 marzo 1870.

Il telegramma che V.S. Illustrissima mi spedì stamane (l) annuncia che il Consiglio federale ha impegnato il Governo ticinese, in vista dei fatti avvenuti in qualche città del Regno. a vegliare alla esatta osservanza delle prescrizioni sancite l'anno scorso per rispetto all'allontanamento dei rifugiati esteri dai cantoni di frontiera.

Il Governo del Re non poteva dubitare degli intendimenti leali ed amichevoli dell'autorità federale; ed è lieto di sapere ch'egli abbia già preso l'iniziativa voluta dalle circostanze.

Il Governo del Re ebbe positiva notizia che il Mazzini trovavasi a Lugano parecchi giorni or sono, ossia in quei giorni stessi nei quali accaddero gli ultimi incidenti nelle provincie di Lombardia e di Emilia. Questo fatto non ha bisogno di commenti, ed il Governo federale potrà facilmente rendersi conto dell'impressione ch'esso produce in Italia. Certamente esso non s'accorda coll'ordinanza dell'anno scorso circa l'allontanamento dei rifugiati dalla frontiera italiana.

Il Governo federale sa quali doveri abbia un Governo in presenza degli insani e colpevoli tentativi di questi ultimi gio1·ni e desidera certamente al pari di noi che la condotta delle autorità ticinesi sia di natura a eliminare l'eventualità di spiacevoli complicazioni. Epperò noi abbiamo piena fiducia ch'esso vorrà continuare ad adoprarsi a tale riguardo secondoché gli suggeriranno ad un tempo i suoi stessi interessi e la simpatia di cui ci diede finora prova costante.

La autorizzo Signor Ministro, ad esprimersi con il S.E. il Presidente della Confederazione nel senso del presente dispaccio.

(l) Cfr. n. 353.

355

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 157. Tunisi, 29 marzo 1870 (per. il 2 aprile).

Sono finalmente in grado di dare a V. E. l'aspettata notizia che S.A. il Bey ha mercoledì scorso 23 corrente sanzionata la convenzione passatasi tra due Comitati della Commissione finanziaria internazionale.

Ora si stanno preparando al Bardo le 3 copie autentiche di questo documento per essere quindi rimesse ai membri italiani, francesi ed inglesi del Comitato di controllo, e da essi depositate nei rispettivi Consolati.

Perché dunque la spinosa questione dei debiti tunisini abbia avuto il suo pieno scioglimento non rimane che la classificazione pel debito corrente, ed è precisamente di questa bisogna che sta occupandosi la Commissione. Certo che tale operazione, quantunque fatta colla massima imparzialità e secondo i dettami della più rigorosa giustizia distributiva, darà luogo a non pochi reclami; ma i tre Consoli siamo perfettamente d'accordo di riferirei eziandio su questo punto alle decisioni di essa Commissione.

356

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 19 (2). Roma, 29 marzo 1870.

Dans la séance du Concile tenue ce matin on a voté la nouvelle rédaction du « Proemium » et la Chapitre V du Schème «de fide»; le Proemium à l'unanimitè, le Chapitre V à la très-grande majorité. Tous les amendements ont été rejettés.

Quant au Proemium que j'ai étudié cette nuit, il est évident que les observations faites par Monseigneur Strossmayer ont produit quelque impression sur !es auteurs de ce document, car sans cela on ne saurait expliquer pourquoi ils l'auraient réfondu. Les invectives contre le Protestantisme y sont attenuées; les accusations mitigées et restreintes; les origines du Panthéisme, Athéisme et matérialisme philosophiques ne sont pas directement imputées au Protestantisme comme doctrine religieuse; on y a cependant maintenu la filiation de ces doctrines du rationalisme qui « alors » (« tum », en parlant du Concile de Trente) a envahi le monde. Quelque petites que soient ces concessions, elles me semblent assez importantes dans un moment où l'on désire établir l'infaillibilité pontificale qui, en l'état, se voit obligée de reculer devant un petit évèque croate qui, sans ètre ni grand savant ni infaillible bat en brèche les oracles du Vatican.

Je crains que Monseigneur Strossmayer ne paie bien cher cette déférence. Les év~ques français de l'opposition crient déjà victoire, les allemands et américains sont me dit-on plus soucieux que jamais parce qu'ils supposent une nouvelle ruse du Vatican. J'avoue que je me range de ce còté-ci. Pour le moment je crois qu'on a voulu faire passer le premier Schème à l'unanimité ou à peu près. Au moyen de quelque concessions de forme, on a sauvé le fond. Demain on continuera à débattre et à voter; le règlement réformé a fait sa preuve à merveille et l'opposition est reduite au silence. On m'a parlé de nouveau d'un amendement sur l'infaillibilité; je n'y crois guère, p arce que tout est pr~t à faire entrer l'infaillibilité par la grande porte sans plus avoir besoin de l'introduire par une porte dérobée.

Le fatai incident des deux év~ques et des deux prétres arméniens est confirmé.

On me dit que M. de Banneville ne retournera à Rome que pour présenter ses lettres de rappel. Il sera remplacé par un personnage politique de la couleur de M. de Daru dont malheureusement j'ai oublié de noter le nom, et qui viendrait à Rome rev~tu de la double qualité d'ambassadeur et de Légat de France au Concile; le P ape, di t-on, ayant renoncé à s'opposer à l'admission de Légats des puissances catholiques au sein du Concile.

(l) -Ed. in TAMBORRA, p. 253. (2) -Non si pubblicano le l. p. 17 e 18 di Tkalac rispettivamente del 26 e 28 marzo.
357

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

T. Firenze, 30 marzo 1870.

Nous croyons qu'il est plus conforme à la liberté d'action ultérieure et à celle des Gouvernements de ne pas envoyer d'ambassadeur au Concile, et nous ne suivrons pas l'exemple de la France à cet égard.

358

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2125. Costantinopoli, 31 marzo 1870, ore 12,20 (per. ore 15,35).

Le Grand Vizir a réuni avant hier au soir magistrats pour examiner les propositions de Nubar pacha. Il a signifié hier à Nubar pacha que la Sublime Porte rejetait toutes ses propositions et considère le régime actuel préférable au projet de la commission internationale. Nubar pacha très irrité et désappointé se prépare à retourner en Egypte. J'ai lieu de croire que la France est pour quelque chose dans la résolution de la Sublime Porte.

359

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA. AL MINISTRO A BERNA, MELEGARI

T. 1093. Firenze, 31 marzo 1870, ore 15,45.

Mazzini est à Lugano préparant et dirigeant menées révolutionnaires en Italie. Veuillez appeler sérieuse attention du Gouvernement fédéral sur la non exécution de son ordonnance par le Gouvernement du Tessin.

360

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2127. Parigi, 31 marzo 1870, ore 20,55 (per. ore 22).

Le projet de réponse du Gouvernement français à la dépeche du cardinal Antonelli sera lu demain en Conseil des ministres. Cette réponse doit etre expédiée à Rome au commencement de la semaine prochaine. On pense que c'est M. Armand, chef du cabinet du ministère des affaires étrangères qui sera chargé de la porter. En attendant le marquis de Banneville ne quitterait pas Paris pour le moment.

361

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA

D. 16. Firenze, 31 marzo 1870.

Par vos Dépèches du 16 et du 21 de ce mois (1), vous m'avez informé des démarches verbales que les Agents des Grandes Puissances ont faites auprès de

M. Golesco en faveur des israélites Roumains. Le Gouvernement britannique nous avait déjà fait connaitre ses intentions à cet égard, et il nous avait invité à nous associer aux remontrances que l'Agent anglais à Bukarest était chargé de formuler auprès du Gouvernement Princier.

Nous avons répondu a ces ouvertures de l'Angleterre par une Note dont vous trouverez ci-joint la copie (2). Dans cette note nous avons constaté que l'Agent italien à Bukarest avait reçu, à plusieurs reprises des instructions lui enjoignant de faire auprès du Gouvernement du Prince Charles les démarches les plus pressantes et les plus amicales, afin de l'engager à adopter envers ses sujets professant la religion israélite des mesures conformes aux principes d'égalité qui forment un élément essentiel de la civilisation moderne. Mais le Gouvernement du

Roi a du malheureusement se convaincre que les démarches qu'il avait faites n'avaient pas obtenu le résultat qu'il en attendait.

C'est pourquoi nous avont été amenés à considérer avec le Cabinet de Londres cette question sous un aspect qui donne aux Puissances garantes le droit incontestable de faire entendre leur voix pour assurer de la part du Gouvernement de Bukarest l'application de l'Art. 46 de la Convention du 19 Aoùt 1858, en faveur des Israélites roumains.

Veuillez donc, M. le Baron, non seulement vous expliquer avec M. Golesco dans le sens des instructions que vous avez reçues précédemment, mais aussi lui faire comprendre qu'il importe au Gouvernement du Prince Charles d'éviter que les Cabinets de l'Europe, mus par le sentiment général des nations civilisées, en faveur du principe de l'égalité civile ne donnent à leurs démarches jusqu'ici amicales, le caractère d'une véritable réclamation de droit.

(l) -R. 144 e 146, non pubblicati. (2) -Del 17 marzo, non pubblicata.
362

IL MINISTRO A MONACO DI BAVIERA, MIGLIORATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. XXI. Monaco, 31 marzo 1870 (per. il 2 aprile).

Recatomi stamani al Ministero degli Affari Esteri mi disse il Signor Conte di Bray che il Ministro degli Affari Esteri di Francia avea domandato al Conte Quadt se la Baviera sarebbe disposta ad appoggiare presso il Concilio le riflessioni che il Gabinetto dell'Imperatore è intenzionato di sottoporgli in risposta alla nota del Cardinale Antonelli, e che in caso affermativo gli avrebbe comunicato il documento in discorso. S.E. il Ministro degli Affari Esteri di Baviera soggiunsemi che avendo preso in proposito gli ordini di Sua Maestà avea trasmesso al Conte Quadt una risposta in senso affermativo: che si riservava pertanto di prendere conoscenza di quella comunicazione onde trasmettere al Conte Tauffkirchen a Roma apposite istruzioni. Mi si assicura che il Gabinetto di Berlino sia nelle medesime disposizioni.

363

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1090. Parigi, 31 marzo 1870 (per il 2 aprile).

Avendo avuto occasione di vedere oggi il Conte Daru, gli domandai a qual punto si trovasse la vertenza pendente fra la Francia e la Santa Sede in ordine al Concilio ecumenico. S.E. mi confermò l'arrivo e la comunicazione fattale del dispaccio del Cardinale Antonelli al suo dispaccio del 20 febbraio (l).

«Io aveva domandato tre cose, mi disse il Conte Daru, cioè: 1°) che mi si comunicasse il testo dello schema de ecclesia; 2°) che i canoni in esso compresi non fossero discussi prima di Pasqua; 3°) che il Governo francese avesse facoltà di presentare le sue osservazioni al Concilio per mezzo di un mandatario speciale. La Corte di Roma nella sua risposta stabilisce quanto al primo punto che lo schema in seguito ad una indiscrezione fu pubblicato nei giornali, e che quella pubblicazione è esatta, cosicché non è più il caso di una comunicazione speciale. Il secondo punto è accordato. Lo schema di cui si tratta non sarà discusso prima di Pasqua. Quanto al terzo punto, il Cardinale Antonelli entra in una lunga dissertazione teologica sui canoni, e tenta di dimostrare che la loro votazione non muterà il diritto concordatario vigente tra la Santa Sede e l'Impero francese. Conchiude poi dicendo ch'egli spera che in presenza di queste spiegazioni il Governo imperiale non insisterà per l'invio d'un suo rappresentante presso al Concilio». Seguitando il discorso, il Conte Daru mi disse che questa risposta, soddisfacente pei primi due punti, non lo era pel terzo, ch'egli non voleva entrare in una discussione teologica col Cardinale Antonelli, e che non si preoccupava nemmeno del modo e della forma con cui il Governo francese avesse a far pervenire al Concilio le sue osservazioni; ma che teneva assolutamente a che queste osservazioni pervenissero alla religiosa assemblea. Il Conte Daru sta preparando in questo stesso momento la sua risposta al dispaccio del Cardinale Segretario di Stato. Dal linguaggio stesso del Conte Daru emerge oramai evidente che non si tratta più di inviare a Roma presso il Concilio un Inviato speciale. Il modo poco favorevole con cui quest'idea fu accolta dalla pubblica opinione in Francia ed in Europa, più ancora che la risposta poco soddisfacente del Cardinale Antonelli, consigliò al Governo imperiale di rinunziare a quest'Ambasciata speciale. Il Conte Daru sta ora cercando un altro modo ed un'altra forma per far pervenire al Concilio le sue osservazioni. Queste ricerche si aggirano su tre casi, cioè: l'invio del Marchese di Banneville, ambasciatore ordinario, il quale sarebbe specialmente incaricato di presentare o far pervenire al Concilio le osservazioni della Francia;

o l'invio d'un altro ambasciatore ordinario che surrogherebbe il Marchese di Banneville; o infine la comunicazione che il Ministro imperiale degli affari esteri farebbe al Concilio delle sue osservazioni con una nota scritta che sarebbe depositata o letta da un membro stesso del Concilio, per esempio dall'Arcivescovo di Parigi.

Il Conte Daru mi disse ancora che si attendeva ad essere prossimamente interpellato intorno alla questione del Concilio, sia in seno al Corpo legislativo, sia in seno al Senato; ma soggiunse ch'era pronto a rispondere ed a spiegare senz'ambagi la condotta politica che aveva creduto di seguire finora e che intendeva seguire per l'avvenire intorno a questo grave argomento. Il Ministro imperiale non mi celò tuttavia le sue inquietudini rispetto alle risoluzioni del Concilio. Egli è d'avviso che il Concilio, se prosegue nelle tendenze manifestate finora, provocherà un grave turbamento nella società cattolica.

«Ma, aggiunse egli, quanto a me sono deciso a difendere i due cardini su cui dal principio di questo secolo fino ad oggi si appoggiano la Chiesa e lo Stato in Francia, cioè, il Concordato e il Codice napoleonico >>.

(l) Nigra aveva dato notizie sommarie del contenuto della nota di Antonelll con t. 2119 del 28 marzo.

364

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 20. Roma, 31 marzo 1870.

Hier je n'ai point eu de nouvelles. La séance du Concile n'a offert aucun intérét. A 4 heures il y avait séance du Comité international-qui soit dit en passant a porté le nombre de ses membres à 20 -partant je n'en pouvais rien savoir au départ du courrier.

J'ai profité de mon loisir pour faire visites à quelques évéques français et allemands qui ne sont pas membres du Comité international. Dans la soirée je suis allé voir Monseigneur Darboy avec qui j'ai eu une longue et intéressante conversation.

Je l'ai trouvé fort découragé et hésitant, et peu satisfait de la marche des affaires en France. Il ne me parait pas bien disposé pour les hommes actuellement au pouvoir, quoiqu'il parlàt avec beaucoup d'estime de M. de Daru dont il vantait le dévouement pour l'Eglise. Il me dit ne rien savoir au sujet de M. de Banneville, qui serait un diplomate de mérite et excellent homme, mais qui ne serait pas fait pour le poste de Rome. Si, comme on dit, il est remplacé à Rome par le due de Broglie, l'Eglise française n'y aurait cependant pas trop à gagner.

M. de Daru insiste à l'admission d'un Légat de France au Concile, personne ne sait si le Pape y adhérera, le langage du Cardinal Antonelli sur ce point est toujours si ambigu qu'il ne permet pas de deviner la résolution définitive du SaintPère. Bien qu'on parle toujours d'une note verbale du Cardinal Antonelli en réponse à la communication de M. Daru, Monseigneur <Darboy dit qu'il n'y croit guère parce que le Pape évite de se lier les mains. L'archevéque de Paris convient au reste, que le Légat ferait piteuse figure au Concile.

La conversation arrivée à ce point, j'ai saisi une tournure opportune pour toucher la question de l'occupation française. J'ai dépeint les déboires et les avanies qu'on fait subir à l'épiscopat, la fausse sécurité dont se berce le Vatican dans l'opinion de commander à son plaisir les armées de la France, et les dangers qui ne tarderont pas à en résulter pour l'Eglise. Nous discutions, Monseigneur de Paris admettait la justesse de mes observations, mais il croyait -ou feignait de croire -qu'au point où en sont les choses le rappel des troupes françaises ne changerait rien à la situation. Il désapprouvait, partant, la menace de M. de Daru, car-et je ne sais si cela est un aveu ou un mot échappé dans la vivacité de la conversation-«le Pape et le Cardinal Antonelli savent que l'occupation française est une mesure politique qui n'a rien mais absolument rien à faire ni avec l'Eglise ni avec le pouvoir temporel ». Voilà, fis-je, en souriant, précisément l'opinion de l'opposition avancée chez nous, et l'éternel obstacle d'une entente cordiale entre les deux nations. L'empereur me parait se tromper sur les conséquences de cette politique de méfiance envers l'Italie. Il affaiblit l'autorité du parti modéré, le seul partisan de l'alliance française, et si un jour, il a besoin de l'alliance italienne, il se trouvera en présence d'un gouvernement qui ou ne pourra

ou ne voudra pas lui préter son appui, et d'un peuple exaspéré de voir l'étranger disposer de son pays et lui refuser ce qu'il croit son droit et le palladium de son indépendance. Monseigneur Darboy s'est borné à me parler des sympathies et des bonnes i:.1tcntions de l'empereur pour l'Italie et de l'impossibilité où il se trouverait à présent de ne rien faire sans le concours de ses rninistres. Voyant l'embarras de l'Archévéque, je n'ai pas insisté, et la conversation se dirigeait sur le Concile. Il serait oiseux de la résumer. Monseigneur de Paris était trè.s-boutonné; sur la question de l'Infaillibilité il me paraissait avoir pris son parti: impossible de l'empécher, et partant la subir avec tant de gràce que possible. Je persiste à croire que le fantòme du chapeau de Cardinal a opéré son miracle sur lui aussi. Sa défection est d'autant plus déplorable qu'elle entrainera tout le tiers-parti de l'épiscopat français. Il m'a cependant expliqué son hésitation par l'esprit ultramontain qui règne chez le clergé français et qui fait que les chapitres des évéques oppositionnaires continuent à envo;rer au Concile des Adresses en faveur de l'Infaillibilité combattue par leurs évéques.

Dans le séance du Concile d'hier, en suite de la protestation de Monseigneu::Strossmayer, les présidents ont promulgué un Montoriurn qui défend toute manifestation de désapprobation qui offendrait la charité chrétienne -satisfaction si l'on veut, mais assez insignifiante et équivoque, les commandements de la Charité chrétienne se trouvant abandonnés au bon plaisir des Cardinaux-présidents. C'est pour cela que dans le Comité international les éveques français ont proposé de rédiger une protestation contre ce Monitorium camme insuffisant pour sauvegarder les droits de la minorité, et pour dernander la défense absolue de toute manitestation d'approbation et de désapprobation des orateurs. La proposition a été approuvée, et Monseigneur Dupanloup a été chargé de rédiger la protestation.

La séance du Cornité international tenue hier a été extrèmement importante. Monseigneur Strossmayer a proposé de rédiger une protestation contre la tendance de la rnajorité du Concile de faire des décrets et des Canons en rnatière de la foi et des moeurs par la majorité numérique des votes tandis que tous les précédents des Conciles antérieurs demandent l'unanimité morale de l'assemblée. Monseigneur Hefele s'est immédiatement associé à Monseigneur Strossmayer et après des débats très vifs, on est tombé d'accord sur la déclaration suivante qui doit étre rédigée par Monseigneurs Hefele et Ginouilhiac et présentée au Pape lorsque le Comité international croira arrivé le moment le plus opportun. Il a aussi été décidé que, si le Pape ne répond pas où s'il se réfuse à adhérer à la déclaration assumerait le caractère d'une protestation solennelle et serait renouvelée dans la première Séance publique du Concile.

Cette déclaratio n do i t établir:

l) Que le Pape n'a pas le droit de décider en matière de la foi et des moeurs si un nombre considérable d'évéques s'oppose à telle définition, tel décret, ou tel Canon.

2) Que le Pape n'a pas le droit de se ranger du còté d'un parti existant au sein du Concile et de sanctionner les résolutions prises par ce parti en opposition avec un nombre considérable d'évèques, pas plus que de constituer le Concile avec le concours d'un seul parti à l'exclusion des autres.

3) Que, par conséquent, des décisions prises dans une forme contraire au droit et aux traditions de l'Eglise n'ont pas de force obligatoire pour les Pères qui protestent contre elles ni pour le fidèles des diocèses dont les évèques ont protesté.

Ces décisions dont la gravité n'a pas besoin de commentaire ont été prises à l'unanimité du Comité international qui a aussi délibéré de se réunir plus souvent que jusqu'à présent. Le langage résigné de Monseigneur Darboy me fait cependant croire qu'il ne s'attend pas à un résultat satisfaisant de cette déclaration qui, je crains, ne trouvera pas beaucoup de signataires dans les conférences nationales. Mais quoi qu'il en soit, par cette déclaration le Schisme me parait ètre déclaré en toute forme.

(l) Ed. in TAMBORRA, pp. 253-255.

365

L'ABATE PAPP ALETTERE AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. Montecassino, 31 marzo 1870.

Perdoni la mia improntitudine; ma gli affetti del cuore quando sono fecondati da un'altissima idea diventano una forza, alla quale solo Dio può resistere. Il suo discorso, fatto alla Camera, rispondendo al De Boni ha provocato in ogni cattolico ed italiano un sentimento di nobile orgoglio, di alta indipendenza e di splendidi.ssima luce. Io e questi miei confratelli che abitiamo questo monte, dove si fecondò il germe di quell'avvenire che è il nostro presente. Le mandiamo un caldissimo saluto di ossequio, gratitudine ed affetto. Ella ha saputo mostrare al mondo che l'Italia è maestra di verità sociale. Ella ha saputo ritrarre dove è la soluzione del nodo apparente ed artificiale della questione politico-religiosa elevandosi al di sopra di pregiudizi e delle passioni di partito. Si, la libertà di coscienza e la separazione --o meglio assoluta distinzione -della Chiesa dallo Stato, sono i due principi della nostra civiltà che ridoneranno la purità e la sanità alla Chiesa, il libero svolgimento alla società. Una Chiesa dello Stato -ufficiale è la negazione della Chiesa fatta da Cristo; uno Stato teocratico è pure la negazione della società come Crist::J la volle libera ed indipendente. La sua dichiarazione è l'affermazione religiosa e sociale della dottrina di Cristo. Il suo vaticinio è una profezia. Da questo monte p:·eghiamo ed operiamo perché si avveri nel fatto in tutte le conclusioni (2).

<<Non la ringrazio solo per le parole così cortesi e indulgenti ch'ella m'ha fatto l'onore di rivolgermi, La ringrazio soprattutto perché la Sua lettera mi ha 'commosso vivamente e mi ha fatto del bene. Avrei voluto che le esigenze parlamentari, il tempo e l'opportunità mi concedessero di meglio esporre quello che è un profondo riconoscimento..Ho desiderato, sino dai primi anni della mia gioventù, ho sospirato un'Italia ricostituita. ~. padrona di sé, e ora che la nostra generazione ha avuto questa rara ventura di veder compiuta la sua impresa, come non preoccuparsi delle condlzhmi morali di questa società Italiana che ha riacquistato forma ed anima di nazione? · .

Ora è certo che una grande causa di turbamento per queste condizioni morali sta nel doloroso antagonismo che si vuoi porre fra due sentimenti che Dio pose egualmente nel cuore dell'uomo, l'ideale religioso e l'affetto della patria.

29 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. XII

(l) -Da AVV, ed. in MORI, p. 596. (2) -Visconti Venosta rispose con la seguente lettera senza data, anch'essa conservata in AVV, edita in MORI, p. 597:
366

IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2130. Berna, 1° aprile 1870, ore 14,50 {per. ore 16,05).

Conseil fédéral invite de nouveau le Gouvernement du Tessin, conformément à l'ordonnance fédérale, d'éloigner Mazzini et ses complices. Si vous savez le lieu où Mazzini se cache veuillez l'indiquer.

367

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO (l)

D. 45. Firenze, 1° aprile 1870.

bai vari rapporti da Lei trasmessimi ho potuto formarmi un concetto abbastanza preciso dell'accoglienza fatta da alcuni Gabinetti europei al progetto di riordinamento giudiziario proposto dal Governo egiziano ed emendato dalla Commissione internazionale. La S. V. è stata messa in grado, col mio telegramma del 16 marzo (2), di far conoscere a S. A. il Khedive che, accettando in massima la riforma proposta, noi riservavamo la nostra opinione sopra le singole proposizioni fatte dalla Commissione internazionale. Ella ha potuto inoltre dichiarare al Governo egiziano che, a nostro avviso, l'accordo di tutte le Potenze è indispensabile per introdurre una tale riforma. Noi andiamo lieti che le comunicazioni fatte dalla S. V. nel senso di quelle istruzioni, siano riuscite gradite al Khedive ed al suo Governo.

Intanto Ella avrà veduto, dal mio dispaccio dell'l! marzo n. 44 di questa serie (3), come il Governo del Re si preoccupasse particolarmente di sapere quali trattative fossero state intavolate fra l'Egitto e la Sublime Porta in ordine a questo affare. Tale nostra preoccupazione si trova oggi pienamente giustificata dalle notizie telegrafiche che ci vennero trasmesse da Costantinopoli ( 4). In seguito ad una riunione di apposito Consiglio, tenutasi il :w marzo in quella capitale, il Gran Vizir ha notificato a Nubar Pascià che la Sublime

Purtroppo, non ho alcuna difficoltà a riconoscerlo, sembra che, fra le peripezie della lotta, essi abbiano lasciato !mpall!dire la politica del Conte di Cavour. Non è una ragione di più per tentare, con forze certamente impari all'assunto, ma con animo pio e convinto, il culto della grande liberale tradizione lasc!atac! dal grande uomo di cui l'Italia avrebbe ancora tanto bisogno.

Chi seguita questa via si trova posto fra le opposte condanne di due partiti estremi, fra due contrarie intolleranze. Per questo le sue parole, R. Padre, mi sono riuscite di grande conforto e per l'autorità della persona che me le scriveva e per quel sentimento di pace e di grandimemorie che si riunisce al luogo da dove furono scritte ».

Porta respingeva quelle proposte. Essa considera il regime attualmente in vigore in Egitto, come preferibile a quello proposto dalla Commissione internazionale. Ci si annunzia contemporaneamente che Nubar Pascià si disponeva a ritornare in Egitto *malcontento dell'esito della missione che egli era andato a compiere presso la Porta ottomana *.

In questo stato di cose è indispensabile che il Governo di S. A. il Khedive ci faccia conoscere le deliberazioni che egli intende prendere, *e, perché da noi si possa apprezzare lo stato vero della quistione, sarebbe cosa utilissima che il Governo vice-reale ci facesse conoscere le domande che ha fatto alla Porta e la risposta precisa che gli venne data dalla medesima*.

(l) -Ed., ad eccezione de! brani fra asterischi, in LV 21, pp. 77-78. (2) -Cfr. n. 325. (3) -Cfr. n. 309. (4) -Cfr. n. 358.
368

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

R. 46. Costantinopoli, 1° aprile 1870 (per. l'B).

Ho avuto l'onore di riferire per telegrafo (2) a V. E. la decisione presa dalla Sublime Porta di respingere in toto le proposte, che Nubar Pacha era stato incaricato di fare da parte del Khédive sul parere emesso dalla Commissione internazionale cor..vocata in Alessandria per esaminare lo stato dell'organizzazione giudiziaria in Egitto.

Un rifiuto sì radicale e perentorio ha destato qui non poca sorpresa. In una conversazione, che ebbi col Gran Vizir pochi giorni dopo l'arrivo di Nubar Pacha, Sua Altezza non si mostrò punto avverso in principio alla progettata riorganizzazione, che egli risguardava anzi come un precedente da potersi invocare a tempo opportuno pel resto dell'Impero, e solo mostravasi preoccupato del modo con cui avrebbe potuto mandarsi ad atto.

Ho detto già a V. E. nel precedente mio rapporto in data del 25 marzo u.s.

(n. 44 serie politica) (3) che in questi sensi stessi erasi Aali Pacha espresso nei primi abboccamenti che egli ebbe con Nubar Pacha e con gli altri esteri rappresentanti.

Seppi poi *dal Consultore legale del Ministero degli Affari Esteri, signor Parnis incaricato di fare al Gran Vizir un rapporto ragionato sul lavoro della Commissione internazionale,* che la Porta faceva obbiezioni sui tre punti seguenti:

!O) Essa non trovava giusto che il numero dei giudici esteri fosse maggiore di quello degli indigeni. 2") Non poteva ammettere che i litigi in cui venisse ad essere implicata l'Amministrazione egiziana fossero deferiti ai nuovi tribunali così organizzati. 3°) Né infine che fossero questi tribunali competenti

a giudicare di materie relative a beni immobili. Salvo questi tre punti adunque, su cui la Porta si riservava chiedere si facessero delle modificazioni, non si prevedeva che potessero sorgere serie difficoltà pel buon esito della missione affidata a Nubar Pacha.

Ei pare però che il Consiglio dei Ministri, convocato ad hoc dal Gran Vizir abbia risguardato le cose soltanto dal lato politico e sia stato di avviso che non convenga per niun conto che si faccia all'Egitto a riguardo dell'organizzazione giudiziaria una posizione eccezionale. Esso ha opinato, che sarebbe questo un passo di più fatto verso quell'indipendenza totale, cui il Khédive è accusato di aspirare e che la Porta non deve dal suo canto incoraggiare.

Il Consiglio insomma si è appigliato alla famosa massima del tutto o niente, ed è stato quindi di parere, cne se il progetto di una riorganizzazione giudiziaria sulle basi del rapporto della Commissione Internazionale non è per ora attuabile in tutto l'Impero, non si debba mettere in pratica in una sola parte di esso.

I Rappresentanti tutti delle potenze estere, non escluso quello di Francia cui da qualcuno attribuivansi secreti moventi avversi, sonosi mostrati dolenti della risoluzione presa dalla Sublime Porta. Nubar Pacha se ne mostrava puranco afflitto, ma mi disse ieri sera che non aveva ancora perduto ogni speranza e volersi qui trattenere qualche altro giorno.

(l) -Ed., ad eccezione del brano fra asterischi, in LV 21, pp. 78-79. (2) -Cfr. n. 358 (3) -Cfr. n. 347.
369

IL MINISTRO A MONACO DI BAVIERA, MIGLIORATI. AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 120. Monaco, 1° aprile 1870 (per. il 3).

Nella discussione apertasi in questi giorni alla Camera de' Deputati sui crediti chiesti dal Ministro della Guerra per il bilancio biennale 1870-71 il deputato Schleich (conservatore) chiedeva al Governo se la Baviera trovasi ancora padrona di se stessa, se era ancora libera di formare il suo bilancio militare secondo le proprie forze, secondo quel sistema che meglio si addice ai suoi bisogni oppure se trovasi obbligata a seguire le norme che le vengono additate dalla Prussia, se insomma puossi già riguardare la Baviera come moralmente annessa alla Corona degli Hohenzollern.

Il telegrafo avrà già recato alla conoscenza dell'E. V. che il Conte di Bray cogliendo di balzo quest'occasione reputò non dover maggiormente indugiare a far conoscere la propria opinione sulla situazione della Baviera; egli pronunciò un breve discorso che dobbiamo riguardare come il suo programma politico, esso proclama la necessità della conciliazione all'interno, e tende a far scomparire apprensioni che, a suo dire, non hanno ragione di essere. Dice che l'Amministrazione attuale non è, e non vuole essere l'espressione di un partito politico, senza però credersi al dissopra di essi; reserva al Sovrano soltanto la prerogativa di elevarsi tanto alto. Queste parole furono riguardate come una insinuazione diretta ad alto personaggio che sembrò nell'ultima crisi ministeriale non aver molto a cuore tali principii costituzionali.

Riguardo alla politica estera disse essere tracciato alla Baviera un cammino piuttosto angusto dal quale crede opportuno non uscire. Esistono trattati reciproci che è d'uopo rispettare e dall'altro lato abbiamo il dovere di conservare intatta l'indipendenza del nostro paese e la nostra libertà d'azione; ciò dicendo il Presidente del Consiglio ebbe cura di protestare contro l'idea emessa dai deputati dell'opposizione che la situazione attuale della Baviera non sia tenibile, ed emetteva invece la convinzione ch'essa sia inattaccabile, poiché le minacce che si volgerebbero contro di essa potrebbero provocare complicazioni europee cont.::o le quali dovrebbe pur cedere la potenza la più forte, sembra pertanto essere fortissima nell'oratore la convinzione che lo statu quo non possa venire pel momento alterato, perché travasi difeso dagli interessi politici che si sostengono al di là del Reno.

Mi permetterò di chiamare specialmente l'alta attenzione dell'E. V. sulle ultime parole colle quali il Conte di Bray termina il suo discorso, quando dichiara che i trattati esistenti colla Prussia non hanno alcun carattere offensivo ma uno scopo puramente difensivo. Ma per dare poscia una definizione più chiara ancora alla frase con cui dice: «vogliamo essere tedeschi, ma vogliamo pure rimanere bavaresi:>, mi basterà citare una risposta che il Conte di Bray avrebbe in questi giorni data ad un personaggio con cui discuteva la odierna situazione della Baviera «Je serai toujours allemand vis-à-vis de l'étranger, mais je me maintiendrai bavarois vis-à-vis de l'Allemand :~>.

370

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 21. Roma, 1° aprtle 1870.

Le baron d'Arnim vient de me faire une confidence que je m'empresse de porter à la connaissance de V. E.

Lorsque le Schème «de fide catholica » avec son « Proemium » a été distribué, M. d'Arnim adressa à son gouvernement une dépeche dans laquelle il lui exposa que les insultes lancées dans ce triste Proemium contre le Protestantisme impliquant une injure personnelle infligée aux princes protestants il croyait venu le moment de sortir avec éclat de la politique expectative gardée jusqu'ici par le gouvernement prussien et de montrer au Saint-Siège que le roi et le peuple prussiens ne se laisseraient pas impunément insulter. Il proposa en conséquence d'etre autorisé par son gouvernement à déclarer au SaintSiège que, si le Proemium est voté par le Concile, la Confédération du Nord

romprait immédiatement ses relations avec la Cour de Rome, que lui M. d'Arnim demandel'ait ses passeports et que le gouvernement prussien inviterait ses évéques à retourner sans délai dans leurs diocèses sous peine de suspension de leurs « temporalia ».

Cette dépéche envoyée à Berlin par un courrier extraordinaire était arrivée à sa destination Jundi, 28 mars. Le lendemain, 29, il y a eu conseil des ministres à Berlin qui cependant n'eut pas de résultat parce que M. de Bismarck n'était pas disposé à brusquer l'affaire. Le surlendemain 30, le roi prit énergiquement la partie de M. d'Arnim et dans la soirée fut autorisé par le télégraphe à agir en conformité avec sa proposition entièrement approuvée par le roi et les ministres.

M. D'Arnim parait supposer que sa démarche ait exercé quelque influence sur le sort du Schème « de fide » et notamment sur les changements introduits dans le Proemium. Cet avis me parait peu fondé à moins d'admettre une indiscrétion de la part du personnel de la légation, soupçon que M. d'Arnim exclue absolument; car la nouvelle rédaction du Proemium a été distribuée vers la fin de la semaine dernière et la votation a eu lieu dans la séance du Concile tenue mardi matin 29, partant avant le premier Conseil des Ministres tenu à Berlin. Je n'ai pas insistè sur ces inexactitudes chronologiques pour ne pas mettre à une épreuve trop rude l'amour propre du diplomate allemand dont je me suis borné à louer l'esprit d'initiative et les bonnes intentions.

On m'a hier demandé le texte du discours que V. E. a fait à la Chambre sur le Concile. Comme depuis mon départ pour Rome je n'ai plus vu aucun journal non romain -car on ne m'en envoie pas, quoique j'aie besoin d'étre renseigné sur ce qui se passe en dehors de Rome -j'étais en grand embarras de n'en rien savoir et partant de ne savoir rien répondre.

Aujourd'hui, il y a eu séance du Concile. On a voté sur l'ensemble du Chapitre 1er du Schème <<de fide» et continué la discussion jusq'au chapitre 4e. Monseigneurs Mermillod de Genève et Gastaldi ont foudroyé la science lai:que et par conséquent impie; Monseigneurs Ginouilhiac et l'Archevéque d'Avignon l'ont vaillamment déféndue contre ces Abdérites du 19e siècle. Les séances continueront jusque jeudi 7 prochain et resteront suspendues jusqu'au lundi des Paques, 18 avril, jour destiné pour une séance solennelle dans laquelle doit étre proclamé le Schème «de fide». Dans l'intervalle on intriguera, car les Infaillibilistes colportent une pétition demandant qu'immédiatement après le Schème «de fide» soit mise a l'ordre du jour la question de l'Infaillibilité, avant méme la discussion du Schème «de Ecclesia Christi ». Ils espèrent terminer cette affaire dans six semaines et proclamer l'Infaillibilité dans la séance solennelle du lundi de Pentecòtes. Cela fait, le Concile pourra étre prorogé ou dissous sans entrer dans des débats irritants sur le Schème «de Ecclesia » que le Pape pourrait alors promulguer motu proprio après avoir été déclaré infaillible. Je tiens ces rensei

gnements d'un Infaillibiliste pur sang.

Le Pape a permis aux deux év€ques arméniens, detenus aux prisons du Saint-Office, d'intervenir aux Séances du Concile. Ils y viennent en carosse, escortés de deux dominicains, et rentrent après séances dans leur prison. Il leur est défendu de parler à d'autres évéques.

(l) Ed. in TAMBORRA, pp. 255-257.

371

IL MINISTHO A BERNA, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 76. Berna, 2 aprile 1870 (per. il 5).

Appena ebbi dai giornali notizia dei maleaugurati tentativi di Pavia e di Piacenza mi sono recato al palazzo federale per chiedere quali ragguagli si avessero in proposito dalla Svizzera italiana. Il Presidente della Confederazione mi disse: che il Governo del Cantone del Ticino non aveva per anca trasmesso né per telegrafo né per altro modo rapporto alcuno, né intorno a tali tentativi, né intorno ai provvedimenti che intendesse fare per impedire che coloro i quali fossero quindi, come al solito, per cercare un asilo in Svizzera, non avessero a prendere stanza in quel Cantone. Che perciò le autorità ticinesi sarebbero invitate ad osservare quanto più rigorosamente l'Ordinanza che il Consiglio federale pubblicava l'anno scorso al fine appunto di impedire che il Mazzini e i suoi fautori si servissero del territorio svizzero per ordirvi trame contro l'ordine politico stabilito in Italia.

Il signor Dubs continuando poi in forma di amichevole conversazione cercò di dimostrarmi come, malgrado le più diligenti ricerche non si sia mai potuto accertare se, dopo la sua uscita dal Ticino in conseguenza dell'accennata Ordinanza, il celebre cospiratore vi fosse più ritornato come ne era corsa voce, ma che però si aveva ragione di tenere per certo che se più recentemente traversò quel Cantone, non vi si fermò forse che per riposarsi un momento ed andare più oltre in Italia; opinione questa conforme a quella che non ha guari mi espose il signor Welti, c di cui feci già cenno con mio speciale rapporto (l) all'E. V.

Il mio interlocutore aggiunse quindi che, secondo il suo avviso, al momento in cui i tentativi di cui gli aveva parlato avevano luogo, colui che a ragione è reputato averli provocati, si trovava in Italia e non in !svizzera. Mi sono dato cura d'informare sommariamente di quanto precede l'E. V. col mio dispaccio elettrico del 29 ultimo scorso (2).

Son ritornato questa mane alla sede del Governo federale per conferirvi sullo stesso argomento a termini del telegramma ministeriale di ieri sera (3); e non avendo trovato il Presidente della Confederazione assente per non grave incomodo di salute, mi sono abboccato col Consigliere signor Kntisel il quale sovraintende al Dipartimento di Giustizia e Polizia a cui spetta appunto per uffizio di vegliare all'osservanza delle leggi e delle ordinanze emanate per la sicurezza pubblica. Ebbi da lui che, dopo gli eccitamenti già fatti in nome del Consiglio federale al Governo Ticinese, si aspettava da questo un rapporto su quanto formava l'oggetto delle comunicazioni che era stato incaricato di fare al Governo della Confederazione, e che non avendo ricevuto tale rapporto, il Consiglio federale inviterebbe di nuovo le autorità ticinesi a spedire

l chiesti ragguagli ed a far opera per mantenere, occorrendo, vigore all'Ordinanza precitata. Questo eminente magistrato mi diede le stesse assicurazioni che mi aveva non ha guari date il signor Dubs e come questo si appalesò convinto che quando succedevano i lamentati casi, il Mazzini non fosse da qualche tempo già più nel Ticino.

Pose fine al colloquio pregandomi di volergli porgere, se pure ne avessi facoltà, gli indizii che potessi avere di Italia per accertare il fatto della sua presenza a Lugano e per iscoprire presso chi si trovi, colà od altrove, l'uomo che ora vuolsi allontanare dai confini del Regno.

Con telegramma di quest'oggi (l) ho trasmesso a codesto Ministero il sunto della conversazione avuta col signor Knilsel, nella persona del quale siamo usi a riconoscere uno dei migliori amici che abbia, qui, l'Italia.

Rientrato in casa mi sono diretto, senza altro, al nostro Console a Lugano chiedendogli: se il Mazzini fosse colà e dove vi avesse domicilio, e se dopo i casi di Pavia e di Piacenza non sia aumentato il numero degli emigrati italiani nel Ticino. Mi fu risposto immediatamente non sapersi di certo se il vecchio cospiratore fosse colà, ma buccinarsi da alcuni che sia in casa Nathan; ed ascendere gli emigrati giunti nel Ticino dopo i citati casi al numero di venti circa. Porterò domani il contenuto del dispaccio consolare al palazzo federale.

Non dubito menomamente delle buone intenzioni del Consiglio federale a nostro riguardo; ma mi rendo ragione del come colle istituzioni della Svizzera, che l'E. V. ben conosce. non sia per riuscire agevole al Governo della Confederazione il raggiungere l'intento cui mira sinceramente. Questo Governo non avendo alcun rappresentante diretto nei Cantoni, deve necessariamente servirsi delle amministrazioni cantonali delle quali non si può rispondere ugualmente. Inceppate anch'esse dalle locali costituzioni che interdicono ogni provvedimento preventivo, non ha agio a tenere efficacemente mano a che non si violino le leggi di sicurezza pubblica; le quali, del resto, non hanno qui, come in tutti i paesi liberi, altra tutela che nella repressione eventuale.

Per quanto sarà da me, io non cesserò dal provocare tutti gli ordini che crederò più opportuni ad assicurare il mantenimento delle relazioni di buon vicinato fra i due paesi.

(l) -Cfr. n. 240. (2) -Cfr. n. 353. (3) -Cfr. n. 359.
372

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (2)

L. P. 22. Roma, 3 aprile 1870.

Hier soir j'ai rencontré chez le Cardinal prince Schwarzenberg, entre autres, Monseigneur Ricci (Grand Chambellan ou Grand Maitre des Cérémonies du Pape, si j'ai bien entendu) qui, apprenant que je demeure a Florence, a commencé à me questionner sur nos affaires politiques. Il en parla avec assez de

bon sens quoiqu'en exagérant la gravité de nos difficultés intérieures. Je me suis borné à rectifier les inexactitudes de faits sur lesquelles il appuyait; mais lorsqu'il me dit qu'un Etat créé par la Révolution au moyen de la corruption, de la trahison, de la violation des droits les plus sacrés, ne pouvait pas exister longtemps et devait s'écrouler, je lui répondiR que les mèmes crimes qu'il imputait à l'Italie, pouvaient ètre reprochés à tous les Etats du monde dont aucun n'a été fondé sans violer de nombreux intérèts politiques et nationaux, sociaux et particuliers. La conversation devint si intéressante que nous étions bientòt entourés de bon nombre d'évèques allemands, autrichiens et français qui m'ap prouvaient très vivement. Monseigneur Ricci, irrité de cette approbation, posa en prophète et prédit la fin imminente de l'Italie. Je répondis en souriant, que comme toutes notres difficultés intérieures sont fondées dans la séparation de Rome d'avec l'Italie, le jour de la réunion de Rome avec l'Italie démentira les sinistres prévisions de S. E. et achevera la création d'un Etat aussi durable que celui de l'ancienne Rome. Un éclat de rires m'interrompit. «Oui, oui, c'est cela, vous avez raison », disaient les prélats qui nous entouraient et de nouveaux rires de tous còtés. Monseigneur Ricci eut le bon gout de s'associer à ces éclats d'hilarité et de me complimenter de savoir si bien plaider une mauvaise cause. Je protestai courtoisement contre cette qualification d'une cause que je crois la meilleure du monde. Le cardinal Schwarzenberg nous interrompit en me demandant si j'ai lu le discours de V. E. dont il avait connaissance par un télégramme de la Gazette Universelle d' Augsbourg. Heureusement le Chargé d'affaires de Russie, M. Kapniste m'avait prèté avant-hier le numéro de l'Italie portant le discours, et ainsi j'états en mesure de le résumer assez exactement. Les évéques allemands et autrichiens l'ont trouvé excellent, les français n'en approuvaient pas le principe fondamenta!, la séparation de l'Etat et de l'Eglise, et Monseigneur Ricci le trouvait plein de réticences et de menaces indirectes, beaucoup plus dangereuses que les prétentions du gouvernement fra"1çais. Il voulait encore discuter mais je pensais mieux faire coupant court à un débat qui pouvait devenir irritant, par la déclaration que, camme moi, tout le parti libéral trouvera que le discours de V. E. était une inspiration des plus heureuses et plus correctes qu"en l'état on put concevoir, à moins de ne vouloir rétablir une théologie lai"que de l'Etat opposée à la théologie de l'Eglise. La plupart des évèques m'approuva, et Monseigneur Ricci se tut. Nous nous séparàmes en bons amis et Monseigneur Ricci me dit qu'il espérait me convertir à

ses idées.

Hier, dans l'après-midi, il y a eu séance de la Conférence des évèques allemands et autrichiens. Monseigneur Greith, de Saint-Galle dirigeait l'attention de la Conférence sur les discours fait par le Pape aux évéques de la Propagande à la distribution des objets de culte offerts au Pape par les ultramontains belges. (Dans ce discours, publié par les deux journaux romains, le Pape a qualifié l'opposition du Concile de « Pilates » et de « juges de Pilate », et s'est comparé lui-mème à Jesus persécuté et trahi par les siens). Monseigneur Greith a tronvé ce discours « sacrilège impudent et mensonger >-'; il proposa de charger un comité de la Conférence de demander au Pape une audience pour protester contre de pareilles calomnies et injures lancées à l'opposition et pour

rappeler les immenses services que les éveques de l'opposition ont rendus au Saint-Siège depuis 1848. Monseigneur Hefele approuva; Mouseigneur Haynald proposa d'opposer aux calomnies du Pape le silence du mépris. Alors se leva Monseigneur Ketteler pour appuyer la proposition de Monseigneur Greith. Le discours du fougueux évèque de Mayence était de l'extrème violence. «Qui est-ce qui, depuis dix ans soutient le Pape au moyen de soldats, d'argent et de prières, si ce ne so n t pas l es évèques de l'oppositlon? », s'écria-t-il, « Nous autres de l'opposition, moi, Dupanloup, Rauscher, etc. nous sommes devenus la fable du monde à cause de notre dévouement. Tout le monde nous ha!t comme la canaille de la réaction, et nous avons tout subì pour sauver un imbécile, un ingrat, qui aujourd'hui nous qualifie de traitres parce que nous refusons à le proclamer Dieu », et ainsi de suite pendant une demie-heure. Toute la conférence l'approuvait, et la motion Greith fut accéptée avec un amendement proposé par Monseigneur Strossmayer et portant que non-seulement la Conférence allemande, mais aussi les autres Conférences de l'opposition et le Comité international interviennent à l'élection de la députation qui doit se rendre chez le Pape. Aujourd'hui méme le Comité international se réunira pour délibérer sur cette proposition.

(l) -Cfr. n. 366. (2) -Ed. in TAMBORRA, pp. 257-258.
373

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2133. Parigi, 4 aprile 1870, ore 14,50 (per. ore 17).

Aujourd'hui il doit y avoir au Corps Législatif des interpellations sur la question constitutionnelle au sujet du Senatus Consulte. La question d'un plébiscite qui remplacerait ou tout au moins confirmerait le Senatus Consulte semble résolue affirmativement.

374

IL MINISTRO A MONACO DI BAVIERA, MIGLIORATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI. VISCONTI VENOSTA

R. 122. Monaco, 5 aprile 1870 (per. il 7)

Or sono varii giorni l'Allgemeine Zeitung pubblicò un progetto di Confederazione della Germania meridionale, del quale vengono oggi ad occuparsi altri organi della stampa europea fra cui l'lndépendance Belge; essi attribuiscono a questa comunicazione un'origine officiosa ed insinuano che il Capo del Gabinetto di Monaco non è estraneo a questo progetto. Fattami premura di attingere a buona sorgente le necessarie informazioni onde sapere quanto havvi di vero a questo riguardo mi trovo in grado di recare all'alta conoscenza di V. E. che una tale notizia non ha alcun fondamento di verità, e S. E. il Conte di Bray mi dichiarò essere egli ed il Governo bavarese completamente estranei a progetti di tal natura.

375

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R R. 190. Vienna, 6 aprile 1870 (per. tl 14).

Ieri mattina il Conte Potocki arrendevasi alle reiterate sollecitazioni dell'Imperatore accettando l'ufficio di formare un nuovo Ministero, riserbandone ben inteso per sé la presidenza.

Il ritorno di quest'uomo di stato agli affari ed in circostanze sì gravi sembrava in sulle prime dare soddisfazione completa ai Deputati polacchi e sloveni recentemente usciti dal Reichsrath, accennando perfino, siccome ebbi l'onore di dire nel mio rapporto n. 189 (1), alla creazione d'una terza autonomia distinta e, per conseguenza, all'annullamento del dualismo Austro-Ungherese, base della vigente Costituzione; ma l'opposizione del Conte Andrassy, il quale, oltre al vedere compromesso il patto fondamentale e costitutivo del proprio paese, teme, ed a buon diritto il contagio tra le altre agglomerazioni della Cisleitania, e perciò una minaccia di federazione anche al di là della Leita a discapito della nazionalità puramente ungherese, fece si che s'adottasse un temperamento più conforme alle esigenze di tutti, sebbene meno favorevole ai desideri del partito Polacco.

Il piano che il nuovo Presidente del Consiglio si prefigge, se sono bene informato, consisterebbe nei tre punti seguenti:

l) Concessioni liberali ed in certo modo autonomiche alle diverse nazionalità che compongono la Cisleitania, ma conformi ed eguali per tutte senza distinzione di sorta.

2) Dissoluzione immediata delle attuali Diete.

3) Appello patriottico alle popolazioni, raccomandando moderazione ed accordo nelle nuove elezioni, necessitate per ricostituire le Diete senza il concorso delle quali impossibile tornerebbe il riunire le Delegazioni nel prossimo autunno.

Queste disposizioni del Conte Potocki che, probabilmente saranno tradotte in programma ministeriale, incontrano, come era facile l'aspettarsi, la disapprovazione dei deputati cosiddetti dichiaranti, i quali speravano altro che concessioni ed uguaglianza. Essi accusano il nuovo Presidente di debolezza e di troppa compiacenza alla politica di Andrassy, avverso a qualsiasi modificazione contraria al dualismo.

Ma a me pare doversi attribuire ad altra cagione l'apparente arrendevolezza del Ministro polacco. Questo personaggio reintegrato poco fa nel possesso delle sue vastissime terre site in Russia recavasi nel mese scorso a Pietroburga allo scopo di ossequiare lo Czar ed attendere ai propri interessi. Vi trovò egli gratissima accoglienza da parte dell'Imperatore Alessandro e ne ottenne

perfino una concessione di ferrovia destinata ad ingigantire la di lui fortuna già cospicua.

Non è mente mia denigrare il Conte Potocki e distruggere alle leggera i suoi onorevolissimi antecedenti, ma peraltro, è ben verosimile che tanti favori ricevuti non gli concedano di adottare una politica che, destando serie preoccupazioni a Pietroburgo, lo facesse tacciare ad un tempo di ingratitudine.

L'impressione poi ricevuta in questi giorni nei colloqui che ebbi con diversi, m'induce a supporre che sin dalla partenza del Conte per la Russia, un esplicito accordo esisteva tra questi ed il Cancelliere dell'Impero sulle assicurazioni amichevoli da far valere a Pietroburgo. Il fatto del ritiro dei deputati polacchi dal Reichsrath la vigilia soltanto dell'arrivo del Potocki nemmeno sembrami l'effetto d'una mera contingenza. Insomma tutte le indicazioni mi danno il convincimento che il Conte di Beust abbia tessuto tutta quanta la trama già da lunga mano nella eventualità, del resto sospirata, dell'uscita del Giskra e compagni dal Ministero, e che siasi quindi servito dei polacchi, ai quali, come è suo costume, ha fatto intravedere mari e monti per accelerare la crisi ed attuare così il piano già convenuto con Andrassy e Potocki.

La ricomposizione del Gabinetto non sarà pel nuovo Presidente facile impresa; ma non vi figureranno, sembra, nomi emergenti onde il capo possa ripromettersi con maggiore sicurtà il compito prefisso, e che, grazie alla di Lui lealtà, non verrà meno; sarà cosi allontanato ogni sospetto di pressione ed influenza nelle prossime elezioni ed in certo modo la personalità del conte Potocki potrà servire di compenso, pallidissimo è vero, a quei rappresentanti che credevano giunta l'ora in cui Lemberg, Praga, etc., avrebbero avuto un Parlamento al pari di Pest.

Sulla riuscita del nuovo indirizzo del Governo sarebbe per me ardito avventare un parere per la poca conoscenza che ho dei paesi ove spetta all'opinione pubblica di mostrarsi corriva od avversa alle modificazioni imminenti. Ben fortunato, pertanto, potrà stimarsi colui che otterrà di comporre pure una volta le sparse membra di questa Monarchia e farle funzionare siccome corpo sano con mente sana.

(l) Del 1° aprlle, non pubblicato.

376

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 24 (2). Roma, 6 aprile 1870.

Après la séance du Concile d'aujourd'hui Monseigneur Dupanloup est venu me voir et m'a raconté que contemporainement avec l'éveque de Nevers envoyé à Paris par le Cardinal Bonnechose pour sonder le terrain, le Pape a dépeché à Paris l'éveque de Coutances chargé d'obtenir du gouvernement français que, si l'empereur ni voulait absolument pas renoncer à l'iclée d'envoyer un Légat de F'rance au Concile, ce fut le cardinal Bonnechose et non pas un personnage

laYque qui d'ailleurs en aueun cas ne pourrait etre admis. Monseigneur de Coùtanccs mande que sa mission a complètemcnt échoué. Il lui a été répondu que le gouvernement français ne renoncerait point à so n droi t indiscutable; que le Légat devrait ètre un personnage laYque, et que le Cardinal Bonnechose ne saurait ètre jamais nommé à ces fonctions non seulement à cause de la faiblesse notoire de son caractère et de sa fixation de devenir Pape, mais aussi parce que le gouvernement n'entendrait pas offenser l'Archeveque de Paris et le parti dont Monseigneur Darboy est le chef.

Ces confidences expliquent beaucoup des choses qui m'étaient problématiques comme p.e. l'extreme réserve de Monseigneur Darboy au sujet de la question du jour. Au Vatican, me dit-on, l'on avoue avoir fait fausse route, en insinuant au gouvernement français la nomination d'un Légat écclesiastique, car il pourrait bien arriver qu'on fùt contraint d'accepter la nomination de Monseigneur Darboy camme une grande concession du gouvernement français faite au Saint-Siège. La mauvaise humeur du Cardinal Antonelli à l'égard de Monseigneur Darboy se comprend aisément. Quant au Cardinal Bonnechose, Monseigneur Dupanloup m'assure que Son Eminence ne fait pas secret de san ambition d'ètre le successeur de Pie IX, qui cependant, camme hier je me suis convaincu de visu en le rencontrant, ne songe pas à mourir si tòt, tant il se porte bien.

Le Cardinal Rauscher m'a envoyé hier sa brochure (anonyme) « Observationes quaedam de Infallibilitatis Ecclesiae subjecto » qui vient de paraitre en ce moment à Naples (« Typographia Syrenae »). Je l'ai lue avec intérèt. Elle n'est pas élegante camme celle de Monseigneur Dupanloup, mais infiniment plus sérieuse et incisive. C'est un coup bien rude porté à l'Infaillibilité du Pape, et il sera très-difficile de lui parer.

Hier aussi le Comité international ne s'est pas trouvé en nombre et l'an ne Iait que jaser. La séance du Concile aujourd'hui était, à ce qu'on me dit, tout insignificative, parce qu'on n'avait pas abordé le chapitre 4e qui donnera sujet à de vives contestations.

(l) -Ed. in TAMBORRA, pp. 259-260. (2) -Non si pubblica la l. p. 23 di Tkalac del 5 aprile.
377

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA. CURTOPASSI. AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2135. Vienna, 7 aprile 1870, ore 12,20 (per. ore 12,40).

Je confirme adhésion de ce Cabinet à la dépèche du comte Daru. On en expédiera une identique à l'ambassadeur d'Autriche pour ètre remise au Gouvernement pontificai. Le comte Potocky est définitivement chargé de former un nouveau Ministère. Voici son programme selon toute probabilité: concession dans la meme mesure à toutes les différentes nationalités de la Cisleitanie; dissolution des Diètes; appel aux populations pour accord aux prochaines élections. Entente établie, si je ne me trompe, entre Potocky, Beust et Andrassy. Rapport par la première occasion.

378

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2137. Parigi, 7 aprile 1870, ore . . . (l) (per. ore 17,40).

Le comte Daru a communiqué réponse à la note du cardinal Antonelli à toutes les puissances qui ont des représentants à Rome, en leur demandant d'en appuyer les conclusions qui sont au reste retrait ou la modification du Scheme «de Ecclesia ». Je lui ai demandé pourquoi il n'avait pas fait cette communication au Gouvernement du Roi; il m'a répondu en alléguant l'absence du représentant d'Italie à Rome et votre dernier discours qui exclue en principe toute ingérence du Gouvernement du Roi dans les décisions du Concile. Mais il m'a annoncé qu'il m'enverra une copie de sa note à titre de information confidentielle (2). La note sera remise au cardinal Antonelli par le marquis de Banneville. Lord Clarendon approuve la teneur de la note française, et le Cabinet de Bavière enverra à son représentant à Rome instruction de l'appuyer. L'Autriche et les autres puissances ne se sont pas encore prononcées.

379

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (3)

L. P. 25. Roma, 7 aprile 1870.

J'apprends que l'idée d'une note collective des puissances européennes en matière du ConcHe gagne du terrain et que notamment le gouvernement autrichien s'est, camme d'habitude, empressé d'y adhérer le premier. Aussi, m'assure-t-on, le gouvernement italien ne serait-il pas contraire à cette démarche diplomatique.

Comme je n'ai pas qualité de me prononcer sur la politique du gouvernement du Roi, je me suis borné à exprimer mes doutes personnels à ce sujet en me fondant sur les principes que V. E. à exposés dans son dernier discours comme la norme immuable de la politique italienne en matière ecclésiastique. A l'objection, que la France userait de tous moyens d'influence pour entrainer l'Italie, j'ai cru pouvoir répondre que l'influence française n'était pas assez puissante pour faire commettre à l'Italie une inconséquence dans le seul but de tirer la France de l'impasse où elle s'est faufilée par une politique pleine de contradictions, d'inconséquences, de faiblesse et d'arrière-pensée pas trop transparentes. J'ai exprimé l'espoir que le Cardinal Antonelli qui se moque à bon droit de la campagne diplomatique de M. de Daru, n'aura pas sujet de se

moquer de la politique italienne qui, à ce qu'on me dit, l'inquiète infiniment plus que les insinuations et les menaces de MM. de Daru et de Beust.

Quoi qu'il en soit, je prie V. E. de vouloir bien m'informer si ce langage est conforme aux intérets du gouvernement, car je serais désolé de dire, faute d'instructions, quelque chose de désagréable à V. E. dans mes conversations avec des personncs qui, en général, ne sont pas de nos amis politiques.

Aujourd'hui, dans la séance du Concile, on a abordé le Chapitre 4•, du Schème «de fide >J. Lcs débats n'ont pas offert beaucoup d'intéret. L'opposition ménage ses forces pour la discussione du Canon 3", du Chapitre 4", ainsi conçu: « Si quis dixerit licitum esse tenere vel tradere opiniones ab Ecclesia damnatas, dummodo ne sint damnatae tamquam haereticae -anathema sit ». Les Infaillibilistes entendent, au moyen de ce Canon, désarmer l'opposition contre l'Infaillibilité. A son tour, l'opposition se propose de parler et de voter contre ce Canon et de poser de cette façon la question capitale si des décrets conciliaires peuvent etre donnés pas des majorités arithmétiques contre une forte opposition. L'opposition. qui votera contre ce Canon dont l'acceptation par la majorité n'est pas douteuse, sera obligé de repousser pour cela le Schème entier. Si l'opposition reste ferme la crise serait imminente. Monseigneur Martin, de Paderborn, infaillibiliste très décidé, m'a confirmé hier soir que le Schème «de Pontifice Romano» serait mis à l'ordre du jour immédiatement après Paques.

Monseigneurs Hefele et Ginouilhiac n'ont pas encore présenté au Comité international la Déclaration qu'ils sont chargés de rédiger. Monseigneur Hefele me dit que Monseigneur de Lyon est très indécis. La Conférence américaine insiste pour une rédaction d es plus fortes; la Conférence allemande est du meme avis, mais la Conférence française parle de modération, de ménagements, de moyens termes et influence Monseigneur Ginouilhiac dans ce sens. La déclaration ne pourra guère étre présentée avant Paques.

(l) -L'ora di partenza non è indicata. (2) -La nota venne trasmes&a da Nigra con R. 1095 dell'8 aprile, non pubblicato. (3) -Ed. in TAMBORRA, pp. 260-261.
380

IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 77. Berna, 8 aprile 1870.

Sono stato oggi a visitare il Presidente della Confederazione che è ritenuto in casa per un infiammazione dei precordii la quale è stata più grave che i medici non lo aveano creduto dapprima. Ora è in piena convalescenza.

Gli ho tenuto proposito, per quanto il comportava l'oggetto apparente della mia visita, del dispaccio di questa serie n. 43 in data 29 marzo ultimo scorso (l) col quale l'E. V. mi invitava a procacciare che il Governo svizzero tenesse mano a ciò che non fossero trasgredite le prescrizioni dell'ordinanza

federale in quanto concerne il soggiorno dei rifugiati politici italiani nei Can

toni che toccano i nostri confini, prescrizioni che gli avvenimenti di Pavia

e di Piacenza consigliavano di non scalzare. Il signor Dubs conosceva già, per

quanto gliene aveano parlato i suoi colleghi, il tenore della menzionata Nota.

La conversazione su questo argomento non durò lungamente; l'esimio personaggio si riferì su questa materia a quanto prima di cader malato mi avea detto di voler fare, ed a quanto coloro che sono chiamati a surrogarlo nel Consiglio, aveano già fatto, prima già ch'io avessi ad esporre loro, come le circostanze presenti conducessero il R. Governo a sollecitare il Consiglio federale a mantenere eificacia alla accennata sua ordinanza. Nei miei telegrammi e nel mio ultimo rapporto scritto (l) io ho informato V. E. di quanto il signor Kntisel Consigliere Incaricato del Dipartimento di Giustizia e Polizia, mi aveva promesso di fare per provvedere al caso presente, e per cerziorarsi se il Mazzini abbia ordito nel Ticino i lamentati tentativi.

Aggiungerò a quanto precede che il signor Welti il quale conserva così fra i suoi colleghi, come nella Assemblea federale, un gran credito, e che fu l'anno scorso principale promotore e propugnatore della citata ordinanza, non crede che il Mazzini fosse nel Ticino in avanti, né durante, né dopo i moti di Pavia e Piacenza; che le ricerche le più diligenti sarebbero intraprese, con mezzi straordinarii, per accertare il fatto; e che, quando risultasse che il Mazzini avesse abusato del territorio svizzero per turbare l'ordine stabilito in Italia, egli non limiterebbe più la sua proposta all'internamento nei Cantoni Centrali, ma la estenderebbe all'interdizione dal territorio svizzero.

Tocco a V. E. di queste parole del severo Magistrato non tanto per renderla consapevole di quanto può minacciare qui il Mazzini, quanto per dimostrarle come tutte le potestà Iederali sieno d'accordo nel voler mantenere, a qualunque prezzo, le buone relazioni che legano la Svizzera con l'Italia.

L'allontanamento dei rifugiati dal Ticino ha luogo mano a mano che vi entrano; e, a quanto pare, non andrà guari che non ve ne sarà più alcuno.

(l) Cfr. n. 354.

381

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (2)

L. P. 26. Roma, 8 aprile 1870.

La séance du Concile d'aujourd'hui s'est faite remarquer par une importante concession à l'opposition. Le Canon 3e du Chapitre 4• du Schème «de fide )> -dont j'ai hier donné le texte -a été rétiré par la députation dogmatique, et Monseigneur Gasser, membre de la deputation, a dit que cela a été fait en suite des observations que Monseigneur Strossmayer a présentées par écrit à la députation contre ce Canon. Pour sauver l'apparence de ne pas

céder à l'opposition, Monseigneur Gasser a dit que l'objet de ce Canon trouvera sa piace dans le Schème «de Ecclesia ». On a beaucoup remarqué la modération et l'esprit libéral du discours prononcé par Monseigneur Pie, infaillibiliste des plus fougueux. Evidemment la majorité veut écarter tous les obstacles qui s'opposent à l'acceptation unanime du Schème «de fide». Au moyen de concessions mutuelles il sera voté à la presque unanimité. La votation sur le Chapitre 4e et sur l'ensemble du Schème aura lieu mardi saint, 12 avril, de sorte que la Séance solennelle pour la publication du Schème pourra etre tenue immédiatement après Paques.

Un de mes amis était aujourd'hui, à une heure, voir le Cardinal Antonelli. Le Cardinal a plaisanté la campagne diplomatique de M. de Daru qui s'imagine que l'Angleterre, la Russie, la Prusse et la Belgique tirerons du feu les marrons pour lui faire plaisir. «Et quand meme la France, l'Autriche et la Bavière, disait-il, rédigeraient, une note collective, qu'arrivera-t-il? Je tiens assez de pareilles paperasses dans mes archives; j'y déposerai aussi la nouvelle note comme tant d'autres, sans m'en soucier plus que des neiges d'antan ». Le Cardinal à confirmé qu'après Paques, les Schèmes « de Ecclesia » et « de Pontifice » seront les premiers mis en discussion. Après l'on avisera.

J'apprends que Rustem-Bey, sur demande des deux éveques arméniens incarcérés, serait intervenu en leur faveur auprès du Saint-Siège et que, sur cette réclamation, le Pape les aurait fait transférer des cachots où ils étaient écroués, dans le Couvent qu'ils avaient habité avant leur emprisonnement. A présent ils seraient détenus dans Ieurs cellules -mais, comme il Ieur est défendu de parler à d'autres éveques, il est presque impossible de vérifier ces faits.

L'éveque de Nevers est de retour de Paris. On me dit qu'il est fort découragé non-seulement au sujet de son ami, le Cardinal Bonnechose, mais aussi de la politique française qui, dit-il, ne sait absolument pas que faire. L'impératrice a envoyé au Cardinal Bonnechose des paroles de consolation et d'encouragement; mais l'empereur lui a fait personnellement la réponse que j'ai communiquée à V. E., et M. de Daru l'a rudement désillusionné.

(l) -Cfr. nn. 353, 366, 371 e il t. 2136 del 7 aprile, non pubblicato. (2) -Ed. in TAMBORRA, pp. 261-262.
382 IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA T. 2139. Parigi, 9 aprile 1870, (per. ore ore 16 21,15).

La question de laisser dans la nouvelle constitution à l'Empereur la faculté de recourir au plébiscite avec ou sans le consentement du Parlement est très discutée au sein du conseil des ministres. L'Empereur d'accord avec Ollivier voudrait garder cette faculté inconditionnée. Buffet qui n'est pas de cet avis vient de donner aujourd'hui sa démission.

30 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. XII

383

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2140. Berlino, 9 aprile 1870, ore 17 (per. ore 21,20).

Le Cabinet prussien qui a été renseigné sur la double démarche dont l'ambassadeur de France doit s'acquitter auprès du cardinal Antonelli et auprès du président du Concile a écrit hier à son représentant d'appuyer verbalement la démarche près du cardinal secrétaire d'Etat.

384

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. Firenze, 9 aprile 1870 (per. il 10).

Dalle notizie che pervengono a questo Ministero parrebbe che esistano intelligenze tra gli attinenti al partito mazziniano del Regno ed i repubblicani francesi.

Vuolsi infatti che sia appunto per consiglio dei repubblicani francesi, i quali sperano di far coincidere coi moti d'Italia i disordini e gli scioperi che si sarebbero preparati in Francia, che siasi deciso di differire sin dopo Pasqua il colpo di mano che dai mazziniani si vorrebbe tentare in varii luoghi.

Tanto ho creduto di partecipare all'E. V. per quelle comunicazioni che ravvisasse per avventura opportuno di far pervenire sul proposito al Governo Imperiale.

385

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 548. Berlino, 9 aprile 1870 (per. il 13).

Avant de se livrer à des commentaires sur l'article qui a récemment paru dans la Norddeutsche Allgemeine Zeitung et dont j'ai transmis une traduction par ma dépeche n. 546 (l) il importait de vérifier si cette publication avait un caractère officiel ou officieux. M. de Quaade, mon Collègue de Danemark a interpellé à cet égard le Secrétaire d'Etat qui lui a répondu que le Gouvernement déclinait toute responsabilité pour tout ce qui s'imprimait en dehors du

M oniteur (Staatsanzeiger).

Mais camme c'est un fait avéré que le premier de ces jornaux met parfois ses colonnes à la disposition du Ministère, l'article dont il s'agit a produit une certaine impression soit à Copenhague soit dans les cercles diplomatiques de Berlin.

Le Comte Frijs, dans une lettre particulière à M. de Quaade, en manifeste san étonnement, l'attitude du Cabinet danois n'ayant pu justifier un tel langage qui fermerait la vaie à des négociations ultérieures. «Les accusations don t le Danemark est l'objet rappelleraient la fable du loup et de l'agneau ». Aussi S. E. espérait-elle que ce factum ne représentait que les idées d'un journaliste écrivant sous sa propre inspiration.

Quelques uns de mes Collègues persistent à croire que le rédacteur de la Gazette Générale de l'Allemagne du Nord, n'aurait pas osé aborder un terrain aussi délicat, sans en avoir reçu le mot d'ordre. Le fait est que son article était reproduit le surlendemain par la Correspondance de Berlin, et que hier encore on revenait à la charge en admonestant sévèrement la Gazette de Cologne qui réclamait l'exécution de l'Article V du Traité de Prague.

Les données ne sont pas encore assez complètes pour se permettre un jugement définitif. Le Comte de Bismarck aurait-il l'arrière-pensée de préparer le terrain à une reprise de pourparlers interrompus depuis deux années, en laissant nouvellement entendre qu'il ne saurait discuter que sur la ligne de la baie de Gjeuner ou celle d'Apenrade? Cette supposition n'est guère admissible, car on ne commence pas par casser les vitres de la partie adverse, au moment de s'asseoir autour du tapis vert. Serait-ce une réclame, à la veille des élections, pour se rapprocher des nationaux libéraux si vivement combattus dans les Chambres prussiennes, camme dans le Parlement fédéral? Il est difficile de le ero ire pour deux motifs: 1° Ce parti dans sa grande majorité est contraire à une transaction quelconque vis-à-vis du Danemark, et ne se déclarerait dane nullement satisfait de concessions réduites mème à un minimum dans les districts du Nord du Schleswig. 2° Rien ne prouve encore qu'il entre dans les intentions du Gouvernement de chercher de préférence des Candidats à la députation dans les rangs du parti précité qui lui a certainement rendu des services, mais qui lui suscite aujourd'hui des embarras. Je ne citerai que la motion Lasker. (Rapport n. 534) (1).

On ne saurait admettre davantage que le Comte de Bismarck ait voulu à la légère blesser mème d'une manière indirecte les susceptibilités de la France, lorsque les rapports entre les deux Gouvernements sont aujourd'hui sur un pied meilleur que par le passé.

Je dois cependant signaler une circonstance qui m'a frappé. Dans un entretien récent que j'ai eu avec M. d'Oubril, l'Envoyé de Russie, j'ai remarqué qu'il se prononçait sur cette mème question du Schleswig d'un ton plus absolu que de coutume. A son avis il n'était pas digne d'une grande puissance d'assumer des engagements pour une rétrocession de territoire, et d'en ajourner indéfiniment l'exécution. Les conditions pourraient se modifier dans l'avenir dans un sens moins propice aux atermoiements de la Russie. Le Général Fleury,

en parlant à l'Empereur Alexandre du désir de la France de voir régler cet arriéré de la paix de Prague avait su toucher une corde très sensible, car à la Cour de St. Pétersbourg on ne forme pas d'autres souhaits. M. d'Oubril ajoutait que le Chancelier fédéral, s'il ne devait consulter que ses opinions personnelles, ne serait peut etre éloigné de se preter à une entente sur des bases acceptables. C'est qu'en effet il y a en Allemagne un sentiment public qu'il ménage peut etre outre mesure etc. etc.

Si le diplomate russe dans les appréciations ci-dessus est l'écho fidèle de son Gouvernement, ce dont personne ne saurait douter, il ne serait pas improbable que le Tsar à son passage à Berlin, vers le 9 mai, pour se rendre à Ems, renouvelàt les instances déjà faites dans sa correspondance particulière avec le Roi Guillaume. Dans cette prévision aurait-on peut etre voulu indiquer une fois de plus qu'on ne voudrait pas accorder plus que la ligne de Gjenner ou d'Apenrade?

C'est là peut etre une supposition tout à fait gratuite de ma part. Mais il est assez malaisé, je le répète, de savoir au juste à quoi s'en tenir sur ce sujet. L'essentiel c'est de constater -quelles que soient les complications qui pourraient surgir d'une question laissée trop longtemps en suspens -que les circonstances actuelles de l'Autriche, de la France, de la Russie et de l'Angleterre n'ispirent pas l'appréhension que l'une ou l'autre de ces puissances veuille de sitòt chercher dans cette meme question des motifs ou des prétextes pour engager un conflit sérieux avec la Prusse. Celle-ci, il ne faudrait pas le perdre de vue, aurait en pareille éventualité, l'Allemagne entière de son bord.

(l) Del 5 aprile, non pubblicato: accuse alla Danimarca di non volere una conciliazione nella questione dello Schleswig e di sperare nen·aiuto di potenti alleati.

(l) Cfr. n. 284.

386

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. R. 150. Bucarest, 9 aprile 1870 (per. il 18).

Nel partecipargli che da diverse vie pervenivano al gabinetto di Pietroburgo notizie allarmanti circa l'agitazione che regna in Rumania, il Principe Cancelliere ha chiesto a questo Agente imperiale il suo parere sulla situazione delle cose nei Principati.

Sono in grado, Signor Cavaliere, di comunicarle riservatamente la sostanza delle risposte date dal Barone d'Offemberg.

Sarebbe vano il negare che l'agitazione antidinastica manifestatasi già da qualche tempo guadagna terreno ogni giorno. Ciò non ostante essa sarebbe facilmente dileguata da un Governo forte se questo potesse venir organizzato ed imposto con vigore senza che un pericolo imminente minacci la sicurezza personale del Principe né l'attuale ordinamento politico dei Principati, pure la situazione è di qualche gravità e le leggi sono del tutto impotenti ad apportarvi un rimedio efficace.

Il parere del mio collega di Russia conferma pienamente quanto ebbi

l'onore di esporre nel mio rapporto n. 142 (riservato) (1). Non posso però

dissimularmi quanto sarebbe malagevole il ricorrere come mezzo estremo ad

una revisione della Costituzione, e come sarebbe difficile per non dire altro

di trovare in Rumania un uomo che avesse il nerbo e l'onestà che fa mestiere

per un simile tentativo.

Mi è del resto noto, e chi me lo confidava fa pieno assegnamento sulla riserva del Governo del Re, che questa idea è sorta e si fa strada nell'animo della Principessa Elisabetta, la quale nutrendo minori illusioni di suo marito sembra aver dato nel segno con una perspicacia ammirabile in una giovine Principessa.

387

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2142. Parigi, 10 aprile 1870, ore 20 (per. ore 21,35).

Comte Daru vient de présenter sa démission.

388

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2143. Londra, 10 aprile 1870, ore 22,20 (per. ore 0,30 dell'11).

Marquis de La Valette vient de me donner un rapport secret qui dit que grand conseil du parti d'action en Italie a résolu organisation complot contre la vie du Roi. Petrogalli secrétaire de Mazzini a obtenu adhésion du comité de Londres. Quinze membres seraient chargés de l'organisation et de l'exécution de l'attentat. Aucune indication de personnes, de lieux, ou de faits spéciaux. Je vous écris (2).

« Petrogalli secrétaire de Mazzin! à peine arrivé à Londres a convoqué d"urgence la semaine dernière le Comité itallen dana le lleu habituel de leur réunlon Greek Street pour lui faire une communication secrète et importante.

Il s'agissait, en effet. d'une décision prise par le grand Consell du parti d'action d'organiser un complot contre la vie du Roi. et d'une adhésion à obtenir du Comité de Londres. Voici les motifs énumérés par Petrogalli.

Garibaldi ayant carrément refusé de se mèler aux dernlers événements pour lesquels on comptait sur sa participatlon active, les meneurs du parti ont été obl!gés de donner contreordres dans un délai tellement court que plusieurs sont arrivés trop tard.

Aux reproches qui lui ont été adressés à ce sujet le Général a nettement déclaré, que, malgré ses sympathies pour la Républlque, tant que Victor Emmanuel vivrait Il ne se mettralt jamais à la tète d'un mouvement ayant pour but de renverser la Royauté.

C'est alors qu'en présence de cette obstinatlon, et de cet obstacle le Grand Consell du parti d'action s'est réuni en toute hàte afln d'organiser un attentat contre la vie du Ro1. Dans ce but ordre a été envoyé dans les Provinces d'Italle, et à Londres de cholsir trois membres dans chaque loge.

Ces élus au nombre de quinze sont chargés de l'organisation, et de l'exécution de l'attentat ».

(l) -Non pubblicato. (2) -Cadorna trasmise allegato ad una l.p. dello stesso giorno (ACS, Carte Visconti Venosta), 1! seguente appunto consegnatogli dal primo segretario dell'ambasciata di Francia, Tissot:
389

IL MINISTRO A COPENAGHEN, RATI OPIZZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 108. Copenaghen, 11 aprile 1870 (per. il 15).

Tutti i giorni scorsi essendo io stato ammalato si fu solamente venerdì scorso (8) che mi decisi ad uscir di casa e lo feci unicamente onde non mancare di recarmi cogli altri miei Colleghi a complimentare il Re Cristiano per l'anniversario della Sua nascita. Questa circostanza spiegherà all'E. V. il mio silenzio dal 27 del mese scorso in poi.

Pertanto avant'ieri solamente ho potuto recarmi a questo Ministero degli Affari Esteri. Più ammalato di me il Conte Frijs non usciva ancora di casa. Passai dunque dal signor Vedel e lo intrattenni su di un articolo della Norddeutsche Zeitung articolo a cui servi di pretesto la discussione del bilancio della Marina danese.

La discussione di questo bilancio in sè non avea qui dato luogo ad alcuna dichiarazione violenta. Si trattava di sapere se era più adatto per la difesa del paese il sistema di molti vascelli piccoli speciali per le coste ovvero il sistema di soli pochi grandi vascelli per l'alto mare. Naturalmente nella discussione si accennò alla possibile eventualità di un bombardamento di Copenhagen, ma tutto ciò in termini quieti e riposati. Il Ministro della Marina in una riunione privata che ebbe luogo in casa sua espose a differenti membri delle due Camere del Rigsdag la sua maniera di vedere in proposito, ma questa riunione non aveva alcun carattere officiale.

Fui dunque non poco stupito leggendo l'articolo del giornale prussiano, articolo che lasciava chiaramente trapelare un comunicato del Ministero di Berlino. La conclusione pratica di questo articolo era la seguente: «si vede chiaro che il Gabinetto di Copenhagen conta sulla guerra e su di un alleato marittimo, dunque è inutile pensare a dei negoziati diplomatici col Governo danese relativamente alla vertenza dei distretti Nord-Sleswig ».

Come me lo aspettavo, il signor Vedel si mostrò ancor più stupito di me e denunziandomi la condotta del Gabinetto di Berlino volle pure convincermi della perfetta moderazione della Danimarca. Disinteressati come fortunatamente noi siamo in questa nojosa questione dano-prussiana, io evito sempre di pronunziarmi nei miei discorsi su di una categorica territoriale interpr,etazione dell'art. V del Trattato di Praga e mi limito a far voti onde le due parti finiscano per intendersi. Detto fra parentesi ciò non arriverà mai senza una forza terza. Dissi pertanto al Signor Vedel che ero testimonio della moderazione del Gabinetto danese e che certo non si poteva rendere responsabile detto Gabinetto se alcuni giornali di Copenhagen ad alcuni danesi delio Sleswig fornivano imprudentemente dei pretesti alla ritrosia troppo constatata del Governo prussiano. Ed anzi a riguardo di certe imprudenze della stampa danese invio qui unito all'E. V. un articolo di qui che precedette di sette od otto giorni quello del giornale di Berlino.

Sarebbe impossibile negare l'ipocrisia dell'articolo prussiano in questione, ma d'altra parte è innegabile che detto articolo nella sua brutalità indica le secrete e vere disposizioni di tutti e due i Paesi. Però parlando di questo articolo sia col signor Vede!, sia più tardi coi miei Colleghi di Francia e di Prussia vidi che, come io, nessuno dei tre arrivava ancora a spiegarsi a che scopo il Gabinetto prussiano trovò opportuno dettare un articolo consimile alla Norddeutsche Zeitung. L'indicazione di questo scopo potrà esser segnalata all'E. V. in via competente unicamente da Berlino.

Sotto il tuono minaccioso ed altisonante dell'articolo del giornale ufficioso volle forse il Gabinetto di Berlino insinuare che era disposto a retrocedere alla Danimarca la linea da Téinder ad Abenzoad? In primo luogo non c'era bisogno alcuno di un articolo consimile, dette disposizioni del Gabinetto di Berlino non erano un segreto, e sino dai primi giorni di questo inverno il Barone Mohrenheim mi diceva che aveva annunziato al Conte Frijs che gli poteva assicurare che la Prussia era disposta a cedere la linea da Téinder ad Abenzoad, salve sempre le garanzie per i tedeschi dei distretti che sarebbero retrocessi. In secondo luogo poi se l'articolo era diretto ad insinuare queste disposizioni del Gabinetto di Berlino al Gabinetto di Copenhagen, mi pare che l'insinuazione doveva esser fatta od in Berlino al signor di Quaade, o qui in Copenhagen dal signor d'Heydebrand.

Tutto ciò mi fa pensare che l'articolo della Nord Deutsche Zeitung fu redatto -o per l'estero, il che sarebbe assai insolente -o più probabilmente per la Germania ad uno scopo interno, federale, parlamentare. Secondo me l'articolo riguardava la Danimarca ma non era indirizzato alla Danimarca. Del resto l'apprezzamento di queste mie ipotesi può essere giudicato competentemente dalla Legazione del Re in Berlino.

Il lato pratico che potrebbe presentare l'incidente che ora così si solleva, sarebbe il seguente. Se la Prussia fosse disposta a retrocedere la linea da Téinder ad Abenzoad, mediante le garanzie a darsi per i tedeschi dei distretti che verrebbero retrocessi, la Danimarca sarebbe essa disposta a sottoscrivere simile transazione? Fin'ora tutto indica che la Danimarca rifiuterebbe. 1° Non si contenterebbe della linea da Téinder ad Abenzoad perché reclama quella da Téinder a Flensburg, il che implica Alsen e Diippel -e qui devo ripetere che la Danimarca si fa delle illusioni su l'incognita dell'avvenire, a meno di eventualità imprevedibili Alsen e Diippel non le riavrà mai più. 2° La Danimarca non vuole sottoscrivere alle garanzie domandate per i Tedeschi dei distretti che sarebbero retrocessi, garanzie che la Prussia vorrebbe mettere sotto l'egida speciale del Re di Prussia. Qui la Danimarca ha perfettamente ragione. Ciò sarebbe dare alla Prussia il diritto di esercitare la polizia in Danimarca e qui si conosce a proprie spese quante e quali conseguenze la Prussia saprebbe più tardi ritirare da questo suo diritto. A Berlino tutto ciò si capisce benissimo, e siccome vi si sa pure che il Parlamento federale griderebbe alla mancata fede pei fratelli tedeschi di Christiansfeld ed Haderlen se dessi fossero restituiti alla Danimarca sotto la semplice garanzia del diritto comune, così il Gabinetto di Berlino usufrutta questo dogma della fratellanza tedesca e fa delle proposte territoriali sotto la condizione sacrosanta dei diritti dei Tedeschi di Christiansfeld ed Haderlen sicuro che la Danimarca non accetterà mai simili condizioni, -e sicuro ancor più che se per caso la Danimarca le accettasse, le stesse servirebbero poi alla Germania di eccellente addentellato per nuove intromissioni prussiane a tempo opportuno. Come lo dissi altre volte, la Prussia si darà l'aria di cedere, di negoziare secondo le circostanze, ma tosto per essa se ne presenterà una favorevole e ben concertata, la Prussia spingerà i suoi limiti sino all'estrema punta settentrionale dell'Jutland.

Vedo dai giornali tedeschi d'oggi che la stampa prussiana, nella sua interpretazione dell'articolo V del Trattato di Praga, fa un passo di più, -essa sostiene che detto art. V non dà alcun diritto alla Danimarca, mentre detta potenza non fu segnataria di detto Trattato, l'Austria sola, quale segnataria, ha dei diritti a questo proposito. Se dunque, secondo il giornale prussiano, l'Austria non se ne fa il campione, la Danimarca non ha diritto alcuno di citare in suo favore l'art. V del Trattato di Praga.

Dai discorsi che ho avuti col signor Vedel non pare che il Gabinetto di Copenhagen sia intenzionato di rilevare questi attacchi della stampa prussiana, gli stessi partendo da giornali solamente ufficiosi, una risposta ufficiale per parte di questo Governo porterebbe a vuoto.

Potendo ora di nuovo uscir di casa e ricevere, cercherò di intrattenere i miei colleghi e mandare così all'E. V. quello che giudicherò interessante. Ma prevedo che tutti questi incidenti di stampa avranno ben difficilmente un seguito serio od immediato.

390

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 192. Vienna, 11 aprile 1870 (per. il 15).

Il Conte Potocki, malgrado l'attività spiegata in questi ultimi giorni, non è ancora riuscito a formare un Ministero. Mi si assicura, aver egli dichiarato all'Imperatore che, ciò non astante, era sicuro di comporne uno, ma puramente amministrativo. E ciò asseconda affatto i di lui desiderii, non volendo che il nuovo Gabinetto abbia un colore politico ben distinto. Parlasi di Taaffe, già Ministro e di alcuni alti impiegati nei diversi Dipartimenti, elemento in gran parte tedesco e seguace dell'antico sistema.

Il Conte Beust, il quale vede l'attuazione dei suoi piani almeno ritardata, incomincia a convincersi d'essere andato troppo lontano nelle sue promesse; alle difficoltà presenti si aggiungeranno altre complicazioni, che sarebbe forse impotente a scongiurare, a cagione del prestigio decrescente e della sfiducia che incute tra i suoi stessi partigiani.

Il Cancelliere, a mio credere, prevede la contingenza che l'obbligherebbe perfino a rassegnare l'alto ufficio che attualmente occupa, ma siccome non ignora egli che, in questo paese, una volta fuori di giuoco l'è finita ben spesso per sempre, non sarei sorpreso di vederlo al posto del Principe di Metternich in Parigi, ove la sua politica d'alleanza francese potrebbe spiegarsi con efficaci risultamenti. Così facendo serberebbesi sempre una via per rientrare qui alla somma delle cose.

391

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGI,I ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2146. Costantinopoli, 12 aprile 1870, ore 12.55 (per. ore 15,40).

Sublime Porte revenant sur son refus absolu a fini par accepter le projet de Nubar pacha, avec des modifications que je vous enverrai par courrier. Nubar pacha partira pour sa mission en Europe. La Sublime Porte vient d'adresser au prince Charles de Roumanie lettre viziriel1e pour protester contre nouvelle monnaie frappée et somme de les retirer.

392

IL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2148. Atene, 12 aprile 1870, ore 13,40 (per. ore 3,20 del 13).

Le comte Boyl avec le domestique, le secrétaire de la légation anglaise, lord Manchester avec lady, M. Loyd, sa femme et une petite fille, un jeune anglais et un interprète hier, lundi, à 2 heures de l'après midi retournant de Maratone ont été pris par les brigands. Ils avaient une escorte de 4 gendarmes à cheval; deux soldats qui ont tiré ont été tués. Il y avait aussi des patrouilles à pied long la route. L'attaque a eu lieu à 12 milles d'Athènes. Les brigands étaient vingt. A 11 heures du soir sont arrivés en ville les femmes, les enfants et le domestique du comte qui m'a écrit pour rassurer sa famille. Ministre d'Angleterre et moi sommes allés chez le ministre de la guerre qui a dit que des troupes avaient été expédiées à la poursuite. Cela cependant est un danger. Je crois qu'il est convenable payer la rançon que l'on négocie. Le Gouvernement grec nous a toujours assuré qu'il n'y avait plus des brigands dans l'Atique. Il faudrait que les deux Gouvernements s'entendent pour faire payer cette rançon à la Grèce. Le Roi est à Syra avec le président du conseil.

393

IL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2149. Atene, 12 aprile 1870, ore 14 (per. ore 3,35 del 13).

Les brigands ont écrit au ministre de la guerre demandant rançon de 50 mille livres sterling. Aux captifs on en a demandé trente deux mille. Affaire est entrée en négociation. Toute poursuite est suspendue pour sauvegarder la vie. Je vous prie de m'autoriser à payer immédiatement quote part du comte Boyl si les anglais envoyent leur rançon.

394

IL MINISTRO A BRUX.ELLES, DE BARRAL, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 176. Bruxelles, 12 aprile 1870 (per. il 15).

Le Ministre d'Espagne, M. Asquerino, que j'ai rencontré hier chez le Ministre des Affaires Etrangères, m'a pris à part pour m'exprimer ses plus vifs regrets de ce que la candidature du Due de Génes n'ait piì se réaliser. Seulement, camme au milieu de ses regrets il m'a dit que c'était surtout à l'opposition secrète de l'Empereur Napoléon qu'il fallait attribuer ce fàcheux résultat, je lui ai répondu que je ne pensais pas que Sa Majesté ait jamais piì voir de mauvais oeil l'établissement d'un Prince de la Maison de Savoie sur le tròne d'Espagne, et que camme cela avait été du reste formellement déclaré, le refus ne pouvait étre attribué qu'aux craintes parfaitement légitimes de S.A.R. la Duchesse de Génes. « Il n'en est pas moins vrai, a répliqué M. Asquerino, que l'immense difficulté de trouver un Prince, nous entraine fatalement et malgré l'énorme majorité du peuple Espagnol, à la république.

Le Maréchal Serrano pourrait bien, s'il savait profiter de sa position et de son immense popularité, arriver à se faire proclamer roi d'Espagne, mais malheuresement, lui, aussi bien que la Maréchale, tout en étant pétris de vanité, ne possèdent pas l'ambition nécessaire pour arriver à un biìt aussi élevé. Une seule chance de salut nous reste encore, a dit en terminant

M. Asquerino, c'est que le général Prim, qui dans ce moment est en bonne voie pour le choix d'un Prince réussisse dans ses secrètes négociations. Pour cette fois, nous ne ferons pas l'immense faute que nous avons commise de proclamer à la face du monde le nom du Prince sur lequel se sont portées nos vues, et ce n'est que lorsque son acceptation sera irrévocable qu'on la fera connaitre ~.

Avant d'etre nommé Ministre d'Espagne ici, M. Asquerino appartenait à la presse avancée de Madrid, et a largement contribué à la révolution qui a

chassé la Reine. C'est à l'influence du général Prim qu'il a dù sa nomination à Bruxelles, et dès lors, j'ai pensé que ses appréciations aussi bien que ses informations avaient une certaine valeur. Je dois ajouter qu'à travers ses demi-mots mystérieux sur le candidat qui pourrait ètre appelé à regner en Espagne, j'ai cru comprendre qu'il s'agissait d'un Prince Allemand.

395

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. Parigi, 12 aprile 1870.

Il Ministero Ollivier traversa in questo momento una crisi che può diventar grave. Buffet ha mantenuto la sua dimissione. Daru sembra consentire a ritirar la sua. Ma si prevede che non tarderà a lungo a seguir le sorti di Buffet con cui ebbe sempre comunione d'idee e di propositi. Ecco ora l'origine e il processo della crisi. Quando fu presentato in Consiglio il progetto di Senatusconsulto, progetto elaborato da Rouher ed Ollivier, tutti i Ministri l'accettarono. In allora non era questione di plebiscito; questa idea di ricorrere all'approvazione popolare della nuova costituzione venne dopo. Nel progetto di Senatusconsulto v'era e ci è tuttavia la clausola che dà all'Imperatore o per meglio dire gli mantiene la facoltà di fare appello al popolo per via di plebiscito. Siccome questa facoltà esisteva nell'antica costituzione votata per plebiscito, i Ministri, compresi Buffet e Daru, l'accettarono implicitamente, essendo essi d'avviso, come essi stessi dicono ora, che quella facoltà esistente per plebiscito non poteva togliersi per Senatusconsulto. Venne poi l'idea del plebiscito. Questa idea da un pezzo germogliava nello spirito dell'Imperatore; ma sembra che chi l'ha spinto ad incarnarla sia stato Rouher. L'Imperatore espose la sua intenzione ai suoi Ministri; i quali difatti convennero che giacché si trattava di mutare l'antica costituzione che era stata votata per plebiscito, era logico che la nuova costituzione fosse votata nella medesima guisa, secondo il principio di diritto «unumquodque dissolvitur eo modo quo colligatum est>>. Adunque il Ministero accettò l'idea del plebiscito, la fece sua, e l'annunziò alla Camera. Da questo momento cominciò il dissenso. Q.uando si trattò di formolare le questioni che devono essere sottomesse alla sanzione popolare, il Ministero si divise in due opinioni. Ollivier insieme alla gran maggioranza dei suoi colleghi consentirono coll'Imperatore che con la nuova costituzione si deve lasciar intatto alla Corona ed incondizionato il diritto di plebiscito, essendo un tale diritto conforme alla tradizione imperiale, essendo anzi la base stessa dell'Impero. Per contro Buffet, Daru, e con qualche esitazione anche Chevandier e Talhouet, vivamente eccitati, a quanto si dice, dal signor Thiers, e da una frazione importante del centro sinistro, vollero vedere in questo

diritto incondizionato di plebiscito un pericolo permanente per le nuove istituzioni, una contraddizione col regime parlamentare e si pronunciarono nel senso di sottomettere l'esercizio di questo diritto alla previa approvazione del Parlamento, il che equivale alla distruzione del diritto stesso. Essi dicono che finché si trattava di semplice Senatusconsulto potevano ammettere questo diritto perché esistente e perché portato da un plebiscito anteriore. Ma ora che si tratta di formulare una costituzione nuova da sottomettere alla sanzione popolare, essi si oppongono a che si lasci alla Corona una facoltà così esorbitante, che dà in balia della Corona stessa le sorti della nuova costituzione. Ecco come spiegano la contraddizione che loro si rimprovera dell'aver accettato il progetto di Senatusconsulto prima, e di non voler accettare nel plebiscito una delle clausole che erano contenute nel Senatusconsulto. Di qui nacque la crisi. Buffet fu irremovibile. Chevandier e Talhouet invece finirono per accostarsi ad Ollivier ed a rimanere. Daru presentò la sua dimissione ier l'altro. Ieri era esitante, ed oggi si assicura che rimarrà Ministro fin dopo il plebiscito.

La questione come vedete è gravissima. S'ha un bel palliarla. È una questione che implica da una parte la fiducia, dall'altra la diffidenza verso l'Imperatore stesso. L'Imperatore naturalmente si mostra risoluto a mantenere per sé il diritto supremo al plebiscito. È naturale. Ma è anche naturale che i partigiani più devoti e più fermi del regime parlamentare glielo contestino. La situazione del Ministero è quindi diventata difficilissima, giacché Buffet si ritira sopra una questione liberale. Il plebiscito intanto deve farsi e farsi presto. È impossibile il rinunciarvi. Ma si fa in condizioni gravi. Di più il risultato, quale che esso sia, non avrà una significazione netta e chiara. Ogni partito piglierà per sé i voti affermativi i negativi ed anche le astensioni. Perché la situazione si chiarisca per tutti si attende il proclama dell'Imperatore, proclama che deve precedere e bandire il plebiscito.

U:..a conclusione di tutto ciò è, che in questo momento in Francia vi sono due principali partiti, posti in presenza, quello che rimpiange il potere personale e quello che fece il movimento parlamentare. Dall'un lato v'è l'impero plebiscitario, dall'altro v'è il regime costituzionale parlamentare. Si tentò la conciliazione, rappresentata e personificata da Ollivier. Ma ad ogni momento nella pratica sorgono i conflitti. Errerebbe però chi credesse che l'Imperatore pensa ad un colpo di Stato e che il plebiscito deve avere per risultato di ricondurre la Francia al regime personale. Errerebbe parimenti chi pensasse che si può ridurre l'Imperatore alla condizione in cui è p.e. la Regina d'Inghilterra. Né l'una né l'altra cosa è possibile per ora. E forse Ollivier che rappresenta qualche cosa di mezzo fra questi due sistemi è praticamente ed in questo momento nella verità delle cose.

Ho pensato a lungo quanto mi avete scritto suua quest10ne Romana (1). Mi sembra che siamo interamente d'accordo. Non prevedo il ritiro delle truppe francesi né con Daru, né con altri, per ora. Se dopo la sessione presente, continua lo stato attuale di cose, converrà pensare alla sospensione del

pagamento del debito pontificio. Non vedo per me altra sanzione che questa. Ha inconvenienti gravissimi ma non ne vedo altra. È vero che il Principe Napoleone pensa che se si viene a ciò, non occorre il darne previo avviso. Ma riflettendovi bene, parmi che sia conveniente il farlo. Lo si può fare verbalmente se si vuole. Ma un avviso previo mi sembra necessario. Spero che non vi siano interpellanze al Corpo Legislativo per ora. Se vi fossero, confesso che non sarei tranquillo sul modo con cui il Conte Daru risponderebbe sulla questione dell'occupazione. Temerei che parlasse di nuove guarentigie morali e della necessità di una previa conciliazione tra l'Italia e Roma etc. etc. In tal caso prevedo io pure che sareste forzato ad uscire dalla riserva tenuta finora, e che ciò potrebbe precipitare la misura della sospensione del pagamento del debito pontificio. Ma non anticipiamo.

(l) Da AVV.

(l) Cfr. n. 342.

396

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 28 (2). Roma, 12 aprile 1870.

Aujourd'hui la séance du ConcHe a été très intéressante. La députation dogmatique entendait faire passer l'Infaillibilité et le dogme du pouvoir temporel par une porte dérobée. Dans le Schème «de fide» on avait ajouté à la formule « unam, sanctam, catholicam et apostolicam Ecclesiam » le mot « Romanam », en expliquant cette innovation par la nécessité de proclamer hautement « que le pouvoir suprème de l'Eglise est inséparablement lié à l'existence du Siège pontificai dans Rome mème » Cette définition n'ayant été faite qu'à la dernière heure, l'opposition n'a pas eu le temps de s'entendre sur sa conduite et les Infaillibilistes croyaient la partie gagnée. Heureusement, ils se sont trompés. Lorsqu'on procéda à la votation de l'ensemble du Schème «de fide», 83 évèques ont voté par «non placet » ou par « placet sub conditione », en s'associant par écrit (le Règlement défend de développer de vive voix les reserves faites contre les Canons) à une déclaration formulée en toute hate par Monseigneur Strossmayer et ainsi conçue: «Non placet ob vocem Romanam positam ante Catholicam, item ob conclusionem quae mihi non probatur. Reliqua mihi placent, salvis Conciliorum oecumenicorum juribus ». (Cette réserve est dirigée contre la velléité de proclamer des dogmes par simple majorité des voix). Le chiffre de 83 opposants a profondément frappè les Infaillibilistes; les Cardinaux-présidents, après une courte délibération, ont déclaré que les réserves formulées devraient ètre discutées dans une nouvelle séance qui aura lieu mardi de Paques, 19 avril prochain. Il n'y aura donc pas de séance solennelle lundi de Paques, et l'opposition qui aujourd'hui s'est

comptée pour la premlère fois gagne du temps. C'est toujours quelque chose dans une situation si embrouillée.

Monseigneur Hefele m'a donné lecture du brouillon de la «Déclaration » de l'opposition dont j'ai entretenu V. E. la semaine dernière. C'est un document fort remarquable, mais je crains, avec Monseigneur Hefele, qu'il ne subit des modifications qui en altéreraient le sens et la portée, car il sera sans doute trop fort aux éveques français. Le comité international n'a pas encore pu se réunir en séance parce qu'il n'a jamais été en nombre; ainsi, la « Déclaration » ne lui a pas encore été communiquée.

Hier soir on parlait chez le Cardinal Antonelli de la probabilité de la retraite de M. de Daru et d'un changement de la politlque française à l'égard du Concile dans le sens de l'abstention complète. Je n'ai pas encore eu le temps de vérifier ces nouvelles que je viens d'apprendre dans l'après-midl.

(l) -Ed. in TAMBORRA, pp. 263-264. (2) -Non si pubblica la l.p. 27 di Tkalac del 10 aprile.
397

IL MINISTRO A MADRID, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2150. Madrid, 13 aprile 1870, ore 11,45 (per. ore 14,45).

Due de Montpensier a été condamné hier par le conseil de guerre à un mois d'exil de Madrid et à indemnité de 30 mille francs aux héritiers de l'Infant Henri Marie.

398

IL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2157. Atene, 13 aprile 1870, ore 21,35 (per. ore 10,15 del 16).

Lord Muncaster est arrivé aujourd'hui portant les conditions suivantes vingt cinq mille livres sterling ou amnistie pour le 21 brigands. Affaire sera décidée bientòt. On attend le Roi ce soir. Secrétaire de légation était bien. Je vous préviens que j'ai adressé note pour rendre le Gouvernement grec responsable de toutes conséquences à cause de manque de surveillance. Ministre d'Angleterre a écrit aussi pour faire réserve pour le cas de remboursement. D'autres ministres étrangers ont fait démarches verbales dans le sens que le Gouvernement grec était tenu à payer rançon.

399

IL MINISTRO A COPENAGHEN, RATI OPIZZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 110. Copenaghen, 13 aprile 1870 (per. il 17).

Ieri avendo potuto uscir nuovamente di casa mi fo premura di trasmettere all'E. V. il risultato di differenti discorsi avuti i quali possono in certo modo completare quanto io scrivevo nel mio dispaccio di avant'ieri (1).

Il primo articolo della Gazzetta Universale della Germania del Nord nel quale si dichiarava che vista la disposizione del Governo danese e le discussioni del suo Parlamento era inutile discutere la linea della baja di Gjenner

o quella di Apenzoad produsse non solo qui in Copenaghen, ma deve aver prodotto in Berlino nello stesso signor di Quaade l'effetto di un colpo di tuono in un cielo che si credeva ancora sereno. Seppi ieri infatti da persona intima con questo Ministero che al primo apparire di detto articolo l'Inviato danese in Berlino corse dal signor di Thiele onde averne spiegazioni. A quanto mi si disse il signor di Thiele si sarebbe limitato a rispondergli che l'articolo non era che un sentimento manifestato dalla stampa. Questa risposta vaga rassicurò tanto meno l'Inviato danese in quanto che precisamente l'indomani di questa sua visita al signor di Thiele, venne fuori il secondo articolo della Gazzetta Universale della Germania del Nord nel quale si dichiarava che l'art. V della Pace di Praga dava bensì certi diritti al Governo austriaco ma che non ne dava nessuno al Governo danese.

Tutto ciò ha cagionato qui una forte preoccupazione. Questa preoccupazione è poi aumentata da questa circostanza che il primo articolo dichiarava inutile perder del tempo a discutere la linea di Abenzoad o la baja di Gjenner. Ora pare che precisamente questa linea e questa baja abbiano formato il fondo della corrispondenza passata in questi ultimi mesi tra il Re Guglielmo e lo Zar Alessandro.

L'enunziato poi nel secondo articolo della Gazzetta anzidetta che cioè l'art. V del Trattato di Praga dà dei diritti all'Austria ma non già alla Danimarca, detta maniera di vedere del Gabinetto di Berlino può essere giunta nuova ad altri Gabinetti, ma non certo a quello di Copenhagen. Avendone parlato ieri col signor d'Heydebrand, lo stesso mi disse che la Prussia avea sempre considerato detto articolo sotto detto punto e che egli da lungo tempo ne avea informato il Gabinetto danese non solo verbalmente, ma persino per iscritto. Fatte queste premesse, resta sempre ad esporre quale possa essere stato, non il motivo, ma lo scopo di questi due articoli della N. D. Zeitung, articoli che vedo chiaro il Gabinetto di Berlino per ora fa suoi. Come lo dicevo nel mio dispaccio di avant'ieri questo scopo mira molto più all'estero che non alla Danimarca. Posso ingannarmi ma son convinto che il conte di Bismarck con questi due articoli che può sempre più o meno disconfessare, vuol tastare l'opinione pubblica. Egli vede la Francia ingolfata nelle sue trasformazioni

ed incarnazioni parlamentari, e lo spirito pubblico francese più preoccupato di libertà e di interessi materiali che di politica estera, sorride sull'Austria che dai differenti sistemi centralisti, dualisti e federalisti non ritira che il caos, sa che in fin dei conti l'Inghilterra lo lascerà fare e pertanto... punta al gioco.

Parlando ieri insieme amichevolmente questo Inviato prussiano ed io, trovai nello stesso un tuono risoluto in proposito, e qui noto che il carattere personale del signor d'Heydebrand è naturalmente e costantemente conciliante. Dissi nel mio dispaccio di avant'ieri le ragioni per cui la Danimarca si rifiuta a subire le conseguenze delle garanzie che la Prussia domanda per i Tedeschi dei distretti che sarebbero retrocessi. Ora questi Tedeschi abitano a pochi chilometri dall'attuale frontiera danese. E quanto a lasciar questi tedeschi alla Danimarca senza garanzie speciali -ecco la risposta del signor d'Heydebrand. «Pour que la Prusse accorde une ligne quelconque au Danemark sans obtenir des garanties pour les Allemands des districts qui seraient cédés, il faut que la Prusse soit au lendemain d'une bataille de Jena ~.

Ho pensato soventi che i dispacci che scrivo da più di due anni saranno stati giudicati un po' troppo severi nell'apprezzamento che facevano del tatto e della abilità della Danimarca. Ma ho avuto torto? Lascio da parte la discussione del diritto astratto, che condotta pratica ha tenuto la Danimarca? Non trovo gran che da criticare nella discussione che ha avuto luogo al Rigsdag sulla Marina, non è certo punto criticabile la prudente condotta del Conte Frijs, ma l'inabilità e la «maladresse ~ consistette in ciò che cioè si lasciava troppo chiaramente capire alla Prussia che in Danimarca chi governa in realtà si è il partito che in apparenza non è al potere. Che cosa erano tutte queste inani dimostrazioni della deputazione a Berlino, del signor Kryger al Parlamento federale e tanti altri imbelli colpi di spilla coi quali si pretendeva di tener sempre viva la questione dello Sleswig? Che cosa vuol dire questa altra imbecillità di parlar sempre di alleato futuro, quando intanto pel presente non ve ne è alcuno? Io almeno non lo vedo.

Se la Danimarca si darà la pena di rileggere la nota che il Conte Beust scrisse al Conte Wimpffen il 1° aprile 1868 vedrà che l'Austria vi dichiara implicitamente che non farà mai il minimo passo serio per sostenere la firma che essa appose all'art. V del Trattato di Praga. Il Conte di Bismark egli per certo lo sa, e si è perciò che si permette l'espièglerie di dire che solamente l'Aquila d'Austria ha il diritto di aprire il becco su questo famoso articolo V. Il Cancelliere prussiano dice cosi un'impertinenza alla Francia facendo sembiante di fare un ironico inchino all'Austria.

Del resto la Francia è essa pronta a tirar la spada per questo art. V? Certo che se dei motivi francesi di politica generale e nazionale spingessero ad un cozzo tra la Francia e la Germania, la Francia invocando questo art. v usufrutterà la posizione marittima della Danimarca, ma il Governo francese azzarderà l'eventualità di un cozzo consimile per la mera inapplicazione dell'art. V del Trattato di Praga? ed oserei aggiungere, persino se avesse luogo un'isolata seconda violazione della frontiera danese? Qui non dovrebbero dimenticare che dopo le tanto belle speranze date nel 1864 in fin dei conti il

signor Drouyn de Lhuis scriveva il 14 luglio al Gabinetto di Copenhagen

«dans la crise actuelle, il faut necéssairement que vous mettiez de còté toute question d'amour propre. Adressez-vous aussitòt que possible à l'Allemagne :P. E la Danimarca dové segnare il 30 ottobre la pace di Vienna, che a Berlino si considera il solo atto internazionale che la Danimarca possa invocare.

So che dall'anno scorso in poi qui si fecero dei calcoli sulla Russia. Accennai a più riprese nei miei dispacci a questi calcoli danesi e mi sono pronunziato in proposito. È innegabile la simpatica attenzione che in Russia si porta alla vertenza che la Danimarca sostiene verso la Prussia, ma non credo però che qui il governo abbia dato alcuno che lo assicuri che a qualunque evento la Russia sarebbe il suo paladino armato. Del resto le disposizioni del Gabinetto di Pietroburgo non possono essere segnalate all'E. V. che dal Marchese Caracciolo.

Nello svolgere tutte queste ipotesi (che mi avvedo essere delle ridette ma nella fretta la penna mi corre) io non intendo punto accennare ad un possibile sospetto di una complicazione tra la Prussia e la Danimarca tale da minacciare la pace che esiste tra i due paesi. Son ben lungi dal pronosticare simile eventualità. Mi limito allo stato presente e dico che la situazione dano-prussiana non solo si è maggiormente tesa, ma che questa situazione per la Danimarca ha evidentemente peggiorato. La Prussia si è ora più o meno impegnata in dichiarazioni molto categoriche ed abbastanza ufficiali per prevedere che vorrà mantenerle.

Volevo passare dal Conte Frijs, ma questo Ministro fece stamane avvisare il Corpo Diplomatico che era impedito di ricevere. Non so dunque che istruzioni conti inviare al signor di Quaade. Cercherò sapere se, contrariamente a quanto si diceva a questo Ministero sabato scorso che cioè non si era intenzionati né di rispondere ufficialmente alle dichiarazioni del giornale prussiano né di portar la cosa alla conoscenza dei Gabinetti esteri, ora questo Gabinetto sia intenzionato di tenere altra via. Vedo intanto che fa rispondere al giornale di Berlino dai giornali di qui. Anzi, caso che arrivò sol due volte nei quasi tre anni che sono in Copenhagen, nel Dagbladet vi fa rispondere in lingua francese.

Di questo articolo trasmetto un esemplare all'E. V. (1)..•

(l) Cfr. n. 389.

400

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. Parigi, 13 aprile 1870.

Da ieri in qua la situazione si è modificata per rapporto alla crisi ministeriale in Francia. La dimissione di Daru, che era stata sospesa ieri, è divenuto oggi un fatto compiuto. Pressato dai colleghi e dagli amici di ritirare la sua

31 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. XII

dimissione, il Conte Daru propose all'Imperatore come condizione per restare nel Gabinetto, che la facoltà di ricorrere al plebiscito lasciata all'Imperatore fosse limitata alla questione dinastica ed alle questioni relative alla organizzazione delle Camere, e per queste ultime quistioni fosse subordinata alla previa approvazione del Parlamento. Il centro sinistro approvò questa proposta ed il Marchese d'Andelarre si rese presso l'Imperatore l'organo di questa frazione della Camera. Il Marchese d'Andelarre si recò a tal fine alle Tuileries ieri verso le tre pomeridiane. L'Imperatore l'accolse gentilmente come suole, lo ascoltò con deferenza, ma fu irremovibile e disse che intendeva mantenere assoluto ed intiero il suo diritto d'appello al popolo, diritto che è la consecuzione della sua responsabilità personale e che è base della esistenza politica della sua dinastia. Rigettata così dall'Imperatore la proposta del Conte Daru, questi dovette mantenere e mantenne la sua demissione.

Probabilmente il giornale ufficiale di domani recherà le due dimissioni di Buffet e di Daru. Nulla si sa di assolutamente certo intorno al modo di rimpiazzare questi due Ministri. Ollivier disse a me che la sua intenzione era di non proporre per ora altre nomine di Ministri. Egli desidera pigliare il portafoglio dell'Interno, almeno pel tempo necessario per fare il plebiscito. Il portafoglio dell'Estero non cessa però di tenerlo. È probabile tuttavia che l'interim dell'Estero sarà fatto da Parieu. Ma tutto ciò può cambiare da un momento all'altro, giacché la situazione cambia ad ogni istante, ed Ollivier è piuttosto fatto per subirla che per dominarla.

L'Imperatore mostrò in questa occasione molta fermezza. Egli sembra risoluto a mantenere intatta quest'ultima sua prerogativa e si occupa seriamente del modo di assicurare l'esito del plebiscito.

L'uscita dal Ministero di Buffet e Daru ha per risultato di dare al plebiscito un significato più chiaro e più definito che non avesse prima. Dopo questo fatto è evidente che se il plebiscito riesce, l'Imperatore potrà considerarlo come una vittoria in suo favore. e conseguentemente sarà difficile il non dare alla riuscita del plebiscito una significazione di scacco pel partito rappresentato dai Ministri dimissionari.

Oggi Ollivier domanderà alla Camera elettiva, di prorogarsi indefinitivamente ed otterrà senza dubbio la proroga. Se arriva qualche cosa di nuovo ve ne informerò per telegrafo e con lettera.

(l) -Non pubbllcato. (2) -Da AVV. Il sunto di questa lettera fu trasmesso a Firenze con t. 2151, pari data, non pubbllcato.
401

TKALAC, AL MINISTRO DEGLI ESTERI. VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 29. Roma, 13 aprile 1870.

Je suis obligé de revenir sur un point de ma lettre lequel je n'ai pu qu'indiquer sommairement parce que je n'ai pas eu sous les yeux le texte du Schème réformé «de fide». Voici ce que j'ai appelé la porte dérobée par laquelle on entendait faire entrer l'infaillibilité pontificale.

Après avoir retiré le Canon 3e du chapitre 4e, du Schème ayant ce méme but, et déclaré qu'on en reparlera à la discussion du Schème «de Ecclesia », on croyait que l'affaire serait écartée pour le moment. Mais hier matin on a distribué aux Pères, séance tenante, une nouvelle rédaction du Chapitre 4e, dans laquelle après les trois Canons on a ajouté cette conclusion de la première rédaction, conclusion que l'on supposait retirée comme corollaire du Canon 3e abandonné par la députation dogmatique:

« Itaque supremis pastoralis Nostri officii debitum exequentes, omnes Christi fideles, maxime vero eos qui praesunt vel docendi munere tunguntur, per viscera Jesu Christi, obtestamur, nec non eiusdem Dei et Salvatoris nostri auctoritate iubemus ut ad hos errores e Sancta Ecclesia eliminandos atque purissimae fidei lucem pandendam studium et operam conterant.

Quoniam vero satis non est haereticam pravitatem devitase nisi ii quoque errores diligenter fugiantur qui ad illam plus minusve accedunt: omnes officii monemus servandi etiam Constitutiones et Decreta quibus pravae eiusmodi opiniones quae isthic diserte non enumerantur, ab hac Sancta Sede prescriptae et prohibitae sunt ».

En vertu de cette déclaration les Encycliques et le Syllabus deviendralent des dogmes et l'Infaillibilité serait reconnue sans discussions irritantes, car on avait déclaré la discussion close et procéda à la votation. L'ignorance des usages parlementaires rend de pareilles surprises très faciles. Monseigneur Strossmayer lui-méme ne savait que faire, bien qu'il soit assez versé dans les ùsages d'assemblées politiques, et se contenta de motiver son vote négatif par les observations que j'ai hier communiquées à V. E. Lui et les autres 82 évéques qui se sont associés à son vote, ont agi sous l'influence d'un certain instinct plutòt que d'une parfaite connaissance de la cause.

Le chiffre de 83 parait avoir ranimé l'opposition qui n'avait compté que .;ur 45 à 47 voix. Dans la soirée, le Comité international s'est réuni chez le Cardinal Rauscher, et sur la proposition de Monseigneur Strossmayer, il a rédigé une protestation, immédiatement envoyée aux Cardinaux-présidents et portant que « si le Pape veut intervertir l'ordre des Schèmes proposés au Concile et déjà discutés, et faire suivre le Schème «de fide» par le Schème «de Ecclesia » avec son appendice de «Romano Pontifice » en escamotant les autres trois Schèmes déjà discutés et renvoyés aux députations dogmatique et disciplinaire, et qui partant doivent étre de nouveau proposés à la discussion avant d'entrer dans d'autres débats, les signataires de la protestation aviseraient s'ils pourraient encore prendre part à une assemblée dominée par des passions et des caprices et foulant aux pieds tous principes et tout ordre des délibérations ». C'est une analyse qui ne me parait pas trop exacte et je tacherai de me procurer le texte de la protestation. Les arguments ne sont pas concluants, car on pourra répondre que les deux députations n'ont pas terminé leur travail et que les Pères ont besoin de s'occuper de quelque chose en attendant. Mais en insistant sur le maintien de la suite des Schèmes, l'opposition entend trainer les débats sur les premiers quatre Schèmes jusqu'aux grandes chaleurs de la fin juin, et demande alors la prorogation du Concile

jusqu'à l'hiver. Ainsi, les Orientaux et les Américains du Sud s'en iraient et ne retourneraient plus à Rome; les janissaires de l'Infaillibilité seraient reduits à un chiffre insignifiant, et l'opposition se retremperait; et finalement, Pie IX peut mourir sur oes entrefaites et avoir un successeur plus sensé. Quoiqu'il en soit, gagner du temps serait un grand avantage pour l'opposition et je comprends ses efforts qui d'ailleurs ne me semblent pas promettre beaucoup de succès.

(l) Ed. in TAMBORRA, pp. 264-265.

402

IL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA {l)

R. 322. Atene, 14 aprile 1870 (per. il 20).

Confermo i miei telegrammi cifrati, due di martedì 12 corrente ed uno di ieri 13 (2), relativi alla cattura del conte Boyl, segretario di questa legazione, per parte di una numerosa banda di briganti.

Vengo ora a fare un più circostanziato rapporto.

Sabato scorso il conte Boyl mi disse che una società d'inglesi, fra i quali il segretario di questa legazione britannica, facevano lunedì una corsa a Maratona, partendo la mattina e ritornando per desinare, e mi chiese il permesso di accompagnarli. Io non ebbi alcuna difficoltà di aderire alla sua domanda, persuaso che il mio collega d'Inghilterra avrebbe, come si suoi fare, chiesto all'autorità una scorta e quella sorveglianza necessaria per proteggere i viaggiatori. Diffatti la domenica sera il signor Erskine mi disse aver mandato fin da sabato un impiegato della sua legazione presso il direttore della polizia, dal quale seppe poi che gli ordini erano stati dati in proposito.

Lunedì mattina, alle 6, i viaggiatori partivano scortati da quattro gendarmi a cavallo. La comitiva era composta come segue: lord Muncaster e Mylady, signor Wyner, cognato di lord De Grey, signor Herbert, segretario della legazione inglese, il conte Boy!, l'avvocato Lloyd, sua moglie, e la figlia di 7 ad 8 anni, un corriere greco, per nome Alessandro, ed il domestico del conte Boy!; tutti in due carrozze.

Giunsero a Maratona verso le undici e mezzo, e dopo visitato il terreno (poiché non vi è alcuna traccia di antichità) verso le due si incamminarono per ritornare. Dopo due ore di strada, cambiati i cavalli, fra due ponti, in un sito ingombrato d'alberi e macchie, vicino al luogo denominato Pikermi, venne (secondo il racconto fattomi dal domestico del conte) tirato un colpo di fucile come indizio che dovessero fermarsi. Due gendarmi precedevano le carrozze e due le seguivano. I due primi fecero fuoco sui briganti, i quali risposero con una scarica e ferirono gravemente i due gendarmi; uno di essi è già morto e l'altro è assai male.

Dopo ciò i briganti, in numero di 21, uscirono dal loro nascondiglio, fecero scendere i viaggiatori, presero i due gendarmi che si erano arresi, e coi tre cavalli s'incamminarono per salire la montagna del Pentelico. Fatti appena alcuni minuti di strada, un piccolo distaccamento d'infanteria che seguiva da lontano a perlustrare la strada, uditi i colpi di fucile, si mise alla corsa, e ad una certa distanza tirò sopra il gruppo composto dai viaggiatori attorniati dai briganti. Poco dopo giunse alla corsa un più numeroso distaccamento di fanteria che veniva da Maratona, ed appena fu a portata si pose a sparare con fucili chassepot. In questa scaramuccia i viaggiatori corsero vero pericolo, sia di essere colpiti dalle palle dei soldati che sentivano fischiare da vicino, sia per le minacce dei briganti che mettevano loro le armi in viso. Per evitare il primo pericolo si misero tutti a terra, camminando carponi e cercando di cuoprirsi nelle sinuosità del terreno. Cessato il fuoco de' soldati, la comitiva salendo sempre, le donne sui cavalli, e gli altri a piedi, giunse ad un piccolo prato, ove vi era una casetta rustica, e tutto ciò che indicava un provvisorio stabilimento di pastori. Dopo breve sosta si rimisero tutti a camminare e giunsero alla sommità di un versante del Pentelico, ove non vi erano che sassi e macchie. Fatto consiglio, i briganti deliberarono di lasciar partire le donne. Dati ad esse i tre cavalli, vennero inviate ad Atene accompagnate dai due gendarmi e dal domestico del conte in aiuto della piccola fanciulla. Dopo un cammino faticoso giunsero ad un villaggio ove trovarono la carrozza che le aspettava, e giunsero in città verso le dieci di sera.

Una delle due carrozze era stata subito spedita in Atene con i due gendarmi feriti; il cocchiere dell'altra, sapendo che in simili circostanze i briganti, giunti al sicuro, sogliano rimandare immediatamente le donne, si fermò al villaggio di Karvati per aspettarle, come egli disse, fino alle undici; ed infatti giunsero assai prima.

I briganti ritennero i cinque viaggiatori e l'interprete, ed appena seppero che vi erano due segretarii di legazioni estere si misero a danzare e saltare con una gioia frenetica.

La notizia di questa cattura pervenne in città per mezzo della prima carrozza verso le otto di sera. In quel momento io ero fuori di casa, ma circa le nove trovai persone che mi aspettavano onde raccontarmi la notizia che correva. Mi recai subito presso il mio collega d'Inghilterra. Egli era già stato dal ministro della guerra, ma vi ritornò ancora meco onde avere ulteriori notizie. Il generale Soutzo, attorniato da ministri e da una folla d'impiegati civili e militari, ci disse che erano stati ordini di movimenti di truppe, e spedita gente per sapere ove si trovassero i briganti.

Alle 11 venne il domestico di Boyl a portarmi un biglietto, in cui il conte mi diceva essere anzitutto necessario di sospendere ogni inseguimento per parte delle truppe. Gli altri prigionieri scrissero in egual senso, soggiungendo che veniva loro chiesto un ricatto di trentaduemila lire sterline.

Uno dei gendarmi recò una lettera del capo dei briganti per il ministro della guerra, il di cui senso era il seguente: «Vi avvertiamo che abbiamo preso il lord inglese con i suoi compagni; ci manderete entro tre giorni 50 mila lire sterline; impedirete ogni inseguimento, altrimenti ammezzeremo i signori; e darete ordine nelle provincie perché non ci molestino».

Dopo queste notizie, la prima disposizione che venne data fu di sospendere ogni movimento di truppa; vennero poscia spediti messi per sapere ove i briganti si trovavano, onde comunicare con essi. Martedì mattina vidi il signor Vallaoriti, che mi confermò queste disposizioni, e mi assicurò di tutto l'impegno per parte del Governo onde riescire nell'intento il più urgente, vale a dire di evitare ogni pericolo immediato pei prigionieri e liberarli al più presto, locché faceva pure l'oggetto principale delle preoccupazioni del ministro inglese e delle mie.

Nel mentre si aspettavano i riscontri dei messi spediti per rinvenire le traccie dei briganti, giunse mercoledì ad un'ora pomeridiana lord Muncaster recando le condizioni per parte dei briganti: 25 mila lire sterline o l'amnistia completa pei 21 briganti.

Chiamato subito dal mio collega d'Inghilterra, mi recai all'albergo, ove mylord mi diede buone notizie del conte Boy! e mi comunicò le condizioni di cui era latore. Poco dopo giunse il ministro della guerra, al quale fecimo parte della missione di lord Muncaster; il generale Soutzo partì subito per conferire co' suoi colleghi. Mylord non volle dire ove i briganti si trovavano, avendo a ciò impegnata la sua parola. Soggiunse però che avremmo dovuto preparare subito dei grossi cappotti ed un poco di vestiario, essendo i prigionieri sempre allo scoperto, ed il tutto dover essere spedito in giornata collo stesso mezzo col quale egli era giunto, vale a dire un carrettiere con un carretto, accompagnato dal domestico del conte Boyl, già conosciuto dai briganti.

II servo ritornò questa mattina, e da quanto mi disse sul tempo impiegato, si dedusse che i briganti dovevano essere quattro o cinque ore distanti dalla capitale. Mi diede buone notlzle dei viaggiatori, i quali erano al coperto in una capanna di pastori. Egli però ha portato lettere che complicano la situazione e la rendono difficile. Le proposte recate da lord Muncaster erano o 25 mila lire sterline o l'amnistia; oggi, in una lettera, di cui unisco copia tradotta, diretta a me ed al ministro d'Inghilterra, il capo dei briganti chiede una cosa e l'altra.

Per i denari le disposizioni erano già prese perché la somma fosse pronta oggi od al più tardi domani. Ma l'accordare l'amnistia è contrario alla Costituzione, a cui né la Camera né il Ministero può derogare, né vi si può introdurre alcuna modificazione se non da qui a quattro anni. Dall'unita risposta, in copia tradotta, che il signor Erskine ed io abbiamo fatto al capo dei briganti (1),

V. E. vedrà quali sieno le disposizioni che ci vennero comunicate dal signor Zaimis e dal signor Vallaoriti, e che furono prese questa mane dopo il ritorno del Re.

Io ebbi l'onore di essere ricevuto quest'oggi da Sua Maestà. Trovai il Re sdegnato, afflittissimo e pronto a qualunque sagrificio anche personale. Mi confermò le disposizioni che erano già state prese, e mi assicurò che faceva una questione d'onore perché i prigionieri fossero liberati un momento prima. Io ringraziai Sua Maestà, e gli promisi che ne avrei riferito al mio Governo. Gli esternai inoltre che prendeva parte al dispiacere che aveva provato per questo fatto, soprattutto dopo un viaggio di ovazioni fatto nelle Cicladi.

Per ora aspettiamo le risposte che i messi del Governo recheranno, e che non potranno giungere prima di domani mattina.

Prima di ultimare questo rapporto ed in conformità al mio telegramma di ieri, devo soggiungere che ho creduto mio dovere d'indirizzare al Governo greco una nota per renderlo responsabile delle conseguenze, basandomi sull'assoluta e non contestata mancanza di sorveglianza. V. E. troverà unita una copia della nota, di cui mi lusingo vorrà approvare il contenuto. Il mio collega d'Inghilterra mandò nello stesso giorno la sua nota entrando in maggiori particolari sul fatto e sulle precauzioni da lui prese per informare in tempo l'autorità. Egli dice che ne riferirà al suo ministro degli esteri, il quale deciderà se il Governo greco debba essere responsabile della somma di riscatto, e fa perciò le sue riserve.

Contemporaneamente i ministri di Francia, Austria e Prussia (finora ignoro degli altri), fondandosi sulla violazione della sicurezza dovuta agl'impiegati diplomatici, e per non pregiudicare i diritti in avvenire, fecero una comunicazione verbale al ministro degli affari esteri per esternargli la loro convinzione che il Governo ellenico era obbligato a pagare il riscatto.

Col corriere di posdomani invierò altro rapporto per completare ed aggiungere quei fatti ed incidenti che potranno sorgere, ...

(l) -Ed. in LV 15, pp. 8-10. (2) -Cfr. nn. 392, 393 e 398.

(1) Non si pubblicano gli allegati.

403

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 107. Cairo, 14 aprile 1870 (per. il 23).

Notizie giunte questa settimana da Nubar hanno distrutte le preoccupazioni prodotte dalle precedenti che annunziavano l'insuccesso della sua missione a Costantinopoli.

Non ho potuto vedere il Viceré perché ammalato, e dovendo oggi spedire i miei dispacci per la partenza ordinaria del postale, debbo rapportare all'E. V. quello che mi è stato confidato da Scerif Pascià.

Nubar chiese l'accettazione del progetto di riforma elaborato dalla Commissione ,riunita in Cairo. La Porta rigettò l'idea di una riforma, ma pretendeva imporre delle condizioni che il Viceré non poteva accettare, e molto meno avrebbero accettate le grandi potenze. Scerif non scese in dettagli perché questi Ministri non osano parlare su questioni delle quali il Viceré si occupa direttamente, se non che con persone di molta confidenza, e con queste anche con ritenutezza. Per darvene una idea, mi disse il Sultano pretendeva essere a lui lasciata la scelta dei Presidenti dei tribunali.

Nubar fu sul punto di ripartire per l'Egitto, ma un subitaneo mutamento nel Gran Vizir gli offrì di riprendere le trattative. Queste ebbero per risultato che la Porta restrinse le sue pretese alle seguenti condizioni:

1° Che il principio di chiamare giudici europei in Egitto non fosse indeterminato per sempre; ma che i nuovi tribunali sarebbero affidati a giudici Indigeni quando l'Egitto potesse offrire una magistratura istruita ed incorruttibile.

2° Che i nuovi tribunali non sarebbero obbligatori per gl'indigeni nelle cause tra essi.

3° Che accettato il progetto della riforma dalle potenze d'Europa, spetterebbe alla Porta di sanzionarlo per assumere forza di legge.

Nubar ha accettate queste condizioni: la prima risulta dallo spirito stesso del progetto della Commissione. La seconda vi è ammessa. La terza è una pretesa per far atto di sovranità sull'Egitto. Pe,r l'Egitto è un fatto normale della condizione attuale delle cose, e della sua posizione verso la Turchia, e credo che il Viceré abbia fatto bene di non discuterla. Per la Porta, penso invece sia un errore, poiché sanzionando essa una riforma giudiziaria in Egitto, stabilisce un precedente pe'r doverla concedere in quella qualunque provincia dell'Impero, per la quale le potenze, spinte a proteggere i propri interessi nazionali, potranno dimandarla.

Nubar dev'esser partito oggi o jeri da Costantinopoli per Marsiglia, e nello stesso tempo doveva essere dal Gran Vizir diramata una circolare ai Ministri ottomani presso le grandi potenze, per annunciare loro la di lui missione di interessarle all'accettazione della riforma, e perché ne cooperassero alla riescita.

Nulla si sa ancora su i lavori della Commissione riunita a Parigi.

Mi riserbo dare all'E. V. maggiori schiarimenti sulla missione di Nubar,

allorché potrò vedere il Viceré, il quale di certo me ne farà la relazione. Sono

dolente che gli affari amministrativi del Consolato d'Alessandria mi abbiano

forzato di rimanere due settimane assente da Cairo.

404

IL CONTE VIMERCATI, A VITTORIO EMANUELE II Cl)

T Parigi, 15 aprile 1870, ore 7 (per. ore 10).

La lutte qui se prépare sera décisive. Empire et révolution sont en face. Ollivier que je vois toujours est insuffisant. J'ai vu l'Empereur qui reconnait gravité situation et sent que s'il n'a pas au moins six millions de suffrages Empire est perdu. Rouher est le seui qui prete un concours efficace. En dehors de la chambre Ollivier est nul. Nigra a écrit à Visconti Venosta (2). Sa lettre peint situation au dessous de la verité. Prie Votre Majesté communiquer ma dépeche à Visconti Venosta. Démission Daru favorable nos intéréts. Il sera remplacé par Ollivier lui méme ou par La Guerronière ou peut-etre par Rouher.

Deux dernières hypothèses sont préférables. Faites surveiller mouvement mazzinien car il est général. Empe·reur m'a chargé etre intermédiaire pour formation d'un comité des journaux plébiscitaires.

(l) -Da ACR. (2) -Cfr. n. 400.
405

IL MINISTRO A MONACO DI BAVIERA, MIGLIORATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2155. Monaco, 15 aprile 1870, ore 13,15 (per. ore 14,40).

Ministre de Belgique a fait connaitre au Cabinet de Munich que son Gouvernement ne s'associe à observations que France propose présenter au Con cile.

406

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA (l)

D. 102. Firenze, 15 aprile 1870.

Appena ebbi ricevuto i telegrammi (2) coi quali Ella mi annunziava che il Conte di Boyl Segretario di codesta Legazione era caduto in mano di una banda di masnadieri, fu mia cura di darne avviso alla famiglia; ed oggi stesso il Conte d'Aglié mi ha telegrafato che «questa, vista l'urgenza, mi autorizza a fare ciò che occorre per la immediata liberazione del prigioniero d'accordo con quanto sarà per fare la legazione inglese».

In un affare tanto delicato non le posso tracciare di qui istruzioni precise. Ella saprà, non ne dubito, adoperarsi nel modo il più conveniente per l'interesse del catturato. La quistione che naturalmente ci si affaccia è quella di saper se la somma domandata dai masnadieri per la liberazione dei catturati non debba essere pagata dal Governo greco; ma anche a questo proposito, non saprei per ora manifestarle una fondata opinione. La responsabilità diretta del Governo greco può essere più o meno impegnata nel fatto accaduto, secondo che le circostanze particolari del fatto stesso lo dimostreranno. Lascio pertanto alla di Lei prudenza lo apprezzare queste circostanze, ed il vedere fino a qual punto il Governo locale può esser chiamato a rispondere per le conseguenze della mancanza di sicurezza in luogo tanto vicino alla capitale. In ogni caso, poi, siccome dalla Legazione inglese si faranno certamente i passi che si crederanno necessari nell'interesse dei sudditi britannici catturati insieme al Conte Boyl, così, Ella potrà sempre domandare in favore di quest'ultimo l'applicazione degli stessi provvedimenti che saranno adottati per quei sudditi inglesi.

(l) -Ed., con varianti, in LV 15, p. 7. (2) -Cfr. nn. 392, 393 e 398.
407

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERNA, MELEGARI

D. 47. Firenze, 15 aprile 1870.

Avendo io comunicato a S. E. il Presidente del Consiglio e Ministro dell'Interno i rapporti che V. S. mi diresse in data del 2 e dell'8 aprile nn. 76 e 77 di questa serie (l), ne ebbi in risposta una nota (2) nella quale è detto che il Ministro dell'Interno ha la certezza che il Mazzini continua ad alloggiare in Lugano in una villa Tanzina di proprietà della famiglia Nathan, che di là egli organizza e dirige i suoi affiliati mantenendo una continua minaccia all'ordine pubblico nel nostro Stato, che là egli chiama i più fervidi suoi partigiani, e che là, dopo i moti di Pavia, si rifuggì il Conte Bolognini, che, come ormai è notorio, li diresse.

Così stando le cose, Ella comprenderà, Signor Ministro, come il R. Governo non possa acquietarsi alle dichiarazioni fattele dal Governo federale intorno alle disposizioni prese per l'allontanamento dei perturbatori dalle nostre frontiere. Noi siamo sinceramente riconoscenti al Governo federale delle disposizioni dalle quali egli si dimostra animato; ma non possiamo a meno di provare una impressione penosissima nel riscontrare come quelle sue disposizioni non abbiano prodotto sin qui un effetto più conforme alla nostra giusta aspettazione.

Ella vorrà pertanto, Signor Ministro, fare presso il Governo federale quei passi che crederà necessari per fargli comprendere la necessità e l'urgenza in cui si trova di assicurare l'effetto delle deliberazioni da lui prese per l'allontanamento dei perturbatori che continuano a cospirare impunemente a danno nostro sulle nostre frontiere.

408

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (3)

L. P. CONFIDENZIALE. Londra, 15 aprile 1870.

Essendomi occorso di intrattenermi con persona molto autorevole sul soggetto del signor Daru, e delle sue recenti dimissioni da Ministro degli Affari Esteri credo opportuno di farle un cenno confidenziale, di alcune cose riguardanti questo soggetto. La persona con cui parlai conosce il signor Daru, e si intrattenne appunto or ora col medesimo.

Le dimissioni del signor Daru sono ostentivamente motivate (come quelle del signor Buffet) da dissensi sulla politica interna, e principalmente a riguardo del principio statutario, che riserverebbe all'Imperatore la piena libertà di

(ll Cfr. nn. 371 e 380.

appellarsi, semprequando lo voglia il plebiscito, senza dipendere per ciò dal Parlamento.

Però pel signor Daru v'ha una ragione particolare, la quale ha dovuto fargli parere molto felice l'incontro di una occasione per ritirarsi onorevolmente. Il signor Daru, uomo liberale per la politica interna, è pienamente clericale; è, per così dire, una specie di D'Ondes Reggio francese. Non importa di vedere se ciò sia logico; è un fatto. Ora il signor Daru posto nella necessità di agire ha appunto urtato contro le conseguenze dell'ordine illogico delle sue idee nelle cose riguardanti il Concilio di Roma. Come liberale, come uomo onesto, egli sentì di non poter lasciar compiere ciò che si fa a Roma, sotto la protezione delle bajonette francesi, senza alzare la voce in modo abbastanza energico. Come clericale egli sentì che non sarebbe capace di fare ciò che sarebbe inevitabile per la Francia di fare se non fosse ascoltata. Egli avrebbe detto, che era suo dovere di tenere un linguaggio energico alla Corte di Roma, come fece anche nella sua recente ultima nota; che vedeva bene, che, ove questo linguaggio non fosse ascoltato, ne venivano per la Francia delle conseguenze sul da farsi; ma che queste conseguenze le avrebbe dovute tirare, ed applicare un altro Ministro; ma non lui! La confessione è, in verità, molto ingenua; ma essa è naturalmente spiegata da quanto Le dissi sopra.

Non è a meravigliarsi, che un uomo che travasi in questa condizione, e che prevede che Roma non lo ascolterà desideri di ritirarsi tosto, e prima che venga la necessità di agire, e di subire l'umiliazione di ritirarsi allorquando il ritirarsi sarebbe un confessare che il fuoco fatto prima in parole era un fuoco di paglia, ed una mascherata. Questa deve pertanto essere pel signor Daru la causa principalissima della sua demissione, e ciò persuade ad un tempo non essere punto possibile, che egli ceda alle molte instanze che gli vengono fatte perché rimanga al Ministero.

Senonché il fatto del signor Daru, ed il riconoscersi per parte sua, che può avvenire che la Francia sia costretta a non limitarsi alle parole mi pare alquanto importante come segno del sentimento che ha la Francia della sua falsa posizione e della necessità di uscirne. Il signor Daru se ne andrà; ma quegli che prenderà il suo luogo (se pur ci vorrà stare) come potrà non fare ciò che il signor Daru stesso, nella previsione di certe probabilità credette inevitabile? La Francia lascerà essa schiaffeggiare i suoi soldati che fanno la guardia al Papa? Non mi pare possibile, e per me credo, che non le manchi che di trovare il modo di venire via da Roma, senza compromettersi troppo col partito clericale. Non mi pare dubbio, che, se per ragione di dignità non possiamo esercitare una azione diretta a Parigi per far ritirare le truppe francesi da Roma, nessuna circostanza potrebbe essere migliore, perché da tutte le parti la Francia si senta di rinfacciare la poco onorevole sua posizione, anche per opera della nostra azione sopra tutti i Gabinetti. Per questa convinzione, e dappoiché Ella non ha disapprovato il linguaggio da me già tenuto qui con Lord Clarendon, io non lascio trascorrere veruna occasione favorevole per agire in questo senso. Perché la Francia ritiri la sua truppa da Roma bisogna che la sua condizione attuale a Roma diventi impossibile per Lei non solo all'interno, ma anche nelle sue relazioni estere, e mi pare utile che noi lavoriamo a mettere in evidenza, ed in atto questa impossibilità. L'Imperatore ebbe due buone occasioni Ce ciò mi risulta positivamente) per preparare la sua ritirata da Roma; la prima quando tornò a Roma per l'affare di Mentana; la seconda quando fu annunziato il Concilio. Nel primo caso gli fu proposto di stabilire che, respinta l'invasione di Garibaldi, egli sarebbe tornato a Tolone, essendo lo stesso che la Francia abbia, o non abbia i soldati a Roma, per la protezione del Pontefice. Nel secondo caso gli fu proposto di dichiarare al Papa, che non sarebbe intervenuto negli affari del Concilio; ma di avvisarlo, e diffidarlo che se il Concilio non finiva alla primavera di quest'anno egli non sarebbe ristato dall'attuare la sua determinazione di ritirare dopo Pasqua le sue truppe. L'Imperatore rifiutò sempre questi partiti. È dunque evidente che le considerazioni che lo tengono legato a tenere la truppa a Roma non possono essere vinte che dalle sconcie conseguenze di questo sistema che bisogna cercare di rendere il più che sia possibile sensibile, e penoso per la Francia; e, per ciò, niuna occasione mi parrebbe più opportuna di questa.

Ritornando un momento al signor Daru Le dirò un piccolo fatto, il quale prova che la pratica, e la perizia degli uomini di Stato non è sempre anche nelle grandi nazioni, all'altezza del Paese che governano.

Le lettere private, e minacciose del signor Daru che i giornali hanno pubblicato qualche tempo fa, e che Egli ha disdette, non possono essere rifiutate dopo le cose dette sopra sulle sue tendenze ed opinioni clericali, che come una puerllità, una leggerezza, ed un atto di spavalderia. Ma, quando esse furono pubblicate egli si trovò in un brutto impiccio. Egli si trovò nella impossibilità di riconoscerne, o di negarne l'esattezza. Disse egli stesso, che non ne aveva tenuto copia, e che non si ricordava neppure a chi le avesse scritte! Tengo questa particolarità parimenti da fonte sicura, e diretta. Del resto non mi meraviglio punto della poca pratica e prudenza di questo Ministro; chi ha passato tanti anni a non far altro che l'opposizione al Governo è, d'ordinario, poco atto a governare.

Ebbi tosto cognizione dell'ottima nota del signor Daru; ma non stimai di fargliene parola, perché sapevo che essa era stata annunciata subito al mio collega il Cav. Nigra. Ella mi vorrà condonare questa confidenziale cicalata, la quale certamente non mi permetto che in una corrispondenza affatto privata.

(2) -N. rr. p. 165 del 14 aprile, non pubblicata. (3) -Da ACS, Carte Visconti Venosta.
409

VITTORIO EMANUELE II AL CONTE VIMERCATI (l)

T. Torino, 16 aprile 1870, ore ... (per. ore 10).

Reçu depèche (2) et communiquée Visconti. Position est certainement bien

tendue et je ne comprends pas comment on en soit venu à ce point. Ici

il y a des graves difficultés a surmonter mais j'espère qu'on pourra les vaincre.

Je vous prie de me tenir au courant de ce qui se passe de sérieux car cela

sert de règle pour ici.

(l) -Da ACR. (2) -Cfr. n. 404.
410

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO (l)

D. 47. Firenze, 16 aprile 1870.

Chiamo tutta l'attenzione della S. V. sui rapporti che la Legazione di Sua Maestà in Costantinopoli ha indirizzato a questo Ministero per informarlo delle trattative occorse fra Nubar Pascià e la Sublime Porta in ordine alle riforme giudiziarie dell'Egitto. Le idee espresse in quei dispacci e le osservazioni in essi contenute sono pienamente conformi agli intendimenti del Governo del Re. Noi aspettiamo che il Governo del Khedive ci spieghi come, non credendosi egli abilitato a trattare colle Potenze sulle materie che formarono oggetto delle proposte della Commissione internazionale, abbia potuto insistere come ha fatto perché la Commissione stessa facesse proposte concrete in un rapporto collettivo. Non possiamo intanto nascondere la sorpresa che abbiamo provato nel leggere la nota da Nubar Pascià comunicata al R. Ministro a Costantinopoli. L'Egitto, il cui rappresentante nella Commissione ha firmato il rapporto collettivo, è vincolato da questo fatto verso le Potenze per tutto ciò che col rapporto stesso ha proposto alle medesime di accettare.

Oltre a ciò, non è ammissibile l'interpretazione data da Nubar Pascià ad alcune clausole che costituiscono le princip!J;li guarentigie sulle quali i Commissari delle Potenze hanno unanimemente insistito. Non fu mai opinione del Governo del Re che alle guarentigie domandate si dovesse attribuire un carattere transitorio. Queste formano nel loro complesso un nuovo sistema sul merito del quale i Governi avranno a pronunziarsi; ma è per noi indubitabile che niuno può aver seriamente pensato a sostituire ad un regime permanente e duraturo in perpetuo, fondato sopra basi incontestabili, un sistema transitorio ed instabile di cui sarebbe in balia del Governo egiziano di mutare le principali condizioni.

Noi dobbiamo inoltre fare fin d'ora le più espresse riserve sulla pretesa del Governo Egiziano di poter introdurre le riforme giudiziarie per effetto di una disposizione legislativa del Khedive senza che precorrano positivi impegni dell'Egitto verso le Potenze. Sulla forma da darsi a tali impegni non intendiamo pronunciare! per ora, ma è bene che V. S. sappia come, trattandosi di modificare sostanzialmente l'ordine delle giurisdizioni alle quali sono attualmente soggetti i nostri connazionali in Egitto, noi non consentiremo a procedere in affare tanto grave senza le volute cautele né permetteremo che in alcuna guisa, anche indiretta venga scemata la pienezza dei diritti dei quali siamo in possesso, e nei quali potremmo forse trovarci nella necessità di rientrare se l'esperienza della riforma non sortisse un esito soddisfacente.

Ella sa, Signor Commendatore, che il Governo del Re è in procinto di sottoporre all'esame di un'apposita Commissione le proposte di quella di cui Ella e il Signor Consigliere Giaccone fecero parte. La nuova Commissione

che sta per riunirsi avrà per mandato di determinare entro quali limiti e sotto quali condizioni il voto consultivo espresso dai Commissari europei riuniti al Cairo merita la nostra adesione.

La partenza imminente del corriere per Alessandria mi impedisce di entrare oggi in maggiori particolari sul merito delle note di Nubar Pascià; ma mi propongo di ciò fare, ove sia necessario, in altra occasione.

Intanto desidero che Ella faccia conoscere senza ritardo questo nostro modo di vedere al Governo del Khedive, acciocché questo non ignori l'impressione che abbiamo risentito dei negoziati di Nubar Pascià con la Sublime Porta e conosca tutta l'estensione delle riserve che in proposito stimiamo sin d'ora di dover fare.

(l) Ed., con varianti, in LV 21, p. 81.

411

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO (1)

D. 48. Firenze, 16 aprile 1870.

Ella saprà a quest'ora che da agenti della compagnia Rubattino, imbarcati a bordo del piroscafo «Africa», furono condotte a termine le trattative per l'acquisto di un territorio che comprende il capo Lamah, nonché la baja adiacente, e per la locazione a lungo termine dell'isola Dermakié. Le trattative furono condotte coi capi di tribù possessori di quei territori, e gli atti relativi a quegli acquisti sono ora perfetti.

Il Governo del Re, col consenso del quale la compagnia Rubattino ha proceduto in questo affare, ha dato istruzioni al R. piroscafo la Vedetta di proteggere la fondazione di quello stabilimento italiano, destinato a somministrare alla nostra navigazione uno scalo pei suoi commerci nel mar Rosso.

Di tutto ciò informo la S. V., in via riservata e confidenziale, soltanto perché Ella possa, quando Le venissero fatte interrogazioni dal Khedive o dal suo Governo, spiegar loro le cose, come stanno, interessandoli a vedere con occhio favorevole che gli italiani fondino stabilimenti dei quali si avvantaggerà considerevolmente il traffico del nostro commercio attraverso l'Egitto.

412

IL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (2)

R. 323. Atene, 16 aprile 1870 (per. il 23).

Confermo il mio telegramma in cifra in data di jeri (3). Col medesimo annunziavo che i briganti chiedevano ora il denaro e l'amnistia.

Il mio precedente rapporto (l) che ho spedito col vapore francese annunciava l'ultimo stadio in cui si trovava al 14 l'affare del riscatto dei signori che si trovavano in potere dei briganti.

Uno dei messi spediti dal Governo ritornò jeri mattina. I briganti insistevano sull'amnistia, soggiungendo che secondo l'opinione di persona di mente forte quella poteva concedersi. Però affine di essere più sicuri andavano a chiedere ed aspettavano l'opinione di tre avvocati che avevano designato. Il signor Zaimis dubitava che i nomi degli avvocati che gli furono comunicati non sieno i veri. Comunque sia il messo ritornò jeri dopo il mezzodì presso i briganti portando questo consulto. Con la stessa o con altra occasione il Ministero insistendo sull'impossibilità di accordare la amnistia proponeva ai briganti altri mezzi come facilitazione per andare all'estero, assicurazione di grazia ove in avvenire fossero presi etc. etc. Non so finora quale accoglienza i briganti faranno a simili proposte.

* Quest'insistenza di avere l'amnistia rende difficile l'immediata e pronta liberazione dei prigionieri. Il Ministero è persuaso che in ciò ci debba essere intrigo politico e ciò mi sembra probabile. L'opposizione crede che la questione dell'amnistia debba forzatamente indurre il Governo a chiamare la Camera, lo che potrebbe rendere dubbiosa l'esistenza del Ministero. La stampa si pronuncia in questo senso *.

Il signor Zaimis mi disse jeri aver saputo che oltre i messi del Governo ne sono partiti altri due uno dei quali recava una lettera la quale consegnata al Capo dei briganti faceva a questi mutare le prime condizioni ed invece di venire a transazione sulla questione dell'amnistia come pare si fosse in pria deciso, incoraggiato elevava nuove e più gravi pretese, fra le quali quella che l'amnistia fosse generale per tutti i briganti.

Queste comunicazioni dei briganti con persone estranee e forze ostili al Governo indussero questo a dare ordini severi ai Capi dei distaccamenti che si trovano lungo la strada di non lasciar proseguire alcuno che non fosse munito di una lettera del Ministro della Guerra.

Il fatto di questo colpo di mano eseguito dai briganti è collegato con le molte intelligenze ch'essi hanno nella città, intelligenze che la polizia di Atene non ignora od almeno non deve ignorare. I briganti stessi confessarono che una parte del denaro che riceveranno deve essere distribuita fra i loro corrispondenti.

Jeri mattina ricevetti un biglietto del Conte Boyl che mi fa sapere che stava bene in salute, e sperava che le negoziazioni avrebbero ben presto felice successo. Intanto per mezzo dei messaggeri coi quali comunichiamo si procura di mandare loro ciò che può rendere ad essi meno dura la presente condizione.

Nel precedente rapporto dissi che i Ministri di Francia, Austria e Prussia avevano fatto pratiche verbali presso il Ministro degli Affari Esteri. Ho poi saputo che anche gli altri hanno parlato con il signor Vallaoriti nello stesso senso che il Governo era obbligato a pagare il riscatto.

Il Ministero non si è ancora pronunziato a questo riguardo. E né io né il Ministro d'Inghilterra abbiamo creduto di porre sul tappeto tale questione in un momento in cui la principale preoccupazione deve essere quella di liberare un momento prima i nostri nazionali * e non entrare in discussioni che potrebbero essere di ritardo con pericolo per essi di minacce o di mali trattamenti *.

Per ogni eventualità io mi sono posto in misura da non lasciare il Conte di Boyl nella spiacevolissima situazione di non potersi riscattare quando gli altri avessero trovato i mezzi di poterlo fare, né voleva ch'egli fosse una difficoltà che ritardasse la liberazione di tutti.

È anche opinione di alcuni che l'obbligare la Grecia a pagare in questa circostanza il riscatto sarebbe rendere servizio al paese, costringendo le autorità a maggior sorveglianza in avvenire. Anzi per estirpare con maggior energia il brigantaggio sarebbe a mio parere necessario il rendere le comuni responsabili dei ricatti che hanno luogo nelle loro comuni. Questa misura sarebbe è vero di difficile esecuzione ed a moltissimi non piace e ben mi ricordo che essendo stata proposta una legge in questo senso non fu accettata dalla Camera.

* È certo che una volta che i prigionieri sieno liberati dovrà in seguito aver luogo qualche atto di vigoria e forse anco crisi o modificazione ministeriale. Ma per cotali ed altre conseguenze politiche dipendenti da questo fatto mi riservo a discorrere a misura che gli eventi si presenteranno*.

Intanto il timore è generale ed alcuno non osa allontanarsi dalla città. Ogni movimento di truppe essendo stato sospeso per non dar ombra ai briganti che hanno in mano i prigionieri, questa circostanza può rendere ardito qualche altro capo banda, come lo Spanos, che travasi a quanto si dice, nell'Attica od almeno poco lontano, a tentare qualche cattura che lo possa mettere nella condizione vantaggiosa del suo collega Dimitrakoi Arvanitaki che ebbe la fortuna di ottenere un così brillante successo.

P. s. Avevo ultimato il presente rapporto quando ne giunse la notizia che 1 briganti hanno jeri mattina lasciato Keramides sotto il Pantelico e si sono trasferiti a quanto si crede ad Oropo. Ora la distanza dalla capitale sarebbe duplicata cosicché oggi difficilmente potremmo avere notizie. Essi dicono che i signori staranno meglio. Hanno condotto seco gli emissarj del Governo per continuare le trattative.

(l) -Ed., con varianti, In LV 34, p. l. (2) -Ed. con alcune varianti e ad eccezione del brani fra asterischi, in LV 15, pp. 11-12. (3) -T. 2158, non pubblicato.

(l) Cfr. n. 402.

413

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 30. Roma, 16 aprile 1870.

Les nouvelles font défaut ici. Au Vatican on est occupé des Cérémonies et fait semblant de ne point se préoccuper du monde. Beaucoup des éveques étrangers ont profité des vacances du Concile pour quitter Rome et aller à Naples ou aux environs de Rome, soit pour se reposer, soit pour échapper à

l'ennui des Cérémonies. Ceux qui sont restés à Rome ne recevaient pas de visites, et de cette façon toutes les sources d'informations se tarissent jusqu'à lundi ou mardi prochain. On se demande réciproquement des nouvelles et personne ne parait etre à meme d'en donner.

Le Pape a présidé toutes les cérémonies depuis le dimanche des Rameaux jusqu'aujourd'hui midi. Il se porte à merveille malgré ces énormes fatigues, et quand il donnait après la messe d'aujourd'hui la bénédiction, sa voix a retenti dans cette immense église de St. Pierre comme celle d'un homme de trente ans. Mais si les poumons du St. Père sont indestructibles, ses jambes commencent à lui refuser leurs services, car hier, à la procession du St. Sacrament, il trainait bien péniblement le pied gauche. A la bénédiction du Jeudi saint, il y a eu, comme toujours, beaucoup de monde sur la place de St. Pierre, et on a vivement acclamé le Pape, je n'ai pas cependant entendu d'autres cris que ceux de «Viva Pio Nono».

V. E. sera dans doute déjà informée du contenu de la note française dont

M. de Banneville est porteur. On me dit que ce document est incroyablement faible et incolore, et abandonne l'idée d'envoyer un Légat de France au Concile, en formulant quelques réserves si générales que le Cardinal Antonelli sera ravi de cette reculade française qu'il a si bien prévue. Je n'ai pas vu, ces jours derniers, Monseigneurs Dupanloup et Darboy, absents tous deux à ce qu'on me dit, et ainsi je n'ai pas encore connaissance de leurs conseils donnés à M. de Daru sous forme de brouillon de note. Si la note est réellement si insignifiante qu'on assure, les deux éveques-diplomates n'auront garde de me communiquer leurs observations qui, à ce que je suppose, ne se distingueront pas plus par leur force et précision.

La protestation du Comité international contre le dessein d'intervertir l'ordre des Schèmes au profit de l'Infaillibilité, est conforme à l'analyse que j'en ai donnée à V. E.; seulement, la menace de quitter le Concile n'y est pas exprimée d'une manière positive comme le voulaient les opposants les plus avancés. Le Cardinal Rauscher a cependant reçu et accepté le mandat de faire, de vive voix, cette déclaration de la manière la plus ferme aux Cardinauxprésidents. Alors on s'est accordé d'attenuer les termes trop raides de la protestation. La protestation a été immédiatement envoyée aux CardinauxLegats, mais le Cardinal Rauscher n'est pas encore allé les voir et s'acquitter de son mandat.

(l) Ed. 1n T AMllORRA, p p, 265-266.

414

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2160. Vienna, 17 aprile 1870, ore 20,30 (per. ore 23,45).

Il me revient de très bonne source qu'à la suite d'ouverture officieuse du ministre de Prusse sur affaire du Schleswig Beust a fait partir avant hier une personne de sa confiance avec mission de sonder le Cabinet prussien relati

32 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. XII

vement aux bases sur lesquelles on serait disposé à traiter. Elle devra conférer avec le secrétaire d'Etat M. de Bulow à l'insu de Wimpfen, et se rendre ensuite à Copenhague dans le méme but.

Il est question d'une entrevue de l'Empereur d'Autriche avec le prince royal de Prusse à Carlsbad prochainement.

415

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA

T. 1101. Firenze, 18 aprile 1870, ore 13,20.

Vous étes autorisé à payer immédiatement pour le compte de notre secrétaire de légation sa quote part de rançon si les anglais envoient la leur.

416

IL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2167. Atene, 18 aprile 1870, ore 14 (per. ore 2,15 del 22).

J'ai reçu lettre du secrétaire de légation de Oropo. Il est bien et bien traité. Difficulté de l'amnistie existe encore. Les brigands insistent avec le ministre d'Angleterre. Nous avons pensé de proposer de les faire conduire par un moyen maritime siìr en lieu de siìreté hors de Grèce. M. Erskine à envoyé dépéche télégraphique à son Gouvernement en ce sens, vu le dangers aux quels serait exposée l'existence des prisonniers.

417

IL CONTE VIMEIWATI A VITTORIO EMANUELE II (l)

T. Parigi, 19 aprile 1870, ore ... (per. ore 23,30).

Ici on a bon espoir sur succès plébiscite, mais il faut que Empereur travaille de toutes ses forces. Tous les partis en font de méme. On découvre journellement des complots pour un mouvement général appliqué à chaque pays se basant sur les questions qui peuvent servir de levier. Une correspon

dance a été saisie, elle prouve qu'en France et en Italie c'est sur l'armée que les révolutionnaires doivent travailler. Que Votre Majesté recommande à Lanza la plus grande surveillance et à Govone de ne pas perdre de vue les sous officiers, sur lesquels agit le parti républicain. Sept sous-officiers ont été arretés dans l'armée de Paris. Les chefs du mouvement révolutionnaire général savent que les armées permanentes sont le seui empechement à Ieur succès. Empereur est très mécontent du prince Napoléon. C'est la còterie dirigée par Thiers qu'il faut demolir, car elle s'est faite instrument pour désarmer le gouvernement impérial. Une fois qu'elle aurait réussi, le mouvement éclaterait.

(l) Da ACR.

418

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA (l)

L. P. Firenze, 19 aprile 1870.

La ringrazio della sua lettera particolare del 15 corrente (2) che ho ricevuto ieri e non frappongo tempo a rispondere.

Com'ella può immaginarsi, da quando giunsi al Ministero, la prima e più costante mia sollecitudine si volse alla quistione dell'intervento francese nel territorio romano. Porre un termine a questo intervento mi pare un vitale ed urgente interesse della politica italiana.

Nello stesso tempo però rimasi sempre convinto che, al punto in cui ormai ~i trova la quistione il Governo Italiano non poteva sollevarla ufficialmente a Parigi che per giungere a quell'accordo che desideriamo, o, in caso di rifiuto, per avvisare a quella condotta che ci sarà consigliata dal sentimento della nostra dignità. Il peggiore di tutti i partiti mi pareva quello del rinnovare inutilmente qualche timido ufficio. o qualche domanda infruttuosa e delusa.

Mi astenni dunque, nel modo più assoluto, da qualunque pratica ufficiale a Parigi, e quanto possono aver detto i giornali in contrario è completamente inesatto. Nelle mie conversazioni con Malaret mi limitai a dirgli che il Governo Italiano si riserbava il diritto di sollevare la quistione quando gli fosse parso conveniente, che le condizioni poste dalla Francia stessa alla cessazione del secondo suo intervento noi le ritenevamo ampiamente verificate, che, frattanto, mantenevamo i vantaggi morali di una situazione la quale ci permetteva di affermare che l'Italia per parte sua adempieva i suoi impegni e lasciavamo considerare alla Francia se altrettanto si poteva dire di essa.

A Nigra scrissi poi di non sollevare, in alcun modo, la quistione col Conte Daru. Feci solo qualche riserva a proposito delle sue celebri lettere e tenendo conto del loro carattere non ufficiale. Osservai che, dal momento che la Francia citava a nostro riguardo gli obblighi della Convenzione, essa non

poteva far dipendere la esecuzione, per parte sua, o la non esecuzione di quel patto, dalla condotta del Governo Pontificio e del Concilio. Tanto nel nostro silenzio con il Conte Daru, come in quella riserva, io ero guidato dallo stesso concetto. Ero ben disposto a non suscitare la quistione, ma però non potevo !asciarla compromettere.

Le ultime dichiarazioni ufficiali del Governo francese fatte segnatamente col mezzo del Marchese di Lavalette, quand'era Ministro degli Affari Esteri, si riassumevano in questa conclusione: è ammesso il principio del ritiro delle truppe, è riserbata la quistione del momento opportuno. Ora se il Conte Daru, sia in una conversazione ufficiale con Nigra, sia in un atto diplomatico, sia dalla tribuna, avesse fatto delle dichiarazioni che fossero state un passo indietro dalle dichiarazioni antecedenti, o vi avessero fatto entrare qualche nuova condizione, io sarei stato costretto a sollevare risolutamente la quistione, quand'anche mi paresse inopportuno il momento del quale non avevo più la libera scelta.

Nigra, ebbe, in modo affatto privato, delle conversazioni in proposito e coll'Imperatore e col signor Ollivier e mi teneva informato dello stato delle cose. L'Imperatore era favorevole al ritiro delle truppe, ma, disposto, in questa difficile quistione, a fare il sovrano costituzionale, non avrebbe presa alcuna iniziativa. Ollivier affermava di avere sempre le stesse simpatie per l'Italia e di non aver mutata opinione nella quistione dell'intervento, ma egli doveva contare e col Corpo Legislativo e coi suoi colleghi, in un Ministero costituito col concorso di quella frazione parlamentare la quale, negli affari di Roma, professava la politica che ha nel Signor Thiers la sua maggiore personificazione. Gli stessi nostri amici dunque, dominati dall'interesse preponderante delle quistioni interne, non erano disposti a complicare colla vertenza romana la situazione parlamentare e ministeriale già abbastanza difficile, e una nostra domanda uFiciale avrebbe avuto per risposta un rifiuto più o meno mitigato da forme cortesi.

D'altrondE', la riunione del Concilio, la fase attuale delle quistioni a cui esso ha dato luogo, le istesse condizioni del Ministero italiano che non ha ancora ricevuta alcuna definitiva consolidazione parlamentare erano altrettante considerazioni accessorie e dilatorie che si potevano opporre. Ed era importante scegliere un momento in cui non ci si potesse, con qualche fondamento di ragione, rispondere con argomenti di natura dilatoria. In Francia, a Roma, in Italia, il concorso delle circostanze era tale da far reputare inopportuno il momento.

Ma, nello stesso tempo, è d'uopo riconoscere che la situazione attuale non può di troppo prolungarsi; è impossibile che si prolunghi indefinitamente una situazione per la quale si considera come esistente un trattato eseguito da una parte e non eseguito dall'altra. V'è in tale fatto qualcosa di incompatibile colla dignità di un paese. L'opinione pubblica in Italia è ora assai temperata per tutto quanto si riferisce alla quistione romana, ma anche gli uomini i più calmi e i più moderati si sentono offesi da questa condizione anormale e non ammettono che possa continuare oltre un certo limite. Nel mio pensiero questo limite parmi che si possa fissare. Quando il Concilio

sarà o chiuso o prorogato, e lo sarà nella prossima estate, quando in Francia e in Italia le sessioni legislative saranno chiuse, quando non intervenga in Italia, come fermamente confido, alcun fatto che possa dare alla Francia alcun ragionevole pretesto, noi solleveremo la quistione. Se il Governo Francese ci risponde con un rifiuto, sono deciso a denunziare la Convenzione, sospendendo il pagamento del debito pontificio. Comprendo la gravità di quest'ultima misura e tutte le considerazioni che si possono addurre contr'essa. Ma la prego anche di pensare che se la denuncia o la sospensione della Convenzione deve essere un atto serio, bisogna che vi sia una sanzione e che questa è la sola sanzione che ci sia dato di porre. Altrimenti il nostro atto si ridurrebbe ad una manifestazione sterile e priva di qualunque risultato. D'altronde si potrebbe compierlo in modo da riserbare, per quanto è possibile, la quistione di giustizia e di equità, determinando solo, con un fatto di sua natura provvisorio, che frattanto è perento il titolo della Francia a mescolarsi di questo affare. Rimane inteso, né è bisogno che Io dica, che su questo punto è d'uopo di mantenere il più assoluto segreto.

Quando sarà giunto il momento di sollevare la quistione colla Francia, sarà d'uopo di fare agire quei Governi la cui opinione può essere ascoltata a Parigi. L'Inghilterra e anche l'Austria ci accorderanno, spero, il loro concorso, e ci potranno rendere un segnalato servizio.

Sono pienamente d'accordo con lei sul reputare utilissimo il servirsi di tutti i mezzi di cui possiamo giovarci perché il Governo francese sia continuamente in occasione di convincersi che la sua condotta a Roma si trova in contraddizione colla opinione liberale e civile di tutta l'Europa, popoli e governi. Non è la presenza delle sue truppe nel territorio pontificio la sola eccezione che esista ora in Europa al principio tutelare del non intervento?

È certo che, in questi ultimi tempi, la situazione in Francia si è fatta migliore per noi. La condotta della Curia romana nel Concilio, l'insuccesso della politica francese che si è tanto impegnata nehla quistione, destano nell'opinione pubblica di quel paese una corrente che ci è favorevole. Daru e Buffet sono usciti dal Ministero, l'influenza del signor Ollivier rimane preponderante nel Governo, s'egli ci si sa mantenere. Ad ogni modo, sinché dura l'agitazione del plebiscito, non si può certo parlare di Roma al Governo francese, e, anche dopo il plebiscito, le preoccupazioni del signor Ollivier si volgeranno tutte alla situazione interna e parlamentare. Se le speranze d'una soluzione favorevole si sono d'alquanto accresciute, non confido però ch'essa sia prossima.

Frattanto io la prego vivamente di voler continuare nei suoi rapporti con Lord Clarendon, a mantenerlo in favorevoli disposizioni di spirito. L'opinione del Governo inglese è di un gran peso dappertutto e anche a Parigi. Non cessi dal far sentire a Lord Clarendon quanto sia stata grande la moderazione della nostra condotta, quanto ci siamo mostrati disposti a tener conto delle difficoltà e degli imbarazzi del Governo francese, e ne teniamo conto anche ora, ma come certo non si può supporre che la situazione attuale possa durare. Certo che ora non converrebbe di sollevare la quistione, né direttamente né indirettamente, col mezzo dell'Inghilterra, perché qualunque risposta che in senso negativo fosse data all'Inghilterra comprometterebbe alquanto la nostra libertà di azione ulteriore. Ma è bene che le disposizioni del Governo inglese siano mantenute vive nello stesso senso, perché ci possa, al momento opportuno, dare un valido appoggio, e perché in ogni occasione che parrà a Lord Clarendon opportuna, le opinioni del Governo inglese sieno fatte note alla Francia. Comprendo bene tutta la gravità della quistione romana propriamente detta, comprendo come il Governo francese si arresti dinanzi alla responsabilità della sua soluzione. Ma ora si tratta solo di una quistione ben distinta, quella della occupazione militare. Oggi questa occupazione non è richiesta dalla sicurezza del Pontefice perché questa non corre alcun pericolo. Se v'ha qualcosa che non si rinnoverà in Italia sarà Mentana. L'occupazione non giova che a offendere il sentimento nazionale in Italia, a gettare nella quistione un gratuito elemento di irritazione, a impedire anzi qualunque riavvicinamento dell'Italia e del Papato, e a compromettere la politica francese nelle più deplorabili solidarietà. Quandc gliene sia porta l'occasione sarà bene che ella intrattenga, in tesi generale, di questa quistione anche il signor Gladstone. Il signor Gladstone è un uomo politico che, per dirla coll'autore latino, nihil humani a se alienum putat. Per la sua grande autorità morale anche fuori di Inghilterra egli è naturalmente chiamato ad esercitarla in tutte le quistioni che hanno un lato morale che le unisce, per così esprimermi, alla causa generale della libertà, della giustizia e del progresso del mondo intero.

Le sarò grato se, ricevuta questa mia lettera, ella avrà la bontà di farmi conoscere, in via confidenziale, le sue osservazioni in proposito, ...

(l) -Da AVV. (2) -Cfr. n. 408.
419

TKALAC AL MINI8TRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 31. Roma, 19 aprile 1870.

Dans la séance du Concile d'aujourd'hui on a discuté les amendements proposés sur l'ensemble du Canon «de fide». Ils ont été rejetés tous. La conclusion, dont dans ma lettre avant-dernière (2) j'ai transmis à v. E. le texte, n'a, malgré les 83 votes contrai;:es, pas meme été mise en discussion et reste telle quelle. A la séance on a distribué aux Pères un monitum portant que la Séance solennelle pour la publication du Schème «de fide» aura lieu dimanche, 24 avril prochain, et qu'on n'y votera que par « placet » ou «non placet »; ,Je « placet sub conditione » est exclu. Ainsi, la majorisation des Pères dissidents et la validité absolue de tous les décrets et toutes les constitutions pontificales -l'Infaillibilité implicite -sont désormais des faits acquis. L'opposition est sortie consternée de la Séance. Elle se réunira demain pour avis,er. Gela vient trop tard. Le Réglement porte les fruits aux quels on s'en attendait au Vatican.

Tous les efforts des Infaillibilistes tendront à diviser les opposants afln d'éviter le scandale de publier des décrets « unanimes » contre 83 votes contraires. Je crois que ces efforts auront du succès, et que les votes contraires seront reduits à un chiffre bien insignifiant. Quoi qu'il en soit, la crise s'approche.

La note française a fait un immense «fiasco». Le Cardinal Antonelli en parle à bon droit en triomphateur. L'accession de la Prusse, de l'Autriche et de la Bavière ne changerait rien à cet état de choses. Quant à l'attitude du gouvernement anglais, M. Odo Russell persiste à dire que Lord Clarendon reste, malgré l'avis contraire de M. Gladstone, décidé à s'abstenir complètement de toute action diplomatique au sujet du Concile. Lord Acton, par contre, travaille auprès de M. Gladstone et le parti catholique pour que l'Angleterre accède à la note française et contribue ainsi à lui donner le caractère d'une démarche collective ou plutòt identique.

(l) -Ed. in TAMBORRA, p. 266. (2) -Del 13 aprile, ed. in TAMBORRA, pp. 264-265.
420

IL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2165. Atene, 20 aprile 1870, ore 9,40 (per. ore 17,55 del 21).

J'ai reçu vos dépeches du 15 (l) rançon 25 mille livres sterling a été divisée par les prisonniers. Serpieri a consenti à avancer cinq mille livres quote part de notre secrétaire de légation. Veuillez bien m'indiquer où doit adresser lettre de change (2). Les anglais sont prets. On attend le résultat des dernières négotiations.

421

IL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2166. Atene, 20 aprile 1870, ore 17,[0 (per. ore 18 del 21).

Les prisonniers depuis hier matin sont dans le village Oropo. Les troupes sont dispersées de manière à empécher le départ des brigands qui menacent d'aUer en Thessalie. Un autre négociateur homme respectable parti hier devait avoir ce matin entrevue avec le chef. Les captifs étaient bien.

(l) -Cfr. n. 406. (2) -Con t. 1104 del 22 Della Minerva venne autorizzato a emettere una tratta a tre mesi sul Ministero degli Esteri.
422

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI,

AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2164. Vienna, 20 aprile 1870, ore 20,20 (per. ore 22,50).

Ex-Reine de Naples ici depuis... (l) attend prochainement son mari pour aller habiter le chateau Schoenbrunn jusqu'à la fin de ma,i, de là en Bavière chez le due Maximilien et ensuite à Lucerne, où les préparatifs paraissent dépasser les proportions d'une installation d'été.

423

IL CONTE VIMERCATI A VITTORIO EMANUELE II (2)

T. Parigi, 20 aprile 1870, ore... (per. ore 23,45).

Prie Votre Majesté dire Visconti Venosta que j'ai reçu sa lettre (3) parfaite sur tous les points, excepté fonder espoir sur Ollivier qui remporte succès à la Chambre, mais incapable aux affaires. Sa versatilité empèche toute entente sérieuse. Empereur a donné conseil au prince Napoléon de s'éloigner.

Question financière importante en Italie, mais conservation armée est vitale, vaut mieux augmenter impòt sur la rente que reduire l'armée. «Qu'on fasse connaitre à Govone ma manière de voir ». Je ne veux que le bien du pays. Par le succès du plebiscite nous pouvons éviter contrecoup d'une révolution. Retraite Buffet et Daru nous piace nettement entre l'Empire et la révolution. J'espère qu'on reussira.

J'irai Florence me rendant en Egypte. Voyage retardé par arrivée Paris de Nubar pacha et surtout par plebiscite pour les quels les journaux associés jouent un grand ròle.

424

IL MINISTERO DEGLI ESTERI AL MINISTERO DELL'INTERNO

D. Firenze 20 aprile 1870.

II Ministero degli Affari Esteri ha ricevuto in questo momento un telegramma della R. Legazione a Berna (4), col quale gli si annunzia che il famoso demagogo russo Bakunin ha lasciato Ginevra per recarsi a Milano, nello scopo

(-4) T. 2163 dello stesso 20 aprile.

di organizzarvi lo sciopero degli operai a nome della «Internazionale~. e fors'anca per arruolare operai per Mazzini. Queste notizie vennero somministrate al Cavaliere Melegari dai suoi colleghi di Prussia e di Russia.

(l) Gruppo indecifrato.

(2) Da ACR.

(3) -Non in AVV.
425

IL CONTE VIMERCATI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l}

L. P. Parigi, 20 aprile 1870.

Con un telegramma al Re (2), jeri a sera, ho risposto ai punti principali della tua lettera del 14 (3) ora ti scrivo per raccomandarti caldamente M. Jacques Stl!rn che si reca a Firenze. Ti sarò grato delle gentilezze che potrai usargli, ajutandolo anche nelle sue relazioni con Sella. Non ti dico dippiù perchè sono certo della tua compiacenza.

Divido interamente le apprezziazioni espresse nella tua lettera per quanto ci riguarda e ti ringrazio d'avermi messo al corrente, perchè da lontano le cose non si giudicano sempre al vero. Da Pietri, che vedo spessissimo per incarico dell'Imperatore essendo stato intermediario per la formazione del comitato pel plebiscito, ho saputo come Mazzini ed il comitato generale cercano di influenzare le armate, la francese e la nostra sono più direttamente lo scopo delle loro azioni, quindi trovo che la riduzione deJI'esercito non era proprio il momento di farla, e non so come Govone si sia fatto !strumento di una misura assolutamente inopportuna.

Qui le cose sono andate tanto alla peggio, che all'aquila napoleonica non rimaneva più che una piuma, era forse quella della coda, quindi la più sensibile e l'Imperatore si è deciso di difenderla. L'appello al popolo indipendentemente dalle Camere, è la dinastia napoleonica in faccia alla massa, come Thiers l'avrebbe voluto nel suo emendamento, perdeva ogni importanza, i parlamentaristi gretti, come tu dici benissimo, che sono, fra parentesi, nostri nemici accaniti, avevano dalla sinistra tacita missione de té el polivoen e messo l'uccello a nudo, gli irreconciliabili speravano essere in grado di discendere alle barricate. la partita non fu giuocata con abbastanza finezza e S. M. Imperiale. raccolto quel resto di energ,ia che gli rtmane, ha pre,ferito prendere il passo, intanto che può ancora contare su una parte del paese e sull'armata. Ciascheduno dal canto suo lavora energicamente ed a visiera scoperta, e quantunque i plebisciti siano cose incerte allorquando un paese non è nè spaventato nè inebriato dai successi pure io credo che si andrà vicino agli otto milioni di voti favorevoli.

La caduta di Buffet e di Daru, è l'aHontanamento dal partito orleanista, Thiers, che conduce la fila di molte mediocrità che hanno fatto il loro tempo, è furioso.

(l} Da AVV. (2} Cfr. n. 417. (3} Non In AVV.

Daru che erasi impegnato coll'Impt.mtore nel senso del plebiscito diretto, voleva conservare il suo posto, Thiers e tutte le sue relazioni glielo hanno impedito. Per noi la sua uscita dal Ministero è un bene. Abbiamo fatto il possibile per faruo rimpiazzare da La Guerronière, in caso che questi venga al potere, come è molto possibile, sai che è cosa mia e sarà istrumento cieco dell'Imperatore il quale mi ha ancora dichiarato alcuni giorni sono, che da Roma se ne vuole andare.

Drouyn de Lhuys è anche possibile, egli non sarebbe più contrario ai nostri interessi dacchè la sua politica è basata sull'alleanza austriaca, e qui ti rimando il bulardèe di cui non si parla ma pel quale l'Imperatore è sempre propenso.

Tempo fa Beust mi fece pregare di scrivere al Re che nominasse Lamarmora al posto di Pepoli volendo evitare Cialdini io giudicai del caso non imbarazzare il Re né le tue disposizioni, scrissi in modo evasivo (l) per avere una risposta evasiva. A proposito di Pepoli, l'ha fatta da Guglielmo Tello e la guardia pontificia l'ha squoiato tutto. Ho raccontata la storia alla Principessa che osservò essere la bruttezza di sua moglie che l'ha allontanato dalle donne.

Attendo Nubar Pacha e fra alcuni giorni ti farò una visita a Firenze, di passaggio per l'Egitto ove mi reco per affari.

Ho sempre la mia vita febbrilmente occupata, mi sono stabilito in una casetta simpatica ove un letto ed una camera stanno a tua disposizione con quella cordialità di due vecchi amici.

Non me ne volere se ti ho scritto raramente, ma al corrente della tua corrispondenza con Nigra non avrei potuto che ripeterti quanto egli ti diceva.

Non fare alcun assegnamento su di Ollivier, fuori della Camera non ha nessun valore, disdice oggi quello che voleva jeri, si potrebbe ricavar partito di lui, se agli Esteri fosse possibile collocarvi un amico.

Addio, caro Emilio, ti raccomando di nuovo il Signor Stern.

Cerca che Lanza sia men grubian possibil.

I miei saluti a Gino ed a Minghetti al quale puoi comunicare le mie apprezziazioni. Mi faresti piacere a presentare Stern in casa Minghetti.

426

IL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2171. Atene, 21 aprile 1870, ore 17,20 (per. ore 11,25 del 23).

Aujourd'hui avons été très inquiets. Les dernières négociations ont complètement échoué. Les lettres d'hier de nos prisonniers étaient décourageantes. Maintenant est arrivée dépèche télégraphique disant que les brigands consentent à traiter sur la base d'expatrier. Rançon toujours la mème.

(l) Cfr. n. 338.

427

IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 82. Berna, 21 aprile 1870 (per. il 24).

È stato oggi da me il Presidente della Confederazione per farmi leggere la risposta che, con speciale uffizio, il Governo del Ttcino ha fatto alla domanda che gli è stata diretta dal Consiglio federale, così rispetto a quanto riguarda la presunta attuale presenza del Mazzini in quel Cantone, che in ordine ai provvedimenti che si sarebbero dovuti fare per l'internamento degli italiani rifuggiti in quella regione della Svizzera per aver preso parte ai tentativi di Pavia e di Piacenza.

Appare, da questa risposta, che, malgrado le più diligenti ricerche fatte nei luoghi da me designati in dipendenza degli indizii avuti da costì, e malgrado quelle che, in seguito, sono state fatte altrove su popolareschi buccinamenti, non si è potuto sapere che H vecchio cospiratore fosse stato colà nei giorni che precedettero i mentovati casi, nè che vi si trovi presentemente. La villa Tanzina sarebbe da tempo già interamente disabitata, ed il figlio Nathan alla famiglia del quale essa appartiene, piuttosto che abitarvi solo, starebbe in un albergo a Lugano.

Il signor Dubs mi ha detto di assicurare l'E. V. che non disfarmi da queste erano le informazioni, che, in proposito, gli forniva con lettera privata uno dei suol famigliari nativo della Svizzera federale che per importanti suoi negozii, dimora a Lugano, e cui non può celarsi la presenza nel Ticino del Mazzini, da lui, per ragione di privati interessi, particolarmente astiata.

Per ciò che tocca gli altri emigrati, si riferisce nell'uffizio di cui è caso, che, dopo i menzionati tentativi, ne giunsero in quel Cantone diciotto soli, di cui una parte è già stata internata, ciò che si accorda coi dispacci del Console Reale colà residente. Cinque sottoufficiali, però, vivono insieme miseramente nelle vicinanze di Lugano, dove dicono aspettare d'Italia i sussidii che loro sono stati promessi per agevolarne l'emigrazione in America. A questo punto ho fatto sentire al mio interlocutore come, per dare soddisfazione al Governo Reale, fosse opportuno ordinare l'internamento immediato di quei militari, ed egli mi promise che avrebbe, pel telegrafo, ingiunto al Governo di quel Cantone di far loro, senz'altro, passare le Alpi.

L'uffizio ticinese finisce collo assicurare il Presidente della Confederazione che l'ordinanza federale deLl'anno scorso, tanto per ciò che concerne il Mazzini, quanto per ciò che concerne i suoi complici, sarà in tutte le sue disposizioni pienamente osservata Cl).

(l) Annotazione a margine: «Copia per l'Interno».

428

IL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2172. Atene, 22 aprile 1870, ore 14,30 (per. ore 11,35 del 23).

Veuillez préparer la famille Boyl au sujet du malheur irréparable de la mort du comte Albert. Hier jeudi à 4 heures soir à deux heures de distance d'Oropo il y a eu engagement avec les troupes qui voulaient empécher la fuite de la bande. Boyl et le secrétaire de la légation anglaise ont été tués par les brigands avec l'epée, ne pouvant peut etre courir assez avec eux. Leurs corps seront transportés demain par vaisseau au Pirée. Dans une lettre qu'il m'a écrit le 21 il m'a manifesté ses dernières volontés. Ministre des affaires étrangères m'a communiqué cette triste nouvelle personnellemente après minuit.

429

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, BLANC, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

T. 1107. Firenze, 22 aprile 1870, ore 14,45.

Veuillez m'informer s'il est vrai que Mazzini soit retourné à Londres (1).

430

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 57. Firenze, 22 aprile 1870.

Col di Lei rapporto del 5 aprile (n. 10 di questa Serie) (2) ho ricevuto il regolamento definitivo dei debiti tunisini elaborato dalla Commissione finanziaria internazionale e ratificato da S. A. il Bey.

La S. V. mi scrive nella stessa occasione che in una riunione dei Consoli generali di Francia, d'Inghilterra e d'Italia fu deciso aversi ad appoggiare presso i rispettivi Governi la proposizione enunciata nel regolamento stesso per cui l'esecuzione degli impegni reciprocamente presi dal Bey e dalla Commissione sarebbe posta sotto la immediata protezione e salvaguardia delle tre Potenze.

A questo riguardo noi crediamo che il regolamento elaborato dalla Commissione internazionale e ratificato dal Bey debba considerarsi come l'atto che mette fine alla vertenza per la quale i tre Governi ebbero a fare i passi i più energici presso il Bardo. L'accomodamento di questa vertenza essendo la conseguenza immediata e diretta di quelle pratiche noi crediamo che l'esatto adempimento delle obbligazioni reciprocamente assunte dal Bey e dalla Commissione si trovi naturalmente posto sotto la protezione e la salvaguardia delle Potenze che sono moralmente impegnate a far eseguire le condizioni dell'accomodamento medesimo.

Nella riunione dei tre consoli vennero notate alcune imperfezioni tutt'ora esistenti nel regolamento di cui si tratta. Queste potrebbero infatti dar luogo a discussioni in occasione di rinnovazione delle nomine dei membri tanto del Consiglio di Amministrazione quanto del Comitato di riscontro; noi riteniamo che si potrebbero colmare le lacune lasciate dal regolamento a questo riguardo mediante una dichiarazione separata da annettersi al regolamento istesso. La proposizione di far nominare i membri italiano ed inglesi del Comitato di riscontro dai detentori di obbligazioni dimoranti in Francia ci sembra conforme a quanto si è praticato in occasione della prima nomina e perciò tale proposizione meriterebbe la nostra approvazione.

(l) -Per la risposta cfr. n. 445. (2) -Non pubblicato.
431

IL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. R. 54. Costantinopoli, 22 aprile 1870 (per. il 29).

Col mio rapporto riservato de' 5 marzo u.s. (n. 42) (l) feci cenno del signor Giuseppe Bidischini, qui giunto da Bukarest con l'apparente incarico di ottenere dal Governo ottomanno una concessione di fornitura di armi delle fabbriche di Brescia.

Egli non si presentò alla R. Legazione. Però qualche giorno prima dell'arrivo qui di S. M. l'Imperatrice dei Francesi, il Ministro di Polizia mi fece dire che il Governo era venuto in sospetto, per rivelazioni fatte dal ben noto Griscelli, che qui intitolavasi Barone di Rimini di un complotto che tramavasi qui contro la vita di quella Sovrana, nel quale sarebbe stato mescolato il signor Bidischini. Il Ministro quindi mi faceva avvertire per mezzo del Dragomanno signor Anino, che per misura di precauzione, egli sarebbesi veduto costretto a detenere nelle carceri il signor Bidischini durante la presenza qui dell'Augusta Viaggiatrice.

Conoscendo per fama il Griscelli e sicuro d'altronde che il complotto era

stato da lui immaginato nel solo scopo di carpir denaro alla Polizia, feci

rispondere al Ministro che, se egli non forniva prove più chiare e precise sulla

pretesa partecipazione del Bidischini a si strano attentato, io non poteva ammet

tere nè consentire che un cittadino italiano fosse detenuto nelle carceri otto

mane per semplice misura di precauzione.

Il fatto sta che nè H Bidischini nè altri indiziati vennero messi in prigione,

nè vi fu qui ombra di tentativo qualsiasi contro l'Imperatrice. Il Griscelli venne

per conseguenza messo in prigione e poscia col consenso dell'Ambasciata fran

cese, perchè Corso, espulso dalla Turchia.

Io credo che il Bidischini ebbe in allora occasione di abboccarsi con gli Agenti della Polizia e finì poscia coll'intendersi con essi offrendosi ad esercitare una sorveg;1ianza sui bulgari e sugli slavi coi quali ei diceva trovarsi in comunicazione. Pare che ei prestasse per qualche mese con una certa soddisfazione del Governo turco i suoi servigi; ma qualche tempo fa il Ministro di Polizia cominciò ad accorgersi che le sue notizie erano molto vaghe e taluna volta non esatte e concepì perfino l'idea che il Bidischini lo ingannasse e fosse anche di concerto coi Comitati slavi.

Egli dunque non solo gli sospendeva la rimunerazione mensile stabilita, ma mi faceva dire, per mezzo dello stesso Dragomanno signor Anino, che avendo di bel nuovo gravi sospetti contro il Bidischini gli aveva significato che dovesse subito lasciare Costantinopoli, altrimenti lo avrebbe fatto cacciare in prigione.

Fu allora che il Bidischini si presentò per la prima volta in Legazione e mi fece richiedere di una udienza. Non credetti negargliela.

Egli convenne di essere entrato in trattative col Governo Ottomano, ma con un alto fine politico e non per semplici servizi di polizia. Ei credeva che all'Italia convenisse la pace ed il mantenimento dello statu quo in Oriente, e perciò egli erasi impegnato ad adoperarsi nel senso di sventare i progetti dei Comitati slavi ed impedire che da qualche scoppio prematuro ed inconsulto sorgessero per la Turchia complicazioni interne ed esterne.

Mi fece professione di fede monarchica, mi disse che egli, Garibaldi e tutti i suoi erano om considerati come codini dal nuovo partito di azione, mi pregava infine di afferire i suoi servigi al Governo e specialmente quelli di suo figlio Francesco, che è a Padova e che sarebbesi, ad un cenno qualsiasi, condotto a Firenze.

Lo ascoltai ma mi tenni con lui in grande riserva e lo congedai senza prendere alcun impegno.

Feci però sentire al Ministro di Polizia e dissi verbalmente anche al Gran Vizir ed a Kalil Bey, che non mi pareva che essi scegliessero la buona via quando volevano sbarazzarsi di un Agente segreto dei di cui servizi non avessero a lodarsi; che a nessun Governo conveniva provocare scandali e pubblicità di tal sorta; che il meglio in questi casi era pagare e congedare. Né celai che in quanto alla espulsione del Bidischini, che non era imputato di aver commesso alcun detlitto, io avrei difficilmente potuto consentirla.

Il fatto sta che finirono per intendere questo linguaggio e il Bidischini, soddisfatto in parte, è bonariamente partito col passato vapore di Varna alla volta di Bukarest.

Il giorno innanzi della sua partenza ei venne da me, e rinnovandomi le proteste di devozione verso il R. Governo, volle !asciarmi uno scritto insistendo perché io lo mandassi a V. E. (l).

In tempi normali mi sarei forse astenuto dallo intrattenere sì a lungo l'E. V. di tali miserie; ma vedendo come l'Italia traversi in questo momento un periodo critico, e come la tristizia di una minoranza irreconciliabile faccia tutti gli sforzi possibili per seminarvi l'allarme, l'inquietezza e la sfiducia, ho pensato che nulla sia per noi da trasandare per combattere siffatto male. V. E. potrà giudicare del caso che debba farsi di queste mie comunicazioni.

(l) Non pubblicato.

432

IL MINISTRO A MONACO DI BAVIERA, MIGLIORATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 125. Monaco, 22 aprile 1870 (per. il 24).

Coll'ultimo mio rapporto n. 124 (l) di questa serie annunciai all'E. V. il viaggio di S. E. il Conte Bray a Stoccarda. Ebbi jeri l'occasione di vedere S. E. che mi confermò quanto ebbi già l'onore di riferirle sullo scopo del suo viaggio. Dissemi che il Barone di Varnbtihler aveagli espressa l'intenzione di fargli qui una visita, e che siccome tale progetto stava pure in suo animo allorquando giunse al potere, stimò conveniente di prendere egli l'iniziativa v.erso un collega più anziano. Sembra che nessuno scopo preciso e determinato dovesse presiedere alle conversazioni di questi due Ministri, ma soltanto il desiderio nutrito d'ambe le parti di rendersi conto in persona delle disposizioni reciproche nella linea di condotta da seguire verso la Prussia. Dissemi il Conte Bray essere felice di trovarsi d'accordo col suo collega pel mantenimento dei buoni rapporti colla Prussia e colla Confederazione del Nord e che le loro mire si trovavano perfettamente in armonia onde mantenere lo statu quo e consolidare così coll'unione intima degli Stati del mezzogiorno la loro indipendenza. Mi disse poscia che dovettero constatare i pochi buoni frutti che arrecò la convenzione militare dell'anno scorso giacché esistono nella fortezza di Ulm discrepanze fra le guarnigioni che converrà far scomparire mediante accordi reciproci e mi soggiunse che si trattennero sopra questo argomento in modo puramente accademico senza che venissero indicati per ora nè da un lato nè dall'altro i mezzi da adottarsi a quest'effetto.

Si dice che i due iLlustri interlocutori abbiano tenuto tra di essi parola di un trattato di giurisdizione che potrebbe all'evenienza venir stipulato tra la Germania del Nord e gli Stati del Sud. Il Conte di Bray discorrendo meco delle condizioni generali in cui trovansi la Baviera ed il Wurtemberg non mi celava un sentimento di minor fiducia nel partito cosidetto particolarista che da qual

che tempo prende il dissopra nel secondo di questi Stati essendo quello rappresentato dalla democrazia, mentre invece il partito conservatore Bavarese vien reclutato in una classe che offre maggiori garanzie di ordine monarchico.

Da altra fonte venni informato che il Barone di Spitzemberg, Ministro del Wiirtemberg a Berlino, essendo stato incaricato di intrattenere il Conte di Bismarck sulle difficoltà che il suo Governo incontra nelle Camere onde porre l'esercito in armonia a1l'organizzazione militare della Germania del Nord, il Cancelliere della Confederazione avrebbe dichiarato essere sua ferma intenzione di non creare imbarazzi ai Governi della Germania meridionale e che la Prussia non intendeva fare questione di sorta per qualche migliajo più o meno di soldati che si trovassero sotto le armi e rinnovava nel medesimo colloquio le dichiarazioni più volte ripetute di non voler usare la benché menoma pressione sull'andamento delle cose al di qua del Meno.

(l) Non pubblicato.

433

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. Parigi, 22 aprile 1870.

Golia partenza di Buffet e Daru e colla nomina di Ollivier come Ministro ìnterim dell'Estero, la nostra situazione verso il Governo Francese s'è alquanto migliorata. C'è almeno questo di buono che dall'un lato non vi sono più in maggioranza nel seno del Gabinetto uomini attinenti ad un partito ostile in fondo all'Italia, e d'altro lato con le fatte modificazioni nel Ministero, l'Imperatore ha ripigliato maggiore autorità nel suo proprio governo, autorità che il plebiscito, se riesce, aumenterà ancora. Ollivier, per naturali simpatie, per le amicizie che ha, e soprattutto pei precedenti suoi e per le dichiarazioni da lui fatte quando era Deputato e non Ministro, è fino ad un certo punto vincolato in favor nostro. Dico fino ad un certo punto, e m'affretto ad attenuare anche questa frase. Non bisognerà farsi illusioni nemmeno sopra Ollivier. Uomo di grandissimo ingegno come pubblico oratore, d'intemerata onoratezza, d'una semplicità quasi spartana, capace d'un atto ed anche di una serie di atti di fermezza e di forza, manca però di quella qualità che sola caratterizza il vero uomo di Stato, la costanza del proposito e la volontà calma e continua dell'esecuzione. Ha un po' della prima donna e del cavallo di corsa. Ai subiti entusiasmi ed alle vittorie spettacolose succedono non brevi intervalli d'incertezze, di dubbi, di debolezze, di inconseguenze. Figura curiosa. Uno dei cinque altra volta, è diventato ora l'uno dei principali strumenti con cui si tenta di consolidare l'Impero. Avversario del potere temporale, va a messa col libro in mano. Natura del resto simpatica ed attraente.

Ieri Ollivier diede la sua prima udienza ai Rappresentanti esteri. Naturalmente ci fui anch'io. Appresi da lui che la Nota francese, giacché era partita da Parigi e giacché parecchie potenze avevano già mandato a Roma istruzioni per appoggiarla, avrà il suo corso. Quella nota fu già rimessa ufficialmente al Cardinale Antonelli, e sarà rimessa fra breve ufficialmente dal Marchese di Banneville nelle mani del Papa. Però Ollivier mi disse che non si farà altro e che la nota comunque sia ricevuta non avrà altro seguito.

Ho approfittato di questa prima udienza per spiegare amichevolmente al signor Ollivier le nostre idee, ma nettamente. Gli dissi che l'intenzione del Governo del Re era di non sollevare la questione dell'occupazione durante l'attuale sessione legislativa, a meno che fosse forzato da interpellanze mosse nel Corpo Legislativo francese, o per meglio dire dalle risposte del Governo francese a interpellanze su questo argomento. Ma soggiunsi che, poslata la Sessione, il Governo del Re non potrebbe a meno di rimettere la questione sul tappeto e che esso sperava che il richiamo delle truppe sarebbe stato dopo quell'epoca deciso ed eseguito. Non celai al signor Ollivier che ove le nostre speranze andassero fallite avremmo dovuto avvisare al da farsi ed accennai apertamente alla sospensione del pagamento del debito pontificio. Le relazioni che ho con Ollivier da lungo tempo ed il tenore affatto amichevole della conversazione mi permisero di mettere innanzi fin d'ora e per ogni buon fine questa specie d'avvertenza, di cui vorrei sperare che si tenesse alcun conto. Senonchè in questo momento Ollivier, e l'intiero Gabinetto e l'Imperatore hanno tutti i loro pensieri rivolti ad un solo oggetto, il plebiscito. È questa difatti la questione del momento, questione formidabile, giacché non v'ha dubbio che dalla sua soluzione dipenderà forse l'esistenza dell'Impero e senza dubbio la direzione futura del Governo Imperiale sì all'interno che all'estero, domi militiaeque. Non mi perito a far pronostici. Dopo le ultime elezioni è cosa presuntuosa il farne. Ma ben posso dirvi che in generale si crede che i voti favorevoli al plebiscito toccheranno o passeranno i sei milioni. Noi dobbiamo far voti perché il plebiscito riesca, non solo perché abbiamo un grande interesse generale alla conservazione della dinastia napoleonica in Francia, ma perché un esito favorevole non nuocerà nemmeno alla soluzione della questione speciale che ci preoccupa, quella cioè del ritiro delle truppe.

(l) Da AVV.

434

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, BLANC, AL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA

T. 1106. Firenze, 23 aprile 1870, ore 16,20.

Nous sommes profondément affectés de la déplorable nouvelle de la mort du comte Boyl. Vous ètes autorisé à concerter avec votre collègue de Angleterre les démarches et les mesures nécessaires pour que la responsabiUté en retombe sur qui doit la porter. Le comte Boyl laisse les regrets les plus vifs et les plus mérités. Prenez soin que tous les honneurs soient rendus à ses restes.

33 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. XII

435

IL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

R. 324. Atene, 23 aprile 1870 (per. il 28).

Dopo l'ultimo mio rapporto delli 16 corrente n. 323 (2) e dopo i miei telegrammi che successivamente mandai a V. E. e specialmente quelli in data d'jeri (3) mal saprei combinare le mie idee per riferire ordinatamente la catastrofe dei quattro viaggiatori fra i quali il nostro Conte Boy!.

Il 18 ricevei una lettera del conte Boy! del 16 e telegrafai il 18 dando buone notizie del Conte ma soggiungendo che i briganti insistevano più che mai per l'amnistia o per una grazia sovrana. La prima come già dissi è contraria all'art. 39 della Costituzione, e la grazia non può essere concessa se non dopo un giudizio formale, e mediante che i rei si costituiscano. Su questa seconda domanda noi avevamo assicurato la grazia sovrana ma era necessario il giudizio. I briganti però non si fidavano di voler stare neppure un giorno in prigione in potere dei Greci. Il capo Arvanitaki ripeteva sempre ai suoi prigionieri che le loro teste valevano bene la pena che i Governi italiano e inglese usassero una forte pressione sul Governo greco per fargli cambiare Costituzione, leggi, etc...

Non era dunque possibile vincere tali difficoltà giacché il Governo aveva dichiarato di non poterlo fare ed aveva osservato d'altronde che erano atti illegali e nulli, i quali non avrebbero alcuna forza nella loro esecuzione. Noi abbiamo sempre comunicato ai nostri amici cotali operazioni onde farle accettare dai loro custodi ma tutto inutilmente. Fu allora che per superare indirettamente queste ostinate pretese il Ministro d'Inghilterra propose di farli condurre in luogo sicuro, e col mezzo d'un vapore da guerra inglese che doveva giungere da un momento all'altro; ed in conformità ne telegrafò al suo Governo.

Le lettere del 18 dicevano che i briganti non erano contenti dei negoziatori che il Governo greco aveva scelto e chiedevano con premura che fossero inviate persone di maggior autorità.

Si fu in allora che il signor Erskine propose il Tenente Colonnello Theagenis, aiutante di Campo del Generale Church, uomo che godeva buona fama. H Ministero acconsentì a quella scelta, ed il Colonnello fu chiamato presso il Ministro inglese nella di cui casa convenni ancor io ond'essere presente alle istruzioni che gli venivano date dal Presidente del Consiglio e dal Ministro degli Affari Esteri d'accordo con noi.

V. E. troverà qui unite le istruzioni date (4), esse si riassumevano che il Governo era disposto di facilitargli ogni mezzo per andare all'estero ed aver salva la vJta, e che ove aderissero, un legno da guerra inglese verrebbe col

riscatto delle 25 mila lire, e li prenderebbe a bordo onde condurli ove meglio avessero prescelto.

Però nel tempo stesso onde ovviare di mettere in atto il disegno di condurre i prigionieri in Tessalia come li minacciavano si fecero muovere da ogni parte delle truppe, e disposte in modo che stessero alla distanza di due o tre ore da Oropo ove in allora si trovavano con precetto assoluto di non far fuoco se la vita dei prigionieri fosse compromessa. La prima e principale questione essere la salvezza della vita dei prigionieri.

Il signor Theagenis giunse martedì sera a Oropo e mercoledì 20, in compagnia del signor Noel, ebbe l'abboccamento col capo dei briganti il quale non volle sentir ragione. V. E. troverà qui unito, il rapporto del Tenente Colonnello che indica già l'irritazione dell'Arvanitaki supponendo qualche imboscata.

Il 21 mattina giunsero contemporaneamente al rapporto del Theagenis le lettere dei nostri amici in data del 20, esse erano scoraggianti perché pareva che prevedessero la loro triste fine. Diffatti Boyl, Vyner e Loyd mandarono le lettere con le ultime ,loro volontà. Herbert aveva ciò fatto il giorno dopo della cattura. Boyl me le ha espresse in una lettera a me diretta, scritta a lapis. Ho rimesso d'ufficio questo importante documento al R. Console onde ne faccia una pratica ordinaria di successione con cotesto Ministero.

Il rapporto del Theagenis e le lettere ricevute avevano posto Erskine e me in molta ansietà ed andammo dal signor ZaYmis presso il quale si riunì il Consiglio dei Ministri. Si discusse la questione della grazia e alla mia domanda si fece chiamare il Procuratore Generale signor Privilegio onde vedere se non si potesse trovare qualche espediente che potesse facilitare la concessione della grazia. Ma la difficoltà principale era sempre che il codice esige un previo giudizio nel quale il reo si costituisca e venga condannato, in allora può intervenire la grazia. I briganti avevano dichiarato che non vorrebbero stare neppure un'ora in prigione.

Verso le tre pomeridiane giunse un dispaccio confortante del signor Noel in cui si annunziava che i briganti acconsentivano a trattare sulla base di espatriazione. V. E. troverà qui uniti i telegrammi scambiati fra il signor Erskine ed il signor Noel.

Mi separai dal Ministro Inglese verso le dieci e mi ritirai a casa quando poco dopo la mezzanotte m'annunziarono che i signor ZaYmis e Vallaoriti volevano parlarmi di premura. Essi mi annunziarono la fine tragica dei due Segretarj di Legazione e poi nella mattina seppimo che la catastrofe era completa avendo ricevuto notizie posteriori che annunziavano l'uccisione degli altri due cioè Loyd e Vyner.

Dagli indizi che si hanno si può con fondamento dedurre che i briganti informati delle posizioni che le truppe avevano preso abbiano tentato colla fuga di sottrarsi a quella specie di blocco che si era formato intorno ad Oropo. La situazione dei due cadaveri di Herbert e di Boyl ritrovati dal Comandante del vapore da guerra «Afroessa » che incrociava in quelle acque fa credere che i briganti uccisero i loro prigionieri con armi da taglio a misura che questi sfiniti di forza erano incapaci di più correre. È questa un'abitudine de' briganti. Il Vyner avendo resistito più degli altri fu ucciso nel luogo il più lontano nelle vicinanze di Tebe.

Ho chiesto al Ministro degli Affari Esteri copia del rapporto del coman dante dell'« Afroessa » e dei comandanti delle truppe che hanno fatto fuoco sui briganti, perchè da quei documenti si può avere maggiori schiarimenti sull'ultimo atto di quella tragedia.

P. S. -Da più recenti notizie pare che il Conte Boyl abbia resistito più alle fatiche della corsa poichè il suo corpo si rinvenne a grande distanza, quello di cui parlava il primo telegramma comunicatomi dai Ministri era dell'avvocato Loyd.

(l) -Ed., con due varianti, !n LV 15, pp. 12-14. (2) -Cfr. n. 412. (3) -Cfr. nn. 416, 420, 421, 426 e 428. (4) -Non si pubblicano gli allegati; sono editi in LV I5, pp. 14-15.
436

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. Parigi, 23 aprile 1870.

Inchiudo a queste due righe che scrivo in fretta una nuova nota sulle mene mazziniane che ha la stessa origine delle precedenti, e di cui vi prego di fare il solito uso riservato e confidenziale.

ALLEGATO

NOTA

Mazzini est toujours à Genes, mais les arrestations qui viennent d'ètre opérées à Milan et surtout celle de Girardi ont dèconcerté ses plans. Il reconnaìt que toute insurrection est devenue en ce moment impossibile, et il ne voit pas qu'il y ait moyen d'agir avant le mois de septembre prochain.

C'est à cette date et en Sicile qu'il donne rendez-vous à ses lieutenants. Il leur promet de prendre alors lui meme la direction du mouvement.

437

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (2}

L. P. 32. Roma, 23 aprile 1870.

La personne chargée de l'expédition de ma correspondance est venue, il y a quelques jours, m'avertir que, pour conserver la possibilité de me servir de cette voie d'expédition de mes lettres, il serait indispensable d'écrire moins souvent que jusqu'à présent afin de ne pas donner ombrage à certaines personnes aux regards desquelles il n'y a pas moyen de soustraire les lettres qu'on expédie.

Puisque je n'ai pas sujet de mettre en doute la loyauté et la bonne volonté de la personne susmentionnée de servir de son mieux le gouvernement du

Roi, je dois présumer que son conseil est fondé sur des raisons assez sérieuses pour m'y conformer. Ainsi, je continuerai à tenir V. E. au courant de mes informations, seulement je n'expédierai mes lettres que lorsque j'aurai quelque chose d'important ou d'urgent à communiquer à V. E.

C'est pour cela que je n'ai pas écrit depuis le 19 avril. Ces derniers jours se sont passé entre des intrigues de parti dont il m'etait impossible de connaitre tous les fils. On m'a fait l'hormeur de m'inviter à quelques réunions privées d'éveques allemands et français et de me demander mon avis sur l'attitude que l'opposition devrait prendre à la séance solennelle du dimanche prochain. Mon opinion est que l'opposition doit voter par «non placet », car en approuvant la conclusion infaillibiliste du Chapitre 4• du Schème « de fide » elle se démentirait elle mème et se priverait de la possibili tè de voter contre le Schème, «de Romano Pontifice », le principe de l'Infaillibilité se trouvant établi dans la conclusion du ler Schème de manière à n'admettre le moindre doute. Si, dimanche prochain, l'opposition vote affirmativement, elle reconnait n'avoir pas de raison d'etre et que tout le tapage qu'elle a fait jusqu'ici, n'était que factieux. Et enfin, que dira le monde en entendant le « placet » de Monseigneurs Dupanloup, Darboy, Strossmayer, Rauscher, Hefele, Clifford, Connolly etc. donné à un Schème sanctionnant l'Infaillibilité contre laquelle ils ont tant parlé et écrit? C'est là donc aussi une question de moralité et de dignité personnelle, car on dirait à bon droit que le « placet » de ces Pères était, en l'état, un terrible mensonge dit en présence de Dieu et du monde entier, et personne n'admettrait jamais qu'ils aient voté conformément au devoir de leur conscience. Je me servais d'expressions fortes a dessein pour observer l'impression qu'elles feraient sur les éveques. Ils se sentaient genés et embarrassés; ils ne savaient pas trop quoi repliquer: j'ai vu ces fiers pretres, autrefois si loquaces, si hautains, à présent hésitants, indécis, humiliés devant un simple laYque qui Ieur rappelait leur passé et les devoirs de la conscience! Ce ne fut dans la conférence allemande que Monseigneur Strossmayer et dans la conférence française Monseigneur de La Piace éveque de Marseille qui approuvaient mon opinion. Monseigneur Hefele balbutiait quelque chose camme si la conclusion du rer schème n'avait pas de signification dogmatique, et Monseigneur Ginouilhiac disait que, si l'opposition vote pour le I•r Schème, sa victoire dans la question de l'Infallibilité ne saurait etre douteuse! A ma question, pourquoi ils ont voté contre le I•r Schème dans la Séance de mardi saint Monseigneur de Lyon m'a répondu qu'ils avaient exagéré dans leur esprit la portée de la conclusion.

C'était mercredi et jeudi derniers. Vendredi les Conférences française et allemande se sont réunies. Dans toutes les deux la déroute a été complète. Il a été délibéré de voter pour le Schème. Monseigneur Strossmayer avait proposé dans l'une et Monseigneur de La Piace dans l'autre de présenter une déclaration explicative du vote affirmatif portant que l'opposition par déférence pour le St. Siège voterait pour le Schème « dempta conclusione et salvis omnibus Conciliorum oecumenicorum juribus ». Cette proposition fut repoussée à l'unanimité. « Vous perdez le Concile » s'écriait Monseigneur Hefele contre Monseigneur Strossmayer; « Vous perdez l'opposition » disait Monseigneur Dupanloup à Monseigneur de La Piace. Les deux éveques opposants demandaient au Cardinal Prince Schwarzenberg de convoquer immédiatement vendredi soir le comité international. Le cardinal promit de convoquer le Comité pour ce matin, samedi.

On se réunit à 10 heures. Monseigneur Maret prit la parole sur la question du jour. Monseigneur Ginouilhiac lui dit: «Asseyez-vous, Monseigneur Maret, vous n'etes qu'éveque in partibus et n'avez rien à dire». Après quoi se lève Monseigneur Darboy et dit au Cardinal Schwarzenberg: «Eminence, faites votre devoir de président ». Le Cardinal dit que le Comité est convoqué pour distribuer les ròles d'orateurs pour la Séance de mercredi, 27 prochain, commencement des débats sur l'Infaillibilité. Monseigneurs Strossmayer et de La Piace font remarquer qu'ils ont demandé une Séance du Comité international pour délibérer sur leur déclaration et sur l'attitude à prendre dans la Séance solennelle de demain. Le Cardinal Schwarzenberg est un peu embarrassé, mais le Cardinal Rauscher, Monseigneur D2xboy et Monseigneur Hefele s'écrient simultanément qu'il n'y a pas de question de cela; qu'on a déjà résolu de voter à l'unanimité par «placet », et que cette résolution est obligatoire pour tous les membres des Conférences et du Comité international. On se sépara sans avoir discuté. A dix heures et demi tout était fini.

Ainsi, l'opposition n'existe plus, elle votera demain par «placet ». Pour épargner a Monseigneur Strossmayer cette humiliation, je lui ai conseillé de ne pas aller à la Séance Solennelle plutòt que de voter par « placet », car le monde ne prendra pas acte de sa déclaration qui sera ensevelie dans les actes du Concile. Abandonné par tout san parti, il pourrait toutefois voter par «non placet »; mais il ne lui resterait aucun autre parti à prendre que de quitter Rome le lendemain et d'attendre les foudres du Vatican chez lui. On lui a donné tant des conseils les plus contradictoires qu'il ne s'est pas encore décidé.

Les Infaillibilistes ont manoeuvré avec une habilité supérieure à tout éloge, avec une connaissance des causes et des personnes qui ne laisse rien à désirer. Qu'on s'imagine cette volteface de l'opposition, cette conversion miraculeuse des hommes tels que Monseigneur Hefele qui dans sa Déclaration contre l'Infaillibilité n'a pas su trouver ds termes assez fortes pour repousser les prétentions romaines (la Déclaration n'a pas encore été discutée par le Comité international qui a chargé Monseigneurs Hefele et Ginouilhiac de la rédiger) ou bien Monseigneur Dupanloup qui, jeudi dernier, m'avait encore dit: «la France devrait dire au P ape: il faut proroger une assemblée qui aux yeux de nos éveques et du monde entier ne possède plus ces conditions d'ordre et de liberté sans lesquelles elle n'est pas un ConcHe». Je ne parlerai pas de Monseigneur Darboy dont la défection j'ai prévue depuis plusieurs semaines, ni de Monseigneur Haynald, Cardinal Rauscher etc. auxquels le courage moral fait défaut: mais la triste reculade de Monseigneurs Hefele et Dupanloup aura un

grand retentissement.

On m'explique la débandade de l'opposition de la manière suivante: le cardinal Bilia a dit à Monseigneur Dupanloup que les Schèmes «de Ecclesia » et «de Romano Pontifice » ne viendraient en discussion qu'après la prorogation du Concile laquelle durera de la fin juin jusqu'au commencement de décem

bre. Monseigneur Dupanloup fait semblant de croire que l'Infaillibilité serait de cette façon rayée du programme du Concile. Le Cardinal Rauscher m'a dit que le Pape lui a fait savoir qu'il était disposé à faire à l'opposition les plus vastes concessions au sujet de l'Infaillibilité. D'autres évèques prétendent que le Schème «de Romano Pontifice » est rédigé dans cette forme rude et hautaine précisément dans le but de faire à l'opposition des concessions de forme pour en sauver la substance, et de montrer un esprit de conciliation et de déférence dont on n'est assurément pas animé au Vatican. Je passe sous silence d'autres conjectures.

Hier, vendredi, M. de Banneville a présenté la note française au Pape en personne, au Cardinal De Angelis comme premier Légat apostolique au Concile. Au Cardinal Antonelli il l'avait communiquée il y a huit jours. Au Vatican on est enchanté de cette note; je ne connais pas encore la réponse verbale que le Pape a donnée au Marquis de Banneville. Je la connaitrai cependant jusqu'au lundi.

(l) Da AVV.

(2) Ed. in TAMBORRA, pp. 267-269.

438

IL CONTE KULCZYCKI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 3. Terni, 24 aprile 1870.

Le moment important de la discussion du schème de Ecclesia approche. Cette discussion pourra avoir de très-graves conséquences pour l'Italie si, comme tout porte à le croire, l'infaillibilité du Pape et du pouvoir temporel y sont érigés en dogmes. Je crois vous avoir dit déjà que le cardinal Antonelli, auquel on ne peut certes refuser une grande pénétration politique, s'était énergiquement opposé à la proclamation isolée du dogme de l'infaillibilité, de crainte que le successeur de Pie IX, venant à se reconcilier avec l'Italie ne vint aussi à abdiquer en sa faveur par un acte ex cathedra, qui impliquerait de la part des autres Pontifes successeurs de celui-là, l'impossibilité de désavouer et d'annuler un document empreint du caractère de l'infaillibilité. Le cardinal secrétaire d'Etat avait vivement insistè pour que le dogme de cette infaillibilité eO.t pour corollaire immédiat celui du pouvoir temporel. C'était là la pensée secrète de la Cour de Rome depuis 1860, et S. E. n'en était que le révélateur. Je crois savoir que l'avis du cardinal Antonelli a été adopté non seulement par les cinq cardinaux-légats, mais par la majorité du Concile. Les deux dogmes proclamés, la grande oeuvre de la Cour de Rome sera achevée, l'oeuvre préparatoire du Concile, bien entendu. Rome se trouvera exactement dans la situation d'une puissance qui, ayant résolu une grande guerre, vient après des peines infinies, d'achever ses armements.

Je vois la majorité des Italiens modérés tomber dans une erreur déplorable, parce qu'elle est dangereuse: c'est celle de croire que la Cour de Rome va faire proclamer le dogme de l'infaillibilité et mème celui du pouvoir temporel

(l'imminence de cette dernière proclamation n'est pas aussi généralement connue) dans le seui but de sauvegarder le débris d'Etat qui lui reste, d'étayer Ies ruines d'une souveraineté croulante et de se mettre sur la défensive d'une manière efficace contre Ies aspirations unitaires de l'Italie. D'après cette opinion là on devrait inférer que le cabinet du Vatican a, de guerre las, donné son approbation tacite au statu quo, qu'il s'est résigné à l'unité italienne telle qu'elle est en ce moment et qu'il ne demande pas mieux que de coexister avec elle, ne songeant uniquement qu'à lui soustraire Rome avec le rayon restreint où s'exerce aujourd'hui sa souveraineté. Avoir cette opinion, M. le Ministre, c'est, n'en déplaise à beaucoup de vos compatriotes instruits et habiles, ne connaitre qu'imparfaitement la Cour de Rome, sa politique, ses tendances, ses aspirations, le travail immense qui se fait depuis dix ans dans tous Ies laboratoires d'infaillibilité de la ville éternelle.

Le dogme de l'infaillibilité et celui du pouvoir temporel n'ont jamais été considérés au Vatican que comme un dissolvant de l'unité italienne, comme un moyen de recouvrement de l'Ombrie, des Marches et des Romagnes. C'est là leur but principal, leur véritable raison d'ètre. La diminution du pouvoir des évèques, l'absorption de ce pouvoir par la Papauté, la transformation du régime de l'Eglise de constitutionnel en monarchique absolu, la paraphrase du mot de Louis XIV par cette autre définition papale: l'Eglise, c'est moi; tout cela n'est qu'un but secondaire et intéressant la catholicité en général. La catholicité s'en alarme très-justement, et ses appréhensions, répétées par les mille voix de la presse, détournent la pensée des Italiens du but principal que la Cour de Rome se propose, but qui les concerne directement et qui ne regarde qu'eux.

Comme jusqu'à présent le pouvoir temporel m'empruntait qu'une certitude dogmatique plus qu'imparfaite aux définitions par Iesquelles le Concile de Trente s'était proposé de le sauvegarder, il était impossible, malgré l'unanimité de l'épiscopat et les millions d'adresses des catholiques, de s'en faire une arme offensive, un levier pour soulever le monde catholique contre l'Italie. S'il m'est permis, dans une question écclésiastique et touchant d'un còté au domaine mora!, de me servir d'une comparaison profane, je dirai que la Cour de Rome avait besoin de réformer cette arme offensive comme tous les Etats du continent reformèrent les leurs après que Sadowa eut révélé Ies prodiges du fusil à aiguille. Le Concile va opérer cette transformation. Le pouvoir temporel, transformé en dogme, permettra de précher, en plein dixneuvième siecle, une croisade contre l'unité italienne. Que l'exécution d'un pareil projet soit difficile, que sa réussite soit impossible, c'est là une autre question. Le traiter cependant d'utopie ce serait méconnaitre la force réelle de son adversaire et sa ferme volonté d'arriver colite que colite au but qu'il se propose. Des difficultés sérieuses pourront vous ètre suscitées à l'intérieur par le parti clérical aidé du parti garibaldien, avec lequel, dit-on à Terni, le cardinal Antonelli traite directement par l'intermédiaire de la comtesse Marconi qui vient ici tous le mois de Rome, et qui s'abouche avec tous les gros bonnets garibaldiens. Mais c'est surtout du dehors que viendront Ies grandes difficultés. Il est encore parci par là des rois, des ministres et de majorités catholiques ou pour mieux dire ultramontains, qui, par suite de la proclamation des deux dogmes et des actes hostiles à l'Italie qui les suivront, se verront placés dans l'alternative de se déclarer contre l'Italie ou de désobéir au Pape. Il est encore des masses animées du meme esprit que celui des zouaves de Rome, et qui, organisées par des officiers habiles dans la ville éternelle, pourront fournir au Pape une armée de 100 et 200 mille hommes entretenue aux frais de la catholicité. Personne ne vous garantit que, dans quelque temps, l'Italie ne se trouvera pas en guerre avec une puissance quelconque, à laquelle la grande réaction armée de l'ultramontanisme viendra se joindre tout à coup. Jusqu'à ce que celà arrive les Etats romains présenteront toujours une base d'opératlon suffisante pour commencer les préparatifs des hostilités et offriront assez d'espace pour former un vaste camp sous la protection des baionnettes françaises. Ce qu'il 1mporte surtout actuellement. c'est que vos hommes d'Etat ne se laissent pas payer de mots et de phrases sonores et qu'ils ne perdent pas de vue le còté agressif de certains projets que l'obstination mise par la Cour de Rome à leur réalisation devrait vous révéler suffisamment comme ayant dans l'esprit de ceux qui les ont conçus une portée pratique, dont on ne peut encore assez se rendre compte en Italie. La proclamation du dogme de l'infaillibilité et de celui du pouvoir temporel, c'est avant tout la revendication de l'Ombrie, des Marches et des Romagnes, c'est la croisade contre l'Italie, c'est la destruction de son unité. Quelques mois ne se seront pas écoulés après les résolutions du Concile oecuménique, que vous verrez le commencement de leur application, la théorie mise en pratique. La réunion de tous les princes détrònés à Rome aurait dù à elle seule avertir les Italiens qu'il ne s'agit pas de résolutions purement académiques, comme dit le cardinal Antonelli, et qu'il y a un vaste plan de réaction à l'étude.

Que pourra faire l'Italie en présence d'une situation pareille? Il est difficile de le déterminer, car cette situation est sans précédents dans l'histoire. Elle aurait peut-etre dù s'y prendre d'avance pour diviser la majorité du Concile, dont ses éveques forment plus de la moitié. Maintenant il est trop tard. Je crois qu'il serait essentiel, après avoir vérifié et constaté la vérité de ces assertions, si le gouvernement italien en a les moyens, de signaler les projets de Rome aux puissances amies, pour les mettre en garde contre l'agitation que les éveques ne manqueront pas d'organiser à leur retour du Concile. Ce sera pourtant une tàche bien difficile, car les comités de recrutement, qui envoient des volontaires à Rome, pourront décupler et meme centupler le nombre de ceux-ci sans enfreindre pour celà Ies règlements de leurs autorités respectives. Cependant il sera toujours bon de donner l'éveil aux gouvernements, si ridiculement renseignés par leurs ambassadeurs et ministres à Rome au sujet du Concile, à l'exception peut-etre du gouvernement bavarois. Je crois pour ma part, que l'occupation des provinces pontificales par les troupes italiennes deviendra tòt ou tard pour vous une garantie de sùreté personnelle, dont la nécessité deviendra tellement impérieuse qu'elle s'imposera d'ellememe. Mais la France y consentira-t-elle? Du reste, vous comprendrez mieux que moi ce qu'il y aurait à faire dans le cas où vous acquéreriez la certitude

complète des projets qui ne vous sont ~ignalés aujourd'hui que par des lettres privées et aussi dépourvues d'autorité que les miennes.

Je n'ai pas besoin de vous prier, M. le Ministre, de ne jamais mentionner ma correspondance à personne de ceux qui ne sont pas au pouvoir en Italie, car au Vatican on guette évidemment tous les bruits de Florence et l'on y est fort bien renseigné. Vous avez meme, si je ne me trompe, au ministère le jeune prince Odescalchi, fils d'un de mes compatriotes et cousin germain d'un de mes plus cruels ennemis, qui donnerait ses bas violets pour savoir que je vous écris, et pour l'annoncer à Pie IX. Un mot involontaire, une étourderie de ce jeune homme, lui suffìrait. Je serai charmé d'apprendre que mes lettres vous parviennent exactement.

(l) Non si pubblica la precedente corrispondenza di Kulczycki che ha inizio 11 5 aprile.

439

IL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2183. Atene, 25 aprile 1870, ore 19,10 (per. ore 18,40 del 26).

Dépouilles mortelles du comte Boyl arrivées hier au soir, ce matin débarquées au Pirée avec les honneurs, rendus par tous les bàtiments de guerre. Les ministres grecs et une foule de personnes attendaient le convoi à la gare pour accompagner le cadavre à la légation d'Italie. Aujourd'hui à quatre heures après midi le cortège est parti de la légation pour l'église catholique, le Roi avec moi conduisait le cortège qui a traversé deux des rues principales; le corps diplomatique, les ministres et une foule immense suivaient. La Reine de suite attendait à l'église et assistatit à la cérémonie religieuse. Tous les Sinodes orthodoxes y assistaient aussi; la caisse était doublée du pavillon national et portée pendant tout le trajet sur le dos des italiens d'Athènes.

440

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2181. Londra, 26 aprile 1870, ore 12,45 (per. ore 14,30).

Je viens d'apprendre de bonne source que le Gouvernement français a télégraphié ici qu'ìl est disposé à s'associer à toute démarche du Gouvernement britannique pour affaire de Grèce. Le Gouvernement a déclaré à la Chambre que ses efforts près du Gouvernement grec pour obtenir l'amnistie ont été malheureusement inutiles, et qu'il n'aura détails avant vendredi de la semaine prochaine.

441

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 216/60. Londra, 26 aprile 1870 (per. il 29).

Ho l'onore di confermarle i telegrammi speditele l'uno jeri, e l'altro la notte ora scorsa (l) intorno al disgraziato affare di Atene. Io ebbi la triste nuova per un avviso privato che cortesemente mi mandò la mattina di domenica il signor Hammond sottosegretario di stato permanente del Foreign Office. Il signor Conte di Clarendon era in campagna; sperava di vederlo jeri, giorno della riapertura del Parlamento, ma la gotta lo trattenne in campagna. Jeri non potei conferire neppure col signor Otway sottosegretario di stato politico, perché occupato prima, e poscia intervenuto alla seduta della Camera ove si trattò di questo affare. Il signo,r Hammond mi disse che nessuna deliberazione era stata presa in questo affare, e che la sera il Governo si sarebbe limitato a dare le notizie che aveva, ed a deporre la corrispondenza. Finora egli medesimo non aveva ancora potuto conferire col Conte di Cla,rendon che era fuori di Londra. Mi disse che le notizie che avevano erano scarse ed affatto senza particolari, i quali non avrebbero potuto ricevere che dopo parecchi giorni.

Gli dissi ,per parte mia, che sebbene io non avessi finora ricevuto alcun ordine, pure, l'analoga condizione dell'Inghilterra e dell'Italia in questo disgraziato affare mi faceva presumere che il mio Governo avrebbe gradito di conoscere tuttu ciò che dal comune punto di vista lo poteva interessare, e che perciò gli sarei grato di qualunque notizia che avesse creduto di potermi fornire a questo riguardo. Il signor Hammond mi promise di soddisfare questo mio desiderio.

Ricevo ora appunto dal signor Hammond l'esemplare, che qui unisco {2), della corrispondenza che fu presentata alla seduta della Ca;mera nella notte ora scorsa della quale nella notte stessa fu eseguita la stampa.

Come Le dissi nel mio secondo telegramma di jeri il signor Otway ha dichiarato nella Camera, che gli mancava ogni notizia particolareggiata, e che non avrebbe potuto averne che il venerdì della prossima settimana. La fissazione di questo termine più lungo di quello che sia necessario per ricevere le lettere di Atene mi fa credere che il Governo vuol profittare della cessazione della pl"l.ma penosa impressione che destò qui questo affare. V. E. avrà vedut" che il Times di jeri già preparava il terreno per un giudizio che tolga al Governo greco la responsabilità che potesse avere incontrato in questo affare.

Le confermo la notizia datale nel mio detto telegramma, che il signor de Beust ha telegrafato qui alla sua Ambasciata l'ordine di significare al Conte di Clarendon che il Governo austriaco si sarebbe assai di buon grado associato a tutte quelle misure che si fossero credute opportune in queste circQstanze. V. E. può contare sulla esattezza di questa notizia, e penso che una

simile comunicazione Le sarà stata fatta. Però mi permetto di esprimerLe essere mia opinione che questo Governo agirà tanto meno quanto più si ingrandiranno le proporzioni, e gli interventi in questo affare. Le parole un po' vive dette stanotte dal signor Otway, non sono, a mio avviso, che una troppo necessaria soddisfazione momentanea allo spirito pubblico il quale travasi sotto il colpo del fatto, che fece qui una viva impressione. Ma il Governo inglese non può dimenticare, che sotto a queste questioni vi è sempre la questione d'Oriente che fa capolino, ed è noto che egli suole sacrificare tutto alle esigenze di questa questione.

Non mancherò di tenere V. E. informata di tutto ciò che perverrà a mia notizia a riguardo di questo doloroso affare. Il Times d'oggi stampa un articolo virulento contro la Grecia che è in contraddizione con quello di jeri.

(l) -Cfr. n. 440; il t. 2180 del 25 aprile non è pubblicato. (2) -Non pubblicato.
442

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. R. 217/VII. Londra, 26 aprile 1870.

Avendo avuto occasione di trattenermi nuovamente col Signor Conte di Clarendon intorno al Concilio di Roma mi pregio di dare notizia a V. E. di questa conversazione.

Avendo richiamato a S.S. le cose dette da V. E. alla Camera dei Deputati, in occasione della discussione del bilancio degli Affari Esteri, a seconda di quei principii, che, come riferii nei miei precedenti Rapporti, io già avea fatto presentire al Principale Segretario degli Affari Esteri di S. M. la Regina, Egli mi rinnovò l'espressione della sua piena adesione al sistema liberale da V. E. e aal Governo Italiano praticato. Soggiunse che ciò gli pareva pure del tutto conforme alle speciali circostanze del Governo del Re nelle sue relazioni C·.)lla Corte Romana.

Po::;cia, come era naturale, il discorso cadde sulla Nota del Conte Daru

e sul suo risultato pratico. Lord Clarendon non esitò a dirmi, che le note erano

state fatte tanto per non parere di aver fatto nullo, e ne constatò e ne rico

nobbe la piena inefficacia. Seguendo quest'ordine d'idee gli replicai, che, quanto

a me, io non ne era punto meravigliato, essendo questa una conseguenza ine

vitabile ogni qualvolta i fatti contraddicono manifestamente alle parole; pa

rermi aver dovuto riputarsi fortunato il Conte Daru di aver avuto occasione

di ritirarsi per altre apparenti cause, onde non essere costretto ad abbassare

egli stesso la voce che aveva alzato a nome della Francia colla certezza anti

cipata che l'avrebbe abbassata di poi; potersi in que3te circostanze riputare,

a mio avviso, felici quei Paesi i quali non rendendosi solidarii col fatto pro

prio di ciò che si sta facendo a Roma, possono rimanere in una compiuta asten

sione, ed aspettare tranquillamente l'avvenire, forti delle loro istituzioni, dei

loro diritti, e dell'appoggio dell'opinione pubblica; come pure quegli altri Paesi che pur volendo ammonire il Pontefice ed il Concilio, non avevano colà i loro soldati per ricevere la risposta.

«Questo m'interruppe S. S., è il vero nodo della quistione: la occupazione militare di Roma. Del resto, soggiunse, la risposta di Roma è già molto bene conosciuta, e non è la prima volta che il Cardinale Antonelli, il quale sa benissimo come stiano le cose, risponde alla Francia in tuono di sfida: Ebbene, i vostri soldati, ritirateli pure, perché sa già che non si ritireranno.

Ed i Vostri Vescovi Italiani, soggiunse Mylord, come si comportano?» Gli risposi che io non aveva notizie particolari più recenti di quelle che già avea avuto l'onore di comunicargli altra volta; ma che, in verità parevami che non si facessero molto vivi né per l'una né per l'altra parte. Ed essendosi poscia rivolto il discorso al contegno di Monsignor Dupanloup, e dei Vescovi che lo appoggiano, dissi a S.S. che certo parevami meritevole di qualche appoggio la loro opposizione siccome quella che nella presente circostanza si esercitava nell'i:nteresse della civiltà, e per impedire degli eccessi lamentevoli; ma che il legarsi in qualche modo ad essi ostensibilmente parevami non senza pericolo per le difficoltà che avrebbero potuto incontrarsi per l'avvenire. Essi si lagnano ora della guerra che Roma fa al Gallicanismo ed alle Chiese Nazionali, ed alzando alte grida contro il Romanismo del Pontefice e del Collegio d.ei Cardinali, e del Concilio stesso, riguardo alle sue tendenze.

Ma chi creò e difese e mantenne più saldo il Romanismo che non l'abbiano fatto questi stessi Prelati, i quali, facendosi i campioni più dichiarati del Potere temporale e politico del Pontefice, lo appoggiarono fin ad ora? A chi può venire in mente che le nazioni Cattoliche e principalmente l'Italia potessero tollerare, che, finché il Pontetice sarà un Re, coll'aggiunta di tutta la forza che gli viene dall'essere Papa, possa essere altrimenti che Italiano, e così pure il Collegio dei Cardinali? Se dunque la Happresentanza della Chiesa Cattolica, nel suo Centro in Roma, è Romana e non ecumenica, la colpa princicipale è di coloro appunto che ora più se ne lagnano. Ed io temerei molto, quando si sollevassero poi le grandi questioni di libertà, di separazione della Chiesa dallo Stato, di libertà della stampa, di libertà religiosa, e principalmente del potere temporale del Papa, e quando non vi fosse più la lotta fra questi Vescovi contro le invasioni del Capo della Chiesa a danno delle loro prerogative ecclesiastiche, di vedere di nuovo questi stessi distinti prelati schierati alla testa del partito, che combatte questi principii fondamentali di ogni Governo libero.

«Tutto ciò che ora avete detto, mi rispose S.S., è pienamente vero ed esatto, ed io credo che da questo lato non si possa nutrire veruna illusione. E parmi che della sua attitudine liberale non abbia il Governo Italiano finora a lagnarsi».

« No, gli risposi, essa è logica, è conforme ai principii politici, e costituzionali dell'Italia, ed è apprezzata dalle popolazioni le quali danno a divedere di essersi bene imbevute dei principii di libertà>>.

Né tacqui a S.S. che v'ha bene ancora in Italia un partito il quale pensando che la libertà non possa attecchire né radicarsi e svilupparsi che mediante l'indebolimento dell'autorità morale del Pontefice, si rallegra perciò degli errori che si commettono a Roma, e della guerra che si fa a principii la cui distruzione

è impossibile. A queste opinioni ·certamente non partecipa il Governo Italiano, che vorrebbe vedere ad un tempo salvati ed incolumi i principii di libertà su cui esso si fonda, ed i sentimenti religiosi i quali nella libertà hanno la lor vera radice e la più valida tutela.

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L'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

R. 109. Cairo, 2 aprile 1870 (per. il 4 maggio).

Ricevuto il dispaccio di V. E. di questa serie n. 47 del 16 corrente (2), mi sono trasferito in questa capitale, ed in un'udienza avuta dal Khedive gli ho manifestato le impressioni ricevute dall'E. V. dai negoziati di Nubar Pascià colla Sublime Porta, e gli ho fatto conoscere tutte le riserve che in proposito il R. Governo stimava sin d'ora di dover fare.

Alla mia dimanda di esplicite spiegazioni il Khedive mi ha risposto che le riforme giudiziarie, facendo parte dell'interna amministrazione del paese, egli ha perciò direttamente chiesta alle Potenze europee la riunione di una Commissione internazionale, consentita dalla Sublime Porta, ed in conseguenza si ritiene vincolato al progetto proposto e firmato dalla Commissione della quale faceva parte Nubar Pascià.

La Commissione e Nubar hanno elaborato un progetto con voto consultivo: questo progetto non può divenire legge finché non è accettato dai Governi rappresentati nella Commissione. A quest'opera internazionale la Sublime Porta non può rispondere né con un rifiuto, né metterla in vigore di sua sola autorità. La riforma non può avere effetto che da un voto unanime e concorde delle Potenze interessate.

Il Khedive ha dovuto e deve negoziare con la Sublime Porta perché il progetto da esso proposto non incontri ostacoli ma facile esecuzione nell'interesse e degli indigeni e degli stranieri.

Ovviare gli ostacoli, facilitarne l'esecuzione, è lo scopo della missione di Nubar. Per ora dirigendosi separatamente, e prima, presso quei Gabinetti ove si sono manifestati dei dubbi e delle opposizioni; in avvenire quando un accordo tra esse sarà concretato, presso una Commissione internazionale con voto deliberativo.

* Nubar ha incominciato la sua peregrinazione da Costantinopoli per non risvegliare suscettibilità, che avrebbero potuto creare degli ostacoli serii, che avrebbero potuto servir di pretesto ai Gabinetti che non si sono ancora pronunciati *.

Nubar non ha inteso di certo accettare di motu proprio le controproposte della Porta. Ha negoziato perché formulasse le obbiezioni, gli emendamenti che crederebbe poter essere introdotti nel progetto, che il Viceré non poteva né accettare,

né rifiutare, ma che Nubar o i Ministri ottomani le avrebbero sottomesse alle

Potenze. E' uno scambio d'idee e discussione, che tuttavia continuano.

Queste sono le spiegazioni che mi diede il Khedive sulla quistione in merito.

Entrato nei particolari delle concessioni che Nubar avrebbe fatto alla Sublime Porta e che mi risultavano dai documenti rimessimi dall'E. V. S.A. il Khedive mi assicurò che l'unica vera modificazione al progetto della Commissione che Nubar ha dichiarato sarebbe il Viceré disposto ad accettare, purché le Potenze europee si accordassero di concederla, è quella che i funzionari pubblici non sarebbero tradotti nanti i nuovi tribunali per cause dipendenti dall'esercizio delle loro funzioni.

La seconda modificazione proposta dalla Porta sarebbe quella che la giurisdizione dei nuovi tribunali non fosse estesa sugli indigeni per cause nelle quali non fossero implicati interessi stranieri.

Questa non sarebbe una modificazione radicale, perché la stessa Commissione non ha creduto rendere i nuovi tribunali obbligatorii per gl'indigeni nelle cause tra loro, ma li ha lasciati facoltativi.

Sua Altezza, in appoggio di quanto mi disse, ebbe la bontà di darmi lettura della circolare del Gran Vizir ai Ministri ottomani con la quale nel rimetter loro copia del progetto della riforma, manifesta i due emendamenti che vorrebbe vedervi introdotti.

In ultimo portai l'attenzione del Khedive a fissarsi sulla supposizione che il Governo egiziano potesse pretendere d'introdurre la riforma giudiziaria per effetto di una semplice sua disposizione legislativa senza farla precedere da positivi impegni dell'Egitto verso le Potenze, e su questa supposizione espressi le riserve le più accentuate per parte nostra. Il Khedive mi rispose di riconoscere la giustezza delle mie osservazioni e la necessità per le Potenze di prendere accurate cautele per loro guarentigia: che ciò però non poteva dipendere da lui, ma dalle stesse Potenze, che chiamate a studiare la riforma, a pronunciarne l'adozione, debbono anche mettersi d'accordo per dare agl'impegni che prenderebbe l'Egitto quella forma che crederebbero poter meglio tutelare i loro diritti.

(l) -Ed., ad eccezione de! brani fra asterischi e con alcune varianti, !n LV 21, pp. 88-89. (2) -Cfr. n. 407.
444

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. [33.] Roma, 26 aprile 1870.

Je n'ai pas écrit dimanche après la séance solennelle du Concile pour me ménager l'occasion d'écrire immédiatement après la séance qui devait avoir lieu demain mercredi. Mais aujourd'hui cette séance est ajournée à vendredi prochain, et on a distribué aux Pères le Schème réformé «de parvo Catechismo uno» dont la discussion précédera celle du Schème «de Pontifice », parce que la Députation dogmatique n'en a pas pu terminer la rédaction nouvelle, quoique les Pères aient présenté leurs observations avant le 17 mars. La discus

sion sur «le petit catéchisme » durera, à ce qu'on croit, une huitaine de jours

et calmera les esprits. Il n'y a là aucune concession faite à l'opposition qui

avait réclamé que les Schèmes renvoyés aux députations fussent discutés dans

l'ordre chronologique de leur présentation; le Schème «de Catechismo:. était le

quatrième et précédait le Schème «de Ecclesia ». La suite des Schèmes est

ainsi altérée, peut-etre dans le but de donner à l'opposition l'occasion de réa

liser sa menace de s'en aller en ce cas avant la discussion sur l'Infaillibilité.

« On veut Hre très généreux envers l'opposition, m'a dit hier Monseigneur

Martin de Paderborn, la nouvelle rédaction du Schème «de Pontifice » sati

sfera meme Ies adversaires les plus acharnés de l'Infaillibilité ». Monseigneur

Martin étant membre de la Députation dogmatique, il peut y avoir quelque

chose de vrai qui confirmerait ce que le Pape à fait dire au Cardinal Rauscher.

Je passe à la séance solcnnelle de dimanche. Le Cérémonial est fort ennuyeux; la seule chose intéressante était la votation. Le Pape se prélassa sur son tròne d'une manière qui me semblait peu convenable; je crois qu'il dormit quoiqu'il pritat souvent. Le Cardinal Antonelli donna son « placet » en s'inclinant mais sans rien dire; les Cardinaux Rauscher et Schwarzenberg prononcèrent le mot fatai d'une voix assez faible. Monseigneur Darby dit son « placet » machinalement, mais Monseigneur Dupanloup le cria avec ostentation; la plupart des Allemands le prononcèrent avec une certaine indifférence, Monseigneur Haynald l'a dit d'une voix si faible qu'il dut le répéter. Un évéque anglais et quelques éveques italiens chantèrent leur « placet »; quelques américains s'inclinèrent sans rien dire, comme le Cardinal Antonelli. Monseigneur Strossmayer, se conformant à mes conseils, s'était absenté, de meme que Monseigneur Foerster, prince-évéque de Breslau, qui d'ailleurs est malade. Le vote était donc unanime -l'opposition bel et bien enterrée. La votation terminée, le Pape s'est levé et a chanté avec sa superbe voix la sanction donnée au vote, en accentuant d'une manière bien démonstrative les mots «et nos auctoritate nostra apostolica sancimus, confirmamus etc. ». Jamais il ne m'a paru si orgueilleux et hautain que ce jour: comme s'il avait voulu copier le Cardinal Borromeo, il haussait la tete, jettait des regards presque farouches sur l'assemblée, se tournait brusquement à inspirer de la peur à son entourage. Il a fait sur tout le monde une impression étrange et désagréable.

Malgré la défaite capitale de dimanche l'opposition n'entend pas abdiquer et se prépare bruyamment à la lutte contre l'Infaillibilité. Quoique je n'aie pas le moindre doute sur le résultat final de cette campagne de l'opposition, j'avoue étre fort curieux de voir comment ces messieurs qui dimanche dernier ont donné au Pape les plein-pouvoirs de régler toutes choses dogmatiques et disciplinaires par des décrets et des constitutions apostoliques se prendront à lutter contre les conclusions logiquement incontestables des prémises qu'ils ont admises par leur vote antérieur.

La réponse que le Pape a donnée à M. de Banneville a été assez sèche. « Je suis, dit-il, bien content de voir que l'Empereur a fini par reconnaitre la justesse de nos vues et par renoncer à une politique qui n'aurait pas contribué à ajouter à sa gloire. Dites lui, M. le Marquis, que je l'en félicite ». M. de Banneville se dit tout satisfait du Pape et de l'Empereur.

(l) Ed. in T.waoaaA, pp. 269-270.

445

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2190. Londra, 27 aprile 1870, ore 15,20 (per. ore 21,30).

Informations prises, on croit que Mazzini n'est pas à Londres. On le suppose à Lugano. Après demain j'aurai autres renseignements. Je n'ai pu voir lord Clarendon aujourd'hui pour l'affaire de Grèce. J'espère lui parler demain.

446

IL CONSOLE A GALATZ, BERlO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2189. Galatz, 27 aprile 1870, ore 20 (per. ore 20,20).

Graves événements à Tecuci. La révolution éclatée contre les juifs le 24 courant Pàques. Le tempie saccagé, maisons pillées, individus blessés. On prétend que juifs n'est qu'un prétexte. On parle de mouvement républicain. Conflit de la population avec la troupe qui a été battue et demande renforts qui sont partis aujourd'hui.

447

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2193. Londra, 27 aprile 1870, ore 23,55 (per. ore 2,15 del 28).

Lord Clarendon m'apprend que l'avis « Antelope » part aujourd'hui d'Athènes avec les restes de toutes les victimes, et qu'ordre est donné ce soir à Malte de transporter à Messine les restes du pauvre Boyl après avoir déposé les autres à Malte. Il me prie de vous en avertir pour que les autorités de Messine soient prétes pour la réception.

Je verrai Clarendon demain.

448

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

D. 27. Firenze, 27 aprile 1870.

La notizia dei recenti casi di Grecia ha prodotto in Italia una profonda e dolorosa impressione. Interpellato in seno alla Camera ho risposto nel senso che Ella ha potuto scorgere dal resoconto ufficiale della seduta.

34 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. XII

I documenti annessi al presente dispaccio La porranno in grado d'apprezzare quale sia stata la condotta del Governo del Re e del suo Ministro in Atene in questa triste circostanza.

Finché durò il sequestro dei prigionieri il Governo del Re preferì lasciare al R. Ministro in Atene la necessaria libertà d'azione, perché provvedesse secondo l'opportunità consigliata e potesse concertare col suo collega d'Inghilterra tutti quegli uffici mercé i quali fosse dato raggiungere l'intento sperato. Mi è grato di qui riconoscere quanto sia stata viva e cordiale la sollecitudine di cui diede prova il signor Erskine nei rapporti che egli ebbe col Conte della Minerva sinché l'improvvisa catastrofe non giunse a rendere vani i loro sforzi comuni. Voglia Signor Ministro farsi interprete presso il Governo di S. M. Britannica dei sentimenti di sincera gratitudine che noi abbiamo provato per quanto ha fatto il Ministro della Regina a beneficio dell'infelice Conte Boyl.

Avvenuta poi la sciagura fu primo compito nostro quello di ricercare esatte informazioni sui particolari del triste fatto. Della deficienza di sorveglianza che permise una tanto audace aggressione a cosi breve distanza dalla capitale non si può oramai dubitare, ma rimane a chiarire come sia accaduto che i briganti furono attaccati malgrado le esplicite promesse delle autorità elleniche di astenersi da ogni atto di ostilità. Il Governo del Re infatti non potrà formare un pieno e fondato giudizio che serva di norma alla sua condotta, finché non sara ben chiarito questo ultimo punto, dal quale dipende manifestamente la maggiore o minore responsabilità del Governo greco e dei suoi agenti.

In questo nattempo ci sono giunte le comunicazioni dell'Austria ch'io Le segnalai col mio telegramma di ieri (1). Il Gabinetto austro-ungarico si dichiarava pronto ad associarsi a quegli uffici che il Gabinetto di Firenze intendesse di fare presso quello di Atene. Ringraziai l'Inviato di Sua Maestà Imperiale e Reale Apostolica, dimostrandomi lieto di questa che è, agli occhi nostri, testimonianza di simpatia e prova di sollecitudine per un interesse comune a tutta l'Europa civile. Però soggiunsi non essere per anca possibile per noi di pigliare una risoluzione, e ciò per i motivi che testé accennai.

Intanto mi premeva d'affermare la solidarietà che in questa occorrenza è affatto naturale tra il Governo di Sua Maestà Britannica e quello del Re. Col mio telegramma in data di ieri, che Le confermo col presente dispaccio, io ho incaricato V. E. di recarsi presso Lord Clarendon per attestare, anzitutto, come il Governo italiano e l'intero paese abbiano associato nell'istesso sentimento di compianto e di dolorosa commozione il nome del Conte Boy! e quello dei sudditi inglesi che divisero con lui la stessa sorte crudele. V. E. ebbe in pari tempo l'incarico di manifestare al Primo Segretario della Regina per gli Affari Esteri il desiderio del R. Governo di procedere d'accordo con quello di Sua Maestà Britannica.

Io sono persuaso che queste nostre dichiarazioni troveranno presso Lord Clarendon una benevola accoglienza.

(l) T. 1108, non pubblicato.

449

IL :MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL :MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2194. Londra, 28 aprile 1870, ore 19,10 (per. ore 23,05).

J'ai communiqué à Clarendon dépeche (1). Vous remereie. Aucune décision n'est prise. Détails manquent. On veut éclaircir fait de la poursuite des brigands après le promesse de s'en abstenir faite au ministre anglais et par lui aux brigands. Clarendon me tiendra au courant. Question grave. On entend pas se presser. Clarendon à évité sujet de la démarche d'Autriche.

450

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA

T. 1112. Firenze, 29 aprile 1870, ore 16.

Reçu vos rapports du 23 (2). Le point essentiel est qu'on savait parfaitement qu'un conflit de la troupe avec les brigands entrainerait la mort des prisonniers et que toutefois ce conflit a eu lieu. Il est nécessaire que nous sachions très précisément comment et pourquoi ce conflit n'a pas été évité à tout prix.

451

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2197. Parigi, 30 aprile 1870, ore 18 (per. ore 23,30).

Hier on a répandu le bruit qu'on avait tiré sur l'Empereur des français. Ce bruit était faux; mais il parait qu'il existait une conspiration réelle contre la vie de l'Empereur et plusieurs arrestations ont été opérées.

(-2) Cfr. n. 435.
(l) -Cfr. n. 448, nota 1.
452

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA (l)

D. 103. Firenze, 30 aprile 1870.

Quanto sia dolorosa l'impressione prodotta in Italia dalla triste fine toccata al compianto Conte Alberto di Boy!, segretario di codesta Legazione, Ella può figurarsi, ed io provo anzi tutto il bisogno di associarmi alle espressioni di ben giusto e pietoso cordoglio su quella tragica ed immatura morte che Ella ha espresso nei suoi rapporti a questo Ministero.

Dai telegrammi che Ella mi ha spediti successivamente dacché il Conte di Boy! era caduto nelle mani dei masnadieri, noi avevamo potuto misurare tutta la gravità della situazione. Le notizie di Atene ci giungevano però con tali alterazioni nelle eifre da rendere spesse volte oscuro il significato dei telegrammi. Questi poi soffrivano inconcepibili ritardi di due e persino di tre giorni giungendoci talvolta per i primi quelli che Ella avea spedito gli ultimi. In tale stato di cose, non era possibile tracciarle di qui istruzioni particolareggiate. In quelle che le diedi col mio dispaccio del 15 corrente (2), e nei telegrammi successivi, mi studiai particolarmente di non inceppare in alcuna guisa l'intera libertà di azione che le era necessaria per provvedere secondo le circostanze del momento e nel modo che l'esperienza, la pratica conoscenza del paese, e l'interesse che le inspirava la sorte dei prigionieri le avrebbero suggerito.

Anziché sollevare e discutere quistioni, era nostro intendimento provvedere alla salvezza della vita dei prigionieri, e V.S. ha perfettamente interpretato queste nostre intenzioni nell'adoperarsi come ha fatto presso le autorità Elleniche senza intavolare colle medesime discussioni che dovevano esser riservate a tempo più opportuno. Epperò appena Ella ci fece sapere che le trattative per il riscatto offrivano qualche speranza di riuscita, ci affrettammo ad autorizzarla a rilasciare cambiali sopra questo Ministero, acciocché Ella potesse procurarsi senza indugio la somma necessaria pel pagamento della quota che sarebbe spettata al Conte di Boy!.

Sventuratamente né la sollecitudine di Lei nell'adoperarsi presso le autorità locali, né le risoluzioni che dipendevano da noi, bastarono ad impedire la catastrofe.

Ho Ietto con attenzione la narrazione da Lei fattami di tutte le circostanze che accompagnarono questo triste avvenimento (3); ma una di esse ci riesce tutt'ora inesplicabile. Non comprendiamo come mai il Governo ellenico, dopo aver ordinato che si sospendesse l'inseguimento dei masnadieri, e dopo essersi formalmente impegnato a non farli inseguire finché fossero in pericolo le vite dei prigionieri, abbia potuto autorizzare le truppe che avevano circondato Oropo ad impedire colla forza la ritirata ai briganti. Sopra questa circostanza di fatto, ho chiamato l'attenzione di Lei col mio telegramma di ieri (4). Finché la mede

sima non ci sia meglio conosciuta, non ci è possibile apprezzare il modo col

quale vennero mantenuti gl'impegni presi da codesto Governo verso la S.V. ed il Ministro d'Inghilterra.

Ma ciò che purtroppo non lascia più alcun dubbio è la mancanza assoluta di vigilanza per parte delle autorità preposte alla pubblica sicurezza nella Grecia. Riesce infatti doloroso il pensare che il Conte di Boy! ed i suoi compagni di sventura incontrarono la triste fine che li attendeva, solo perché queste autorità ignoravano la presenza alle porte stesse della capitale di una immensa banda di masnadieri conosciuta per la sua ferocia e le sue iniquità.

Le conseguenze fatali di questa assoluta mancanza di vigilanza delle autorità greche hanno vivamente commosso la pubblica opinione in tutti i paesi di Europa. Codesto Governo ne ebbe la prova nei passi fatti da tutti i rappresentanti diplomatici accreditati in Atene. Noi ne avemmo una chiara testimonianza nella premura colla quale il Governo austriaco ci ha fatto sapere di essere pronto ad associarsi ai passi che noi avremmo stimato utile di fare presso la Grecia. Una simile comunicazione è stata fatta dal Gabinetto di Vienna a Londra e noi abbiamo espresso al Gabinetto inglese il nostro desiderio di procedere d'accordo con lui nel seguito che potrebbe avere questo deplorabile avvenimento. l

Per ora, io non potrei farle conoscere il partito, al quale i Governi si atterranno. La scelta di esso dipenderà essenzialmente dall'apprezzamento dei fatti sui quali anche a Londra si aspettavano maggiori informazioni. Non voglio però chiudere questo dispaccio senza incaricarla, Signor Ministro, di esprimere al Signor Erskime i nostri più vivi ringraziamenti per aver egli nelle trattative che fallirono cosi infelicemente proceduto sempre d'accordo con lei.

(l) -Ed., con varianti formali, in LV 15, pp. 18-19 (2) -Cfr. n. 406. (3) -Cfr. n. 435. (4) -Cfr. n. 450.
453

IL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 333. Atene, 30 aprile 1870 (per. il 6 maggio).

Accuso ricevuta del dispaccio di V. E. delli 15 cadente mese, n. 102 di questa serie (1).

Io ritengo che la responsabilità del Governo greco debba desumersi dalla assoluta negligenza di sorveglianza dei dintorni della capitale, sopratutto essendo stato avvertito dell'escursione che doveva aver luogo. Nell'ufficio che diressi a questo Ministro degli Esteri, io ho espresso chiaramente che la responsabilità di tutte le conseguenze doveva ricadere sul Governo greco (2). Sventuratamente fu la conseguenza la più triste e la meno preveduta di cui io tenni responsabile il Governo greco.

II Ministro di Turchia reduce jeri da Costantinopoli emette l'opinione del suo Governo che la Grecia era responsabile del riscatto. Il Ministro di Francia

ricevette istruzioni di far sentire vivamente a questo Governo la necessità di provvedere ad una maggiore sicurezza dei dintorni d'Atene, e di Tendere responsabile il Governo ellenico dei riscatti che gli impiegati diplomatici o sudditi francesi dovessero pagare sempre che la Polizia fosse stata previamente avvertita delle escursioni.

Degli altri Ministri Esteri qualcuno aspetta le istruzioni che ha chiesto al propTio Governo, altri si associeranno con pratiche conformi.

(l) -Cfr. n. 406. (2) -Fin qui ed. in LV 15, p. 20.
454

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. XL. Berlino, 30 aprile 1870 (per. il 5 maggio).

J'ai mandé, dans mes dépéches nn. XXXVIII et XXXIX de cette Série (1), quelles étaient les instructions que le Comte de Bismarck avait envoyées à M. d'Arnim, à Rome, au sujet de la mesure dans laquelle le Cabinet de Berlin entendait appuyer le mémorandum que M. de Banneville était chargé de remettre au Pape.

Faisant sui te à ces dépéches, je m'empresse de faire connaitTe à V. E. ce que le Secrétaire d'Etat m'a communiqué aujourd'hui sur la suite de cette affaiTe.

Après huit jours d'attente, M. de Banneville s'est enfin décidé à informer son collègue de Prusse des ordres qu'il avait apportés de Paris. M. d'Arnim s'est alors concerté avec ses collègues, et, profitant de la latitude que M. de BismaTck lui avait laissée, il a appuyé la démarche de l'Ambassadeur par une note au Cardinal Secrétaire d'Etat. Il en a en méme temps averti son Gouvernement par le télégraphe, et M. de Thile pense qu'il recevra après demain le Tapport de

M. d'Arnim, ainsi que le texte de la note en question. Ce texte d'ailleurs était tracé d'avance par les instructions éventuelles du Comte de Bismarck, ain~ que je l'ai référé à V. E.

Le Secrétaire d'Etat persiste plus que jamais à croire que cette tentative n'exercera guère d'influence à Rome. Quoiqu'il ne lui résulte point que le Gouvernement français ait pour ainsi dire explicitement décliné auprès du Vatican la responsabilité d'une démarche qui peut étre considérée comme un legs du Comte Daru à son successeur, le Pape et son Secrétaire d'Etat sont trop fins, disait M. de Thile, pour ne pas se rendre parfaitement compte de la portée que la note française peut avoir dans les circonstances actuelles de l'Empire. Sa Sainteté au reste aurait déjà catégoTiquement refusé au Marquis de Baoneville de communiquer au Concile, dont il est le Président, le mémorandum qu'on lui présentait. Faiblement inspiré et mollement appuyé, il ne me parait destiné qu'à augmenter les Archives du Vatican, qui sont déjà assez riches de tels documents.

(l) Non pubblicati.

455

IL CONSOLE A CHAMBERY, BASSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE S. N. Chambery, 30 aprile 1870 (per. il 2 maggio).

Essendo stato informato confidenzialmente che il Governo Francese ordinava al signor de S. Senise verificatore del registro e demanio a Chambery, ed autore d'una Storia della Savoia di comporre una relazione di quanto fu fatto per questo paese dopo la sua annessione alla Francia, dei vantaggi che ne ottenne, e del modo con cui furono tenuti tutti gli impegni presi e le promesse fatte, mi preoccupai del modo con cui sarebbe presentata la situazione e l'antica amministrazione Sarda sarebbe stata trattata.

Ne tenni parecchie volte parola col signor de S. Senise e, sia che il Governo Imperiale abbia mostrato desiderio, che tutte le giuste suscettibilità siano rispettate, sia che i sentimenti di riconoscenza e di simpatia, che l'autore mostra per l'Italia siano sinceri, l'ho trovato disposto a nulla trascurare, perché troppo biasimo non ricada sull'antica amministrazione. Ebbi jeri col S. Senise una lunga conferenza, e presi cognizione di alcuni brani di quest'opera che avrà per titolo, se non isbaglio, «dieci anni di annessione». Non vi è dubbio, alcuno che se il Governo Francese commise fin dal principio lo sbaglio d'inviare funzionari che non erano adatti, non furono all'altezza della loro missione, e trattando la Savoia come paese di conquista vi seminarono malcontento, e disgusto, fece molto in fatto di strade, ed opere pubbliche d'ogni genere. Risulterebbe che spese, in più dei tributi pagati (allo Stato), circa cinque milioni all'anno. Gli specchi e le tabelle sono fatti con molta sincerità, e risulta che in fatto d'imposte pagano i Savoiardi molto più di quanto pagavano sotto il Governo Sardo l'eccedente del 1870 in confronto col 1860 essendo di L. 689461,48 -il tutto però quasi a carico di centesimi addizionali per imposte locali, quella fondiaria essendo attualmente inferiore all'Italiana.

Però nello stabilire storicamente i vantaggi dell'annessione l'autore ha preso per base le deliberazioni degli ultimi anni dei Consigli municipali e provinciali, che muovevano alle dure Iagnanze sull'abbandono in cui pretendevano trovarsi per parte del Governo, e queste deliberazioni sono inserite. Sono titoli ufficiali contro cui si ha nulla a ridire; ma non ho tralasciato di far rilevare la situazione politica di quei tempi ed i bisogni delle guerre che si sostenevano per l'indipendenza Nazionale, e che non permettevano più i sacrifici, che prima si facevano. Gli ho notato inoltre che molte delle lagnanze dei detti Consigli erano dettate da spirito di parte e di opposizione politica, o religiosa ed erano in contraddizione con deliberazioni e decisioni del precedente decennio, e menzione apposita ne sarà fatta nel senso delle mie osservazioni.

Il Governo Francese avrebbe voluto che si fosse fatto cenno di quanto pagherebbe in oggi la Savoia per le aumentate imposte se fosse unita all'Italia. Ma ho osservato al S. Senise che questo para.llelo sarebbe impossibile, perché se l'imposta fondiaria, su cui il paragone sarebbe fatto principalmente, è più forte in Italia che in Francia, '.;utti gli altri tributi, particolarmente gli indiretti sono molto più elevati qui che da noi, e quindi sarebbe difficile stabilire questo confranto in modo esatto, e sincero, e l'idea ne sarà abbandonata, meno che fosse possibile stabilire in modo almeno approssimativo quale somma dovrebbe pagare in oggi la Savoia tutto compreso, e risultasse una differenza minore di quanto paga attualmente sotto il regime francese, e che, se le note che ho preso non sbagliano, si riassume nel modo seguente:

Imposte dirette spettanti allo Stato L. 1890.363.35 Imposte locali e centesimi addizionali L. 2872.320.28 Registro-demanio, ipoteche e bollo, dogane, contribuzioni in

dirette e poste L. 8204.336.05

Totale L. 12967.019.68 (Mi riservo di meglio verificare queste cifre).

Però se fosse possibile avere in breve tempo, giacché il lavoro del S. Senise sarà ultimato, e presentato verso il 15 del prossimo Maggio una relazione esatta delle somme che furono incassate sotto diversi titoli dal 1849 al 1859 dal Governo Sardo, o meglio ancora dal 1839 al 1849 come epoca più normale e più tranquilla, e delle srese che furono fatte per servizio, e lavori pubblici, otterrei certamente di farlo inserire, o almeno di farne far cenno e sarebbe questa la miglior prova che i Savoiardi, che per mezzo dei loro rappresentanti muovevano sì dure lagnanze non ne avevano motivo legittimo, e se furono trascurati in seguito per poco tempo i loro interessi non ne furono causa che le circostanze politiche.

11 Governo Francese vuoi provare in oggi che i Savoiardi non hanno motivo di essere malcontenti dell'annessione, e che vi hanno guadagnato. Ma non otterrà da questa pubblicazione, che ancora è tenuta segreta, scopo alcuno. Il malcontento regna in tutte le classi, e la più profonda antipatia esiste per tutto ciò che è Francese, mentre l'affetto per la Casa Savoia e le aspirazioni al passato sono per così dire quasi generali.

Ho creduto mio dovere di trattenere di quanto precede V. E. perché le piaccia darmi in proposito quelle istruzioni, e quei cenni che credesse del caso, e che mi adoprerel per quanto mi fosse possibile di far prendere nella dovuta considerazione.

P. S. Sarebbe utilissimo che ove si voglia stabilire un confronto sui tributi che si pagano in Italia ed in Francia io avessi qualche notizia esatta in proposito e se V. E. credesse di procurarmela le ne sarei riconoscentissimo.

456

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 36 (2) Roma, 2 maggio 1870.

Le détails sur la campagne diplomatique du Gouvernement français, Iesquels j'ai l'honneur de mettre sous les yeux de V.E., viennent trop tard pour

avoir un autre intérèt que celui de la plus scrupuleuse exactitude possible en pareille matière. Au lieu de transmettre à V. E. les informations vagues et contradictoires que j'ai eues, j'ai préféré les vérifier et résumer aujourd'hui d'autant plus que V. E. a, certes, été informée de Berlin, de Vienne, de Munich etc. des démarches que ces cabinets entendaient faire auprès du Saint-Siège pour amoindrir la signification du faux-pas du Cabinet des Tuileries.

Le gouvernement autrichien était, camme d'habitude, le premier à rendre au gouvernement français ce service problématique. A cet effet M. de Beust a adressé à M. de Trauttmansdorff une dépèche dont celui-ci était chargé de donner lecture au Cardinal Antonelli. En appuyant la note de M. de Daru, le Cabinet de Vienne se fait fort de l'opposition presque unanime de l'épiscopat allemand, autrichien et hongrois contre les tendances du Schème «de Ecclesia ~. et adjure le Saint-Siège d'user de la plus grande modération qui, en outre, est commandée par l'attitude ouvertement hostile des populations autrichienne vis-à-vis de Rome. Le Cardinal Antonelli a écouté l'Ambassadeur autrichien sans mot dire.

La dépèche du Cabinet de Munich, appuie, elle aussi, sur l'opposition de l'épiscopat et des populations allemandes.

Le cabinet de Lisbonne a chargé son représentant de se conformer entièrement à l'attitude de l'ambassadeur autrichien, ce qui M. de Ferreira a fait après quelque hésitation.

Je n'ai rien appris au sujet des gouvernements hollandais et beige; le représentant de ce dernier est toujours absent de Rome.

Le cabinet de Berlin a instruit M. d'Arnim d'appuyer la note de M. de Daru. Lorsque M. d'Arnim entendit que l'Autriche et la Bavière ont adressé à leurs représentants des dépèches dont ils devraient laisser copie au Cardinal Antonelli, et viì que la dépèche de son Cabinet n'était pas destinée à ètre communiquée, il demanda à Berlin des instructions par le télégraphe et fut par la mème voie autorisé à rédiger une note au Saint-Siège dans le sens de la dépèche de son gouvernement. On me dit que la note rédigée par M. d'Arnim et présentée au Cardinal Antonelli est conçue dans des termes très forts et que pour cela M. d'Arnim ne l'a pas communiquée à ses collègues avant que son gouvernement ne l'aurait approuvée. Confidentiellement je sais cependant que M. d'Arnim nonseulement s'est approprié des arguments des dépèches de MM. de Beust e de Bray, mais qu'il a rappelé au Saint-Siège que la Prusse camme puissance protestante aurait des devoirs impérieux qui ne lui permettraient pas d'user envers le SaintSiège de cette longanimité qu'aux puissances catholiques impose la déférence pour le chef de leur Eglise, ni de continuer à garder envers l'Eglise Catholique de l'Allemagne du Nord cette bienveillance sympathique que le Saint-Siège luimème ne s'est pas refusé à reconnaitre en maintes occasions. M. d'Arnim a envoyé à son gouvernement copie de sa note et parait ne pas ètre siìr de l'approbation de son gouvernement.

Le Cabinet de Saint James a simplement chargé son représentant d'appuyer la note de M. de Daru. M. Russell a cru agir dans l'esprit de Lord Clarendon en prenant cette instruction au pied de la lettre. Il s'est borné à dire au Cardinal Antonelli que son gouvernement l'a chargé par le télégraphe d'appuyer la note

du Cabinet des Tuileries. Le Cardinal a souri et dit que c'était bien. Après quoi il a jasé avec M. Russell de toutes choses excepté la note Daru. Après M. Russell entra M. d'Arnim pour s'enquérir de l'impression que sa note aurait produite sur le Cardinal Antonelli. Celui ci était for aimable avec

M. d'Arnim et lui racontait ses conversations avec MM. de Banneville, de Trautmansdorff et de Tauffkirchen à propos de la note française et éclata en éloges de Lord Clarendon et de M. Odo Russell, et de la sagesse de leur attitude dans cette question. M. d'Arnim tout étonné de ces louages fit remarquer que l'Angleterre appuyait elle aussi la démarche française. Le Cardinal lui répondit qu'il n'en était rien, mais absolument rien; qu'il venait de causer avec M. Russell, mais que M. Russell ne lui a pas présenté de note, ni donné lecture d'une dépèche, ni en laissé copie, de sorte que lui, Antonelli, se croyait autorisé à croire que le gouvernement anglais, si réellement il parlait de l'appui donné à la note française, ne faisait que se moquer de la reculade du Cabinet des Tuileries. M. d'Arnim sortit enfin de chez le Cardinal sans avoir pu découvrir la plus légère trace de l'impression de sa propre note.

J'ai prié un de mes amis qui est dans l'intimité du Cardinal Antonelli d'aller le voir afin de savoir comment il juge de l'attitude du gouvernement italien dans cette affaire. Vendredi dernier la personne susmentionnée y a été, mais sans que se soit présentée l'occasion opportune de toucher à cette question. Il m'a cependant promis de chercher à voir le Cardinal aujourd'hui, lundi.

L'opposition épiscopale s'acharne sur la question du petit catéchisme unitaire. Monseigneur Ketteler se propose de faire à la Conférence allemande et au Comité international la motion de voter contre le Schème si la députation maintient le commandement impératif de l'introduction du catéchisme de Bellarmin dans tous les diocèses catholiques. Monseigneur Ketteler voudrait que l'introduction n'en fiìt que facultative et propose la substitution du mot « recommandamus » au mot « jubemus » qui se trouve dans le Schème. Comme précisément l'introduction obligatoire de ce catéchisme est la seule raison d'ètre du Schème, je crois qu'on fait trop de bruit pour rien, à moins qu'on ne veuille habituer l'opposition à ce fatai mot de «non placet ». Demain, il y aura séance du Comité et de la Conférence pour en délibérer, parce qu'on doit voter mercredi prochain.

Le nouveau Schème «de Pontifice >>, sera, dit-on, distribué aux Pères dans la séance du Concile de mercredi. Les Cardinaux l'auraient déjà reçu, je ne sais pas cependant si c'est exact.

(l) -Ed. !n TAMBORRA, pp. 273-275. (2) -Non si pubblicano le l. p. 34 e 35 di Tkalac rispettivamente del 28 e 3U apm.,.
457

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 139. Pietroburgo, 3 maggio 1870 (per. il 10).

Ho l'onore di segnare ricevimento all'E. V. di n. 32 documenti diplomatici della serie ordinaria, spediti il 31 marzo, di n. 9 della serie relativa al Concilio,

inoltre di n. 28 documenti della serie ordinaria spediti posteriormente come pure del pacco contenente le lettere particolari da Roma. Il signor Andrea Buchanan, Ambasciatore di S. M. Britannica, fu ieri da

S. E. il Principe Cancelliere a richiamare l'attenzione di Lui sulle condizioni politiche in cui versa presentemente il Principato di Rumania, le quali segnatamente dopo l'ultima crisi, inducono qualche non lieve inquietudine nei consigli delle Grandi Potenze. Il diplomatico inglese, per istruzioni ricevute dal suo Governo, ebbe più specialmente a lamentarsi dell'atto di piena sovranità, esercitato dal Principe Carlo col batter moneta colla sua effigie (l), sulla qual cosa il Governo del Sultano avea fatto pervenire a quello di San Giacomo le rimostranze che gli erano ragionevolmente suggerite dalla gravità di un simile atto. La risposta del Principe fu: che la Russia non avea mai veduto di buon occhio la unificazione avvenuta delle due Provincie Danubiane, né molto meno l'avvenimento alla suprema dignità dello Stato di un Principe forestiero; che non avea mancato di significare ai potentati amici le sue riserve ed i suoi dubbi su tal soggetto qualora gliene fu porta occasione nel corso dei negoziati onde uscì il presente ordinamento che regge quelle provincie; che per fermo tutto quello che di poi vi è seguito da alcun tempo in qua, è venuto a riprovare che il Gabinetto di Pietroburgo avea veduto bene addentro nelle cose di quel paese, e non si era punto ingannato nelle sue previsioni. Ad ogni modo, soggiungeva il Cancelliere, che codeste considerazioni non aveano gran fatto più che un valore storico e retrospettivo, e che ora non si voleva peggiorare ancor di vantaggio lo stato delle cose in Rumania col frapporre troppo grandi ostacoli all'andamento di quel Governo; che Egli biasimava e deplorava quanto altri mai l'atto compiuto dall'amministrazione del Principe Carlo come atto di sovranità non consentitagli dai trattati né su questa opinione del Governo russo potevano i Ministri rumeni farsi veruna illusione, essendo stata loro manifestata ma che non credeva d'altra parte, a causare troppo grandi commozioni, che si dovesse fare altro che aiutarli di buoni consigli e di buoni suggerimenti per tenerli nelle vie della moderazione.

Ragionando poi alquanto più largamente delle cose di quel paese in generale, e degli uomini politici i quali vi hanno maggior parte, è caduto il discorso sul signor Bratiano alla cui persona da alcuni si attribuiscono importanza ed intendimenti pericolosi; il Principe Cancelliere, non senza dichiarare che Egli dissentiva in molte cose da quell'uomo politico, procurò nondimeno di attenuare il giudizio che si faceva di lui, segnalandolo come organo adoperato da un partito intraprendente, ma inteso piuttosto per i suoi proprii consigli a temperarne che ad incoraggiarne i disegni.

Insomma dal tenore di tutto questo colloquio argomentò l'Ambasciatore, signor Buchanan, che la diplomazia russa non era disposta per il presente a nulla avvisare quanto alla situazione delle provincie rumene, e che non mostrava di esserne preoccupata quanto ne erano i Gabinetti di Londra e di Parigi.

(l) Cfr. in proposito i R. 139 e 141 di Fava del 7 ed 11 marzo e il R. 52 di Barbolani del 20 aprile, non pubblicati.

458

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. Parigi, 3 maggio 1870.

Le notizie relative alle recenti cospirazioni contro la vita dell'Imperatore, sono talmente confuse e complicate nelle colonne dei giornali, che è molto difficile il discernere il vero senza un filo che serva di guida in quel labirinto.

Quello che sto per scrivervi vi aiuterà, spero, a formarvi un criterio abbastanza esatto dei fatti. In questo affare vi sono tre affari distinti, che a quanto sembra non hanno una relazione necessaria fra loro. In primo luogo v'è l'affare del disertore Baurie, che aveva ricevuto denaro e missione da Flourens, a quanto si assicura, per attentare la vita dell'Imperatore. Questo primo fatto non è considerato come facente parte d'una vasta e seria cospirazione. Lo si crede un fatto isolato ed attese le difficoltà senza numero che si sarebbero opposte all'esecuzione dell'attentato, lo si considera meno pericoloso degli altri due. In secondo luogo vi è l'affare delle bombe, che sembra assai grave, e che indica una cospirazione composta d'elementi abbastanza numerosi, forniti d'intelligenza e di mezzi, ed il cui scopo doveva essere non solo l'uccisione dell'Imperatore, ma un vero massacro destinato a gettare nel pubblico lo spavento e la costernazione e ad aiutare così una violenta rivoluzione imprevista. Finalmente v'è l'affare degli scioperi provocati, eccitati, mantenuti dall'Internazionale e di cui si vedono i risultati a S. Quintin, al Creuzot ed altrove. Gli scioperi per tal modo organizzati e mantenuti rivestono un carattere minaccioso. La truppa è ormai forzata ad agire, ed è a temersi che nella settimana succedano conflitti con spargimento di sangue. Si teme ancora che nella stessa Parigi la giornata di domenica non passi senza tumulti e forse senza conflitti. Devo notare che queste paure e la scoperta delle cospirazioni reagiscono nello spirito pubblico in favore del Governo e in favore dell'Imperatore. L'opinione non ha sensibilmente cambiato intorno al risultato probabile del plebiscito. Si crede cioè che su 10 milioni di iscritti da 5 a 6 milioni voteranno per il sì. I rimanenti, in parte quasi eguale, si asterranno o voteranno negativamente.

Cernuschi è stato espulso avant'ieri per aver dato 100 mila franchi al Comitato che combatte il plebiscito affermativo. Non so se per avventura sarete interpellato in proposito. Per ogni buon fine è bene che sappiate: 1° che Cernuschi non invocò la protezione della Legazione, la quale del resto sarebbe stata nell'impossibilità d'ottenere la revoca d'una espulsione così incontestabilmente legittimata; 2° che Cernuschi, il quale ha sempre professato altamente che non riconosceva il Governo Italiano, non si disporrà certo a fare un reclamo presso quello stesso Governo ch'egli ha costantemente sconosciuto. In mancanza d'un reclamo per parte dell'offeso, io non poteva agire presso il Governo Francese e non agii. Soltanto parlai casualmente della cosa col Signor

Ollivier, il quale mi disse che il Governo aveva deciso l'espulsione in seguito al fatto surriferito, ed aggiunse che egli, Ministro dell'Imperatore, e Guardasigilli, credeva che in nessuna guisa si potesse tollerare in uno straniero un abuso così manifesto dell'ospitalità francese, ed atti così altamente ed apertamente ostili al Governo del paese che dà ospitalità.

(l) Da AVV.

459

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2201. Londra, 4 maggio 1870, ore 20,50 (per. ore 23,15).

J'ai lieu de croire que le Gouvernement britannique n'a pris aucune résoIution dans affaire de Grèce. M. Gladstone, que j'ai vu aujourd'hui, blàme l'attitude violente de la presse anglaise et croit qu'on ne doit pas se presser. Il a loué attitude de la presse italienne et la modération de la Chambre et du Gouvernement à l'occasion de l'interpellation. La Valette ne voit pas ce que l'on ferait, sauf à vérifier solidarité d'un parti politique grec avec les brigands et indemnité aux familles. Absence de Mazzini confirmée.

460

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI

D. 43. Firenze, 4 maggio 1870.

Rustem Bey mi ha comunicato jeri un dispaccio del suo Governo relativo all'apertura d'una zecca rumena in Bukarest. La Sublime Porta ha protestato contro la decisione presa da quel Governo principesco di coniare una moneta speciale per la Rumenia, senza che alcun segno dell'impronta rammenti l'alta sovranità del Sultano sovra i Principati Uniti.

S. A. Aali Pacha ha incaricato Rustem Bey di comunicarci nel tempo stesso la domanda che la Turchia rivolge alle Potenze garanti acciocché queste appoggino a Bukarest i passi fatti dalla Sublime Porta.

Dai rapporti ch'Ella mi avea diretto e da quelli pervenutimi dalla R. Agenzia in Bukarest (l) io era informato dello stato di questa vertenza. Il R. Inviato a Berlino mi avea egli pure informato dell'impressione colà prodotta così dall'apertura della Zecca di Bukarest, come dal contegno assunto in varie circo

stanze recenti dall'amministrazione rumena nei suoi rapporti colla Sublime Porta. Ma io non conosceva abbastanza le impressioni delle altre Grandi Potenze in proposito per accettare una conversazione sulla sostanza di questa vertenza. La mia risposta a Rustem Bey fu dunque puramente sospensiva. Gli dissi che noi ci riservavamo di esaminare di concerto cogli altri Gabinetti interessati quest'affare sul quale l'attenzione dei Governi garanti si era già rivolta in occasione delle concessioni fatte dalla Sublime Porta ai Principati Uniti. Noi mettevamo però, anche questa volta, la nostra piena fiducia nei sentimenti di moderazione e di conciliazione dei quali importa che s'inspirino egualmente il Governo principesco e quello di S.M.!. il Sultano per evitare ulteriori dissidi. Soggiunsi che l'Italia non aveva mai cessato di raccomandare al Governo dei Principati Uniti di tenere una condotta conforme a questi sentimenti di conciliazione e di moderazione, e promisi a Rustem Bey che in tale senso avrei dato nuove istruzioni al R. Agente a Bukarest.

(l) Cfr. n. 457, nota l, p. 483.

461

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI (l)

D. 44. Firenze, 4 maggio 1870.

La ringrazio dei rapporti coi quali V. S. mi ha informato delle trattative di Nubar Pascià colla Sublime Porta relativamente alle progettate riforme per la giurisdizione civile e penale in Egitto. Dell'esito di quelle trattative fece ieri oggetto di comunicazione a questo Ministero Rustem Bey, il quale era anche incaricato dal suo Governo di dirmi che, entro i limiti degli accordi presi fra la Porta e l'Egitto, egli appoggerebbe la missione che Nubar Pascià dovrà compiere in Italia, e per la quale questo Ministro egiziano visita in questo momento altre Corti di Europa.

Nel rispondere a Rustem Bey, ho stimato conveniente fargli osservare che se le circostanze speciali delle Colonie italiane in Egitto, e gli inconvenienti che nascono dalle consuetudini particolari invalse in quel paese, avevano indotto il Governo del Re ad accettare in massima il progetto di una riforma nella giurisdizione civile e penale in Egitto, tale nostra accettazione era stata subordinata a varie condizioni, fra le quali trovavasi appunto anche quella che si eliminasse ogni soggetto di discussione colla Sublime Porta. Era dunque con molta soddisfazione che noi sentivamo confermare la notizia delle precise intelligenze corse a questo proposito fra l'Egitto e la Potenza Alto Sovrana. Ma nel tempo stesso, non volli lasciar ignorare a Rustem Bey come da noi si considerino le proposizioni fatteci in ordine alla riforma giudiziaria dell'Egit

to. Gli dissi dunque che il Governo del Re si occupava in questo momento dell'esame delle proposizioni presentategli dalla Commissione internazionale che si era riunita al Cairo. Una Commissione speciale nominata d'accordo fra il Ministero della giustizia e quello degli affari esteri era incaricata di riferire sul merito intrinseco di quelle singole proposizioni e di illuminare il Governo del Re sulle quistioni alle medesime attinenti. Ogni nostro giudizio a questo proposito rimarrebbe così riservato finché questo esame preliminare non sarebbe compiuto.

E qui giova infatti avvertire che gli accordi intervenuti a Costantinopoli fra Nubar Pascià ed il Gran Vizir non possono aver alterato il carattere delle proposizioni che furono sottoposte al giudizio definitivo delle potenze dalla Commissione internazionale del Cairo. Siccome i membri di questa Commissione avevano ricevuto dai loro Governi rispettivi un mandato puramente consultivo, così le proposizioni contenute nel rapporto finale della Commissione medesima non hanno finora altro valore che quello di uno studio preparatorio della riforma che si tratta di introdurre.

Gli accordi stabiliti fra la Sublime Porta e l'Egitto avranno eliminato una delle difficoltà preliminari che avrebbero potuto opporsi alla esecuzione della progettata riforma; ma i medesimi non possono aver ristretta la piena ed intera libertà che i singoli Governi si sono riservata di proporre modificazioni ed aggiunte al progetto elaborato al Cairo. Sarebbe, a nostro avviso, erroneo il supporre che ormai ai Governi interessati non rimanga altro partito fuorché quello di scegliere fra la accettazione ed il rigetto dell'intero progetto di riforma come fu modificato a Costantinopoli.

Sarà mia cura di sottoporre alla Commissione appositamente presso di noi istituita, anche gli emendamenti domandati dalla Sublime Porta nelle sue trattative con Nubar Pascià; ma è nel tempo stesso mia intenzione di riservare per ora compiutamente l'opinione del Governo del Re tanto sul progetto elaborato al Cairo, quanto sulle modificazioni introdottevi a Costantinopoli.

Tale è il senso in cui Ella potrà esprimersi ogni volta che fosse chiamata a manifestare l'opinione del Governo italiano sullo stato attuale di questo affare, al quale, come Ella sa, noi annettiamo una grandissima importanza.

(l) Ed., con alcune varianti, in LV 21, pp. 86-87.

462

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 553. Berlino, 4 maggio 1870, (per. il 7).

Dans mon rapport n. 551 (l) de cette Série j'ai mentionné, à propos de la réunion du Zollparlament, les bruits qui couraient sur des projets prètés au

Comte de Bismarck de frapper quelque grand coup pour rallier davantage l'opinion allemande dans les prochaines élections. J'avais soin d'ajouter qu'il fallait accueillir ces rumeurs avec réserve et faire la part de l'exagération.

Cette tension des esprits n'a pas cessé, et l'on peut dire que le soupçon est à l'ordre du jour. Les raisons sur lesquelles il se fonde sont cependant des plus vagues. Le Cabinet de Berlin aurait la main plus libre vis-à-vis de la France, embourbée dans son plébiscite: le Comte de Bismarck, rétabli de sa maladie, reste loin de Berlin pour éviter les interpellations des députés et des diplomates étrangers: le Grand Due de Hesse Darmstadt, dont les Etats se trouvent dans une situation intenable vient faire une visite au Roi Guillaume: la presse officieuse en Prusse a soin de commenter le discours tenu, il y a quatre semaines, par le Comte de Bismarck; en ce sens que ses paroles faisaient ressortir l'inopportunité d'admettre Bade tout seul dans la Confédération, mais elles ne touchaient pas à la question d'une entrée simultanée de Bade et de la Hesse Grand-ducale.

Toutes ces considerations peuvent bien etre de quelque poids, mais je tiens à constater que jusqu'ici aucun fait positif ne serait venu les confirmer. Voici au reste un incident plus digne de remarque, que je m'empresse de signaler à V. E.

Vendredi dernier, le Comte Benedetti dans une conversation avec M. de Thile, lui a demandé ce qu'il y avait de vrai dans la rumeur répandue d'une prochaine entrée de Bade et de la Hesse Grand-ducale dans la Confédération, ainsi que de l'intention du Roi Guillaume d'assumer le titre d'Empereur d'Allemagne: il a ajouté qu'il le lui demandait non comme à M. de Thile personnellement, mais en sa qualité de Secrétaire d'Etat.

Ce dernier a répondu qu'il ignorait ces bruits, mais qu'il en référerait à son Souverain et qu'il se réservait de répondre alors à l'Ambassadeur de France. La réponse faite le lendemain à ce dernier a été que le Roi avait décliné en souriant les intentions qu'on prétait à Sa Majesté et à son Gouvernement.

J'ignore si le Comte Benedetti avait reçu de Paris l'instruction de faire cette démarche, et je me permets d'en douter. Quoi qu'il en soit, la parole du Roi ne serait en tout cas liée que pour le présent, mais il me semble qu'elle suffit toujours pour autoriser à ne point prèter foi aujourd'hui à un changement dans l'état actuel des choses en Allemagne.

J'ai l'honneur d'accuser réception et de remercier V. E. des deux derniers envois de documents. L'un m'est parvenu le 26 Avril dernier et il comprenait les documents diplomatiques n. 163 et du n. 200, moins les n. 193 et 197 et ceux relatifs au Concile du n. CLXVII au CLXXI. L'autre m'a été remis par. M. Joseph Malvano le 30 du mème mois et il s'y trouvait: les documents diplomatiques du n. 160 au n. 184, moins les n. 161, 162 et 163: ceux concernant le concile du

n. CLVIII au n. CLXVI plus une pièce chiffrée et 26 lettres particulières: les documents relatifs aux affaires de Tunis n. 251, 252, 253: un pli pour la Légation Royale à St. Pétersbourg, auquel je donne cours dans ces jours au moyen d'un courrier de Cabinet Anglais.

(l) Non pubblicato.

463

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA (l)

L. P. Firenze, 5 maggio 1870.

Il dispaccio che ieri Le mandai (2) sul doloroso caso di Grecia non era, come Ella avrà potuto avvedersene dalla stessa sua data, che la ripetizione del mio telegramma del 26 (3), destinato a non lasciare una lacuna nella serie dei documenti, nel caso di una possibile pubblicazione. Esso ha già la sua risposta nel dispaccio ch'Ella mi scrisse in risposta al telegramma suddetto (4).

Ho veduto poi con piacere dal suo telegramma del 4 corrente (5), ricevuto oggi, che il Governo inglese non intende procedere a risoluzioni precipitate e che il Signor Gladstone approva la moderazione della nostra stampa, della Camera e del Governo.

Ella può credere che il dolore per una tanta sciagura e lo sdegno per un cosi orribile delitto non furono qui minori che altrove. Ed Ella sa anche come è da noi suscettibile lo spirito pubblico per quanto tocca all'onore nazionale, ed al rispetto e alla sicurezza degli italiani all'estero. Ma se la tolleranza così prolungata verso il brigantaggio, se la nessuna vigilanza alle porte stesse della capitale, se il fatto di rapporti di briganti in Atene stessa bastano a far tristemente giudicare un governo e un paese, prevalse però da noi un certo spirito di equità che ripugnava dallo involgere un popolo intero in una solidarietà disonorante e che domandava piuttosto di essere illuminato su quello che, in questa dolorosa circostanza può spettare alla responsabilità del governo greco e de' suoi agenti, e su quello invece che appartiene alla fatalità. Il Governo italiano si trova, in questo affare, in una condizione alquanto difficile e delicata.

Ella sa che, per parte nostra, nel caso del Moens, abbiamo apertamente declinato ogni responsabilità del Governo. È vero che le condizioni erano affatto diverse e che il Moens il quale si avventurava in un paese che era un vero campo di operazioni militari contro il brigantaggio, lo doveva fare a suo rischio e pericolo. D'altronde Ella sa meglio d'ogni altro che il Governo italiano non s'è arrestato dinnanzi ad alcun mezzo, ad alcun sacrificio per sradicare questa pianta malvagia e l'ha sradicata. Ma se il Governo italiano si sente individualmente disposto a far prova di molta equità e di moderazione verso la

(-4) Cfr. n. 441.

35 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. XII

Grecia, se si sente alieno da ogni abuso di forza verso un debole, sarebbe posto in una situazione inaccettabile se dovesse essere tratto da questi suoi sentimenti a sanzionare una disparità di riparazione per l'uccisione del nostro concittadino e per quella di sudditi inglesi. Noi dobbiamo dunque agire d'accordo col Governo inglese, desiderando però che la moderazione prevalga ne' suoi consigli. Noi dobbiamo unire la nostra alla sua azione, senza spingerla colla nostra iniziativa e cercando anzi, per quanto almeno ci può essere dato, di temperarla quando ci sembrasse uscire da certi confini oltre i quali non ci potrebbe convenire di seguirla. Confermandole dunque i miei telegrammi, La prego di tenersi esattamente informata delle vedute del Governo britannico, poiché non dubito che quando esso avrà formato i suoi giudizi e le sue risoluzioni vorrà concertarsi con noi per regolare una attitudine conforme e solidale.

Che cosa si potrà fare e quali potranno essere queste decisioni? Io non voglio pregiudicare la quistione.

Certo si può dire sin d'ora che se dall'appuramento dei fatti risulterà la colpa delle autorità greche o di taluna fra esse, i due governi potranno chiedere contro queste autorità e di queste colpe una ampia soddisfazione.

Ella mi fa inoltre cenno nel suo telegramma d'una indennità alle famiglie. Suppongo però che il Governo inglese non vorrà chiedere l'indennità pel suo Segretario della Legazione. Per me preferirei che il Governo inglese si rivolgesse piuttosto a provocare per parte delle principali potenze o delle potenze protettrici e dell'Italia qualche manifestazione comune e solenne ad Atene per richiamare quel Governo a un sentimento più efficace della propria responsabilità e per avere da lui delle serie guarentigie ch'esso vorrà far cessare uno stato di cose incompatibile colla civiltà di un popolo, colla responsabilità di un governo regolare. Quando infatti un simile disordine prende proporzioni simili a quelle che, in questa occasione, si sono sventuratamente manifestate, esso altera l'ordine politico e sociale d'uno stato e tutti i Governi che si trovano con esso in rapporti civili hanno diritto di preoccuparsene. È agire nell'interesse stesso della Grecia cercando di risvegliare in essa quella coscienza morale senza cui un popolo non ha né avvenire, né esistenza nazionale. E un progresso, se sarà possibile ottenerlo, della giustizia e della civiltà, è la migliore soddisfazione che potrà ottenersi per la memoria delle vittime.

Per le ragioni che le esposi in questa lettera io non voglio prendere l'ini

ziativa di una formale proposta. Ma, a seconda della opportunità di cui le lascio

intero il giudizio, Ella può esprimersi in questo senso, esponendo una sua opi

nione personale, aggiungendo anche ch'essa è conforme a quella che Ella crede

essere l'opinione in Italia. Le ho detto questo piuttosto per indicarle il genere

di soluzione che a me parrebbe preferibile, perché a Londra Ella potrà meglio

giudicare sino a che punto quest'ordine di idee possa accordarsi colle disposi

zioni d'animo del Governo inglese, dal quale, frattanto, a noi non giova se

pararci.

(l) -Da ACS, Carte Visconti Venosta. (2) -Cfr. n. 447. (3) -T. 1108 del 26 aprile, non pubbl!cato. (5) -Cfr. n. 459.
464

IL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

R. 335. Atene, 5 maggio 1870 (per. Z'11).

Ricevo oggi il dispaccio di V. E. in data 30 scorso Aprile, n. 103 di questa serie (2), al quale erano uniti 13 documenti diplomatici.

Non credesi poter meglio soddisfare alla domanda contenuta nel telegramma di V. E. delli 29 aprile (3) di essere ragguagliata sulle circostanze che motivarono il conflitto fra i soldati e briganti se non coll'inviare copia tradotta di un lungo rapporto del Colonnello Theagenis (4). Egli attribuisce la non riuscita del piano da lui combinato al ritardo del distaccamento di Calcis ad arrivare a Dilissi ed incolpa la condotta equivoca del Dragomano che non ritornò presso i briganti per portare la risposta del Colonnello, come causa principale della precipitosa fuga di essi. I sospetti sulla persona dell'interprete si sono aggravati in seguito delle disposizioni del comandante il distaccamento che doveva vegliare sui viaggiatori. Da quelle disposizioni risulta che per due volte fu fatto osservare all'interprete ch'era bene che le carrozze dei viaggiatori camminassero piano onde poterle seguitare ed all'occorrenza proteggere. Ora l'interprete nell'interrogatorio fatto in nostra presenza niegò ricisamente che tal cosa fosse stata detta. Col prossimo corriere spero poter spedire la traduzione di quelle disposizioni.

Ritornando al rapporto del Colonnello Theagenis questi incolpa i briganti di aver cominciato il fuoco, e scusa i soldati che non abbiano potuto trattenersi alla vista dell'uccisione del Segretario Inglese. Vi è però qualche cosa di non ben chiaro, e mi riservo di chiederne la spiegazione a voce al ritorno di Theagenis. Per esempio, quando dice che l'interprete voleva andare al Villaggio per procurarsi un cavallo onde portare la risposta ai briganti mi sembra tutto naturale che il Signor Theagenis, dovendo prevedere che la salvezza dei prigionieri consisteva nel guadagno del tempo avrebbe dovuto fornirgli un cavallo di uno dei gendarmi per raggiungere più prontamente i briganti, e recare ad essi oltre la conferma delle proposte, l'assicurazione di ritornare a Sicamino ove non sarebbero stati inquietati.

Che che sia più si interna nelle minute circostanze di questo triste dramma più vi si nota una serie d'incidenti non previsti ed una fatalità che ha prevalso per rendere nulle tutte le sollecitudini e tutte le misure che si erano prese per impedire la catastrofe.

P. S. -Al rapporto del Colonnello Theagenis aggiungo altri documenti che mi sono stati comunicati, e che si riferiscono ai movimenti militari che ebbero un'esecuzione così infelice.

(l) -Ed. con varianti in LV 16, p. 5. (2) -Cfr. n. 452. (3) -Cfr. n. 450. (4) -Non si pubblicano gli allegati, essi sono editi in LV 16, pp. 5-12.
465

IL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

R. 336. Atene, 5 maggio 1870 (per. l'11).

Sabato sera il Ministro degli Esteri, il Signor Erskine, ed io ci recammo alle prigioni onde interrogare separatamente i briganti feriti e carcerati.

V. E. troverà qui unito il riassunto di quell'interrogatorio che durò due ore (2). I briganti nulla confessarono, o nulla vollero confessare intorno ai rapporti che i capi potevano avere in Atene.

Se i briganti non furono esattamente concordi nell'indicare il numero de' giorni che girovagavano nell'Attica a poche ore di distanza dalla Capitale, si può però avere dalle loro deposizioni una convinzione assai fondata che essi vi erano da più giorni. È dunque impossibile si aggirassero a così poca distanza da Atene senza che il Governo lo ignorasse. Ma tutto anzi porta a credere che il Governo ne fosse informato. Oltre a tanti indizii, è prova irrefragabile un dispaccio firmato dal Signor Avierinos, reggente il Ministero dell'Interno in assenza del Signor Zai:mis, e datato nel giorno stesso in cui avvenne la cattura, col quale informa il Comandante del distaccamento Militare nell'Attica della presenza dei briganti coll'indicazione dei siti ove si trovavano.

Ora per me è innegabile che il Governo informato com'era della partenza de' viaggiatori, e della presenza dei briganti, è in fallo per non avere fatto parte al pubblico ed alle legazioni estere dei pericoli che i passeggeri correrebbero nelle loro escursioni. Ed inoltre quel disastroso avvenimento non avrebbe avuto luogo se verso il mezzogiorno od anche più tardi si fosse spedito su quello stradale una forte pattuglia di gendarmi a cavallo la di cui sola presenza avrebbe rimosso i briganti da tentare quell'impresa.

*Nella lettera che il Signor Noel scrisse al Signor Findley vi sono pure queste espressioni, ch'egli era stupito come il Generale Soutzo Ministro della Guerra non avesse impedito tale escursione mentre sapeva o doveva sapere che la banda degli Arvanitaki era nell'Attica. Il Signor Noel poteva essere sicuro di ciò che asseriva perché aveva al suo servizio i fratelli dei due capi banda.

Ora o sia per un falso amor proprio di non far sapere che i briganti erano nell'Attica ovvero per altre ragioni che si riferiscono a misteri di politica Ministeriale, il Governo non informandone il pubblico, e non adottando pubblicamente misure vigorose egli è responsabile di quella cattura e delle sue conseguenze *.

Il Ministro di Francia diresse già da più giorni una nota energica ammettendo come principio che il Governo Greco è responsabile dei riscatti per sud

diti francesi catturati nell'Attica per assoluta negligenza di sorveglianza per parte delle autorità locali.

P. S. -Trasmetto qui unita la traduzione di una lettera trovata indosso al Capo banda Cristo Arvanitaki e scritta da un certo Averoff padre di un deputato, e ricco proprietario, da quella lettera si deduce se non altro che per mancanza di sicurezza pubblica i proprietarj siano costretti a patteggiare coi briganti o renderseli amici.

Unisco pure il dispaccio del Ministro Avierinos indicato più sopra.

(l) -Ed., con varianti e con la soppressione del brano fra asterischi, in LV 16, p. 13. (2) -Non si pubbllcano gli allegati; essi sono editi in LV 16, pp. 13-17.
466

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 95. Lisbona, 5 maggio 1870.

Memore delle dichiarazioni fattemi da questo Ministro degli Affari Esteri, e da me riferite nel mio dispaccio n. 83 (Politico), in data del 21 gennaio ultimo scorso (1), chiesi al signor Mendes Leal se aveva aderito e fatto appoggiare a Roma, come lo pretendono i periodici europei per la maggior parte delle potenze cattoliche, la Nota del Conte Daru.

S. E. mi disse che tale Nota le era stata infatti preventivamente comunicata dal Governo francese, ma per conservare al Portogallo la sua piena libertà d'azione ed in pari tempo far sentire sempre più al Governo Pontificio i pericoli delle future decisioni dogmatiche del Concilio già di qui segnalate, egli, signor Mendes Leal, avea riassunto in un recente dispaccio all'Incaricato d'Affari portoghese, ed in modo più accentuato, la Nota francese come complemento delle istruzioni precedentemente inviate a Roma.

Il mio dispaccio n. 90, in data 11 marzo ultimo (2) fece già presentire a

V. E. la probabilità della nomina del Duca di Saldanha a Ministro di Portogallo a Roma sotto certe condizioni e certe riserve.

Recenti informazioni mi fanno supporre che il Maresciallo, persuaso ormai della sua perduta influenza politica e militare nel paese, abbia chiesto al Re un posto all'Estero e che il Governo non sia alieno dall'accordarglielo.

In tale ipotesi il Duca non sarebbe che il titolare pressoché nominale della Legazione portoghese a Roma, come già scrissi, con tacita autorizzazione di non residenza per motivi di età e di salute. Tali idee non sono per anco concretate, ma ho motivo di credere esatte le mie informazioni in proposito.

(l) -Cfr. n. 201 che reca in realtà nell'originale il n. 4 poiché la numerazione dei rapporti da Lisbona del periodo gennaio-marzo 1870 è errata. (2) -Cfr. n. 311.
467

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

T. 1115. Firenze, 6 maggio 1870, ore 14,20.

On parle d'échanges de communications entre les puissances protectrices de la Grèce sur ce qu'il y aurait à résoudre sur l'affaire des brigands. Vous m'avez assuré qu'aucune résolution ne sera prise par le Cabinet anglais sans qu'on nous en fasse part mais il importe aussi pour notre règle d'étre informés des échanges d'idées qui peuvent avoir lieu pour préparer cette résolution.

468

IL CONTE VIMERCATI A VITTORIO EMANUELE II (l)

T. Parigi, 6 maggio 1870, ore 14,40 (per. ore 17,15).

Plebiscite atteindra probablement six millions de voix favorables à l'Empereur. On doit considérer ce résultat camme très satisfaisant. Les complots qu'on suivait depuis longtemps sont favorables à la réussite du plébiscite, mais l'esprit révolutionnaire étant reveillé on ne pourra vaincre les difficultés sans revenir à nos anciennes idées. Daru sans rien savoir sur nos accords était poussé dans une voie belliqueuse. Je tiens ce détail de l'Empereur lui méme. Je vous le communique recommandant à Votre Majesté la plus grande réserve, excepté pour Visconti Venosta si Votre Majesté le juge convenable. Que ministre de l'intérieur en Italie fasse attention après le plébiscite qu'il réussisse ou non, Mazzini va tenter un nouveau coup.

469

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 1116. Firenze, 6 maggio 1870, ore 17,20.

Veuillez m'envoyer dimanche un télégramme contenant quelques détails sur le plébiscite et la tranquillité publique à Paris, Sa Majesté m'en a exprimé le désir.

(l) Da ACR.

470

VITTORIO EMANUELE II AL CONTE VIMERCATI (l)

T. Firenze, 6 maggio 1870, ore 19.

Merci de votre dépeche (2), si quelque chose de grave arrive en France demain ou après demain informez-moi au plus tòt. Je suis très satisfait savoir qu'on revient aux anciennes idées, mais pour le moment je me trouverais très embarrassé envers Ministère actuel, je suis d'avis que vous n'en parliez pas mème à Visconti jusqu'à ce que l'an sache mieux par vous à quoi s'en tenir et que je puisse mieux étudier la position.

471

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. P. Londra, 6 maggio 1870 (per. il 9).

Ho l'onore di confermarle il telegramma speditole jer l'altro a riguardo dei tristi casi della Grecia (3). Il Signor Gladstone mi espresse con molta animazione il suo disgusto pel contegno adirato, e provocante di quasi tutta la stampa inglese, il quale disse non essere degno di una Nazione seria. Fu molto largo di encomii alla stampa italiana, alla sua moderazione in questa circostanza, e lodò specialmente il modo dignitoso e pesato con cui si parlò di questo affare nella Camera dei Deputati, e principalmente la risposta calma, e riservata data da V. E. alla fattale interpellanza. Queste cose non isfuggono mai ai principali uomini di Stato di questo Paese, i quali ne fanno argomento per formare i loro giudizii sul carattere dei Governi, e delle popolazioni. E non è senza un sentimento di grande compiacimento, che più volte mi sentii ripetere dagli uomini i più autorevoli, ed i più altolocati, che l'Italia non sarebbe venuta meno al suo destino, perché nelle più difficili circostanze la popolazione, e le masse avevano dato prova di un senno, e di un tatto politico squisito. Questo è il giudizio di tutti coloro, che sollevandosi al di sopra delle lotte giornaliere, guardano a ciò che fece l'Italia negli ultimi dieci anni, ed a ciò che è dopo i profondi, ed affatto straordinarii fatti che sono fra noi intervenuti, ed ai grandi rivolgimenti, che ogni cosa ha subito nel nostro Paese.

Tornando all'affare della Grecia soggiungerò che il discorso tenutomi dal signor Gladstone mi confermò nell'idea che io ebbi già l'onore di manifestare all'E. V. sin dai primi giorni di questo affare col mio dispaccio ufficiale del 26 aprile p. p. (4) dicendole che non sarebbe stato, che una tempesta in un

bicchier d'acqua, e tutte le mie informazioni tendono a confermarmi vieppiù in questa previsione.

Avendo rilevato dai giornali la voce, che vi fosse uno scambio di idee fra le tre potenze così dette Protettrici della Grecia per deliberare sul da farsi ho indagato che cosa poteva essere in ciò di vero. Posso dichiarare a V. E. sulla base di informazioni sicure, che in tutto ciò nulla vi è di vero. So che non più lungi di jeri il signor Marchese La Valette interpellò Lord Clarendon per ordine del suo Governo onde conoscere le intenzioni del Governo inglese, e che in quel colloquio essendosi accennato a ciò che alle tre Potenze protettrici potesse incombere di fare Lord Clarendon incominciò col dire che questo Areopago protettore era ormai una cosa affatto nominale, e come un mito; che questo nome non poteva essere richiamato che per pentirsi di ciò che si era fatto per la Grecia. Soggiunse che ogni qualvolta venivano in campo questioni relative a questo soggetto si sapeva di già che l'uno avrebbe tirato da una parte, e l'altro dall'altra. V. E. vede quanto siamo lontani dalla supposta entente delle tre potenze. Farmi del resto che sia alquanto singolare il supporre che l'Inghilterra particolarmente interessata nel presente caso, autorizzata ad agire per proprio conto, disposta, come è naturale, a non provocare questioni generali, colla certezza di potersi facilmente intendere coll'Italia, e colla paura dello spettro sempre presente della questione d'Oriente voglia abbandonare la sua posizione, ed azione libera, per farne un affare in tre, i quali non sono neppur d'accordo nelle massime, e per cambiare la questione dei briganti, e convertirla nella questione d'Oriente, od in qualche cosa che la faccia nascere. E quando la stampa avrà pagato il suo tributo alla irritazione delle masse, la stampa stessa sarà la prima qui a lodare il Governo della sua moderazione. Soggiungerò che l'Ambasciata francese conta tanto poco sopra l'entente delle

Potenze protettrici, che jeri dopo il colloquio del signor Marchese La Valette

con Lord Clarendon non credette neppur necessario di telegrafare a Parigi.

Con tutto ciò non voglio dire che l'Inghilterra nel presente caso non farà

nulla. Finora Lord Clarendon non astante la riserva fatta di tenermi infor

mato, non mi fece alcuna comunicazione, e risultandomi che non ha ancora

preso un partito definitivo, non credetti di fargli nuove sollecitazioni. Vi sono

due cose sulle quali pare che i membri del Gabinetto sono d'accordo cioè

1° domandare una repressione forte, energica, leale del brigantaggio; 2° doman

dare una inchiesta sui deplorabili ultimi fatti, conducendola senza riserva e

contro chiunque per quanto alta possa essere la sua posizione. Havvi un terzo

punto sul quale il partito non è ancora preso, poiché esso importa la neces

sità di stabilir bene la responsabilità assunta dal Governo greco nei fatti spe

ciali che condussero agli assassinii commessi, ed è la domanda di una inden

nità che dovrebbe pagarsi dal Governo greco alla famiglia del Signor Loyd

che fu una delle vittime. In questo stato di cose credo di poter ora vedere util

mente il signor Conte di Clarendon, e spero di poterlo vedere domani. Oggi mi

limito a scriverle, parendomi che le ragioni di economia debbano prevalere, per

la nessuna urgenza di telegrafarle.

(l) -Da ACR. (2) -Cfr. n. 468. (3) -Cfr. n. 459. (4) -Cfr. n. 441.
472

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2204. Londra, 7 maggio 1870, ore 0,40 (per. ore 7,10).

Le bruit de tentative d'accord et échange de communications des trois puissances protectrices (l) n'a aucun fondement. Rien d'arreté jusqu'aujourd'hui par lord Clarendon. Je le verrai aujourd'hui. Je vous ai écrit (2).

473

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA

D. Firenze, 7 maggio 1870.

Da un rapporto della R. Legazione in Turchia (3) risulta che Giuseppe Bideschini, suocero di Menotti Garibaldi, ha soggiornato per parecchi mesi a Costantinopoli. Scopo apparente della sua dimora in quella città era d'ottenere dal Governo ottomano una commissione d'armi per le fabbriche di Brescia, ma in realtà egli valevasi dei suoi rapporti coi funzionari turchi e coi comitati bulgari e slavi per far conoscere ai primi i progetti dei secondi. Senonchè insospettitesi le autorità ottomane che i servizii del Bideschini non fossero sinceri, nacquero fra costui ed il Ministero di Polizia a Costantinopoli dissidii a seguito dei quali quest'individuo si ritirò nei Principati Uniti.

Potendo queste notizie completare quelle che il Ministero dell'Interno deve già possedere sopra la persona del Giuseppe Bideschini, il Ministro degli Affari Esteri si affretta a farne oggetto di confidenziale comunicazione.

474

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL CONSOLE A SERAJEVO, DURIO

D. 8. Firenze, 7 maggio 1870.

I di Lei rapporti della Serie Politica mi pervennero regolarmente sino al

n. 61 (4) incluso. In quest'ultimo ho trovato una notizia particolarmente interessante per noi, quella cioè della mozione fatta in seno all'assemblea generale del Vilayet per la apertura del porto di Klek. Vi ha certamente qualche cosa

(-3) Cfr. n. 431.

d'incompleto nelle manifestazioni dei bisogni locali che si producono in codesta assemblea; ma da quanto Ella mi riferisce appare chiaramente che il peso del monopolio commerciale che esercita l'Austria in Bosnia ed Erzegovina vi è vivamente sentito. Quando si sarà propagata abbastanza diffusamente l'idea che questo monopolio cesserebbe coll'apertura del porto di Klek, questa quistione sarà matura e la sua soluzione non potrà essere indefinitamente ritardata.

Approvo pertanto ch'Ella si sia in ogni occasione adoperato per far comprendere all'autorità ed ai notabili di codesta provincia il grande vantaggio che ridonderebbe alla Bosnia dall'aprire che si farebbe d'una via ugualmente accessibile al commercio di tutti i paesi.

(l) -Cfr. n. 467. (2) -Cfr. n. 471. (4) -Non pubblicato.
475

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 554. Berlino, 7 maggio 1870 (per. il 10).

Dans mon rapport n.553 (l) j'ai eu l'honneur de vous communiquer le résultat d'une interpellation adressée par l' Ambassadeur de France au Secrétaire d'Etat: ce dernier en avait réferé au Roi et avait ensuite répondu en repoussant le bruit des intentions attribuées à son Souverain.

Ce fait m'avait été raconté d'une manière si positive par un de mes Collègues que je ne devais pas étre inquiet sur son exactitude. Et pourtant il importe qu'il soit rectifié, comme le Secrétaire d'Etat l'a fait lui méme dans son entretien ce matin. Ce n'est pas officiellement que la question a été posée, loin de là: M. Benedetti a eu soin au contraire de bien accentuer que c'était à M. de Thile personnellement qu'il s'adressait. Les rumeurs concernant l'entrée succesive des Etats du Midi dans la Confédération du Nord et le titre d'Empereur d'Allemagne étaient de nouveau répandues, on leur attribuait la meilleure source, et l'Ambassadeur de France aurait regretté de ne pas les signaler à son Gouvernement si elles avaient quelque fondement. M. de Thile les a absolument niées: il a revu le soir M. Benedetti et il lui a dit en avoir méme parlé au Roi «qui n'avait pu que rire en voyant reparaitre sur l'eau un si vieux canard ».

J'avais donc raison de mettre pour le moins en doute que l'Ambassadeur de France eut agi d'après un ordre de Paris, ce qui aurait été assez nature! de croire si la démarche avait été officielle.

Je sais au reste que M. de Thile à cette occasion a répété à M. Benedetti ce qui a déjà souvent été le thème des discours du Comte de Bismarck: à savoir qu'une modification des rapports actuels entre la Confédération du Nord et les Etats du Midi de l'Allemagne n'est, pour le Cabinet de Berlin, qu'une

question de temps. Ce à quoi l'Ambassadeur de France répondit que c'était là une autre affaire. Il ne se préoccupait que des bruits du jour et voyait avec plaisir qu'ils n'avaient aucune raison d'étre.

Si la haute diplomatie se mele elle aussi de les répandre, nous irons loin!

(l) Cfr. n. 462.

476

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2208. Londra, 8 maggio 1870, ore 18 (per. ore 19,50).

D'après conversation avec lord Clarendon je vous confirme tout le contenu de ma lettre particulière du 6 et dans le télégramme du méme jour (l) pour affaire de Grèce. Grande Bretagne agit seule; demande enquéte et ne fera rien de violent. Ministre grec ici a présenté au nom du Roi et au nom de la Grèce condoléances convenables verbalement. D'après demande de lord Clarendon on les a présentées écrites. Erskine écrit qu'il va d'accord avec Della Minerva. Lord Clarendon accepte cet accord. Je vous ai écrit.

477

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2209. Parigi, 8 maggio 1870, ore 22 (per. ore 23,25).

La votation s'est passée sans troubles. On fait en ce moment le dépouillement des votes. Voici le resultat de cente trente six sections de Paris: 74.000 oui et 86.000 non. Cette proportion sera probablement la méme pour les autres sections de Paris.

478

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI

D. 3. Firenze, 8 maggio 1870.

Coll'odierno corriere le trasmetto copia di vari dispacci scambiati fra questo Ministero ed i Rappresentanti italiani a Buenos Aires, Montevideo e Caracas. Con precedenti corrieri ho già trasmesso a codesta Legazione copia del nostro carteggio colla R. Legazione a Rio de Janeiro.

La lettura di quei documenti basterà alla S. V. per poter giudicare che in quei paesi la nostra azione diplomatica, benché unicamente intenta a promuovere e tutelare l'interesse economico delle nostre colonie, ed a guarentire i diritti privati degli italiani, incontra difficoltà tali, da farci prevedere il caso in cui la dignità del Governo del Re ci imporrebbe un contegno più risoluto, e fors'anca manifestazioni conformi a tale atteggiamento.

Allorché nel febbraio 1868 il Governo di Sua Maestà ha dovuto appoggiare con una dimostrazione navale l'azione del suo Rappresentante a Montevideo, il mio onorevole predecessore, nell'esporre al Gabinetto di Washington ed al suo Inviato in Firenze le ragioni che ci costringevano a prendere quella risoluzione, non si ristava dall'interessare codesto Governo federale a far sentire con tutto il peso della sua influenza e della sua autorità, all'Uruguay gli inconvenienti ai quali si esponeva col seguire tale condotta a nostro riguardo. Il Signor Cerruti, allora Ministro a Washington, ebbe in proposito alcune conferenze col signor Seward, ed invitatovi da quest'ultimo, presentò una nota verbale intorno all'oggetto dei nostri richiami verso l'Uruguay. Il signor Seward, senza por tempo frammezzo, aveva allora dato istruzioni al Rappresentante degli Stati Uniti a Montevideo, e l'impressione che il signor Cerruti aveva conservato dai colloqui avuti col Ministro degli Affari Esteri di codesta Confederazione, era favorevole all'intento che il Governo italiano si era proposto nel richiederne i buoni uffici. Ed infatti, o fosse l'effetto delle rimostranze venutegli da Washington, o fosse la conseguenza dell'arrivo a Montevideo di un rinforzo alla nostra stazione navale, il Governo uruguayano sembrò sulle prime animato da migliori disposizioni per comporre le difficoltà insorte nelle trattative colla Legazione italiana. Senonché, questo miglioramento nelle disposizioni di quel Governo a nostro riguardo fu di breve durata, e non ebbe alcun pratico effetto. Noi ci troviamo in questo momento, nell'affare dei crediti italiani verso l'Uruguay, al punto stesso in cui eravamo nel febbraio 1868, sebbene da parte nostra si sia spiegata tutta la sollecitudine possibile, accompagnata dalla massima arrendevolezza. Acciocchè la S. V. si possa formare un'idea esatta delle varie fasi dei negoziati della Legazione italiana col Ministero uruguayano, Le trasmetto con questo dispaccio copia di un memoriale che li riassume brevemente (l).

Le mando pure con questa occasione un uguale memoriale concernente una consimile vertenza pendente fra noi ed il Venezuela per i crediti degli italiani verso quella Repubblica. I due affari hanno molta analogia fra di loro, ed il Governo di Caracas, non meno di quello di Montevideo, sembra essersi proposto di ricusarsi con continui sotterfugi ad accordare agli italiani il trattamento da lui concesso in casi identici ai francesi ed agli inglesi.

Gli interessi che i sudditi del Re posseggono negli Stati dell'America Meridionale e Centrale potrebbero essere gravemente compromessi quando i Governi di quei paesi dovessero supporre che l'Italia indietreggia davanti le difficoltà suscitate dal loro malvolere nella definizione degli affari. Un contegno più risoluto, e la scelta di mezzi più efficaci ci sarebbero naturalmente impo

sti dalla persistenza di quei Governi in una linea di condotta che non solo lederebbe gli interessi dei nostri connazionali, ma offenderebbe persino la dignità della nostra rappresentanza diplomatica in quei paesi.

La prego pertanto, Signor Ministro, di voler chiamare l'attenzione del Governo degli Stati Uniti sulla spiacevole condizione di cose che per noi risulta dalla condotta adottata dall'Uruguay e dal Venezuela a nostro riguardo. L'Italia che rispetta altamente la piena indipendenza degli Stati americani, non è mossa che dall'imprescindibile dovere di far rispettare le ragioni dei propri sudditi; ed intende dare agli Stati Uniti una dimostrazione di tali suoi sentimenti coll'incaricare la S. V. di chiedere al Gabinetto di Washington di adoperarsi presso i Governi dell'Uruguay e del Venezuela, per ottenere dai medesimi il riconoscimento degli incontestabili diritti che da tanto tempo inutilmente rivendichiamo.

Ella vorrà, Signor Conte, rendermi conto colla massima possibile sollecitudine di quanto avrà fatto nel senso di questo mio dispaccio, nonché delle conversazioni che intorno a questo oggetto Ella avrà con codesto Ministro degli Affari Esteri.

(l) Cfr. nn. 471 e 472.

(1) Non sl pubbllcano gll allegati.

479

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. RR. 231/63. Londra, 8 maggio 1870 (per. l'11).

Ho l'onore di confermarLe il telegramma speditole la sera del 6 corrente (l) in seguito al telegramma che V. E. mi indirizzò la sera medesima (2) col quale telegramma io le significava che le voci di tentativi d'accordi e di scambio di comunicazioni fra le tre Potenze Protettrici, a riguardo degli ultimi tristi avvenimenti della Grecia, non avevano alcun fondamento; che risoluzioni definitive non erano ancora prese dal Governo di S. M. la Regina; che avrei veduto il Conte di Clarendon l'indomani e che in quel giorno istesso io Le aveva già scritto (3). Dopo una conversazione avuta or o!'a col signor Conte di Clarendon, che mi fissò a tal fine un'ora tarda d'oggi in seguito a mia domanda, posso ora confermarle il contenuto nel predetto dispaccio e nella precedente mia lettera, che in quello stesso giorno Le aveva scritto; siccome richiamo il telegramma speditole or ora ('1) col quale Le ho appunto significato che confermava la predetta lettera e il predetto telegramma; che l'Inghilterra agiva da sola; che domandava un'inchiesta; che non farebbe nulla di violento; che il Ministro greco aveva presentato le condoglianze del suo Re e del suo Paese verbalmente e poscia in iscritto secondo richiesta del Conte di Clarendon;

che il Signor Erskine andava d'accordo col Conte Della Minerva e che Sua Signoria gradiva quest'accordo.

L'oggetto della mia domanda essendo stato i disgraziati avvenimenti della Grecia, Sua Signoria mi disse ch'era lieto di vedermi poiché aveva appunto in animo di pregarmi egli medesimo che andassi a conferire con Lui.

La conversazione essendosi molto protratta procurerò di riassumerla il più brevemente possibile.

Avendo portato io medesimo il discorso sovra le voci dei giornali intorno ad uno scambio d'idee fra le tre potenze protettrici e palesato a Sua Signoria che veramente non aveva mai creduto a ciò, il signor Conte mi disse che in ciò v'era nulla di vero, e che l'Inghilterra agiva indipendentemente d'ogni altro intervento di potenze estranee a questo affare. Soggiunse che poco prima il signor Barone di Brunnow era stato a vederlo ma unicamente per domandargli delle notizie onde mettersi in grado di fornirle all'Imperatore, col quale corrisponde direttamente durante il Suo viaggio.

Richiamando ciò che aveva già comunicato al signor Conte di Clarendon nella mia ultima conversazione a riguardo della comunicazione avuta per parte del signor de Beust, dissi a Sua Signoria che il Governo italiano si era limitato a ringraziarlo soggiungendo che la insufficienza delle notizie lo inabilitava a pigliare una risoluzione. Il signor Conte di Clarendon, avendo tenuto un simile contegno, avrebbe pure escluso che fosse il caso d'un'azione comune.

Sua Signoria mi lesse alcuni brani d'un dispaccio del signor Erskine, ricevuto in quel momento, nel quale si riferiva l'arresto del Dragomanno che accompagnò le infelici vittime nella escursione che fu loro così fatale; si narrava l'esame dello stesso Dragomanno, seguito avanti i Ministri greci, alla presenza dello stesso signor Erskine e del Conte Della Minerva, sul quale reputo inutile estendermi perché V. E. ne avrà già ricevuto notizie dal signor Ministro del Re in Atene.

Lord Clarendon crede esservi pure ragioni per credere che quest'uomo sia stato il conduttore e quasi l'organizzatore degli scellerati fatti.

Sua Signoria è pienamente convinta che il brigantaggio nella Grecia è in gran parte appoggiato e sostenuto da motivi e da elementi politici. Avendo io richiamato parecchi fatti, risultanti dalle relazioni avute di colà, i quali confermavano questo concetto, Sua Signoria soggiunse che, appena succeduto il fatto, era una sola voce in Atene per accusare di ciò un partito politico, e ben anco uomini alto locati, e non si astenne dal fare una assai trista pittura dello stato delle cose colà a questo riguardo.

Il signor Conte di Clarendon mi partecipò che il Ministro greco a Londra erasi qualche giorno fa presentato a lui per fargli, d'ordine del suo Governo, le più sentite e vive condoglianze del Re e della nazione greca a riguardo della tragedia colà intervenuta. Ciò venne fatto nel modo il più conveniente ma verbalmente, ond'è che Sua Signoria disse che occorreva che fosse messo in iscritto, locché il signor Ministro greco fece immediatamente in modo giudicato da Sua Signoria egualmente conveniente.

n contegno della stampa e del Parlamento italiano fece pure il soggetto delle lodi di Sua Signoria, la quale dissemi che perciò appunto aveva fatto stampare, fra i documenti di quest'affare, un sunto delle discussioni della Camera elettiva italiana, le quali erano un utile ed opportuno esempio.

Avendo io detto a Sua Signoria che ad alcuno che aveva trovato troppo dimessa l'espressione del sentimento pubblico in Italia in questa circostanza, io aveva risposto che non bisognava mai porsi in condizione che i fatti fossero da meno delle parole, Sua Signoria interrompendomi mi disse: «Ed è ciò appunto che sgraziatamente succederà qui».

Importando sopra tutto al presente di concordare i modi d'azione e le cose da farsi, richiamai la conversazione sopra questo soggetto, ora importante più d'ogni altro, ricordando a Sua Signoria il desiderio ch'io, per ordine di V. E., già gli aveva espresso, che i due Governi avessero agito d'accordo e l'adesione piena che Essa mi aveva manifestato.

Sua Signoria, ripetendomi ch'egli pure lo desiderava, mi disse che credeva che si dovesse fare in Grecia e sopra i fatti avvenuti una seria, severa ed efficace inchiesta per scoprirne le cause, i concorsi, le complicità, ed ogni cosa che, per qualunque modo, si potesse riferire ai tristi avvenimenti, spingendola avanti risolutamente, senza fermarsi innanzi ad alcun ostacolo ed a veruna persona, per quanto in alto essa fosse locata. Soggiunse che dava appunto istruzioni a questo riguardo ed in questo senso al Signor Erskine e che su questo punto avrebbe vivamente insistito.

Feci notare a Sua Signoria che forse nessun'occasione poteva presentarsi più favorevole ad una repressione energica del brigantaggio, e lo richiesi se questo soggetto non fosse pure da lui stato preso in considerazione.

Su questo punto Sua Signoria si espresse con una certa riserva da una parte cagionata dalla difficoltà di obbligarvi efficacemente il Governo greco, e dall'altra dalla poca fiducia ch'esso inspira. Disse però ch'egli insisteva presso quel Governo acciocché il brigantaggio fosse efficacemente represso e che avrebbe fatto tutti gli sforzi possibili per indurvelo colla persuasione e colle istanze. Soggiunse che scriveva appunto ad Atene a questo fine, e perché si facesse ben comprendere a quel Governo che nessuna circostanza più favorevole potrebbe presentarsi per un'energica ed efficace repressione, e che faceva dire al Governo stesso che, ove ciò si facesse, la terribile disgrazia avvenuta avrebbe almeno avuto il benefico effetto di liberare la Grecia da una sì gran piaga. Ciò poi che risulterebbe dal discorso tenutomi da Sua Signoria su questo soggetto è che una pressione o minaccia a questo riguardo non sarebbe fatta, locché è conseguente al modo assegnato che Essa m'espresse volersi tenere in quest'affare. Il signor Conte mi disse esplicitamente: «Noi non faremo nulla di violento».

A riguardo della quistione della indennità alle famiglie delle vittime, Sua Signoria non avendomene parlato, non credetti opportuno di rivolgerle una espressa interpellanza, non essendo dubbio che nulla sarà chiesto per la famiglia dello sfortunato signor Herbert (1), fratello della moglie del signor Conte de Grey, e potendosi essa sola riferire alla famiglia del signor Avvocato Loyd, altra vittima della carneficina.

A seconda dell'incarico datomi da V. E., col precitato suo dispaccio, palesai a Sua Signoria che il Governo ed il Paese avevano associato nello stesso sentimento di compianto e di dolorosa commozione il nome del signor Conte di Boyl e quello dei sudditi di S. M. la Regina che divisero con lui la stessa sorte crudele. Parimenti in esecuzione dei di Lei ordini, espressi a Sua Signoria i sentimenti di sincera gratitudine del Governo del Re per quanto ha fatto il signor Ministro britannico in Atene a beneficio dello sventurato Conte di Boyl in pieno accordo col signor Conte Della Minerva. Vi aggiunsi i ringraziamenti pel trasporto a Messina delle ceneri dello stesso Conte di Boyl fattosi per opera cortese del Governo britannico.

Lasciando Lord Clarendon gli espressi di nuovo il desiderio di essere informato di ciò che, riferendosi a quest'affare, potesse giovare a quell'azione concorde dei due Governi, che anche Sua Signoria aveva dichiarato di gradire, ed il signor Conte mi ha dichiarato che mi avrebbe tenuto informato a seconda del desiderio manifestatogli.

Poco prima della mia conversazione con Lord Clarendon ho ricevuto il Dispaccio di V. E. del 27 aprile p.p. n. 27, Serie Politica (l), colle copie di Dispacci che si riferiscono al soggetto del presente mio Rapporto.

(l) -Cfr. n. 472. (2) -Cfr. n. 467. (3) -Cfr. n. 471. (4) -Cfr. n. 476.

(l) Corretto a matita in «Wyner ~.

480

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. P. Londra, 8 maggio 1870 (per. l'11).

Faccio seguire questa lettera particolare al telegramma speditole alcune ore fa (2), ed al dispaccio inviatole or ora (3) sui tristi fatti della Grecia, onde darle alcuni particolari che non credetti opportuno di comprendere nel detto dispaccio.

Allorquando parlai ora di nuovo della communicazione che Ella aveva avuto dal signor di Beust il Conte Di Clarendon, facendo un atto di impazienza si espresse in parole che significavano, che la intromissione del signor di Beust in questo affare non gli era punto andata a genio, e fece sentire che quel Ministro usava queste intromissioni.

Le voci che correvano in Atene furono particolarmente riferite a Lord Clarendon da Lord Muncaster che fu uno degli infelici attori del triste dramma sebbene con esito men luttuoso. Il Conte di Clarendon mi disse, che aveva esaminato per più di un'ora questo Lord appena egli era or ora tornato dalla Grecia. Questo signore fa una triste pittura dello stato delle cose in quel paese. Fu egli che disse a Lord Clarendon, che appena succeduto il fatto in Atene erasi alzata una voce universale, che accusava anche alti personaggi e fra questi era

{l) Cfr. n. 448.

principalmente il Generale Soutro, Ministro della Guerra, giudicato complice

dei briganti. Lord Muncaster narrò che avendo veduto il Re questi gli aveva

detto risolutamente, che non era solo un affare di briganti, e che la cosa era

politica. Lord Clarendon mi disse, che Soutro doveva la sua elezione alla Ca

mera ai briganti, che esercitavano molta azione sulle elezioni.

Ciò che io Le scriveva intorno ai grandi riguardi, che avrebbe usato il Governo britannico in questa questione per evitare di ingrandirla mi fu oggi pienamente, ed apertamente confermato da tutti i discorsi di Lord Clarendon. La sua irritazione contro la Stampa inglese, e contro i membri del Parlamento, che pigliano al volo ogni questione un po' clamorosa per farsene uno sgabello, non era che l'effetto del sapere, che dopo di aver gridato tanto si sarebbe fatto assai poco.

Allo stato attuale delle cose, e dopo quanto Le scrissi sugli abboccamenti di Lord Clarendon, col Ministro La Valette, e col Barone Brunnow si può ritenere per certo, che la cosa non uscirà dai confini dell'interesse dell'Inghilterra, e dall'Italia nel caso particolare; ed i limiti di ciò che farà l'Inghilterra furono ben delineati da Lord Clarendon il quale chiuse la nostra conversazione ripetendomi, nous ne terons rien de violent.

Gli stampati che le ho fin qui successivamente trasmessi dei documenti qui presentati al Parlamento mi furono sempre mandati con grande prontezza, e sollecitudine dal Ministero degli Affari Esteri; mi fo premura di significarle ciò pel caso, che facendosi costà una simile pubblicazione, Ella credesse di fare altrettanto con Sir Paget.

(2) -Cfr. n. 476. (3) -Cfr. n. 479.
481

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 38 (2) Roma, 8 maggio 1870.

Ces jours derniers je n'ai point eu de nouvelles. Depuis la séance du Concile de mercredi le Vatican parait un peu hésiter: on n'a pas encore communiqué aux Pères le nouveau Schème «de Pontifice », ni annoncé une nouvelle séance. L'opposition croit qu'on médite quelque coup contre elle; mais jusque hier ne s'était évertuée à y parer.

Hier cependant, samedi, Monseigneur Ketteler a demandé au Cardinal Rauscher de convoquer la Conférence allemande pour lui faire une proposition. La Conférence s'est réunie dans la soirée, et Monseigneur Ketteler lui a donné lecture d'une protestation contre la proposition de l'Infaillibilité, document conçu dans les termes les plus forts et excluant toute possibilité d'une transaction entre les signataires et le Vatican.

36 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. XII

Monseigneur Ketteler proteste contre !es allures du Pape qui faule aux pieds !es droits sacrés de l'Episcopat et dégrade l'Eglise toute entière en ambitionnant pour sa personne ce qui, suivant l'Evangile, n'est qu'une faveur accordée par Jesus-Christ au corps entier de l'Eglise réunie en ConcHe. Sur cette question, à Iaquelle il ne fallait jamais toucher l'Episcopat ne doit pas céder et ne peut céder sans « étrangler » l'Eglise. La situation est devenue si insupportable qu'il faut en finir à tout prix. Le Concile est compromis devant le monde entier. On le croyait convoqué pour porter remède aux innombrables maux dont l'Eglise est travaillée: aujourd'hui tout le monde voit qu'il n'en est rien. On a perdu quatre mais et demi en discutant le Schème «de fide», chose la plus inutile qu'on puisse imaginer. Les chaleurs d'été s'approchant on veut forcer !es Pères de voter à la légère l'Infaillibilité, sans avoir discuté le Schème «de Ecclesia » et assuré Ies droits de l'Episcopat menacés par l'Infaillibilité. Il est dane clair que le seul but de la convocation du Concile n'est que d'obtenir la dogmatisation de l'Infaillibilité et d'achever ainsi la ruine de l'Eglise. l'Episcopat ne peut pas préter son concours à cette oeuvre de destruction, ni abandonner les devoirs que le Seigneur lui a imposés. Il proteste, partant, contre la proposition isolée du dogme de l'Infaillibilité contenu dans l'appendice du Schème «de Ecclesia » et dans le nouveau Schème «de Pontifice » destiné à remplacer le Schème «de Ecclesia ». Il proteste contre l'intervertissement de l'ordre des travaux du Concile, contre la présentation attendue du nouveau Schème «de Pontifice » et contre la prise en considération de la question irritante de l'Infaillibilité. et espère que le Saint-Père ne se refusera pas à reconnaitre la justesse de ces vues inspirées à l'Episcopat par son dévouement pour l'Eglise du Christ.

On a été étonné de voir que ce fut Monseigneur Ketteler qui faisait une pareille proposition; mais on fut unanime à l'adopter en principe, sans se choquer de la violence de son langage. Monseigneur Ketteler relit son brouillon qui ne fut modifié qu'en deux ou trois passages sans importance. La Conférence délibéra de se réunir aujourd'hui à six heures pour signer le document, et de proposer à la Conférence française d'accéder à cette demarche.

Je ne suis pas en mesure de m'enquérir sur Ies mobiles qui ont agi sur Monseigneur Ketteler en cette occurrence. La vérité est qu'il est fort irrité des vexations auxquelles lui et !es autres évéques de l'opposition sont exposés à cause de la publication de leurs brochures concilìaires et à cause de l'ingratitude du Pape envers lui et ses collègues. Quant à cette protestation, c'est un coup dans l'eau comme toutes les déliberations de l'opposition. V. E. se rappelerà que l'opposition a chargé Monseigneurs Hefele et Ginouilhac de rédiger une déclaration des plus fortes contre l'Infaillibilité. Monseigneur Hefele s'est acquitté de ce devoir; mais l'opposition n'a jamais discuté sa Déclaratlon. L'opposition a déliberé d'envoyer une députation au Pape pour lui demander une réparation des insultes qu'il lui a lancées en la déclarant « juges de Pilate », « ennemis de Jesus-Christ » etc. Cette députation ne s'est jamais présentée au Vatican, pas plus que la députation internationale qui devait adjurer le Pape de renoncer à proposer l'Infaillibilité. Il se peut que la protestatiun de

Monseigneur Ketteler ait un meilleur sort et qu'elle so1t du moins consignée au Pape; mais connait-on au Vatican les limites du courage de ces messieurs et ne se soucie pas trop de leurs démonstrations. Cependant le nouveau Schème n'est pas encore distribué, et l'opposition croit que les 56 «non placet » et les 50 «placet ad modum » ont déconcerté le Vatican, et veut profiter de ce supposé découragement pour prévenir la discussion du nouveau Schème «de Pontifice ».

Plus sérieuse que cette protestation de Monseigneur Ketteler est une idée qu'on a suggérée à M. de Trauttmansdorff -car il est notoire qu'il n'en a jamais eu aucune -et que celui recommande comme sienne aux évèques autrichiens.

M. de Trauttmansdorff conseille aux évèques autrichiens d'adresser au Pape une déclaration portant que les signataires, convaincus des immenses dangers de la dogmatisation de l'Infaillibilité, se sont donnée parole d'honneur de voter contre et qu'ils en préviennent Sa Sainteté afin d'éviter un scandal irréparable. Plusieurs évèques, le Cardinal Rauscher en tète, trouvent bonne cette idée et seraient disposés à la réaliser; mais les français auxquels ils en ont parlé la désapprouvent hautement par peur d'un schisme et en déconseillent les autrichiens pour éviter une scission dans l'opposition si faible et incohérente par sa nature cosmopolite et par le manque de courage. Les Américains ne se sont pas prononcés là-dessus en prétextant que pour une raison quelconque leur conférence n'a pu se réunir depuis assez longtemps.

Je me suis occupé ces jours des amendements proposés au Schème sur l'Infaillibilité. C'était un travail très-ingrat car les amendements sont d'une insignifiance presque incroyable, la Députation dogmatique n'ayant pas trouvé bon d'admettre la reproduction des remontrances les plus importantes de l'opposition. Les amendements imprimés n'altéreraient par la substance de l'Infaillibilité; ce serait une question de pure forme si l'o n e n voterait quelquesuns.

Au moment de terminer cette lettre, on vient m'informer que plus de quarante évèques allemands et autrichiens ont signé la protestation de Monseigneur Ketteler. Demain, lundi, elle doit ètre envoyée au Pape. Le nouveau Scl1.ème « de Pontifice » sera distribué mardi prochain au plus tard. J'en enverrai immédiatement une copie à V. E.

(l) -Ed. in TAMBORRA, pp. 276-277. (2) -Non si pubblica la l. p. 37 di Tkalac del 4 maggio.
482

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2210. Parigi, 9 maggio 1870, ore 12,55 (per. ore 14,30).

Dernier résultat de tout Paris et le banlieue, moins quatre séctions et moins l'armée: 143.000 oui et 177.000 non. Les boulevards présentaient une certaine animation sans trouble.

483

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA

T. 1119. Firenze, 9 maggio 1870, ore 15.

Je suppose que le Gouvernement grec jugera convenable de nous faire une communication écrite et formelle sur l'affaire des brigands. Jusqu'ici les seuls témoignages que nous ayons de ses sentiments sont des paroles échangées sans caractère officiel. Continuez à marcher d'accord avec Erskine en toute cette affaire (1).

484

IL CONTE VIMERCATI A VITTORIO EMANUELE II (2)

T. Parigi, 9 maggio 1870, ore 17,10 (per. ore 21).

Résultat plébiscite a dépassé sept millions. On recompose Ministère pris entre [sic] un ministre des affaires étrangères favorable a nos désirs. Votre Majesté ferait bien de télégraphier à l'Empereur pour faire ses féliritations affectueuses pour résultat plébiscite.

485

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (3)

L. P. Parigi, 9 maggio 1870.

Col telegrafo vi ho mandato successivamente i risultati del plebiscito (4). Al momento in cui scrivo il risultato generale, meno 18 circondari, meno l'Algeria, meno l'Esercito di terra e di mare, è di circa 6.526.000 si e 1.368.000 no. Si calcola perciò che i voti affermativi toccheranno e probabilmente oltrepasseranno, in definitiva, la cifra di 7 milioni, i negativi giungeranno al milione e mezzo. Questo esito è giudicato qui con ragione come assai soddisfacente. La

votazione si fece dappertutto con tranquillità. Ieri sera v'era una certa animazione sui boulevards e dinnanzi alla caserma del Principe Eugenio, ma non vi fu disordine.

Ollivier è soddisfattissimo del risultato, e l'Imperatore deve esserlo del pari. Ora si sta trattando di completare il Gabinetto. L'idea di Ollivier (questo sia detto confidenzialmente) sarebbe di proporre Duruy per l'Istruzione Pubblica ed il signor Baudin, che è inviato all"Aja, per gli Affari Esteri. Ma tutto ciò è ancora immaturo al momento in cui scrivo. Ve ne scriverò quando avrò informazioni più precise.

Un solo fatto un po' grave è a segnalarsi nell'esito della votazione plebiscitaria, ed è il numero abbastanza grande di voti negativi raccolti nelle file dell'esercito. Ma in sostanza l'esito totale oltrepassa le speranze che il Governo nutriva. Noi dobbiamo sinceramente rallegrarcene. Nè è a temere che si corra alla reazione. Il linguaggio del signor Ollivier è moderatissimo ed assennato, e l'Imperatore ha troppa esperienza delle cose di governo perché sia a temersi che si voglia profittare della presente vittoria per fare un ritorno impossibile al sistema del potere personale.

(l) -Della Minerva rispose con t. 2228 del 14 maggio che Il ministro degli esteri greco aveva trasmesso un dispaccio a Conduriotis perché lo comunicasse ufficialmente al Governo italiano. (2) -Da ACR. (3) -Da AVV. (4) -Cfr. nn. 477, 482 e il t. 2212 del 9, non pubblicato.
486

VITTORIO EMANUELE II A NAPOLEONE III (l)

T. Firenze, 10 maggio 1870, ore 8.

Je prie Votre Majesté d'accepter mes félicitations affectueuses pour résultat plébiscite ainsi que l'expression des voeux que je forme constamment pour Votre bonheur et pour le bonheur de toute la famille impériale.

487

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BUENOS AYRES, DELLA CROCE DI DOJOLA

D. 20. Firenze, 10 maggio 1870.

Le notizie contenute negli ultimi rapporti di codesta Legazione rivelano nei paesi del Plata uno stato di cose sul quale noi dobbiamo portare la nostra at

tenzione. Dal canto suo, il R. Incaricato d'Affari a Montevideo segnala, indipendentemente dalla quistione sempre insoluta dei crediti italiani verso l'Uruguay, vari sintomi di una condizione di cose che non potrebbe tollerarsi a lungo, senza completo discapito alla autorità che dobbiamo assicurare alle nostre rappresentanze diplomatiche all'estero. Anche al Venezuela, la legazione di Sua Maestà si trova impotente a far valere a fronte di quel Governo le ragioni le meglio fondate dei nostri connazionali. Ella conosce come sin qui siano rimaste purtroppo senza alcun esito le nostre pratiche presso il Brasile non solamente per i fatti di Luque dell'Assunzione, ma anche per altri affari di data ancor più antica.

Del corriere d'oggi, Ella riceverà vari documenti che si riferiscono appunto alle vertenze che noi abbiamo coll'Uruguay e col Venezuela. La prego di prenderne cognizione acciocché ancor Ella possa nella sfera d'azione consentita a codesta Legazione, adoperarsi in un se1~2o conforme alle intenzioni del Governo del Re.

Ma il punto sul quale desidero avere un parere esplicito dalla S. V. riguarda la situazione particolare in cui si trovano le Legazioni ed i Consolati italiani in codesti paesi, a fronte dei partiti sovversivi che si vanno formando nelle varie Colonie del Plata. Di questo male deve scoprirsi la causa e trovarsi il rimedio, sotto pena di vedere paralizzata completamente l'azione dell'autorità diplomatica e consolare così presso codesti Governi come presso le nostre Colonie dell'America Meridionale. È infatti purtroppo visibile che i Governi anzidetti trovano ausiliari compiacenti negli agitatori che fomentando discordie nelle nostre Colonie, fanno ogni sforzo, ed impegnano ogni mezzo anche criminoso per nuocere all'autorità ed al credito delle nostre Legazioni e dei nostri Consolati. L'opera di costoro consiste particolarmente nel far ricadere sui nostri agenti la colpa dei Governi locali, che per la loro inerzia o peggio, rendono vana tutta la sollecitudine con la quale si spiega la nostra azione diplomatica a difesa degli interessi nazionali. Né si può tacere che dallo scorgere l'inutilità degli sforzi che fanno i RR. Agenti presso codeste Autorità, si accresce continuamente la sfiducia dalla quale non sa completamente preservarsi neppure la parte buona di codeste nostre importanti Colonie.

Queste cose, in complesso sono conosciute in Italia, e commuovono vivamente gli animi di coloro che ad un tcn~po riflettono alla necessità di rimediare agli inconvenienti di una simile situazione, e non si nascondono le difficoltà che si incontrano nella scelta dei mezzi appropriati a tale scopo. Epperò, io esorto vivamente la S. V. a meditare sopra questo argomento, non solamente per quanto concerne gli Stati dell'Argentina, ma anche per I'Uruguay ed il Paraguay.

Aspetto da Lei che Ella esprima l'opinione che la pratica conoscenza dei bisogni del paese, delle giuste esigenze delle colonie, dell'ordinamento dei nostri uffici consolari, del servizio prestato dalla nostra stazione navale, La deve aver messo in grado di formarsi. È desiderio espresso del Ministero che Ella esponga tutto il pensiero suo, tanto sulle cose quanto sulle persone, perocché quando in una quistione la responsabilità del Governo del Re è così

direttamente impegnata davanti a se stesso e davanti al paese, è indispensabile che la verità sia conosciuta tutta e subito, ed ogni titubanza ed indugio nel riferirla diverrebbero inammissibili.

(l) Da ACR, minuta autografa, ed in Lettere Vittorio Emanuele II, vol. II, p. 1468.

488

IL MINISTRO A CARLSRUHE, ARTOM, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 188. Carlsruhe, 10 maggio 1870 (per. il 13).

Il Signor di Freydorf, cui feci quest'oggi un visita, era assai contento dei risultati dei lavori dello Zollparlamento [sic]. La Germania del Sud, e più particolarmente il Baden, avranno notevole beneficio dalle semplificazioni e riduzioni di dazii votate da quell'assemblea mentre l'aumento della tassa sul caffè non farà che dare un maggiore sviluppo alle fabbriche del caffè di cicoria già così fiorenti in questo paese. I deputati badesi al parlamento doganale riportarono da Berlino impressioni piuttosto favorevoli. Parlo dei liberali, perché gli altri si astennero per lo più dall'assistere a quell'Assemblea. Invece i membri del partito nazionale liberale vi furono assai accarezzati: ebbero campo di spiegare la loro attività nei lavori degli uffici e delle commissioni e poterono così convincersi che il Parlamento doganale, se non ha corrisposto a tutte le speranze che aveva destate la sua istituzione, non fu però senza buone conseguenze nel campo politico-economico.

Chiesi al Signor di Freydorf se gli paresse probabile che nella nuova sessione dello Zollparlamento, per la quale accorreranno nuove elezioni generali, si estendano le attribuzioni di quest'Assemblea, in guisa che essa divenga a poco a poco l'organo della unificazione di tutta la Germania. Il Ministro badese crede che tale idea, ch'era stata accarezzata altra volta, sia ora affatto abbandonata. Lo Zollparlamento, se estendesse la sua attività alla sfera politica, verrebbe a trovarsi in conflitto col Parlamento della Confederazione del Nord. Il Signor di Freydorf è quindi d'avviso che sarebbe miglior partito per gli Stati del Sud, quando volessero progredire nel senso della unificazione, di mandare semplicemente dei deputati al Parlamento della Confederazione occidentale. Ma nulla fa presagire per ora che ciò possa verificarsi. I miei colleghi d'Austria, di Baviera e del Wiirtemberg affermano che il Ministro Granducale degli Esteri si sarebbe lasciato sfuggire parlando con essi « che entro quest'anno la questione tedesca avrebbe fatto passi notevoli». A me tenne invece sempre il linguaggio più rassicurante, benché non cerchi punto di nascondere le tendenze, del resto a tutti palesi, di questo Governo verso l'ingresso nella Confederazione del Nord. Alcuno fra i colleghi che ho testé nominato afferma pure che fra breve un Generale prussiano verrà a Rastadt ed avrà parte nel comitato di difesa della fortezza. Al Ministro di Francia che lo interrogava su ciò, il Signor di Freydorf rispose non saperne nulla che ne avrebbe parlato col Ministro della Guerra.

Noto questi piccoli incidenti perché dimostrano la specie d'inquietudine in cui vivono codesti diplomatici: essa fa contrasto colla tranquillità con cui questo Governo aspetta da Berlino il cenno che lo metterà in grado di porre in atto dei disegni di cui non fa punto mistero.

Il Governo badese pare assai contento del risultato del plebiscito francese. Esso ha fede nelle tendenze pacifiche del Ministro Ollivier e spera che la maggioranza favorevole ottenuta dall'Imperatore lo tolga alla necessità di far nascere complicazioni nella politica estera.

489

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA (l)

L. P. Firenze, 11 maggio 1870.

Ho ricevuto ieri la sua interessante lettera del 6 corrente (2), ed oggi quella in data dell'B (3) e mi affretto a risponderle.

Noi non abbiamo a pentirei dell'attitudine che per nostro canto abbiamo serbata sinora. E parmi che, nelle risoluzioni del Governo inglese, la quistione si ponga per quella via, nella quale, da noi, paese e governo desiderano si mantenga. «Nous ne ferons rien de violent », le disse Lord Clarendon ed è appunto questo il nostro voto.

Nella mia ultima lettera (4) le ho accennato ad una possibile manifestazione di potenze presso la Grecia per la estirpazione del brigantaggio. Credo però d'averle, malgrado la fretta colla quale scrivevo, sufficientemente esposto il mio pensiero in proposito. Noi non abbiamo alcuna particolare ragione per proporre questa idea, per prenderne l'iniziativa o per insistervi. L'avremmo fatto, come un consiglio, come una controproposta, solo nel caso in cui dal governo inglese ci fossero fatte presentire delle risoluzioni alle quali, per conto nostro, non avremmo potuto associarci. Riconosco appieno le difficoltà di un accordo fra le potenze che avrebbe, per esempio, porto alla Russia l'occasione di farsi della popolarità in Grecia a buon mercato; riconosco anche la poca efficacia pratica di questa manifestazione. Ma, in dati casi, per noi, e dal nostro punto di vista, meglio queste difficoltà e questi inconvenienti che la difficoltà e l'inconveniente d'associarci a risoluzioni violente o di rimanere isolati. Noi accettiamo dunque volentieri che la sostanza rimanga nei limiti dell'interesse e del caso particolare dell'Inghilterra e dell'Italia, poiché sappiamo in quali confini si atterranno le deliberazioni del governo britannico e confidiamo che questi rimarrà in comunicazione con noi per procedere d'accordo.

Del resto non occorre ch'io aggiunga che noi pure accettiamo due punti

su cui i membri del gabinetto inglese paiono fin d'ora d'accordo.

(l) -Da ACS, Carte Visconti Venosta. (2) -Cfr. n. 471. (3) -Cfr. n. 480. (4) -Cfr. n. 463.
490

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

R. 196. Vienna, 11 maggio 1870 (per. il 15).

Al ricevere il pregiato telegramma dell'E. V. in data d'oggi stesso (2) mi sono recato presso il Dipartimento imperiale e reale degli Esteri onde aver conoscenza del parere di questo Governo in ordine alla riforma giudiziaria in Egitto, sia per ciò che riguarda il progetto della Commissione internazionale, sia intorno alle modificazioni arrecatevi ultimamente in Costantinopoli.

* Il Capo sezione, signor Vesque, che fu uno dei Delegati austro-ungarici, mi assicurò essersi già scritto da più giorni al Barone Kubeck per conoscere l'opinione del Governo del Re sulla stessa questione, mentre quello di Vienna attendeva l'esito della missione di Nubar Pacha in Parigi e la prossima visita di questi a Vienna, prima di emettere una risoluzione. Mi soggiunse che il Principe di Metternich avea istruzioni di seguire attentamente i negoziati del Ministro egiziano affin di preparare qui il terreno pel di lui arrivo *.

Il progetto intanto della Commissione internazionale è già stato approvato in principio dai Dicasteri della Giustizia e della Guerra ai quali quello degli Esteri l'avea sottoposto: si attende il parere del Governo transleitano per darvi doppio valore.

In quanto poi alle modificazioni imposte dal Consiglio di Stato in Costantinopoli, non sono queste considerate abbastanza essenziali per ammettere un rifiuto della riforma cui si tende: si opporrebbero qui soltanto alla inserzione di clausole che dessero la Presidenza effettiva dei nuovi Tribunali ad un egiziano e stabilissero nella loro composizione la maggioranza dell'elemento indigeno nei processi fra stranieri.

Credetti opportuno intrattenere bensì il signor Vesque sul carattere transitorio attribuito da Nubar Pacha alle guarentigie chieste, e di ciò dicevami non preoccuparsene punto visto che la riforma, una volta consentita da tutte le Potenze, non sarebbe obbligatoria che per un quinquennio a titolo di prova: durante questo termine non essere supponibile che il Governo del Khedive avesse la velleità di alterare le disposizioni convenute senza il consenso unanime delle parti contraenti. Le maggiori difficoltà consistono, al parere del mio interlocutore, nell'adozione di un codice di procedura che riesca di generale soddisfacimento.

* Sarà mia particolar cura di risapere quanto verrà comunicato da Parigi e tener dietro qui alle trattative del Ministro Egiziano onde renderne conto all'E. V.*.

(l) -Ed., ad eccezione dei brani fra asterischi, in LV 21, p. 89. (2) -T. 1120 del 10 maggio, non pubblicato con cui Visconti Venosta richiedeva alle legazioni a Londra, Parigi, Pietroburgo e Vienna notizie cirr.a l'opinione dei varii Governi sul progetto di riforma giudiziaria proposto dalla commissione internazionale.
491

VITTORIO EMANUELE II AL CONTE VIMERCATI (l)

T. Firenze, 12 maggio 1870, ore 12,30.

Dites-moi s'il y a quelque chose de sérieux dans ces mouvements de Paris, ici des bandes armées en habit rouge et drapeau républicain se sont organisées dans les Calabres, les troupes les ont dispersées, actuellement des nouvelles bandes se sont présentées à Volterre et à Cecina avec le méme drapeau, préponderance [sic]. Missori Cairoli sont avec elles, les troupes marchent contre elles. Je vous prie vous mettre au courant de tout ce qui peut regarder les projets futurs de l'Empereur car s'il y avait quelque projet arrété il faudrait que j'en fusse prévenu pour que je puisse prendre mesures nécessaires et préparer terrain. Dites-moi si l'Empereur a été saUsfait de ma dépéche (2).

492

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (3)

L. P. 40. Roma, 12 maggio 1870.

La distribution du nouveau Schème sur l'Infaillibilité (4) parait avoir révifié l'opposition. Avant-hier et hier, les Conférences nationales s'étaient réunies deux fois chaque jour, et aujourd'hui il y a eu séance du Comité international dans laquelle les présidents des Conférences ont rendu compte des délibérations et des résolutions prises par les Conférences nationales.

L'idée d'engager Ies évéques sur parole d'honneur à parler et à voter contre l'Infaillibilité -idée que j'ai suggérée après mon retour a Rome à monseigneur Strossmayer, et, après, à monseigneur Dupanloup, et que dernièrement M. de Trauttmansdorff a débitée comme sienne propre -a décidément fait fortune: elle vient d'étre adoptée par toutes Ies Conférences, et par le Comité internatiana!. Se sont donnée parole d'honneur de persévérer dans leur opposition contre l'Infaillibilité et de repousser toute transaction ayant pour but l'intrusion de ce dogme dans le Schème « de Ecclesia » :

Evéques, allemands, hongrois, slaves 43

» français 29 » américains (du Nord) 40 » italiens 7 » anglais 5 » portugais 4

T o tal 128

Ce résultat serait de la plus haute importance s'il y avait moyen de prévenir toute désertion; je crois cependant que la tactique du Vatican finira par triompher de cette opposition en la divisant et gagnant une partie par des concessions de forme et par des intimidations. La votation sur le Schème «de fide» en fait preuve; et ici il s'agit d'une question bien plus grave. Quoique à regret, je maintiens toutes mes réserves et crains de finir par avoir raison une fois de plus, parce que deux tiers, au moins, de ces 128 ont toujours cru et croient toujours à l'Infaillibilité et craignent seulement l'inopportunité de ce dogme. J'admets, toutefois, volontiers que depuis la distribution du nouveau Schème l'opposition a fait de grands progrès, car la protestation de monseigneur Ketteler n'avait réuni que 77 signatures, donc 51 votes de moins que l'engagement susmentionné. La protestation Ketteler a été signée par les allemands et les autrichiens, par beaucoup d'américains et par quelques français. Elle a été présentée au Pape le matin mème du jour de la distribution du nouveau Schème.

On me raconte d'une démarche contre l'Infaillibilité, démarche faite par 15 évèques italiens à la tète desquels se seraient mis trois Cardinaux -Corsi, Morichini et un troisième dont le nom j'ai oublié. Ils seraient allés au Vatican pour conjurer le Pape de renoncer à la définition de l'Infaillibilité. Le Pape les aurait mieux reçus qu'ils n'espéraient et leur a dit qu'il était disposé à abandonner à l'oubli cette irritante question, mais que les français et les anglais le poussaient, lui et la Commission du Concile et qu'il ne pouvait plus longtemps résister à leur instances. Je tiens ce récit d'un évéque français monseigneur de Lascases, et regrette de ne pouvoir le vérifier, faute de connaissances parmi les évèques italiens.

L'évasion des deux évèques arméniens emprisonnés, dont on parle depuis deux jours est un fait confirmé par le Giornale di Roma.

Au bureau des passeports ils ont fait viser leurs passeports, sans éveiller le moindre soupçon. La position de monseigneur Randi est, dit-on, fort compromise, quoiqu'il soit parfaitement innocent; car le fonctionnaire chargé du service des passeports dit avec raison qu'il n'est pas autorisé à demander à un évèque s'il a obtenu la permission de s'absenter de Rome, ni par conséquent à lui refuser le visum. Cela se passe tous les jours et sans aucune réclamation, et quant aux deux arméniens, il dit n'en avoir jamais connu les noms, ce qui est assez possible à Rome. Du reste, tout le monde est content de leur évasion.

(1) Da ACR..

(2) -Cfr. n. 486. (3) -Ed. in TAMBORRA, pp. 278-279. (4) -Tkalac ne aveva trasmesso i brani principali con la I. p. 39 del 10 maggio, non pubblicata.
493

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 557. Berlino, 13 maggio 1870 (per. il 17).

D'après le langage des journaux officieux à Berlin, l'opinion publique en Allemagne aurait accueilli avec une vive et sincère satisfaction le résultat du plébiscite du 8 Mai. Ce serait un véritable succès contre les menées révolutionnaires, et tout au profit de la cause générale. Par ce vote, la France assure le développement de ses institutions Iibérales, et sert en meme temps les intérets communs des Etats Européens, qui pour accomplir leur tache nationale ont un égal besoin de l'ordre au dedans, de la paix au dehors.

Au reste, ainsi que j'al déjà eu occasion de le constater, la presse officieuse parle avec les plus grands ménagements du Cabinet des Tuileries, elle a rompu des lances en faveur du scrutin qui vient d'avoir lieu lorsqu'il était rudement attaqué par les ultralibéraux, elle a marqué des sympathies pour la politique «loyale et généreuse de Napoléon III fidèle à ses principes respectant les droits des autres peuples », et animée d'un zèle sincère de maintenir de bons rapports avec ses voisins. La Norddeutsche Zeitung soutient que, bien loin d'etre une mystification, le principe de l'appel direct au peuple pourrait etre destiné à exercer dans d'autres pays que la France, la Suisse et l'Italie, cette meme influence que les principes du 1789. Il ne faut pas oublier en effet que le Comte de Bismarck est l'auteur de l'introduction du suffrage universel pour les élections aux Parlements fédéral et douanier. Il n'avait exigé que la seule garantie de la gratuité des fonctions de député. Or il pourrait se produire telles circonstances où le vote des comices populaires ne serait pas d'obtenir dans le Sud de l'Allemagne une manifestation pour une union plus intime avec la Confédération du Nord. Ce serait peut etre alors le meilleur moyen de paralyser la France, que de lui emprunter ses propres doctrines.

Y avait-il une sem.blable arrière-pensée dans les éloges accordés à la conduite du Cabinet des Tuileries? C'est possible, et meme vraisemblable, mais je ne saurais l'affirmer. Ce qui ne peut étre mis en doute, c'est la ferme volonté du Gouvernement Prussien de ne rien négliger pour entretenir les meilleures relations avec la France.

S'il était permis de lire au fond de la pensée du Comte de Bismarck, il ne saurait cependant entrer dans ses désirs que désormais l'Empire fùt débarrassé de toute préoccupation intérieure, au point de céder peut-etre à l'entralnement de tenter la fortune des armes contre ses voisins. Si l'Empereur est sorti avec succès de l'épreuve du plébiscite, il a trop de perspicacité pour ne pas voir lui-méme la mesure exacte d'un triomphe dont la valeur morale a été affaiblie par l'opposition d'un sixième de l'armée, par le vote des villes principales. D'ailleurs si les oui ont été en très grande majorité, c'était au dessus de tout un hommage rendu à l'intéret supérieur de l'ordre et de la paix domi.nant la situation. Pour peu que ce Souverain veuille donc se rapporter à la cause principale de sa réussite, il doit reconnaìtre que cette réussite n'a rien qui lui soit tellement personnel qu'il puisse s'aventurer sans péril sur la seule foi de ses propres inspirations. Aucun Gouvernement ne serait assuré aujourd'hui de sortir intact d'une melée sanglante, et aucune société ne saurait se promettre dans les conjonctures actuelles d'affronter sans de graves risques cette extremité, en mettant meme à part le hasard des batailles.

La tentation serait forte cependant pour le Cabinet de Berlin. Il n'aurait en

effet qu'un mot à dire pour provoquer l'entrée immédiate du Grand Duché

de Bade et de la Resse dans la Confédération du Nord. Mais il persiste à croire, moins par crainte de l'étranger que par sagesse politique, que le moment n'est pas opportun. Avant d'admettre d'autres Etats dans son giron, il tient à consolider de plus en plus la stabilité de ses nouvelles provinces, à perfectionner et à compléter les institutions fédérales, et à augmenter le nombre de ses partisans au de là du Mein. Il peut d'ailleurs compter sur l'auxiliaire du temps, car les tronçons de la nation allemande tendent naturellement à se rejoindre malgré les efforts des particularistes pour les tenir désunis.

Dans tous les cas, en présence de la nouvelle phase qui vient d'etre inaugurée dans l'existence aventureuse de la France, il convient d'attendre avant de se prononcer, que l'attitude de son Gouvernement soit mieux dessinée.

494

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 41. Roma, 13 maggio 1870.

Ce matin il y a eu séance du Concile. On s'attendait à la reprise de la discussion sur le Schème «de parvo Catechismo»; mais au lieu du débat, on a entendu le rapport d'un évèque beige sur ce Schème et la déclaration que le Pape et la députation ne pouvaient pas admettre des modifications telles que les Pères qui ont voté «ad modum », les avaient proposées. Aucun membre de l'opposition n'a bougé ni mot soufflé, et ainsi tout était fini!

On passait à la discussion du nouveau Schème sur l'Infaillibilité. Monseigneur Pie monte à la tribune et fait un discours plein d'éloges en faveur du Schème. Son argument le plus saillant est que l'humilité chrétienne impose aux Pères le devoir de voter pour l'Infaillibilité. La majorité était tout enchantée de ce commencement du débat; personne n'a demandé, après monseigneur Pie, la parole, et la séance a été close à 11 heures et demi. Demain, séance et continuation de la discussion commencée sous de si bons auspices!

Je suis prié de porter à la connaissance de V. E. le fait suivant.

Hier soir, il s'est présenté à monseigneur Strossmayer l'éveque de Cajazzo (provinces Napolitaines), monseigneur Riccio, et lui a fait un exposé de la situation embarrassée de l'épiscopat italien à l'égard de la question de l'Infaillibilité. Monseigneur Riccio prétend que plus de 150 évèques italiens sont contraires à la dogmatisation de l'infaillibilité, mais que, mal vus du Gouvernement italien à cause de leurs sympathies plus ou moins prononcées pour les princes déchus, ils n'osent pas braver l'hostilité implacable du Saint-Siège, leur unique soutien dans les circonstances données. S'il y avait moyen d'introduire la votation secrète au Concile, ils seraient unanimes a voter par «non placet »; mais cela étant impossible, ils seraient contraints de voter par « placet » contre la voix de leur conscience, à moins que le gouvernement italien par l'intermédiaire d'un évèque

italien qui jouit de la confiance entière du gouvernement italien et de l'épiscopat italien ne leur assurait formellement sa protection contre les persécutions de la part de la Cour de Rome lesquelles seraient la conséquence inévitable de leur opposition contre l'Infaillibilité.

Monseigneur Strossmayer lui a répondu qu'il n'avait point de relations, ni directes ni indirectes, avec le gouvernement italien, et que monseigneur Riccio ferait mieux de s'adresser à un des évéques italiens qu'il croyait en bons rapports avec le gouvernement italien. Mais que, camme son opinion toute personnelle, il croyait que le gouvernement italien ne regarderait pas de si près les sympathies dynastiques de certains évéques italiens lorsqu'il s'agirait d'une question si capitale que celle de l'Infaillibilité, et que partant il ne doutait point que le gouvernement italien n'accordait pas sa protection tout entière aux évéques qui à cause de leur vote contraire aux velléités du Vatican encourraient les haines et les persécutions du parti qui y domine.

Monseigneur Riccio insistait de nouveau et ne se rassura qu'après que monseigneur Strossmayer lui eut dit qu'il s'aboucherait sur cette affaire avec un d es évéques italiens. Il va de so i qu·n n'aura garde d'en parler à un évéque; mais il m'a prié d'en informer V. E. afin d'aviser s'il y a lieu. Il me semble que tout dépend des garanties que peut offrir le caractère de ce monsigneur Riccio. Je prie dane V. E. de vouloir bien me faire savoir quelle réponse je dois donner à monseigneur Strossmayer fort intéressé à cette affaire.

(l) Ed. in TAMBORRA, pp. 279-280.

495

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2224. Belgrado, 14 maggio 1870, ore 13 (per. ore 16,15).

L'agent et consul général d'Autriche a remis au Gouvernement serbe projet de convention pour modifications au capitulations et de convention extradition. Je ne crois pas au succès de mes démarches pour en obtenir aussitòt copie.

496

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA

D. 105. Firenze, 14 maggio 1870.

Ella ricevera con questo corriere copia dei documenti che ho presentato alla Camera dei Deputati relativamente al luttuoso caso di Maratona. Ho suecessivamente deposto sul banco della Presidenza le altre corrispondenze scambiate fra il Ministero e codesta Legazione, e concernenti lo stesso argomento.

Qui unito Le trasmetto copia di un Rapporto del Ministro del Re a Londra (1), acciocché Ella possa vedere quali sieno precisamente gli intendimenti del Go\ierno inglese circa questo doloroso affare. I due Gabinetti di Firenze e di Londra, animati dagli stessi sentimenti, continueranno a mantenersi in rapporto fra di loro per un comune apprezzamento dei fatti e per la scelta della linea di condotta da seguirsi.

Non solamente essi vedono con piacere l'accordo che si è stabilito fra le loro rispettive Legazioni in Grecia, ma desiderano entrambi che l'azione dei loro rappresentanti presso il Governo elleno abbia a mantenersi nei termini di una completa intelligenza.

Noi crediamo che il Governo del Re Giorgio sia più di ogni altro interessato a che anche la parte dei masnadieri che si è sottratta alla forza pubblica abbia a cadere in mano della giustizia, e ci lusinghiamo che nessuno sforzo sarà da lui omesso per l'inseguimento e la punizione dei rei e dei loro complici. Frattanto però i rapporti da Lei trasmessimi hanno rivelato l'esistenza in Grecia di uno stato di cose gravissimo, del quale la catastrofe di Oropo non è che una lugubre manifestazione. È indispensabile che codesto Governo adotti provvedimenti proporzionati ai pericoli di una situazione che esige un pronto ed energico rimedio. Il Governo del Re intende dare una sicura testimonianza della sua sollecitudine per la nazione greca per richiamare seriamente il Gabinetto di Atene al sentimento della propria responsabilità, in faccia dell'opinione generale dei Governi e dei popoli inciviliti.

Finora, dai vari rapporti pervenutici, si possono desumere soltanto le tristi condizioni della sicurezza pubblica in Grecia, e le principali circostanze dei fatti di Maratona: ma un'inchiesta severa, alacremente condotta, potrà solo guidare allo scoprimento delle cause dei fatti medesimi, e della maniera nella quale le autorità, ciascuna nella sf.era della propria azione, hanno adempiuto ai doveri del loro ufficio. Noi credevamo che il Governo elleno avrebbe preso egli stesso l'iniziativa di una simile inchiesta. Ciò non essendo, Ella dovrà mettersi d'accordo col signor Erskine per proporla, ed insistere presso i Ministri greci affinché venga accolta. Le investigazioni sulla condotta delle autorità amministrative prima, dopo, e durante i fatti che condussero alla catastrofe di Oropo, potrebbero infatti trovarsi fuori della sfera delle attribuzioni dei magistrati ordinari; ora, in una caso tanto grave, è indispensabile che non si lasci intentato alcun mezzo per ottenere la maggior luce possibile, e noi ci lusinghiamo che il Governo greco non avrà bisogno degli incitamenti dei Rappresentanti d'Italia e d'Inghilterra per fare ciò che è conforme anzitutto alla sua dignità ed al suo interesse.

(l) Si tratta probabilmente del n. 47!1.

497

L'INCARICATO D"AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 198. Vienna, 14 maggio 1870 (per. il 20).

Francesco di Borbone, ex Re delle due Sicilie, muoveva or son tre giorni per Costantinopoli, accompagnato da poche persone.

Durante il di lui breve soggiorno in Schdnbrunn si ebbe egli ogni maniera di dimostrazioni d'affetto dalla famiglia imperiale, cui lo vincolano legami d'intima parentela.

S. M. l'Imperatrice, segnatamente, ostentò a più riprese una soverchia simpatia pel cognato mostrandolo al suo lato nelle passeggiate pubbliche. Nel castello imperiale ebbero luogo vari banchetti, ai quali intervennero il Conte di Parigi, il Duca di Chartres, l'ex Sovrano di Hannover ed altri principi germanici stretti insieme dal sangue o dalla sventura, ma la presenza dei Sovrani Austro-Ungarici non poteva mancare dal produrre compiacimento presso questa aristocrazia e ravvivare in qualche modo i sospetti dei partigiani del nuovo sistema.

Sono in grado pertanto di assicurare che tutto il corpo diplomatico si astenne dal rendere visita agli ospiti di Schdnbrunn. Il Barone Winspeare, ultimo rappresentante ufficiale del Borbone, venne, per desiderio speciale dell'Imperatore, invitato ad abitare quella residenza mentre vi rimanevano i reali parenti.

L'ex regina Maria Sofia è tuttora qui ed in breve si recherà insieme all'augusta sorella a Ischl per farvi i bagni, e poscia, al ritorno del marito, in Baviera e Svizzera.

Mi si assicura essere intenzione degli ex-Reali di Napoli di acquistare nelle vicinanze di Vienna a Enzensdorf una casa di campagna, ove stabilirebbero loro stanza nel prossimo inverno.

Ho creduto mio dovere dover rendere V. E. informata di quanto precede.

498

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTHO A PARIGI, NIGRA

T. 1124. Firenze, 15 maggio 1870, ore 11,45.

Une bande républicaine de soixante à cent individus s'est réunie dans les Maremmes toscanes. Poursuivie par les troupes elle parait vouloir franchir la frontière romaine entre Orbetello et Radicofani. Nos soldats feront tout ce qui est possible pour lui barrer le chemin. Mais la bande pourrait échapper à leur surveillance à cause du petit nombre d'hommes qui la composent, et étant guidée par un malfaiteur du pays qui connait toutes les fòrets et tous les sentiers des Maremmes. Veuillez prévenir verbalement M. Ollivier.

499

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2227. Parigi, 15 maggio 1870, ore 18,20 (per. ore 19,55).

J'ai communiqué verbalement à M. Ollivier le contenu de votre télégramme d'aujourd'hui (1). La nomination de Gramont au ministère des affaires étrangères parait arretée définitivement.

500

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (2)

R. 1122. Parigi, 15 maggio 1870.

Con telegramma in data lO corrente (3), l'E. V. mi fece l'onore di domandarmi una relazione sull'opinione del Governo francese intorno al progetto di riforma giudiziaria in Egitto, elaborato dalla Commissione internazionale del Cairo. Non potrei meglio corrispondere alla domanda dell'E. V. che col mandarle, come fo, qui unito (4) il progetto che il Governo francese intende comunicare alle varie Potenze interessate e che formola le sue idee intorno a tale questione.

501

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 1125. Firenze, 16 maggio 1870, ore 18,10.

La bande que je vous ai signalée hier a été cernée par les troupes; les 41 individus dont elle se composait ont été tous arretés.

37 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. XII

(l) Cfr. n. 498.

(2) Ed. in LV 21, p. 90.

(3) -Cfr. n. 490, nota 2. (4) -Non si pubblica; è edito in LV 21, pp. 90-94.
502

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 560. Berlino, 16 maggio 1870 (per. il 19).

Dans mon dernier entretien avec le Secrétaire d'Etat, j'ai cherché à savoir quelle était l'attitude du Cabinet de Berlin dans la question relative aux paturages de Veli e Malo Brdo. J'aurais désiré connaitre dans quel sens étaient conçues les instructions tracées à son commissaire à Scutari. D'après sa réponse, j'ai tout lieu de supposer que ces instructions ne sont pas très positives. L'Agent du Gouvernement Royal devrait s'appliquer à s'entendre avec ses collègues pour amener une transaction équitable. Les travaux de la commission internationale devront d'ailleurs etre soumis à l'examen des représentants des Puissances à Constantinople.

* M. de Thile, que j'ai aussi interrogé sur un autre point, n'a pas été à meme de me fournir des renseignements précis sur le résultat de la mission de Nubar Pacha à Constantinople, dans le but d'obtenir de la Porte l'autorisation de négocier avec les Puissances étrangères pour la sanction à donner au rapport de la commission internationale relatif au projet de réorganisation judiciaire en Egypte. Le Gouvernement Prussien semblait n'avoir pas encore une opinion bien arretée sur les hésitations du Khedive dans cette question importante. M. de Thile pensait que Nubar Pacha viendrait peut-etre aussi à Berlin. On saurait mieux alors le véritable état des choses *.

503

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERNA, MELEGARI

T. 1126. Firenze, 17 maggio 1870, ore 18,40.

Les préfets de Como et de Sondrio télégraphient au ministre de l'intérieur que dans leur province on parle d'une invasion mazzinienne dans la Valtelline qui s'organiserait à Bellinzona. Je ne sais pas ce qu'il y a de fondé dans ce bruit. Ce qui est certain c'est que nous n'avons aucune foi dans les autorités ticinoises, car nous avons les preuves certaines que Mazzini était à Lugano pendant qu'à Berne on niait sa présence dans le Canton Tessin. Veuillez appeler la plus sérieuse attention du Gouvernement fédéral sur ces bruits d'invasion, pour qu'on surveille activement et sérieusement. L'expédition de la Valle d'Intelvi en 1848 a été organisée par Mazzini à Bellinzona. Le fait ne peut se réaliser qu'avec une tacite tolérance des autorités. Nous ne saurions le tolérer.

(l) Il brano fra asterischi è edito, con alcune varianti, in LV 21, p. 94.

504

IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2234. Berna, 18 maggio 1870, ore 20,10 (per. ore 21,55).

J'ai donné communication du télégramme chiffré de V. E. (l) au président de la Confédération. Il m'a répondu que justement le Conseil fédéral dans la séance du matin sur les nouvelles reçues venait d'ordonner au Tessin de faire passer Ceneri aux réfugiés italiens et autres étrangers suspects qui se trouvent encore du còté de Lugano, mais voyant que c'était précisément de Bellinzona que devait partir l'expédition, il m'a promis qu'on ajouterait aux ordres déjà expédiés celui que les réfugiés ne pourraient s'arréter que dans le Canton au deçà des Alpes. On trouvera moyen de contraindre le Gouvernement du Tessin sur le compte du quel je partage l'opinion de S. E. le ministre de l'intérieur, d'exécuter fidèlement l'ordonnance fédérale.

505

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

ANNESSO CIFRATO (2). Lisbona, 18 maggio 1870 (per. il 26).

Ministre d'Espagne à Lisbonne a été appelé dernièrement par télégraphe à Madrid par son Gouvernement, avant de partir il a dit à ce Ministre des Affaires Etrangères qu'en Espagne la question du Souverain devient trèsurgente. Sous forme d'initiative personnelle il a demandé si les idées de candidatures portugaises pouvaient étre reprises à l'égard du Roi D. Fernand ou bien du second fils du Roi de Portugal agé de 4 ans.

M. Mendez Leal a répondu sous la méme forme personnelle qu'il croyait Roi Don Fernand trop compromis par son refus préalable pour changement décision. Quant à l'infant il la croyait non acceptable pour le Portugal, qui vcrrait toujours au fond Union Ibérique anthipatique au pays ni profitable à l'Espagne car ce serait souveraineté de fait d'un personnage espagnol déguisé en Régent.

M. Mendez Leal n'en a pas parlé au Roi mais le Conseil des Ministres unanime considère cas échéant candidature de l'Infant dangereuse et inacceptable à moins d'une garantie collective des Puissances peu probable. Quant au Roi Don Fernand lui laisse, cas échéant, complète liberté d'action et de décision.

M. -Mendez Leal m'a avoué et confié celà lorsque je lui ai demandé hier matin ce qu'il peut y avoir de vrai dans les bruits qui me sont confidentiellement parvenus à ce sujet et il a assuré qu'on est resté là. Espagne n'ayant point fait proposition officielle ou officieuse les deux Rois ne m'ont rien dit ni fait aucunement allusion à ce qui précède, pourtant je sais que on travaille beaucoup auprès du Roi Don Fernand pour le décider, mais je pense sans succès.
(l) -Cfr. n. 503. (2) -Al r. 96. non pubblicato.
506

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1127. Parigi, 18 maggio 1870 (per. il 21).

L'ingresso dei signori di Gramont, Mège e Plichon nel Ministero francese non modifica sensibilmente il suo colore e non pare tale da esercitare alcuna importante influenza sulle sue tendenze.

Il Gabinetto si è difatti completato con essi, senza dar ragione a coloro che lo credevano ridotto alla necessità di cercare un nuovo appoggio nella destra del Corpo Legislativo, ed altresì senza fare una più decisa evoluzione verso la minoranza di sinistra, come da taluni gli si consigliava.

Il Duca di Gramont, che non appartiene né al Senato, né al Corpo Legislativo, rappresentò durante gli ultimi dieci anni la Francia alla Corte di Vienna, e l'E. V. può rendersi ragione delle personali sue tendenze dalla condotta ch'esso tenne in quel posto e che Le è senza dubbio sufficientemente nota. Egli fu per lungo tempo accreditato presso S. M. il Re a Torino e tenne quel posto, che non era senza difficoltà, con soddisfazione del suo e del nostro Governo. La sua nomina non solleva finora proteste, forse appunto perché egli ebbe minor campo di partecipare negli ultimi tempi al movimento politico interno.

Il signor Mège, che fu candidato ufficiale nelle ultime elezioni, firmò nello scorso luglio l'interpellanza dei centosedici e fece adesione al programma del centro destro col quale egli votava nelle deliberazioni del Corpo legislativo che gli aveva affidate le funzioni di suo Vice Presidente. Il signor Mège fu altre volte avvocato e decano dell'ordine nel Puy-de-Dòme.

Il signor Plichon, che succede nel Ministero dei Lavori Pubblici al Marchese di Talhouet, è uno dei membri più determinati del centro sinistro della Camera, e sotto l'aspetto di questo suo colore parlamentare, la sua nomina ha una speciale importanza, giacché proverebbe che il Ministro Ollivier, malgrado la sua separazione da Daru e da Talhouet non la ruppe tuttora con quella frazione della Camera. Le sue opinioni economiche sono opposte a quelle rappresentate dal signor Rouher. Ma vuolsi particolarmente notare che gli si attribuiscono tendenze favorevoli alla scuola cattolica che era ultimamente rappresentata nel Gabinetto dal Conte Daru.

507

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

R. 143. Pietroburgo, 18 maggio 1870 (per. il 24).

Conformemente agli ordini ricevuti col pregiato telegramma dell'E. V., in data del 10 maggio corrente (2), fui subito a richiedere il signor Westmann, aggiunto del Principe Cancelliere, di tutte quelle informazioni che egli era al caso di fornirmi sui lavori della Commissione internazionale di Alessandria per la riforma giudiziaria da operarsi in Egitto.

Non sono per anche in istato, signor Ministro, di potere stendere precisa e ragguagliata relazione sui disegni e le opinioni del Gabinetto imperiale rispetto a questa grave controversia, perciocché il signor Westmann ebbe a dirmi che il suo Governo non aveva nella soluzione di essa che un interesse secondario, atteso il piccolo numero di sudditi imperiali e le poche faccende a cui esso doveva provvedere in quelle terre, e quindi che non sarebbe stato al caso di formulare con qualche precisione il suo modo di vedere sui punti principali di tale vertenza, se non dopo aver preso cognizione del giudizio che ne facevano gli altri maggiori Potentati * e segnatamente quello di Parigi *.

Promisemi del resto che, non sì tosto gli fossero pervenute all'uopo le comunicazioni che egli aspettava, avrebbe avuto meco qualche altro colloquio, onde io avrei potuto ritenere quelle nozioni che dall'E. V. vennero richieste.

Seppi altresì dall'Ambasciatore di Francia questa mattina, che nessuna partecipazione era stata fatta da lui fino a quest'ora alla Cancelleria russa, quanto alla vertenza egiziana, ma che egli teneva, ciò avrebbe dovuto seguire coll'arrivo del prossimo corriere, il che avverandosi, me ne avrebbe prontamente informato.

Prego l'E. V. di rendersi certa che io non mancherò della dovuta sollecitudine nell'adempimento dell'onorevole incarico.

508

IL CONSOLE A RUSTCIUK, DURANDO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 4. Rustciuk, 18 maggio 1870 (per. tl 24).

In continuazione al rapporto n. 3 (3) di questa serie ho l'onore di riferire brevemente sulla condizione politica della Bulgaria.

Fu anche nel 1842 che assieme alla questione religiosa si cominciarono ivi i moti insurrezionali. In quell'anno si formò a Matchin, città quasi dirimpetto

a Ibraila, una banda di circa mille Bulgari con Greci Russi e pochi Valachi. I Turchi la dispersero facilmente.

Nel 1848 un migliaio di Bulgari radunatisi in Valachia passò di nuovo a Matchin; e deludendo ogni attacco corse una gran parte ad appoggiarsi a Grabova sui Balkani.

Tennero per qualche tempo il campo sbarazzando quei luoghi dalle famiglie turche che là erano stabilite; poi si sbandarono; e alla spicciolata ripassarono il Danubio.

Nel 1868 altro tentativo, e lo si era pensato con certa quale organizzazione. Il passaggio doveva farsi simultaneamente da Tourna Oltenitza e Ibraila in Valachia con tre bande di cinquecento uomini. Solamente la banda di Turna passò poco sopra di Nicopoli, e si internò sui Balkani. Le altre due non ne ebbero il coraggio. Più tardi man mano tentarono alcuni di quelle di afferrare la riva bulgara; e i pochi che riuscirono andarono a raggiungere i compagni sui monti. Quivi si trattennero per la state; poi mancando di ajuti, un dopo l'altro, ritornarono in Valachia.

Nel 1869 di nuovo un centinajo di fuorusciti sbarcarono nelle vicinanze di Sistovo. Uccisero quanti turchi trovarono nella campagna, e pure essi presero la via dei Balkani. Ma vivamente inseguiti si rifugiarono in Serbia; e di là perché accolti freddamente, ripassarono per donde erano venuti.

In queste loro incursioni, solo nella prima del 1842 ebbero gli insorti a sostenere un combattimento, nel quale la maggior parte fu presa e uccisa. Nelle altre successive fu più il rumore che il danno e gli insorti poterono quasi sempre, eccetto alcuni pochi, ripassare il fiume.

Per questi fatti si formò un'emigrazione che principalmente si stabilì in Valachia e Moldavia. Ivi già eravi un considerevole numero di Bulgari emigrati volontariamente in vario tempo per ragione di commercio: e vi sono pure antichissime colonie bulgare massime nella Moldavia. Gli emigrati politici, di cui forse il numero può calcolarsi ad un migliajo, ebbero quindi il vantaggio di trovare un buon appoggio nei propri connazionali. Profittando della libertà d'azione che il Governo rumeno loro accordava, fondarono una stampa ed organizzarono comitati.

I loro giornali sono la Narodnost (Nazionalità) organo dei comitati; la Svoboda (Libertà) foglio più moderato, l'Oteietstvo (Patria) organo di una frazione dell'emigrazione, che tutto spera dalla Russia ed è da questa inspirato: infine il Tepan (Tamburo) periodico umoristico politico tutto antirusso. Questi giornali son tutti pubblicati in Bukarest. Ve ne ha un altro umoristico in Ibraila il Hitar Petar (Pietro il furbo): è da poco tempo che si edita e non pare politico. La spesa di stampa, all'infuori del giornale l'Oteietstvo sussidiato dalla Russia, è sopportata dai soli Bulgari dei Principati. In Bulgaria non ne sono introdotte che poche copie di nascosto. Il Governo turco al riguardo di quei giornali è inesorabile. Pei detentori multe e prigione, e fino anche i lavori forzati.

I comitati sono generalmente fissi a Plojesti, Bucarest, e Galatz, talora

convengono pure in Giurgewo e Ibraila, o in altri luoghi della riva secondo il

bisogno, o la parola d'ordine. I medesimi vorrebbero essere come i rappresen

tanti del gran partito nazionale. Loro programma politico sarebbe l'indipendenza assoluta della Bulgaria: però essi riservano questo scopo finale; giacché per ora riconoscono che è difficile a pensarsi non che a realizzarsi: si limitano perciò a lavorare per un principato alla foggia del serbo e del rumeno. Diceva non ha guarì, la Narodnost: «la Dio-mercè, la Bulgaria può ancora trovare nel suo seno i discendenti degli antichi suoi Re. La Bulgaria sarebbe pertanto in assai miglior condizione della Rumenia che dovette andare all'estero in traccia d'un Principe. Tal condizione non dovrebbe essere sprezzata dalla Porta, perché è condizione che toglie occasione allo straniero d'intervenire tra il vassallo e il sovrano~.

Un partito singolare è quello che chiamerò partito russo. Esso non va tanto oltre come il precedente. Si contenterebbe pure della soggezione al Sultano ma con buone riforme. Il sistema dell'amministrazione turca non dispiace: solamente a vece dei turchi si vorrebbero i cristiani al posto, ossia più veramente si vorrebbero gli uomini del proprio partito. A cotestoro i principii liberali non vanno troppo a sangue. Essi pensano che l'autorità è qualche cosa di privilegiato, di sacro; è qualche cosa che si lega e si identifica colla religione. Il governo russo accarezza questo partito; di cui anzi si può dire che ne ispiri e ne diriga le teorie autocratiche.

Naturalmente tra questo partito e il radicale-nazionale vi è una enorme distanza, e dalle polemiche loro nell'Oteietstvo e nella Narodnost se ne dedurrebbe l'impossibilità d'accordo: ciò nullameno il partito russo si presta a cospirare coll'altro, e sopratutto ad ajutarlo con denaro ed istigarlo all'azione.

In Bulgaria le cose sono assai più calme. La rigorosa vigilanza turca e i sommari procedimenti di repressione impauriscono i patrioti e li forzano a tacere o nascondersi. Però non mancano neppure i partiti. Vi ha anche il partito radicale-nazionale e il russo.

Il primo ha i suoi aderenti più all'interno del paese; ed è in perfetta armonia e corrispondenza con quello dell'emigrazione nei principati. Anni addietro era più numeroso, ma dopo gli insuccessi del 1868 e 1869 spossato dalle molte spese fatte diminuì grandemente.

Il russo che si potrebbe pur chiamare il partito dei notabili (Tchorbadji) è, mi si permetta l'espressione, più una consorteria che un partito. Esso si compone dei Tchorbadji e loro aderenti. Il Tchorbadji, come ebbi l'onore di riferire in uno dei miei precedenti rapporti, è il capo della nazione, è quello che è membro di tutti i Medgiliss, che amministra i beni e le rendite della comunità, che è l'intermediario tra il governo e il raja. È un eccellente mestiere, perchè gli basta essere amico coll'autorità turca (e il Tchobardji lo è sempre) per non avere più a render conto a chicchessia delle rendite della comunità. Oltre a ciò il Tchorbadji riceve grosse sportule dai correligionari che hanno a fare coll'autorità, ripartisce le imposte tra suoi dimenticando sè nel riparto, e ricordandosene nelle spese di esazione: alleandosi infine col Pope pensa che la religione e l'autorità debbono andar di accordo a mantener nel gregge il rispetto e la sommissione.

Questo partito, a differenza di ciò che fa il suo confratello dell'emigrazione, non tratta col nazionale; di soppiatto anzi contro quello si fa delatore

non tanto per combattere i principii rivoluzionari, quanto per amicarsi l'autorità turca. Malgrado ciò anch'esso aspira a liberare la Bulgaria dal giogo turco ma colla santa Russia.

Un terzo partito è ora in formazione. Il partito dei giovani Bulgari. Esso si compone di molti che abbandonarono il partito nazionale-radicale per aver visto che i capi del medesimo oltre a non essere capaci di riuscire ne facevano un mestiere valendosi a proprio profitto del denaro dei patrioti; e si compone poi della gioventù.

Questo partito pensa che avanti d'insorgere debbesi preparare il terreno spandendo l'istruzione e migliorando la condizione materiale della massa: debbesi ripudiare l'associazione della Russia perché solamente sostiene i Bulgari per i suoi fini particolari e non per interesse loro: debbesi rivolgere la gioventù ad educarsi in occidente e non più in Russia dove non si ha che un'istruzione monca superficiale e clericale; debbesi infine accostarsi alla religione cattolica onde guadagnar primamente le simpatie e la protezione delle Potenze occidentali e in secondo luogo onde coll'adottare i principi di progresso di quella scuotere l'immovibilità dell'ortodossa. Per non rimanere nel puro campo delle teorie già si è cominciato a mandar giovani per essere educati in Boemia: si cominciò anche ad organizzare gabinetti di lettura e si ha speranza di poter giungere fra non molto all'amministrazione della comunità per dar mano allo sviluppo delle scuole.

I giovani Bulgari hanno l'istesso scopo del partito radicale salvo che differenziano nei mezzi. Essi pure pensano che i limiti della Bulgaria non sono quelli dell'attuale Vilajet, ma li spingono da Nisch sulle porte della Serbia al golfo di Salonicchio. In queste loro pretese trovansi contro ai serbi e i greci; i quali a lor volta pretendono estendere il loro territorio sino a mezzo della Bulgaria propria. Da coteste gare resta spiegato come il Bulgaro è poco amico del Serbo, e quasi nemico del Greco.

Quale è poi la forza di tutti questi partiti in Bulgaria? Quasi nulla; perché ristrettissimo è il numero dei parteggianti e poveri sono di denaro. La grandissima maggioranza bulgara è una massa ignorante indifferente asservita e avida. L'avidità è uno dei vizii capitali del Bulgaro. Nei fatti degli ultimi due anni avvenne che per semplice venalità un padre consegnò il figlio insorto al patibolo; ed un figlio denunziò la madre di aver nascosto armi. I tradimenti e le delazioni tra fratelli, parenti e amici non contansi. Nello scorso inverno nel Mutasserifato di Vidino un notabile, certo Mikelaki denunzia il vescovo Dimitri come agente russo. Alla sua volta il vescovo denunzia il Mikelaki quale agente del Comitato Bulgaro di Bukarest. Il Mutasserif fa arrestare ambedue, e li spedisce a Costantinopoli. Ma per via sono liberati perché il Vescovo era il confidente del Valy di Rustciuk e il Mikelaki l'agente secreto del Vizir Ali Pascià.

Il fatto della delazione è ciò che grandemente indebolisce i partiti. Forse quello che ne è un po' più esente è il partito dei giovani Bulgari.

Da quanto ebbi l'onore di esporre se ne deduce che se si è ancora lontanissimi dalla formazione d'una questione Bulgara, però un movimento si è già incominciato con certe tendenze e con un tal quale scopo determinato. Forse

non è cosa priva d'interesse il tenervi d'occhio e seguirne l'andamento. Ebbi l'onore di ricevere a suo tempo il dispaccio di V. E. in data 31 marzo

u.s. -n. l (l) della presente serie, e poco dopo il piego contenente n. 68 documenti diplomatici. P. -S. -In Schumla, sede del quartier generale delle truppe di Romelia, distante una giornata da Rustciuk si sta formando un campo di circa 20/m uomini. Scopo di esso, dicesi, è puramente per esercitazione militare però a sentire i giornali e corrispondenze russe vi sarebbe sotto qualche fine politico. II certo si è che in Bulgaria la tranquillità è massima per ora.
(l) -Ed., ad eccezione del brano fra asterischi, In LV 21, p. 94. (2) -Cfr. n. 490, nota 2. (3) -Non pubblicato.
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TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (2)

L. P. 43 (3). Roma, 18 maggio 1870.

Dans la Séance d'hier le Concile a repris la discussion sur l'Infaillibilité. L'opposition est très-vive et comme tout ce qu'il y a de distingué dans l'épiscopat du monde entier appartient à cette opposition, il est aisé à comprendre que ses discours dominent le Concile. Les Infaillibilistes, surs de leur majorité et du résultat du Concile, se tiennent assez tranquilles. Hier, a parlé au nom de la majorité Monseigneur Deschamps; son discours a été très-insignifiant, et n'a point fait d'impression sur l'opposition. De la part de l'opposition ont parlé Monseigneurs Hefele et David. Le discours de Monseigneur Hefele a été tout académique, froid et tranquille. II malmenait la théologie des Jésuites et disait que depuis 30 ans qu'il enseigne la théologie il s'est-fait un devoir de lire tous les écrits de ses adversaires et que partant il savait parfaitement ce qu'ils contenaient: mais que dans la Bible et dans l'histoire ecclésiastique il n'a jamais réussi a trouver les choses que les théologiens jésuites prétendent y avoir découvertes.

La Séance d'aujourd'hui était extrèmement importante à cause des deux discours des Cardinaux Schwarzenberg et Rauscher contre l'Infaillibilité. Le discours du premier était si passionné et violent que meme ses amis le priaient de se modérer. L'impression qu'il a produite était écrasante pour la majorité, et a entrainé l'opposition toute surprise du courage du Cardinal. En un mot, le discours est un événement.

Le Cardinal Schwarzenberg a commencé son discours par rappeler à l'assemblée le serment que le pape Benoit XIII a imposé aux Cardinaux, à savoir de dire au pape la vérité toute entière et en tout temps, et de ne pas regarder si la vérité lui plait ou non, car les Cardinaux sont les seuls conseillers légitimes du pape. II parle donc en connaissance de son double devoir de Cardinal

et d'Eveque à une personne qui, cédant aux adulations et aux obsessions d'un parti ou plutòt d'une secte, parait s'etre proposé d'écraser l'Eglise sans penser qu'il serait, lui, le premier à etre écrasé sous les ruines. Se taire en pareilles circonstances, ce serait se rendre complice du crime médité contre l'Eglise, et pour cela il ne se laissera pas interrompre ni enlever la parole par personne. La Cour de Rome rend ridicules l'Eglise et le Concile qui, au lieu de réparer les fautes du Concile de Trente, s'occupe de betises et d'études sur un sujet sacrilège tel que l'attribution de l'Infaillibilité à un homme dont on n'ose pas affirmer l'Impeccabilité. Le monde entier se moque de ces énormités et méprise une Eglise qui souffre qu'on les lui impose. Dans sa patrie Bohème l'esprit du Hussitisme, jamais éteint malgré les fureurs jésuitiques, se reveille et réclame la liberté de l'Eglise, que la Cour de Rome a confisquée, et la réforme «in capite et membris » pour se defaire de la Cour de Rome. En ce moment, cette meme Cour de Rome fait un supreme effort pour imposer au monde le joug le plus lourd, le plus absurde et le plus insupportable! Pour la Cour de Rome l'Histoire n'existe pas; elle n'en connait pas les enseignements. La Monarchie a confisqué les droits des corporations, des états et des municipes; et dans le moment qu'elle avait choisi pour achever ses usurpations, vint la Révolution et engloutit la Monarchie qui moralement ne se rélevera jamais plus. Voilà le sort que la Cour de Rome prépare à l'Eglise! Au Vatican on se moque de l'opposition et de san dévouement pour l'Eglise du Christ; on entend passer pardessus les tetes de cette minorité de 128 individus; mais cette opposition représente 145 millions des Catholiques les plus instruits et les plus dévoués, unanimes tous à r,epousser l'attentat dirigé contre la raison et contre la religion chrétienne. Et puisqu'on dit que le pape se compromettrait s'il retirait ce malencontreux Schème, il faut répondre qu'il vaut mieux que le pape seul soit compromis que qu'il compromette toute l'Eglise. Si vous autres croyez le pape infaillible, vous restez maitres de croire à l'Infaillibilité du Pape; mais nous autres ne voulons pas que vous nous forciez d'accepter une doctrine que

nous déclarons absurde et sacrilège.

Voilà l'analyse la plus exacte possible de cet étonnant discours d'un Cardinal que la presse viennoise veut faire passer pour un réactionnaire politique de la pire espèce! Je suppose, à la vérité, que ce discours a été écrit par le Père Mayer, moine Cisteaux de Prague, théologien du Cardinal et selon les journaux de Vienne réactionnaire tchèque des plus acharnés; mais je crois que le Cardinal mérite tout éloge pour avoir prononcé un pareil discours. Il fut écouté avec un morne silence; les Cardinaux et les prélats romains palissaient et rougissaient tour à tour mais contenaient leurs sentiments et empechèrent de cette façon l'opposition de manifester san approbation.

La séance fut interrompue, et les Pères avaient vraiment besoin de se reposer. Après la reprise de la Séance, le Cardinal Rauscher a fait lire par Monseigneur Hefele san discours contre l'Infaillibilité, discours savant et calme, mais qui, après la Philippique du Cardinal Schwarzenberg, a manqué l'effet qu'il aurait produit en d'autres circonstances.

Jusqu'ici il y a 82 éveques d'inscrits pour ou contre le Schème; il y aura

tous les jours séance pour terminer la discussion jusqu'aux Pentecòtes.

(l) -Non pubblicato. (2) -Ed. in TAMBORRA, pp. 281-283. (3) -Non si pubblica la l. p. 42 di Tkalac del 16 maggio.
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TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L.P. 44. Roma, 19 maggio 1870.

La séance du Concile d'aujourd'hui n'a pas été moins remarquable que celle d'hier. Ont parlé de la part des Infaillibilistes les Cardinaux Cullen et Moreno, tous deux sans daigner d'aucune attention le discours du Cardinal Schwarzenberg ni apporter aucun argument nouveau dans la discussion; de la part de l'opposition a pris la parole Monseigneur Youssouff, Patriarche d'Antiochie du rite grec-melkhite, élève de la Propagande et homme qui jusqu'ici a toujours passé pour infaillibiliste. Quel fut l'étonnement de la vénérable Assemblée, lorsque Monseigneur Youssouff commença à exposer ses doctrines diamètralement opposées à celles des Schèmes « de fide » et « de Ecclesia »!

Il déclara porter la parole au nom de toute l'Eglise de l'Orient. L'Eglise orientale reconnait le primat de l'évéque de Rome, mais elle a toujours réservé et réserve toujours ses droits à l'indépendance et à son autonomie dont la reconnaissance expresse de la part des papes est la base inaltérable de son union avec l'Eglise romaine. Avant de se rendre au Concile actuel les évéques orientaux étaient unanimes à reconnaitre qu'en matière de dogme et de la discipline rien ne devait étre changé au préjudice de l'Eglise orientale, et que les décrets du Concile de Florence marquaient l'extrème limite des concessions que l'Eglise orientale pouvait faire à celle de Rome. Si l'Eglise de Rome entend passer outre, il faut qu'elle sache que c'est alors elle qui détruit les bases de l'union et contraint l'Eglise orientale de se séparer d'avec elle à jamais. L'autonomie de l'Eglise orientale doit dane étre respectée sous peine du schisme irréparable. En ce qui concerne le dogme l'Eglise orientale ne reconnait ni ne reconnaitra jamais d'autres dogmes que ceux qui ont été établis par les grands Conciles oecuméniques de l'Eglise tout entière, telle qu'elle a été avant la séparation des Eglises de l'Orient et de l'Occident. C'est là un dépòt de foi qu'elle gardera le plus soigneusement sans jamais permettre qu'on en enlève ou y ajoute rien. Toute tentative de cette nature doit ètre regardée camme attentat sur la religion chrétienne et camme usurpation sur l'Eglise. Le Christianisme est, un, non obstant la diversité des Eglise et des rites. Si le Christianisme avait besoin de définir un nouveau dogme, il démentirait 19 siècles de son existence et proclamerait sa déchéance. Et quand bien mème il en aurait besoin, ce dogme nouveau ne pourrait ètre definì qu'avec le concours et par l'unanimité de toutes les Eglises qui professent la foi en Jesus Christ, fussentelles unies avec la romaine ou séparées d'elle. Seulement si les Eglises schismatiques et protestantes prenaient part à ce Concile et reconnaissaient à l'unanimité la nécessité de créer un dogme nouveau, alors seulement cette discussion serait admissible: en l'état cependant l'Eglise orientale doit la regarder camme une usurpation de la cour de Rome, et protester de toutes ses forces contre un funeste dessein dont le résultat inévitable sera la défection de l'Eglise

romaine de la croyance de l'Eglise universelle. L'orateur adjure les Pères de repousser le Schème entier et tout spécialement l'Infaillibilité afin de sauver l'unité de l'Eglise du Christ.

L'impression de ce discours, bien conçu et assez bien prononcé, a été accablante. Si la terrible requisitoire du Cardinal Schwarzenberg a tout particulièrement impressionné les Cardinaux et la prélature romaine, le discours de Monseigneur Youssouff a consterné tout l'auditoire en lui faisant voir la pente d'un abime dont il parait avoir ignoré jusqu'à l'existence. On me dit qu'il était impossible de se faire une idée de la consternation de la majorité; la défection des Orientaux modifierait sensiblement les conditions des partis en présence. Mais avant tout il faudrait savoir si Monseigneur Youssouff s'est donné lui-meme la mission de parler au nom de toute l'Eglise orientale, ou si, de manière ou d'autre il y a été autorisé par ses confrères orientaux: en ce cas sa déclaration serait d'une immense gravité. Je ne manquerai pas de m'en informer (1).

(l) Ed. in TAMBORRA, pp. 283-284.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL PRE!iiDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA

D U.R. Firenze, 20 maggio 1870.

Affrettasi il sottoscritto a rispondere alla Nota in margine indicata (2) e pet· meglio precisare il senso delle varie comunicazioni che già ebbero luogo fra il Ministero dell'Estero e quello dell"Interno intorno all'oggetto della medesima stimo opportuno ricordare che il Bakounine è un conosciuto agitatore in re"!.azione coi Comitati della demagogia universale, non risulta però a suo carico alcun reato comune che possa autorizzarne l'estradizione. Il Netchaiew invece, oltreché appartiene egli pure al partito sovversivo europeo, avrebbe a suo carico nn omicidio commesso in Russia per vendetta settaria.

Questi due pericolosi individui sono seguiti e sorvegliati da alcuni agenti russi di cui si sono comunicati i nomi per raccomandarli ai Prefetti di Torino e di Milano.

Fra l'Italia e la Russia non esiste convenzione di estradizione. Non è dunque il caso che da quel Governo Imperiale possano essere domandati né il Bakounine, né il Netchaiew in base ad un positivo accordo internazionale. L'estradizione del Bakounine non potrebbe accordarsi in nessun caso; quella del Net

chaiew potrebbe forse accordarsi se, dall'esame delle carte processuali che dovrebbero in ogni modo venir trasmesse alle competenti autorità italiane, risultasse che il reato a lui imputato non ha un carattere essenzialmente politico. In tutti i casi però si l'uno che l'altro appartengono a quella classe di uomini pericolosi contro i quali qualunque Governo può adottare tutti i provvedimenti necessari alla propria sicurezza, epperciò il Ministero dell'Interno vedrà se convenga meglio esercitare sui medesimi una attiva sorveglianza ovvero se sia miglior partito il farli accompagnare alle frontiere. In quest'ultimo caso parrebbe conveniente far avvisare ufficiosamente gli agenti Russi sovra indicati delle misure che si intenderebbero adottare affinché questi possano seguire fuori del Regno quegli individui pericolosi sottoposti alla loro sorveglianza.

(l) -Si pubblica qui un brano della I. p. 45 di Tkalac del 20 maggio: «Monseigneur Darboy a fait un discours académique qui, prononcé par un auLre personnage que le favori de l'empcreur Napoléon. n'et1t pas fait beaucoup d'impression; mais, gràce à cette circonstance, on trouve le discours très important. Monseigneur de Paris a très habilement résumé !es arguments mis en avant contre l'Infaillibilité; il a, avec une grande force de logique, ana!ysé et disséqué !es raisonnements des Infaillibilistes, sans cependant alléguer des polnts de vue nouveaux. n n'a pas lnslsté sur !es droits de !'Eglise gallicane, mais il a, avec des paroles sévères, blàmé !es tendances centralisatriccs de la Cour de Rome, tendances qui provoquent clans le monde clvilisé tout entier des soupçons et àes aversiones et qui, un jour, pourront avoir pour conséquence la chute du pouvoir temporel de l'Eglise. n a conclu à la réjection clu Chapitre 4° du Schème (de Romani Ponttjicis Infallibilitate) et au remaniement des trois Cllapitres antéricurs dans le sens du Statu quo existant dans l'Eglise ». (2) -Si tratta della Nota 12107.
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IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 562. Berlino, 20 maggio 1870 (per. il 2fJJ.

Par mes dépéches N. 553 et 554 (1), j'ai signalé et commenté un incident digne de remarque à plus d'un titr.e. Je crois devoir ajouter quelques explications.

Depuis le 24 Février dernier, la défiance du Cabinet des Tuileries a été tenue plus que jamais en éveil par un discours prononcé au Parlement fédéral par le Comte de Bismarck, en réponse à la motion du député Lasker, motion qui tendait, plus ou moins directement, à !aire admettre le Grand Duché de Bade dans la Confédération du Nord (dépéche N. 532) (2).

Le Baron de Werther avait demandé peu après, au Ministre Impérial des Affaires Etrangères, s'il n'avait pas été satisfait du langage du Chancelier Fédéral, qui avait repoussé la demande de M. Lasker.

Le Comte Daru, mis en demeure de se prononcer, n'a pas hésité à dire que tel n'était pas son sentiment. Si le Comte de Bismarck avait décliné d'accueillir les suggestions d'un membre du parti national-libéral, ce n'avait été que par des motifs d'opportunité rebus sic stantibus. Comme il le déclarait, il était complètement d'accord sur le but de l'unification de toute l'Allemagne, dont il ne préjugeait pas déjà sous une forme concrète l'achèvement, lequel pouvait cependant ètre considéré comme susceptible d'un progrès indéfini, la Confédération actuelle du Nord n'étant qu'une forme transitoire. Quant aux moyens de parvenir à ce but, on s'est réservé une entière liberté d'action. Le traité de Prague n'a pas mème été nommé comme si on voulait lui dénier toute valeur. S'il en était ainsi, il n'existerait plus de droit international. Aux yeux de la France, le traité

trace les limites de la Confédération; aucun changement ne saurait y etre apporté, à moins qu'on ne veuille s'exposer à de graves complications.

Le Ministre français ajoutait cette dernière considération:

L'idée se faisait peut etre jour, à Berlin, que l'on aurait facilement raison du régiroe parlementaire en France, qui avait remplacé le Gouvernement personnel. C'était là une illusion. Si la Prusse se permettait un pas au delà du Mein, lui, Comte Daru s'empresserait de dénoncer pareille violation du Traité de Prague à la Chambre, et, dans le cas où celle-ci y verrait un casus belli, le Ministère le suivrait dans cette voie.

Au dire de M. Benedetti, le Comte Daru aurait eu une seconde fois l'occasion de s'exprimer dans le meme sens vis-à-vis de M. de Werther.

Ces détails expliquent, dans une certaine mesure, pourquoi l'Ambassadeur de France aurait été induit à interpeller M. de Thile sur des bruits en circulation, relativement au titre d'Empereur d'Allemagne et à une prochaine entrée de Bade et de la Hesse Granducale dans la Confédération. S'il a agi spontanément, il cherchait à se mettre en garde contre toute surprise; mais, si sa démarche était prescrite de Paris, ce serait une preuve que M. Ollivier, qui gérait le Ministère des Affaires Etrangères, a modifié les opinions qu'il manifestait, le 15 Mars 1867, comme député, dans un discours au Corps Législatif.

V. E. sait que M. de Thile démentait, séance tenante, les bruits ci-dessus mentionnés, et y opposait un second démenti après en avoir parlé avec le Roi. Supposons meme qu'ils aient eu, un instant, quelque raison d'etre, lorsqu'il régnait encore quelque incertitude sur le résultat du plébiscite, lorsque certaines parties admettaient que les chances de l'Eropereur étaient à la baisse. Aujourd'hui que le scrutin a mis en relief un succès qui a dépassé l'attente générale, et que le prestige du Souverain est resté intact, le moment ne serait certes pas des mieux choisis pour courir l'aventure. Ce serait intempestif et dangereux, pour le Nord comme pour le Midi, de jeter ainsi un brandon de discorde au milieu de l'Europe, si désireuse du maintien de la paix. Le Comte de Bismarck, s'il est très hardi dans son jeu, s'il nous réserve encore bien des surprises, est trop perspicace pour ne pas se rendre compte de la situation véritable des choses. Il ne se risquera qu'à bon escient, surtout quand il sait que, en définitive, le triomphe ne peut échapper tòt ou tard à l'Allemagne, si elle manoeuvre de manière à se défendre de toute imprudence, de toute provocation, dùt-elle meme attendre tout le temps qui s'écoule d'une génération à une autre.

Il est assez probable que la manière de voir du nouveau Ministre des Affaires Etrangères, le Due de Gramont, ne diffère pas essentiellement de celle du Comte Daru, ne serait-ce que parceque, en apparence du moins, aux yeux de l'opinion publique de son Pays, il a, comme M. Benedetti beaucoup à se faire pardonner. A tort ou à raison ces deux diplomates passent pour n'avoir pas en 1866 assez bien renseigné leur Gouvernement sur les forces respectives de l'Autriche et de la Prusse. Il est vrai que M. de Gramont, surtout après l'expérience faite à cette époque, doit maintenant connaitre le còté faible de la Monarchie Austro-Hongroise, et que, quelles que soient ses sympathies pour cet Etat, il ne saurait y voir un allié à toute épreuve.

(l) -Cfr. nn. 462 e 475. (2) -Cfr. n. 275.
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IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 97. Lisbona, 20 maggio 1870 (per. il 28).

Il mio telegramma di jeri (l) ha già sommariamente informato il R. Governo, con i dettagli che potei io stesso raccogliere al Palazzo d'Ajuda, della rivolta militare capitanata dal Duca di Saldafiha, la quale ebbe per conseguenza immediata, e forzata le dimissioni del Ministero Loulé e l'incarico dal Re dato al Maresciallo di formare il nuovo Gabinetto nominandolo intanto Ministro della Guerra ed interinalmente dell'Interno (Reino) con decreti portanti la sola firma Reale, perché il cessato Ministero si è rifiutato di controsegnarli adducendo la mancanza di libertà d'azione del Sovrano.

Il primo atto del nuovo e solo Ministro fu la destituzione del Governatore Civile di Lisbona e dei funzionarii politici che ne dipendono, come pure la convocazione del Generale Comandante la Divisione Militare e dei Capi di Corpo, per confermare loro gli ordini del Re, già diramati per telegrafo nella notte da Sua Maestà dal Suo Real Palazzo d'Ajuda circa i pieni Poteri del Duca di Saldafiha.

Nella giornata di jeri il Duca telegrafò al Vescovo di Viseu, attualmente nella sua Diocesi, per offrirgli il Ministero dell'Interno, ma fin'ora non giunse la decisione di quel prelato. Fece ugualmente offrire per mezzo d'intermediario un portafoglio al Conte d'Avila che declinò la proposta. Fui assicurato che il signor Caldeira, già deputato, uomo d'ordine e costituzionale, farà parte del Gabinetto Saldafiha. Fin'ora nessuna comunicazione venne fatta al Corpo Diplomatico sul repentino cambiamento di Ministero.

Si ritiene per certo che le Cortes saranno sciolte immediatamente e persone bene informate assicurano che le nuove elezioni saranno fatte con nuova legge elettorale elaborata dittatorialmente. Intanto il Maresciallo diede l'ordine alla guardia del Parlamento d'impedire assolutamente l'ingresso a' Pari ed ai deputati sia individualmente sia in corpo: oggi però tale ordine venne ritirato ed assicurasi che i membri delle due Camere vi si recheranno.

È tuttavia difficile e prematuro in momenti di tanta confusione ed inesplicabile sorpresa dare veridici dettagli circa i fatti deplorabili occorsi nella notte del 18 al 19, in cui primieramente poche centinaja di popolo s'impadronì [sic] del forte S. Giorgio, che domina la città, per rimetterlo al Duca di Saldafiha colà giunto dipoi onde porsi alla testa delle truppe che fecero adesione alla sua politica, e successivamente che un migliajo di soldati senza i capi di corpo, che per la maggior parte si rifiutarono di marciare, capitanati dal Maresciallo abbiano di fatto dettato legge alle prerogative Reali e costituzionali. È parimente inesplicabile e deplorabile che il cessato Ministero, il quale per organo d'uno dei suoi membri, il giorno precedente alla rivolta militare, rispondeva

con rassicurazioni officiali ai miei timori, vaghi per verità, perché io non avevo dati né indizii, ma pur profetici (Mio Dispaccio Politico N. 96 -18 corrente (1), fosse così imprevidente ed ignaro del fatto, da lasciare in tal guisa sorprendere il Governo, il Paese intero e più ancora esporre a pericoli la Famiglia Reale nel Suo proprio Palazzo, la quale, come ne ebbi la conferma io stesso da Reale sorgente, fino ad ora avanzata della notte rimase del tutto ignara dell'imminente pericolo e fu soltanto fatta prevenire primieramente da un individuo addetto alla Casa Reale, di stare in guardia.

Il conflitto tra la guarnigione d'Ajuda, fedele alla sua consegna, più la truppa acquartierata nelle vicinanze e fatta riunire al Palazzo dal Ministero all'ultim'ora poco prima dell'arrivo del Maresciallo, e quelle che lo seguivano, poteva divenire gravissimo, malgrado gli ordini del Re di non far fuoco, poiché allorquando fu intimata la resa alla truppa fedele fuvvi spontanea resistenza e fuoco da ambe le parti con cinque morti e quattro gravemente feriti: diverse palle di fucile penetrarono nella sala del consiglio ove trovavasi il Re che mandò subito ordine formale di cessare da ogni conflitto e resistenza e di obbedire al Maresciallo, ordine che fu in pari tempo telegrafato, per comando di Sua Maestà, al Generale comandante la Divisione di Lisbona.

Contemporaneamente a tali fatti il Maresciallo presentavasi al Re dicendo, come lo disse poi anche alla Regina, «che veniva a salvare la Dinastia ed il Paese:~>. Sua Maestà, nell'intento di evitare effusione di sangue e guerra civile, né avendo presso di sé alcun Ministro o Generale, accolse le proposte del Maresciallo, le quali per quanto possa esserne buona l'intenzione e sperabile non dannoso il risultato, erano pur sempre di fatto presentate ad un Sovrano Costituzionale sulla punta della spada. Il Re accettò le demissioni del cessato Ministero presentate personalmente dal Duca di Loulé, mandato a prendere al Palazzo del Ministero da un ajutante di campo di Sua Maestà con una scorta di lancieri, conferendo in pari tempo al Maresciallo il mandato di formare il nuovo Gabinetto, colla Presidenza ed il portafoglio della guerra per esso.

In queste emergenze, gravissime sotto ogni aspetto e sulle quali a me non compete fare appreziazioni, non può mettersi in dubbio che il Maresciallo malgrado la sua senile età, di 80 anni, mostrò coraggio personale, molta energia e pari abilità di esecuzione.

La Regina non fu svegliata che a fatti compiuti (alloraquando il Maresciallo era maitre de la situation) e se ne dolse moltissimo apertamente con tutta la corte. Appena alzata Le fu presentato il Maresciallo, dal Re; questo futuro Ministro dirigente ripeté alla Regina le parole già dette al Sovrano.

Appena ebbi sentore, la mattina per tempo, dei fatti della notte, poiché il Palazzo della Legazione travasi assai lontano dal centro della città ed ancora più dalla corte per averne potuto essere informato prima, mi recai immediatamente ad Ajuda ove giunsi alle 10 a.m. e chiesi della Regina, poiché sentiva il dovere di trovarmi presso l'Augusta Figlia del Nostro Augusto Sovrano, in momenti sì gravi, onde essere in grado anzitutto di dare notizie telegrafiche al Suo Augusto Genitore. Il Re D. Luigi non era visibile perché ritirato nei

suoi appartamenti, né avrei osato farmi annunziare senza previo Suo ordine speciale in tali contingenze, poiché sempre mi astenni, mi astengo e mi asterrò, non solo dall'immischiarmi, ma neppure dal !asciarlo supporre, nella politica interna del Portogallo.

Lisbona fu jeri ed oggi completamente tranquilla, né la popolazione dette alcun segno di allarme o di timore.

La Regina degnò ammettermi immediatamente nei suoi appartamenti, ringraziandomi di essere venuto subito ad Ajuda, narrandomi in gran parte i fatti della notte, confermatimi dipoi dai personaggi di servizio del Re, testimoni oculari dell'occorso.

Sua Maestà era naturalmente triste ed in preda ad una troppo giusta emozione ma, con quella energia e coraggio caratteristici della Sua Reale Famiglia, dispiacentissima di non essersi trovata (per non sua colpa) presente ai pericoli della situazione. Fui incaricato di telegrafare buone notizie della Sua salute al Re ed alloraquando congedato dalla Graziosa Sovrana Le chiesi il permesso di ritornare oggi a prendere Sue notizie, Sua Maestà rispose benevolmente «sempre e quando volete ».

Prego V. E. di voler comunicare testualmente a Sua Maestà il presente dispaccio, atteso l'interesse speciale di Famiglia fra le due Reali Corti.

P. S. -Ritorno all'istante da Ajuda ove fui di nuovo a prendere notizie della Regina, che la Dio mercé continuano buone, benché tuttora molto attristata. II Re degnò vedermi puranche per poco: Sua Maestà non entrò meco in alcun particolare, ma si dolse molto non avere avuto presso della Sua Real Persona alcun Ministro né alcun Generale, in momenti sì gravi ed urgenti. Unisco qui il resoconto d'oggi della Camera dei Pari, testè pubblicato (1).

(l) T. 2240, non pubblicato.

(l) Al n. 505 è edito solo l'annesso cifrato a tale rapporto.

514

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (2)

R. 113. Alessandria, 20 maggio 1870 (per. il 27).

S. A. il Khedive è arrivato in questa Città, ove sonsi trasportati anche tutti i Ministeri, e pare che, malgrado l'incendio del nuovo Palazzo di Ramle, persista nella buona intenzione di passare qui i mesi estivi.

Egli mi ha partecipata la notizia giuntagli per telegrafo da Parigi che la Commissione ivi riunita abbia pronunciata l'adesione del Governo francese alla riforma giudiziaria, opinando soltanto che si debba sospendere momentaneamente quella parte che concerne la giurisdizione criminale. Secondo Sua Altezza ora Nubar Pascià potrà più facilmente sormontare le piccole difficoltà che esistono presso altri Gabinetti, a Vienna particolarmente, e riuscendo a ciò Egli pensa che sarà indispensabile un accordo delle Grandi Potenze per la

38 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. XII

nomina di una Commissione internazionale con voto deliberativo, per concordarsi sul progetto che dovrà mettersi in esecuzione, e sul modo come rendere per tutti obbligatorio il nuovo sistema.

Interrogatolo sulle pratiche che egli intendeva iniziare per pervenire a questo scopo, il Khedive mi rispose di aver data illimitata autorità a Nubar, che stando sui luoghi, può meglio apprezzare le cose e le eventualità, di prescegliere quella via che avesse giudicata più conveniente quando la Commissione di Parigi si fosse pronunciata; che ignora tuttavia quali determinazioni abbia prese, e che si premurerebbe comunicarmele appena Nubar gliene darebbe conto.

(l) -Non pubblicato. (2) -Ed. con alcune varianti in LV 21, pp. 100-101.
515

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2241. Parigi, 21 maggio 1870, ore 15,10 (per. ore 17,20).

Aujourd'hui l'Empereur a reçu solennellement au Louvre la communication du résultat du plébiscite faite par le président du Corps Législatif. L'Empereur a répondu par un discours qui a été très applaudi et qui se réfère exclusivement à la politique intérieure. Vous en recevrez le texte dans quelques heures par l'agence Havas.

516

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 563. Berlino, 21 maggio 1870 (per. il 24).

Dans le dernier envoi de documents diplomatiques, j'ai remarqué entre autres le N. 175 en date de Vienne du 23 mars dernier (l), qui contenait quelques informations sur la question du Schleswig. De nouvelles analogues ont circulé ici aussi vers la mème époque, mais comme de simples bruits. Rien d'étonnant donc qu'ils aient eu cours à Vienne, et que mème ils y aient trouvé quelque crédit, car le Cabinet Impérial est plutòt enclin, je ne dirai pas à répandre des soupçons sur la politique prussienne, mais du moins à ne pas démentir dès l'abord ce qui peut jeter un jour fàcheux sur les allures du Comte de Bismarck. Je sais cependant que le Comte de Wimpfen avait écrit au Comte de Beust, à propos du voyage à Paris du Colone! Stoffe!, que cet Attaché militaire n'avait aucune mission. D'un autre còté le Ministre danois, M. de Quaade, nie positivement que l'Empereur de Russie ait écrit au Roi Chrétien IX pour le prévenir d'une proposition prochaine de la Prusse relativement au Schleswig.

Quant à l'idée d'une médiatisation des Etats formant la Confédération du Nord, qui serait présentée en guise de compensation pour l'exécution de l'Article V du Traité de Prague, j'avoue n'en avoir jamais oui parler. Le consentement de la plupart des Souverains de second ou troisième ordre et méme celui des princes les plus microscopiques serait difficillement acquis à une semblable combinaison. Les temps ne comportent pas l'emploi des voies coercitives. Rien ne permet de supposer, que la France, si elle était consultée, donnerait san assentiment. Au reste ces souverainetés sont déjà à peu près réduites à l'état de simples préfectures, et on ne comprendrait pas en vertu de quels motifs urgents la Prusse voudrait déjà leur enlever leurs dernières attributions. Elle peut en effet encore se contenter de disposer de leurs forces militaires, et de les tenir en arrèt par une législation fédérale où elle s'est fait la part du lion. Il semblerait assez vraisemblable néanmoins que dans les régions officielles à Vienne on eùt, de prime abord, envisagé camme une médiatisation le fait éventuel du titre d'Empereur d'Allemagne à prendre par le Roi Guillaume ou offert plus ou moins spontanément à Sa Majesté par les autres Souverains confédérés. Sur ce point je ne puis que me référer à mon rapport N. 562 (1).

J'ai demandé à mon collègue de Danemark s'il avait quelques données qui lui permissent d'admettre une entente quelconque entre la France et l'Angleterre à l'effet de proposer une conférence appelée à résoudre l'affaire du Schleswig. Il n'en savait pas le premier mot. Mais il se montrait assez incrédule à ce sujet. Le Cabinet de St. James serait en principe plus que jamais contraire à une semblable intervention. Tout au plus se prèterait-il à une réunion de puissances pour coordonner les éléments nouveaux et consacrer, en les révisant au besoin, les transformation accomplies dans les profondes secousses qui ont ébranlé les bases et déplacé les limites des Etats. Il ne faudrait pas oublier cependant que ce fut l'Angleterre surtout qui fit échouer le projet d'un Congrès mis sur le tapis par l'Empereur Napoléon, en 1863.

Quant aux relations entre le Danemark et la Prusse, il est de fait que depuis plus de deux années il n'y a plus eu de pourpar1er sérieux pour l'aplanissement de la question pendante entre ces deux pays. Les députés du Nord du Schleswig au Parlement douanier et au Reichstag, où ils croient pouvoir siéger sans manquer à leurs convictions puisque le serment de fidélité n'y est point exigé, camme dans les Chambres prussiennes, ne négligent pourtant aucune occasion, mais sans aucun succès, pour donner un memento au Gouvernement et à la représentation nationale.

Je n'entends point pour autant critiquer en aucune manière les renseignements transmis, au reste sous une forme nullement positive, par le document diplomatique précité. J'ajouterai mème que les bruits dont il s'agit ne manquent pas d'une certaine signification en ce qu'ils sont pour ainsi dire les signes du temps, les avant-coureurs des modifications qui un jour ou l'autre surviendront encore dans le droit public européen. A ce titre notre Légation à Vienne avait raison de les communiquer à V. E. Pour mon compte je tenais seulement à mander le résultat de mes propres investigations.

(l) Cfr. n. 343.

(l) Cfr. n. 512.

517

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 564. Berlino, 21 maggio 1870 (per. il 24).

Le Due de Gramont s'est empressé, dès son entrée en fonctions, de donner les meilleures assurances au Baron de Werther. Sans cacher ses sentiments bienveillants envers l'Autriche, il a déclaré qu'il avait également le plus vif désir de conserver des relations les plus amicales envers le Cabinet de Berlin. Telles étaient d'ailleurs les vues de l'Empereur, vues qui répondaient si bien aux tendances plus que jamais pacifiques de l'Europe.

Ce n'est pas tout. M. Ollivier a laissé entendre au Baron de Werther que, si le nouveau Ministre des Affaires Etrangères avait des propensions pour l'Autriche, lui, M. Ollivier, veillerait au besoin à ce qu'elles restassent renfermées dans une juste mesure. Il aurait soin, entre autres, de se faire soumettre les dépeches de quelque importance.

J'ai exprimé au Secrétaire d'Etat ma satisfaction de ces indications qu'il avait bien voulu me fournir, car l'Italie avait le plus grand intéret à voir régner la bonne intelligence entre les Puissances. Ces indications étaient en méme temps de nature à calmer l'effet produit par un article assez bélliqueux, publié récemment par le Constitutionnel, surtout si on le rapprochait du langage, rien moins qu'approbatif qui aurait été tenu par le Comte Daru à l'Ambassadeur de la Confédération, à propos d'un discours du Comte de Bismarck au Reichstag, en réponse à la motion du député Lasker.

M. de Thile a nié le fait. Je dois constater cette dénégation, qui vient à l'encontre de ce que je mandais à V. E. par ma dépéche d'hier, n. 562 (1). Les renseignements y contenus m'avaient cependant été communiqués, en voie confidentielle, par un de mes Collègues qui les tenait directement du Comte Benedetti, et ils m'avaient été confirmés par l'Ambassadeur d'Angleterre.

518

IL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2242. Atene, 22 maggio 1870, ore 13,35 (per. ore 9 del 23).

Sept brigands de la bande Arvaniti ont été ce matin condamnés à mort par le jury: quatre pour le massacre du 21 avril, et 3 pour crimes précédents.

{l) Cfr. n. 512.

519 IL CONTE VIMERCATI A VITTORIO EMANUELE II (l)

T. Parigi, 22 maggio 1870, ore 16. (per. ore 18,30).

Pardon si je n'ai pas télégraphié avant. Troubles Paris n'avaient pas d'importance, Gouvernement a montré force et modération. Gramont est venu me voir avant sa nomination, pour me dire que l'Empereur lui avait proposé les affaires étrangères en lui déclarant que la base de sa politique était l'alliance avec Autriche et Italie. J'ignore si Gramont est venu auprès de moi conseillé par l'Empereur ou de son initiative. Empereur caresse nos anciens projets, pourra-t-il les exécuter? Nous le verrons et j'informerai.

520

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 98. Lisbona, 22 maggio 1870 (per. il 29).

Facendo seguito al mio Dispaccio N. 97, d'avant'jeri (2), in cui oltre, i possibili dettagli sulla rivoluzione militare della notte aggiunsi il resoconto della prima seduta delle Cortes, mi pregio completare oggi le informazioni che potei consecutivamente raccogliere, ed in pari tempo trasmettere, qui unito, all'E. V. il sunto del conto-reso della seconda seduta, jeri, del Parlamento (3). Nella Camera dei Deputati, prima di essere aggiornata, fu votato, all'unanimità, l'ordine del giorno di uno dei suoi membri, concepito nel modo seguente: «La Camera dei Deputati protesta contro la violazione della Costituzione, e fa voti perchè le libertà pubbliche possano uscire illese dalla crisi in cui il paese è in preda~.

Jeri in Consiglio di Stato, ove non intervennero però i cessati Ministri che ne fanno parte, fu decretato l'aggiornamento delle Cortes appoggiato specialmente dal signor Fontes, al quale fu già offerto un portafoglio, ma subito rifiutato, come lo furono anche quelli offerti ad altri personaggi importanti.

Il Vescovo di Viseu, alla di cui cooperazione politica il Duca di Saldafiha tiene molto, non ha peranco fatta nota la sua decisione. Si crede che difficilmente accetti di far parte del Ministero, ma in caso affermativo non senza condizioni, tra le quali tre portafogli per Esso e suoi amici politici.

Non havvi dubbio che in queste difficili emergenze il Maresciallo ha cercato di riavvicinarsi principalmente, ma fin'ora invano, al partito Viseu e renderlo solidario della sua attuale e futura politica.

Il solo candidato ministeriale, e per una gran parte politico, è per ora il Conte Paniche, Pari del Regno e Capo del partito agitatore.

Fui assicurato, e potei in parte assicurarmene io stesso, che la parte più intelligente della Capitale, e perfino i suoi parenti che occupano alta posizione sociale, disapprovano l'operato del Maresciallo. Lisbona continua però ad essere interamente tranquilla ed in preda soltanto a quella sorpresa che altre volte produssero avvenimenti molto meno gravi, per cambiamenti ministeriali e non a mano armata con rivoluzioni militari.

Se è notevole tale indifferentismo, lo è puranche il fatto che nessuna manifestazione repubblicana si sia avuta dopo i fatti della notte del 18 al 19 i quali come già dissi, sorpresero, Governo, Corte, Diplomazia e Paese.

Già ne riferii nel mio precedente dispaccio la causa e gli effetti e debbo soltanto aggiungere che il Presidente del Consigilo (Duca di Loulé) fu nella serata per affari personali dal Re D. Ferdinando, ave poi andarono a passare la sera le loro maestà regnanti, tutti ignari dell'imminente pericolo: il Re

D. Ferdinando, Sua Maestà lo ha confermato essa stessa a persone intime, non fu informato dell'occorso nella notte, che la mattina alle ore 7, ora in cui ne fui informato io stesso.

Ignorasi se il movimento testè avvenuto possa essere collegato alle idee iberiche alle quali il Maresciallo sembrò in addietro propenso. È superfluo per me ripetere quanto sempre ebbi l'onore di ragguagliare il

R. Governo, cioè non esservi in Portogallo partito Iberico propriamente detto, ma anzi ostilità permanente in ogni classe, a qualunque combinazione di tal natura.

(1) Da ACR..

(2) -Cfr. n. 513. (3) -Non pubblicato.
521

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BUCAREST, FAVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 180. Bucarest, 22 maggio 1870 (per. il 30).

Già prima di ricevere il pregiato dispaccio di questa serie n. 17,(l) relativo alla Zecca rumena, io aveva rinnovato al Signor Golesco ed al Signor Carp le raccomandazioni che non ho mai cessato di fare sulla convenienza che havvi per questo Governo di informare a moderazione di propositi ed a spirito di conciliazione le sue relazioni con la Porta.

Ciò facendo io mi conformava alle istruzioni che mi ebbi fin dal primo mio giungere a Bukarest, istruzioni che tolsi invariabilmente a guida in tutte le quistioni sorte nei passati due anni.

Mi rincresce però dover confessare che nella vertenza della Zecca la mia voce era al principio poco ascoltata, e dopo diversi indizi che è superfluo enumerare dovetti convincermi che più del popolo rumeno è la volontà del Principe Carlo che ha fatto sorgere questo nuovo incidente. Alla giovanile suscettibilità

di lui, pareva forse che l'effigie di Carlo I sulle monete ravviverebbe quella vernice di indipendenza che è tanto cara a lui ed ai suoi soggetti.

Nelle diverse udienze da lui accordatemi lo trovai in effetti riluttante. «La Turchia, dicevami, disconobbe tutta la lealtà della politica conservatrice che ho inaugurata con l'allontanamento di Bratiano. Se nel 1868 non mi fossi distaccato da lui, la Porta non avrebbe avuto le mani libere nella vertenza turcogreca. Lungi dall'essermi grato il Divano mercanteggia ora una concessione, senza tener conto degli imbarazzi interni che mi crea il suo rifiuto. Intavolai negoziati a Costantinopoli, è vero, ma stanco di trovare ostacoli presso chi per titolo di riconoscenza avrei dovuto rinvenire appoggi, ruppi gli indugi ed inaugurai la Zecca. Non credo del resto dover porgere alcuna risposta al Gran Vizir, non avendo questi riscontrato ad una lettera che per pura degnazione gli diressi in occasione delle mie nozze come feci col Sultano».

Gli risposi che egli ed il suo Governo non avrebbero mai a pentirsi di avere abbandonato le avventatezze degli anni 1867 e 1868 le quali pregiudicavano gli interessi veri del suo paese, e gli ricordai che le simpatie dei Gabinetti europei farebbero difetto alla Rumania se questa con un contegno imprudente e con un atteggiamento provocatore si discostasse nei suoi rapporti con Costantinopoli da quella prudenza e conciliazione, indicategli dalle Potenze che sinceramente rifuggono da ogni complicazione.

Senza tener lo stesso acerbo linguaggio contro la Porta i Ministri affettavano una certa indifferenza. Quando essi vennero al potere erano inclinati ad inviare a Costantinopoli il signor Strat per riprendere i negoziati, ma in seguito prevalse fra loro il concetto che non dovevasi in fin dei conti annettere molta importanza al corruccio dei Turchi. Allorchè il congedo del signor Sturdza, ritenuto attualmente in Moldavia da grave lutto familiare, fosse finito questi riprenderebbe l'affare con Aali Pacha imitando le lentezze del Divano, sul quale il tempo avrebbe favorevolmente agito.

In queste disposizioni mi pervenne il 14 il dispaccio cui rispondo. Raddoppiai allora e con più autorità i miei sforzi per far prevalere e presso il Principe e presso i Ministri i nostri consigli di moderazione, facendo loro comprendere quanto dannosa riescirebbe ai loro interessi una politica di resistenza disapprovata giù dalla maggioranza dei Gabinetti.

Come ebbi l'onore di telegrafare il 18 a V. E. {l) il progetto di spedire il signor Strat a Costantinopoli fu ripreso; questi partì lo stesso giorno, ed ecco le istruzioni verbali che gli furono impartite lasciando alla sua esperienza facoltà di venire ad un accordo salvando la dignità del suo paese. Egli è incaricato:

1° di far comprendere che la moneta già coniata non può essere distrutta;

2° di dichiarare che la Zecca sospende i suoi lavori finchè sono in corso relativi negoziati;

3° di esprimere il fermo intendimento di mantenere negli accordi ulteriori l'effigie del Principe Carlo;

4° ricercare con la Turchia i mezzi più propri, e concertarsi con essa, per distruggere l'idea già entrata nella mente di Aali Pacha che la Rumania volesse prevalersi dell'effigie del suo Principe come di un'arma contro il diritto di alta sovranità della Porta.

Di tutto ciò che precede ho creduto dover dar cognizione al Conte Barbolani.

(l) Non pubbl!cato ma cfr. n. 460.

(l) T. 2235, non pubblicato.

522

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 46. Roma, 22 maggio 1870.

La séance du ConcHe d'hier n'a offert aucun intérèt. N'ont parlé que des Infaillibilistes. On est unanime à reconnaitre que, jusqu'ici, ces Messieurs ne se sont distingués que par leur ignorance égale à leur fanatisme. Les évèques de l'opposition n'écoutent guère les discours de la majorité; ils jasent ou quittent la salle, si ce sont pas les membres les plus distingués de la majorité tels que Monseigneurs Deschamps, Manning, Cullen etc. qui prennent la parole.

Quoique je continue à voir beaucoup de monde, les conversations que j'ai euP.::; ne m'ont pas paru assez importantes ou intéressantes pour en entretenir

V. E. Hier soir cependant j'ai eu une conversation que je m'empresse de porter à la connaissance de V. E. J'étais voir le Cardinal prince Schwarzenberg pour le féliciter de son dernier discours qui, à ce qu'on me dit et ce que je crois sans peine, a profondément ému le Vatican. Le Cardinal était très-sensible aux éloges si bien mérités que je lui a faits et m'a raconté que plusieurs Cardinaux de ses anciens amis lui ont fait des reproches plus ou moins amères et que d'autres dans la séance suivante ont démonstrativement évité de le regarder. «Il faut en finir, dit-il, avec ce régime de chauves-souris à Rome; il faut dénicher cette canaille de valets en soutane qui exploitent le monde catholique entier et s'engraissent des oboles extorquées au pauvre peuple croyant qui ne se doute pas de ce que devient le produit de ses fatigues et de ses sueurs envoyé à Rome. J'ai été plusieurs fois à Rome sans rétourner plus sage que j'y étais venu; mais ces six mois de séjour de Rome m'ont terriblement désillusionné. J'en ai parlé à beaucoup d'évèques allemands, français, anglais et américains, et chez tous j'ai rencontré des sentiments analogues. Le pouvoir temporel a corrompu le pontificat et infecté toute l'Eglise. J'espère en Dieu qu'il sauvera l'Eglise par la chute de pouvoir temporel, et au moyen d'épreuves atroces dont le clergé italien n'a pas moins besoin que le clergé français en 1789 ».

Je lui ai fait remarquer que j'espérais les meilleurs résultats pour l'Eglise de la chute du pouvoir temporel, mais que je doutais fort que jamais le clergé italien soit mis à des épreuves telles que le clergé français de 1789 les a subies, à moins que la république rouge ne s'emparat de l'Europe entière et partant

de l'Italie aussi. Dans les circonstances actuelles qui promettent une durée assez longue, le peuple aussi bien que le gouvernement italien désire vivre en bons termes avec le pontificat et le clergé pourvu que celui-ci accepte les faits accomplis et rénonce à une sourde guerre qui assurément ne profite ni à la religion ni à l'Eglise, parce qu'elle révolte toutes les consciences franches et drmtes contre ses auteurs et fauteurs. Heureusement le clergé italien n'aspire pas à la gioire du martyre; il fai t montre de ses sympathies pour le roi de Naples, le grand-due de Toscane, le due de Modène parce qu'il sait que le gouvernement italien ne s'en fàche pas le moins du monde, parce qu'il est sùr de son impunité, il fait de ces démonstrations à bon marché et espère par cela méme etre agréable au Pape. Mais si le gouvernement italien commençait à prendre ces hostilités au sérieux, ma foi, ces braves évéques modénais, toscans, et napolitains changeraient d'avis aussitòt et s'abstiendraient immédiatement de ces «besa manos '> qui leur sont plus familiers que leurs devoirs sacerdotaux.

Le Cardinal riait en m'écoutant et admit que mes remarques pourraient étre prises du vif. Après avoir continué notre conversation sur ce ton, il m'engageait à aller voir le patriarche Youssouff qui, en parenthèse soit dit, parle assez bien l'italien, et a, au dire du Cardinal, le plus vif besoin d'encouragement et de consolation à cause des intrigues qu'on trame contre lui. Le Cardinal a écrit quelques mots sur moi sur sa carte pour m'introduire chez Monseigneur Youssouff. J'irai le voir un de ces jours prochains.

La nomination de M. de Gramont au Ministère des affaires étrangères français a fait au Vatican la plus désagréable impression. On se console cependant du dévouement inaltérable de M. Ollivier.

(l) Ed. in TAMBORRA, pp. 285-286.

523

IL MINISTRO DI FRANCIA A FIRENZE, MALARET, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

NOTA VERBALE. Firenze, 23 maggio 1870.

Le Gouvernement du Roi connait les conclusions de la Commission internationale qui s'est réunie pour examiner les propositions faites par le Vice-Roi pour la réorganisation des institutions judiciaires en Egypte. V. E. sait également que lorsque cette Commission a été formée, les Cabinets sont convenus de considérer son travail, non comme un projet de convention auquel ils dùssent nécessairement souscrire, mais comme un précieux élément d'appréciation dans l'élaboration des arrangements qu'il s'agissait de substituer à l'état de choses actuel. Ils ont, en outre, reconnu la nécessité de s'entendre avant de prendre aucun engagement définitif dans une question qui intéresse à un égal degré tous les étrangers établis en Egypte.

Le Gouvernement de l'Empereur, en ce qui le concerne, s'est empressé de mettre à l'étude le travail des délégués et il en a confié l'examen à une Commission formée de jurisconsultes, de magistrats, d'agents diplomatiques et consulaires et d'hommes considérables ayant résidé en Orient. D'après le rapport de cette Commission, M. le Ministre des affaires étrangères de l'Empire s'est arrèté aux dispositions énoncées dans le document dont je suis chargé d'envoyer, ci-joint, copie au Gouvernement du Roi (1).

V. E. verra qu'en résumé, l'Empereur est d'avis d'admettre qu'en ce qui regarde les contestations en matière mobilière entre étrangers et indigènes, le remède aux inconvénients signalés se trouve dans l'unité de la juridiction et des lois.

Il admet également, suivant la proposition du Gouvernement égyptien, que les questions immobilières entre étrangers et indigènes, entre étrangers de nationalité différente et mème entre étrangers de la mème nationalité, soient de la compétence des nouveaux Tribunaux. En outre, le Gouvernement impérial se montre disposé à reconnaitre qu'il pourrait ètre avantageux que la juridiction de ces Tribunaux fut étendue en matière civile et commerciale aux procès entre étrangers de nationalité différente et il n'aurait aucune objection à y consentir le jour où le Gouvernement égyptien aurait obtenu l'assentiment des autres Puissances, le procès entre étrangers de la mème nationalité restant toujours du domaine exclusif de la juridiction consulaire.

Pour ce qui regarde la nouvelle organisation judiciaire, le Gouvernement de l'Empereur pense qu'elle est combinée de manière à donner aux étrangers, autant que possible, des avantages équivalents à ceux que leur assure aujourd'hui la justice consulaire, et le fonctionnement de l'ordre de choses à instituer demeure au surplus subordonné à plusieurs conditions qu'il parait nécessaire de spécifier.

1° II sera bien entendu que les Tribunaux nouveaux n'entreront en exercice qu'après que le corps des lois, destinées à ètre appliquées par eux, aura été présenté aux Puissances et que le Khédive se sera assuré de leur assentiment;

2° L'Administration égyptienne ne possédant pas de Conseil consultatif auquel on puisse confier les modifications qui seraient plus tard introduites dans les Codes, il conviendra d'établir que jusqu'au moment où l'Egypte sera en mesure d'offrir, à cet égard, des sécurités suffisantes, tout changement apporté dans les lois donnera aux Cabinets le droit d'examiner si les conditions de l'accord intervenu ne se trouvent pas altérées, et s'il n'y a pas lieu, par conséquent, d'en résilier les clauses;

3° Les Gouvernements doivent se réserver expressément la faculté de revenir au régime aujourd'hui en vigueur, si l'expérience n'était pas favorable au régime nouveau.

Ainsi que voudra bien le remarquer V. E., le projet du Gouvernement de l'Empereur laisse de còté tout ce qui se rapporte au jugement des délits et des crimes. Selon lui, il est indispensable, avant de se prèter à aucune négociation sur un point d'une aussi grande importance pour la sécurité des étran

gers, d'attendre que le progrès des idées et des moeurs aussi bien que celui des Codes, donnent à l'Europe des garanties incontestables. En effet, on ne saurait entrer, dès à présent, dans un ordre d'idées où l'an ne saurait faire aucune concession à l'Egypte sans laisser entamer les capitulations.

En conséquence, la réforme en matière de répression se bornerait, d'après le projet du Gouvernement impérial, à déférer aux nouveaux Tribunaux les simples contraventions de police qui seraient jugées par un juge délégué.

Tels sont en substance, M. le Ministre, les points principaux du projet destiné à réorganiser les institutions judiciaires en Egypte, et sur lequel je suis chargé d'appeler la bienveillante attention du Gouvernement du Roi. L'étude consciencieuse qui a été faite de cette importante question a tout naturellement amené M. le Ministre des affaires étrangères de l'Empire à adopter les conclusions dont je viens de soumettre le commentaire à V. E. Mon Gouvernement, désirant, conformémement à ce qui a été convenu, se mettre d'accord à ce sujet avec les Puissances, attacherait de l'intérét à connaitre les observations que ce projet peut rencontrer de la part du Cabinet de Florence, et je serais très reconnaissant à V. E. de vouloir bien me faire savoir, aussitòt qu'il lui sera possible, dans quelle mesure le Gouvernement du Roi est disposé à accorder son assentiment aux idées émises par le Gouvernement de l'Empereur.

(l) Ed. in LV 21, pp. 95-96.

(l) Non si pubblica, cfr. LV 21, pp. 90-94.

524

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 565. Berlino, 23 maggio 1870 (per. il 28).

Dernièrement le Ministre de la Confédération de l'Allemagne du Nord à Athènes a demandé à son Gouvernement s'il était autorisé à se joindre, le cas échéant, aux démarches des puissances protectrices relativement à l'affaire de Marathon. Avant le dénouement sanglant, il avait, camme ses collègues, fait une communication verbale au Ministre héllénique des relations extérieures sur la capture, faite par les brigands, de fonctionnaires diplomatiques et d'autres voyageurs. Il lui a été répondu de se tenir sur la réserve, puisqu'il appartenait en première ligne à l'Angleterre, à la France et à la Russie de prendre un parti.

Une telle attitude est assez indiquée, du moment surtout où il faut s'attendre à ce que le Cabinet de St. Pétersbourg mettra tout en oeuvre pour faire échouer un accord, qui pourrait aboutir à des mesures trop sévères ou à une pression trop accentuée de la diplomatie pour obtenir une réparation. Dans les questions qui touchent à l'Orient, la Prusse doit observer une grande réserve. Ge n'est que lorsqu'elles deviennent menaçantes pour la paix du continent, que son Gouvernement énonce mieux sa manière de voir, camme il l'a fait dans le dernier démelé entre la Grèce et la Turquie. Mais lorsqu'il pense, camme dans le cas présent, que les réclamations ne sortiront pas de la vaie diplomatique, il s'efface autant que faire se peut, pour ne mécontenter, ni la Russie ni les Puissances Occidentales.

Cette considération aura eu son poids dans l'entrevue récente entre le Roi Guillaume et l'Empereur Alexandre, si tant est qu'il y ait eu entre ces Souverains un échange de vues sur les conjonctures actuelles. Ainsi que je l'ai déjà mandé à v. E., M. de Thile dénie à la visite du Tsar tout caractère politique, sauf qu'elle est une preuve de plus des excellents rapports qui existent entre les deux Cours, ce que personne au reste ne saurait révoquer en doute. Mes propres investigations auprès de quelques uns de mes collègues viennent à l'appui du langage du Secrétaire d'Etat. Si, de part et d'autre, des idées ont été émises sur la situation européenne, ce n'aurait été que dans un sens général et tout à fait personnel, sans engager la conduite des Gouvernements respectifs. Il serait au reste assez difficile de connaitre au juste sur quoi ont roulé des entretiens, qui ont eu lieu dans le cercle de l'intimité.

En admettant meme une alliance entre les deux puissances du Nord, l'objet n'en est point défini. Elle n'existerait que virtuellement, sans effet immédiat. La question d'Orient ne saurait etre entamée sérieusement par la Russie, que si elle parvenait, à défaut de l'Angleterre, à s'entendre avec la France. C'est peut-,etre pour préparer éventuellement le terrain, que le Baron de Brunnow dont l'habilité est incontestable, vient d'etre destiné à Paris. Mais si cette supposition avait quelque fondement, il n'est nullement à présumer que l'Empereur Napoléon consente à se séparer de l'Angleterre. La France doit se souvenir combien il lui a couté cher de s'isoler en 1840, et, plus tard, combien la famille de Louis Philippe a expié la faute commise lors des mariages espagnols.

Quant à la Prusse, elle désire certainement vivre dans la meilleure intelligence avec le Cabinet de St. Pétersbourg, pour utiliser ces bons rapports dans le cas où la France prendrait des allures agressives, ou si l'Autriche se laissait aller à favoriser outre mesure les tendances autonomistes de la Galicle, de manlère à exercer, -selon les idées avouées des Klazko et Czartoriski et selon celles aussi, quoique peut-etre plus secrètes, du Comte Potocki, -une propagande dangeureuse dans les autres parties de l'ancienne Pologne. Mais, si le Comte de Bismarck veut laisser arriver à maturité le mouvement national en Allemagne sans en précipiter le cours nature!, il évitera de s'appuyer exclusivement sur la Russie, car de telle sorte il ne contribuerait d'aucune manière à augmenter les sympathies du Sud pour le Nord. Les Allemands sont en effet imbus de fortes préventions contre cette Puissance. Je me borne à constater ce fait, sans émettre un jugement.

Ainsi, une alliance proprement dite et dans toute l'acception du mot, entre la Prusse et la Russie, pour une solution forcée des deux questions qui respectivement intéressent le plus chacune de ces Puissances, ne semble pas, pour le moment du moins, etre du domaine pratique.

Pour en revenir à l'affaire de Grèce, M. de Thile m'a dit que le Gouvernement Britannique paraissait etre revenu à une appréciation plus modérée sur la mesure des réparations à demander pour le massacre de quelques uns de ses sujets. Lord Loftus, au contraire, m'a confié que Lord Clarendon lui

écrivai't en voie particulière que l'agitation des esprits était loin de se calmer en Angleterre. Donc S. S. ne pouvait encore garantir qu'il ne falHlt peut-étre pas recourir à quelque démonstration pour donner une certaine satisfaction à l'opinion publique.

525

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 166. Tunisi, 23 maggio 1870 (per. il 28).

Parlando coi miei colleghi di Francia e della Gran Bretagna dei gravi inconvenienti, che presenta l'amministrazione della giustizia locale come attualmente si pratica, cioè direttamente dal Bey per tutti anche i più piccoli affari, e della dolorosa necessità di spesso intervenire in via diplomatica per fare correggere decisioni apertamente lesive dei diritti di amministrati rispettivi e della giustizia in processi con mori, nacque in noi il pensiero dell'istituzione di tribunali misti per pronunziare in siffatte questioni, restrittivamente però alle materie civili e commerciali, in guisa da offrire maggiori guarentigie e togliere ragione o pretesto a qualsiasi intervento stragiudiziale.

Pratiche ufficiose in questo senso furono accolte favorevolmente al Bardo, come l'E. V. rileverà dal progetto contenente le basi della riforma giudiziaria onde trattasi, del quale mi pregio trasmettere qui unita copia insieme a quella della nota accompagnatoria del primo Ministro (l).

Io non mi dissimulo i difetti di questo progetto; considerando però che il concetto da cui è informato costituisce indubitatamente un progresso in confronto dello stato attuale di cose e che d'altra parte trattasi per ora soltanto di stabilire un punto di partenza a negoziati, che apron l'adito ad opportune modificazioni, credo in questo senso la proposta meritevole di esame e la raccomando perciò alla benevola attenzione dell'E. V.

Qual corollario di questa riforma è divisamento dei miei colleghi di Francia e di Inghilterra di chiedere che, ad imitazione nostra, sia destinato presso i rispettivi consolati un console giudice, restando così provveduto ai tre giudici europei del tribunale di prima istanza.

Prestando i tre consoli giudici, come membri del tribunale misto, un servizio al Governo locale riceverebbero a questo titolo un'annua indennità di 5000 franchi per ognuno di essi, che è quanto lo stato finanziario del paese consente di erogare a tale scopo.

Questo delle ristrettezze del tesoro tunisino fu pure il motivo per cui si pensò di far sedere nel tribunale d'appello i consoli generali, evitando così la spesa non indifferente a cui si andrebbe incontro designando a tale ufficio giudici speciali europei, come sarebbe preferibile sotto altri rapporti.

(l) Non pubbllcat!.

526

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2246. Alessandria, 24 maggio 1870, ore 9,55 (per. ore 10,30).

Le Gouvernement turc proteste contre achat et occupation par Rubattino du territoire sur Mer Rouge qui d'après firman est territoire turc.

527

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO

T. 1127. Firenze, 24 maggio 1870, ore 15,20.

Télégraphiez moi quel est le firman qui attribuerait à la Porte la souveraineté sur le territoire en question et auprès de qui aurait été faite la protestation dont vous parlez (1).

528

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI

D. 113. Firenze, 24 maggio 1870.

Il Barone di Ktibeck mi ha dato lettura d'una circolare recente del Conte di Beust relativa alle condizioni in cui versano presentemente i Principati Rumeni. Da quel documento risulta che le informazioni giunte da Bucarest hanno risvegliato da qualche tempo l'attenzione del Governo Austro-Ungarico sulla situazione politica della Rumania in modo da ispirargli qualche apprensione.

Il Governo Imperiale per i considerevoli interessi che esistono fra la monarchia Austro-Ungarica e la Romania, e pel suo desiderio di veder stabilirsi in quel Paese un ordine di cose tranquillo e duraturo e di coadiuvare gli sforzi del Principe posto a capo della nazione rumena, fu condotto a considerare quale debba essere il contegno delle potenze nei loro rapporti colla Romania. Il Conte di Beust crede che una soverchia ingerenza dalla parte di queste possa aver per risultato di accrescere piuttostoché di attenuare i pericoli della

situazione. Egli crede però che questo inconveniente si farebbe anche maggiore quando l'ingerenza straniera si esercitasse per mezzo dell'azione isolata di questa o di quella potenza. Infine il Conte di Beust esprime la convinzione che il popolo rumeno saprà vincere le difficoltà presenti per procedere ordinatamente nelle vie del progresso e della civiltà.

Ho risposto al Signor di Kubeck che il Governo Italiano divideva in massima le opinioni espresse nella circolare del Conte di Beust e che riconosceva con piacere questa uniformità di vedute.

Le informazioni che noi pure avevamo ricevuto da Bucarest ci mostravano Io stato della Romania sotto un aspetto poco favorevole. L'instabilità dei Ministeri, le gare dei partiti e le ambizioni personali mantenevano il paese in uno stato di fittizia agitazione che poteva far temere anche qualche più grave pericolo. Ma noi pure credevamo che l'azione dei Governi doveva rimanere nei limiti di quegli amichevoli consigli pei quali l'interesse benevolo che si professa ad un paese non è disgiunto dal rispetto della sua autonomia.

Nulla di più pericoloso nelle condizioni presenti della Romania che il complicare colle ingerenze straniere le lotte e le divisioni dei partiti. Noi abbiamo concorso cogli altri Governi a procurare ai Rumeni quelle condizioni che essi stessi indicavano come le più adatte a favorire il progresso e ad assicurare l'ordine nel loro paese. Ed ora che il popolo rumeno possiede queste condizioni, la miglior prova d'interesse che possiamo dargli, è di !asciarlo liberamente procedere alla scuola dell'esperienza colla coscienza della propria responsabilità.

Quando poi qualche circostanza straordinaria o tale che necessariamente si collegasse colle quistioni internazionali, consigliasse d'abbandonare questa linea di condotta per esercitare un'azione più efficace, crediamo noi pure che quest'azione dovesse procedere dall'accordo comune delle Potenze che concorsero a riconoscere le basi costitutive della Romania. Il Governo del Re era convinto che queste vedute fossero pure divise da tutti gli altri Gabinetti: esse erano d'altronde troppo conformi ai principii costantemente professati dalla politica italiana perché non mi fosse grato ripeterne l'affermazione.

Infine il Governo del Re era lieto di dividere col Conte di Beust la fiducia che il popolo rumeno avrebbe superato queste prime ed incerte prove della sua esistenza, per cercare nell'ordine, nella libertà, nello sviluppo dell'educazione nazionale e del progresso economico le condizioni del suo avvenire e dellà sua prosperità.

(l) Cfr. n. 526.

529

L'INCARICATO D'AFFARI A STOCCOLMA, ZANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 135. Stoccolma, 24 maggio 1870 (per. il 31).

Nel discorso pronunciato la settimana scorsa da S. M. il Re Carlo XV alla chiusura della Dieta, che mi sono dato premura di trasmetterLe col prece

dente rapporto di questa serie n. 134 (1), l'E. V. avrà notato che, quantunque

brevissimo, contiene pure due allusioni poco gradite per i membri della 2a Camera, fatta responsabile, perfino con parole d'ironia, dell'inerzia in cui vive il Governo svedese. Invio qui unito all'E. V. un estratto dell'indirizzo presentato dal Presidente della 2a Camera al Re in quella stessa occasione, il quale sotto colore di giustificarla di questa inerzia, apertamente invece ripete e conferma le stesse accuse, lo che prova che il signor Presidente Sundberg aveva avuto previa comunicazione del discorso del Re e agito di concerto col Governo. Il Ministero ha voluto così tentare di scuotere i membri della Dieta dall'assopimento politico in cui li ha immersi il desiderio di ogni più stretta economia, ed ha colto questo incontro per fare loro intendere, con le voci le più autorevoli, che sacrificano gl'interessi della patria.

Mi risulta in via confidenziale che a tale determinazione non furono estranei i consigli del signor Fournier, Ministro di Francia in questa Corte, il quale avendo più volte informato il suo Governo dei mali cui siffatta inerzia prepara alla Scandinavia, ne aveva testè ricevuto l'ordine di consigliare con insistenza una politica più attiva e più previdente. Questa politica però non ha nessun fine politico immediato, ma solo uno scopo generale per i tempi futuri.

Fatto sta che se la rappresentanza svedese continuerà, come fece fin qui, a respingere tutte le proposte del Ministro della Guerra per il riordinamento dell'esercito e l'aumento delle forze militari, a negare ogni nuova spesa di questo genere, a qualsiasi titolo venga richiesta, ed inoltre a diminuire ogni anno le spese attuali, anco quei 30.000 uomini male armati e male esercitati che pure la Svezia adesso possiede, i 10.000 della Norvegia, e le poche navi corazzate della flotta poco alla volta spariranno. Ed i due regni rimarranno completamente aperti a qualsiasi invasione.

È invece interesse delle potenze occidentali il mantenere questi Stati in grado d'impedire alla Prussia ed alla Russia di compiere così facilmente l'opera ch'esse da cosi lungo tempo proseguono con pertinacia contro la Scandinavia, e che consiste nel progredire lentamente sul suo territorio a patto di non retrocedere mai.

La storia delle sventure passate e della decadenza della potenza svedese è presente a tutti per insegnare i pericoli dell'avvenire. Ma ciò non toglie che i rappresentanti del paese in questo momento accecati dai soli interessi materiali del bilancio, hanno interamente in non cale il mantenimento della forza nazionale e delle alleanze estere.

Non vedono che se domani sorge una guerra europea, lungi dal poterne profittare, la loro patria sarà in balia dei suoi potenti vicini, e che, seguitando così, la nazionalità Scandinava si suicida e si condanna a sparire smembrata un giorno, come la Polonia, dalla Germania e dalla potenza Moscovita.

Se vere sono alcune informazioni, che so, in modo affatto privato e confidenziale, essere pervenute al Conte Wachtmeister, la Prussia, nella previsione

erronea che il plebiscito invece di assodare l'Impero francese ne avrebbe diminuito la forza, già aveva proposto agli Stati tedeschi meridionali di stringere con essi nuovi vincoli proclamando l'Impero Germanico al di là del Meno. Che ciò sia vero o no, chiaro appare che nelle molte complicazioni che ad ogni istante possono sorgere in Europa e nelle incertezze dell'avvenire, la Svezia non dovrebbe rimanere interamente disarmata, sicché la Francia non possa mai desiderare di averla per alleata, e la Russia invece ne sia, quando voglia, padrona.

Di ogni nuova nave, di ogni batteria che qui s'impianti, di ogni cannone, per così dire, che si fonde, la Russia riceve dal suo Console e Agente militare l'annuncio ed il disegno. Sicché essa possiede tutti i dati per calcolare perfino quella pochissima resistenza che all'occorrenza incontrerebbe sulla via di Stoccolma.

Infine gl'interessi economici vanno vieppiù spingendo tutte quante le provincie svedesi verso la Russia onde venderle i loro prodotti, come i paesi della Danimarca sono tratti dalle relazioni commerciali verso l'unione doganale tedesca.

Crederei, signor Ministro, di mancare al mio dovere se non indicassi i pericoli e la debolezza di questa situazione. Ed è bene che il Re, ed il Presidente della 2a Camera, la di cui voce è pure molto autorevole, abbiano in una solenne circostanza contro la Dieta fortemente protestato.

Disgraziatamente però in oggi la fibra nazionale è qui assopita, né senza congiunture straordinarie ed imminenti pericoli può ridestarsi. I contadini

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membri della Camera, vogliono anzitutto l'economia. L'opposizione liberale si prevale di questa tendenza per i suoi fini di partito parlamentare. Continuerà la divergenza di opinione fra le due Camere che rende impossibile la votazione di ogni legge, giacché l'una respinge ciò che l'altra accoglie.

Né evvi qui un uomo di stato così eminente che sia capace di lottare insieme contro la inerzia degli uni e le intemperanze degli altri, imporne alla Dieta, ed avere la fiducia intera della Corona.

(l) Non pubblicato.

530

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2.249. Alessandria, 25 maggio 1870, ore 11,50 (per. ore 13,55).

Souveraineté de la Porte sur litoral mer Rouge établie depuis la conquete Osman et cédée au Vice Roi par firman lorsqu'elle lui donna le Gouvernement Suakim ultérieur Massawa il y a trois ans. Protestation faite auprès de moi verbale mais annoncée par écrit.

39 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. XII

531

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

R. 99. Lisbona, 25 maggio 1870 (per. il 2 giugno).

Il nuovo Ministero fu testè costituito nel modo seguente: Maresciallo Duca di Saldafiha Presidente del Consiglio Ministro della Guerra e degli Affari Esteri, Signor Sampajo (redattore in capo del giornale Rivoluzione di Settembre) Ministro dell'Interno (Reino), Dias Ferreira Finanza, e Giustizia ad interim, fu già altra volta Ministro, Conte Paniche, ora creato Marchese d'Augeja, Lavori Pubblici, D.A. da Costa, Marina.

Le trattative col Vescovo di Viseu, delle quali è cenno nei miei precedenti dispacci (2), non hanno riuscito a persuadere questo prelato ed ex Ministro del Regno a far parte dell'attuale Ministero, malgrado le reiterate istanze del Maresciallo e l'invio di intermediarii officiosi presso la sua persona. Fra gli altri motivi di rifiuto sembrano determinanti quelli di non avere il Vescovo una giusta preponderanza nel Gabinetto pel suo partito ed il connubio politico del Maresciallo col Conte Paniche ed il partito agitatore del quale quest'ultimo è il capo.

Non fuvvi peranco alcun proclama del nuovo Governo sia per spiegare i gravi fatti che lo portarono al potere, sia per dare cenni sul suo programma politico.

Avant'jeri soltanto il Maresciallo nella sua qualità, in allora interim, di Ministro degli Esteri, informò il Corpo Diplomatico, per mezzo di Nota Officiale, delle dimissioni del suo precedessore, signor Mendes Leal, e del suo avvenimento al Ministero aggiungendo che non essendo per ora fissato, come è l'uso qui, alcun giorno per ricevere i Capi di Missioni, i Ministri Esteri sarebbero da esso ricevuti con piacere qualora avessero comunicazioni officiali a fare, mediante previo avviso in proposito.

Tutti i miei Colleghi ed io abbiamo risposto accusando ricevuta della Nota Ministeriale e ringraziando il Ministro della sua comunicazione. La popolazione della Capitale, come quella di tutto il Regno, continua ad essere calma e tranquilla.

Nella Camera dei Deputati, prima di aggiornarsi a norma del corrispondente Reale Decreto, fuvvi una dimostrazione anti-Iberica ed in pari ternpo Costituzionale, sia rispettivamente ai dubbi che gli avvenimenti di Lisbona possano collegarsi alla questione Iberica, sia rispetto ai timori d'un nuovo colpo di Stato extra Parlamentare in Portogallo, ed i deputati si separarono acclamando all'unanimità la protesta del loro Collega Santos Silva cosi concepita: «Giuriamo solennemente di respingere con tutta l'energia di volontà e di convinzione qualunque attentato contro l'indipendenza nazionale ».

Infatti i dubbi della complicazione Iberica, dopo la discussione delle Cortes Portoghesi e le prime notizie qui giunte di eguale discussione nelle Camere Spagnuole, ebbero per conseguenza immediata Note Ufficiali le più rassicuranti del Ministro di Spagna in Portogallo al Governo di S. M. Fedelissima, autorizzate e confermate esplicitamente, dipoi, dal Governo del Reggente a Madrid, note e conferma di cui ne fu testè diramata la pubblicazione a tutti i giornali di Lisbona, nelle quali la Spagna protesta, «del suo maggior rispetto possibile per l'indipendenza della Nazione Portoghese e sopra tale base desidera il maggiore sviluppo possibile della stretta unione di interessi fra i due Paesi:~> (sic).

Unisco qui il testo, in extensum, delle Note Spagnuole in proposito (1), il di cui tenore farà senza dubbio il migliore effetto in Portogallo e toglierà al Gabinetto attuale taccia e sospetti (fondati od infondati) d'Iberismo.

Qui unito un Dispaccio cifrato.

ALLEGATO

OLDOINI A VISCONTI VENOSTA

ANNESSO CIFRATO.

Faisant suite à ma dernière dépeche chiffrée au sujet de candidature portugaise à la Couronne d'Espagne les deux Rois m'ont assuré avoir coupé court à toute démarche d'offre et le Roi Don Fernand vient de me dire que à présent son acceptation est encore plus que jamais impossible.

(l) -Nota a margine: «Copia per S. M.». (2) -Cfr. nn. 513 e 520.
532

IL CONTE KULCZYCKI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. P. 11. Terni, 25 maggio 1870.

Un prélat romain de mes amis qui a été attaqué, parait-il, par l'Opinione Nazionale, envoie des explications à ce journal. Il semble qu'elles sont anonymes, puisqu'il me prie de faire jeter sa lettre à la poste à Florence meme, afin qu'on ne sache pas d'où elle vient. Ne connaissant personne un peu intimement dans cette ville depuis le départ de Lobo, j'ose vous prier de vouloir bien donner ordre à votre valet de chambre de mettre le billet ci-joint dans la boite aux lettres. J'ignore absolument de quel attaque il s'agit, car je n'ai pas ici le journal en question.

Après le retour de ma femme de Rome j'espère ètre en mesure, M. le Ministre, de vous envoyer une note consciencieuse en réponse aux questions que vous avez bien voulu me poser. Ces informations ne pouvaient etre prises que de vive-voix. Elles étaient d'une trop haute gravité pour que mes amis eussent consenti à les livrer à la poste romaine.

(l} Non rinvenuto.

J'ai entrepris de vous envoyer le compte-rendu, jour par jour, des Séance:s du Concile dans la discussion sur l'infaillibilité! Mes derniers renseignements, si vous vous donnez la peine d'en revoir la date, arrivaient à la séance de jeudi, 19 mai.

Dans la congrégation de vendredi, 20 mai, la parole a été prise tour à tour par monseigneur Mac-Hale, archeveque de Tuam de rite latin; par monseigneur Darboy, archeveque de Paris; par monseigneur Simor, primate de Hongrie, qui avait aussi parlé la veille, et par monseigneur Bar-Chiou, archeveque de Salmas de rite chaldéen.

Monseigneur Mac-Hale a refuté le discours prononcé, la veille, par le cardinal Cullen, archeveque de Dublin, en faveur de la dogmatisation. Il a été très-modéré mais très-ferme, et a déployé une grande force de logique dans son raisonnement hostile à la dogmatisation.

Monseigneur Darboy à démenti tout ce qu'on disait au sujet de son attitude équivoque, de ses transations. Il a prononcé un discours énergique, catégorique, voire meme violent. Il a dit que la définition dogmatique aurait les conséquences les plus fàcheuses, les plus funestes, les plus fatales. Il a évoqué maintes fantòmes qui ont fait sursaillir la vénérable assemblée. Il est allé jusqu'à s'écrier: «La proclamation du dogme de l'infaillibilité signifie l'infaillible chute du pouvoir temporel des papes! ». Dans la bouche du conseiller intime de Napoléon III ces paroles ont une haute portée.

Je n'ai pas les noms des orateurs qui ont parlé samedi 21 mai. Ils étaient tous infaillibilistes.

Lundi, 23 mai, on a entendu tour à tour monseigneur Hassoun, le fameux patriarche arménien; monseigneur de Ketteler, éveque de Mayence, monseigneur Ginouilhac, éveque de Grenoble, et monseigneur Gastaldi, éveque de Saluzzo.

L'opposition contre l'infaillibilité est telle au Concile que la députation du dogme a été forcée de modifier le schème, ce qui fait pousser Ies hauts cris à la majorité. Cependant ces changements ne sauraient ètre radicaux. Dimanche dernier la députation du dogme a tenu un conseil extraordinaire, où l'on a décidé de passer sur le ventre de l'opposition et de proclamer le dogme à tout prix. Malgré cela, monseigneur Duchamps disait, l'autre soir, à quelqun de mes amis qui dinait avec lui chez le cardinal Bonaparte et qui lui parlait des scandales arrivés dernièrement au Concile: «Il faut s'attendrp à bien pis encore si nous ne nous résolvons à une conciliation! ». Or vous savez que l'archeveque de Malines est le principal promoteur de l'infaillibilité. Le cardinal Riario-Sforza, archeveque de Naples, est décidément passé dans les rangs de l'opposition avec un essaim d'éveques napolitain. On me confirme la nouvelle du volte-face des cardinaux-légats Bilio et Capalti: mais oseront-ils faire ouvertement de l'opposition? L'éveque de Moreno a donné so n no m à une brochure latine contre l'infaillibilité qu'on dit etre un chef d'oeuvre d'érudition. Le véritable auteur de cet ouvrage serait un jésuite libéral, un vrai jésuite comme le P. Passaglia, qui se cache, parce qu'il y va de sa vie. Les éveques de l'opposition sont furieux contre les jésuites. Monseigneur Melchers, archevèque de Cologne, a dit, l'autre jour, au P. Beck, général de l'ordre: «Vous avez fait tout votre possible pour que le Cardinal de Hohenlohe ne fllt pas nommé archeveque de Cologne. Or moi, qui le suis, je vous déclare qu'à peine de retour dans mon diocèse j'en chasserai la compagnie des Jésuites! ~. Sur le 600 éveques qui sont actuellement à Rome on croit que 400 répondront placet dans la votation sur le dogme; 150 donneront un vote conditionnel et 50 répondront non placet. Or, les votes conditionnels n'étant pas admis dans la votation définitive, il reste à savoir quelle parti prendront les 150. Ils ont pour chef monseigneur Tizzani, l'aveugle, qui veut une définition évasive, mais qui rejette le dogme. Les èvèques de l'opposition ont appris aussi d'une manière positive, par monseigneur de Mérode, que les insolents articles de l'Unità Cattolica contre eux ne sont pas écrits par Don Margotti: ils sont dictés par Pie IX à monseigneur Cenni, san caudatario, qui les envoie à Don Margotti au nom de S. S.!!!... Le fait est positif, autentique. Les évèques de l'opposition sont dans la stupeur... On est furieux au Vatican contre l'Autriche, parce qu'on prétend que c'est elle qui a poussé le comte de Trani à se rallier. Pie IX jette feu et fiamme contre ce dernier. Les négociations pour l'emprunt pontificai avancent à grands pas. On attend de grands renforts pour l'armée pontificale arrivants de Belgique; on va augmenter l'armée d'une manière extraordinaire.

Le cardinal Antonelli vient de répondre au comte de Bray. Sa réponse est presque identique à celle qu'il a faite au comte de Beust. On est dans la joie au Vatican de la nomination de M. Plichon, et l'an y est très satisfait de celle du due de Gramont, qui vient d'adresser à M. de Banneville une dépèche contenant ses idées et son programme dans la question de Rome. Le Pape a été très content de ce programme. M. de Gramont a fait des déclarations dans le mème sens à monseigneur Chigi, qui a adressé là dessus une dépèche au cardinal Antonelll. La satisfaction que ces communications ont inspirée au Vatican est à son comble.

533

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO

T. 1130. Firenze, 26 maggio 1870, ore 15,15.

Dites moi si protestation (l) vient de la Porte ou du Vice Roi; si elle a pour but de sauvegarder et de réserver la question de la souveraineté territoriale, sauf à s'entendre sur le caractère de l'établissement fondé par la société Rubattino, ou si la protestation annonce l'intention de se porter à des mesures contre cet établissement. Je ne doute pas que le Vice Roi ne comprenne qu'en tout cas nous pouvons nous entendre et qu'il est de l'intérèt commun qu'aucun fait fàcheux ne vicnne compliquer la situation.

(1) Cfr. n. 530

534

L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, CURTOPASSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 202. Vienna, 26 maggio 1870 (per. il 29).

L'E. V. avrà già avuto contezza da Parigi delle modificazioni arrecate colà all'ultimo progetto di Nubar Pascià sulla riforma giudiziaria in Egitto, nonché dell'adesione fattavi dalla Sublime Porta.

Il Principe di Metternich, nel comunicare qui quanto precede, avverte che il Ministro egiziano non attende che l'approvazione del Governo imperiale per condursi a Vienna. Questi non opporrà alcun ostacolo che possa mettere in forse l'accettazione del progetto: l'aggiunta fatta all'articolo VI e la redazione degli articoli III, IV e V assicurando in tutti i casi la maggioranza dei giudici all'elemento straniero hanno dissipato i timori esistenti e ch'io ebbi l'onore di segnalare all'E. V. nel mio rapporto politico n. 196 (l).

Il signor Vesque avrebbe desiderato che, oltre la Corte d'appello, venisse eretta una Corte di Cassazione e mi domandava perché a Parigi si fosse omessa quest'altra guarentigia. Non potetti, com'era ben naturale, fornirgli tale chiarimento ma, passando nel campo delle ipotesi, dissi che probabilmente l'istituzione di quell'areopago implicando più Corti d'Appello, maggiori spese e ritardo nelle sentenze, se ne era riconosciuta l'inopportunità, almeno per ora. Queste supposizioni furono accettate dal summentovato Consigliere aulico, il quale mi assicurò che non avrebbe insistito, tali considerazioni sembrandogli esatte. Il linguaggio da me tenuto non avendo nulla di ufficiale, prego l'E. V. a volermi informare, ove lo credesse necessario se fu conforme alle viste del

R. Governo.

Il Ministero ungherese, malgrado le ripetute istanze di quello di Vienna, non ha finora dato risposta alcuna, sicché, dicevami il Barone Vesque, dopo due giorni ancora d'attesa, s'invierà a Parigi l'adesione dei due Gabinetti ritenendo per consenso il silenzio di Pesth.

Sono in grado d'assicurare che le sole innovazioni che si vorrebbero qui introdurre all'arrivo di Nubar Pascià sono: 1° aggiungere alla fine dell'articolo XVI le parole «en cour plenière »; 2° sopprimere affatto gli articoli :XX, XXI e XXII, inserendoli invece integralmente nella Convenzione internazionale che stipulerà l'attuazione della riforma giudiziaria; tutto rimane, ben inteso, subordinato all'esame ed approvazione dei Codici civile, di procedura e di organamento giudiziario che sono a Parigi in corso di stampa.

P. S. A maggior sicurtà compiego il Progetto di Nubar Pascià con le modificazioni delle quali è cenno più sopra (2).

(l) -Cfr. n. 490. (2) -Non pubblicato.
535

IL lVIINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL lVIINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2255. Lisbona, 27 maggio 1870, ore 23,22 (per. ore 6,59 del 28).

Au lieu de circulaire adressée hier au soir à mes collègues pour notifier formation nouveau Cabinet et réception aujourd'hui du corps diplomatique, je viens de recevoir une note officielle du due de Saldafiha, par la quelle il me déclare que, la manière dont je me suis prononcé contre les recents événements, ne pouvant etre indifférente au président du conseil, lui, due de Saldafiha, ne peut pas entretenir relations officielles avec moi, sans que cela altère nullement les bons rapports qui existent entre nos deux Gouvernements, et que le ministn\ de Portugal à Florence est chargé de faire pareille communication à V. E. Il est vrai que personnellement j'ai désapprouvé et je ne pourrai jamais approuver des attentats militaires comme ceux de Lisbonne, contre le Roi et la constitution, mais je me suis abstenu officiellement, ainsi qu'il résulte de mes dernières dépeches à V. E., de toute ingérence dans les affaires du Portugal. Demain j'informerai par poste V. E. de tous les détails, et je ne réponds pas à la note de Saldafiha avant d'avoir reçu instructions du Gouvernement du Roi.

536

IL lVIINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

D. 153. Firenze, 27 maggio 1870.

La ringrazio d'avermi con successivi rapporti informato delle disposizioni del Gabinetto di Berlino intorno alla Riforma giudiziaria in Egitto. Da quanto Ella mi scrisse risulterebbe che la Cancelleria federale non crede necessario affrettarsi di pigliare in proposito una deliberazione definitiva. Sembra anzi che per ciò fare si aspettasse a Berlino di avere comunicazione dei codici che si vorrebbero pubblicare in Egitto.

Al Gabinetto di Berlino come al nostro sarà stato probabilmente presentato in questi giorni dalla Francia un controprogetto che in alcune parti modifica abbastanza sostanzialmente lo schema elaborato dalla Commissione Internazionale riunita al Cairo. Nel comunicarmi tale controprogetto, il Governo francese ci ha invitati ad uno scambio di idee in proposito. Noi abbiamo accolto con piacere l'invito; e siccome anche presso di noi venne istituita un'apposita commissione coll'incarico di esaminare e di riferire sul progetto preparato al Cairo, così alla stessa mi sono affrettato di comunicare le proposizioni della Francia. La Commissione italiana è presieduta da S. E. il Cavalier Des Ambrois, e ne fanno parte eminenti magistrati e persone particolarmente cognìte della materia. L'autorevole voto che ne attendiamo ci porrà in grado di pigliare una risoluzione intorno alle varie questioni che sollevano le proposte egiziane considerate al doppio punto di vista teorico e pratico. Per ora è nostra precisa intenzione di riservare pienamente l'opinione del Governo Italiano circa quei vari punti di questione che a noi importa non pregiudicare. Ma desideriamo che non si tardi a stabilire fra tutti i Governi interessati uno scambio di idee, ed a tal fine ci proponiamo di comunicare ai vari Gabinetti le opinioni che la nostra Commissione sarà per manifestare intorno al progetto ed agli emendamenti a lei sottoposti. Quindi desidero che la S. V. faccia conoscere officialmente al Governo prussiano la riunione della Commissione anzidetta, e che sin d'ora gli dia comunicazione di una deliberazione preliminare presa dalla medesima, deliberazione di cui Ella troverà qui unita una copia (1).

537

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO

D. 50 bis. Firenze, 27 maggio 1870.

Colla posta d'oggi Ella riceverà copia di vari rapporti indirizzatimi dalle principali legazioni intorno alle disposizioni dei vari Governi per ciò che concerne la riforma giudiziaria in Egitto. Dalla lettura di quei documenti Ella vedrà che le notizie a lei date dai ministri Egiziani sullo stesso argomento non sono che in parte confermate. È sopratutto rimarchevole l'atteggiamento assunto dall'Inghilterra, e credo degna di molta attenzione la repentina modificazione di idee che si è prodotta in Francia. A questo riguardo la nostra principale sollecitudine deve per ora essere rivolta a scoprire se, per allontanarsi come ha fatto dall'opinione de' suoi Commissari, il Governo francese abbia potuto assicurarsi qualche compenso a scapito dell'uguaglianza di tutte le Potenze senza la quale una riforma giudiziaria in Egitto riescirebbe ad esclusivo benefizio dell'influenza preponderante dell'una o dell'altra Nazione.

Il controprogetto del Governo Francese nel quale si concede, in ordine alle quistioni di proprietà fondiaria, più di quello che dall'Egitto stesso si domandava nelle sue prime proposte sarà da me trasmesso alla Commissione speciale incaricata di emettere un voto sulle progettate riforme giudiziarie. Finchè questo voto non sarà pronunciato, è intenzione mia di riservare interamente l'opinione del Governo italiano sulle varie proposizioni che si trovano a fronte. Intanto però ho segnalato ai principali Governi lo studio che presentemente si fa dalla Commissione anzidetta, e li ho fatti invitare ad aspettare prima di emettere un voto, che io sia in grado di comunicare loro quello che dalla nostra Commissione si sta elaborando.

(l) Non pubblicata. Analogo dispaccio venne inviato in pari data a Pietroburgo e Il 31 maggio a Londra e Vlenna.

538

IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 85. Berna, 27 maggio 1870 (per. il 30).

A chi conosce questo paese e le sue istituzioni non sarà difficile il rendersi conto del come il Consiglio federale non possa sempre far osservare le sue ordinanze politiche. Egli non può vedere ciò che accade nei diversi Cantoni se non se cogli occhi dei governi locali tolleranti non di rado, se non conniventi col partito radicale, il quale è soperchiante in fatto, se non in diritto, nel più gran numero degli Stati Confederati.

Succede qui disgraziatamente, e V. E. non lo ignora, ciò che accade a questo proposito, senza che io voglia cercarne la cause, in altri paesi più grandi, dov.e i poteri pubblici sono meno limitati che non in !svizzera. Avvertasi di più che nei Cantoni la parte strumentale del Governo, gli ufficii cioè di polizia, sono in generale quasi esclusivamente in mano d'uomini del menzionato partito, che male si presta in opere contrarie al suo indirizzo politico.

Al potere esecutivo della Confederazione non fa difetto nè la buona fede nè la buona volontà. Egli manda non di rado agenti secreti nei Cantoni, che gli sono designati dai Ministri dei Governi esteri, come quelli dove si ordiscono trame o contro i loro Sovrani, o contro le istituzioni de' loro paesi, il che riesce agevole rispetto ai Cantoni tedeschi e francesi, non così rispetto al Ticino, dove è meno facile, a cagione della lingua, mandare dal centro chi possa rendere colà utili servizi della [sic] polizia federale.

Il nostro Console a Lugano vi perde la testa, e mi scrive spesso rammaricando gli sia impossibile riconoscere, coi vaghi indizii che gli sono forniti da costi, i nemici che possono ascondersi, sotto falsi nomi, nel Ticino.

Perchè non si farebbe da noi in Svizzera nella presente occasione ciò che si fa da lungo tempo dagli altri Governi"?

La Francia, la Russia, la Prussia e perfino l'Inghilterra, e codesto Ministero non l'ignora, mantengono qui agenti abili, i quali pongono spesso il rispettivo Ministro in grado di poter fare al Consiglio federale le rimostranze necessarie per ottenere l'arresto, l'internamento, e secondo i casi anche la consegna di coloro, la cui presenza nei Cantoni è una minaccia permanente per gli Stati vicini.

E debbo alle communicazioni fattemi da miei colleghi di aver potuto alcuna volta avvertire il Governo reale delle trame, che si ordivano qui a suo danno.

Permetta l'E. V. che io la preghi di raccomandare al suo Collega dell'Interno, almeno per ciò che riguarda il Ticino, le norme che si seguono con vantaggio dagli altri grandi Stati.

I rifuggiti, a seguito degli ultimi avvenimenti sono conosciuti da non pochi in Italia, non sarà quindi impossibile il trovare persone accorte, che si voglian recare nel Ticino per designarli, sia pel mezzo di questa R. Legazione, sia pel mezzo del Console, alla polizia locale. Si avverta però di non adoperare per

quanto possibile in queste operazioni la polizia delle Prefetture di Milano o di Como, che non ne hanno mai indovinata una; ciò che ha conferito di assai a scemare autorità alle mie parole ogni qualvolta io fondava i miei reclami sui ragguagli forniti da quelle prefetture.

I nostri agenti saranno per certa guisa controllati da quelli delle altre nazioni. Dopo la scoperta della cospirazione, che si ordiva contro la vita dell'Imperatore, la Svizzera è gremita di agenti francesi.

La Russia, che ne aveva già diversi, ne ha mandati due direttamente da Pietroburgo, per riconoscere appunto l'identità di un giovane russo, sospetto di essere quel Nestchajeff, di cui hanno scritto molto i giornali, il quale ha giurato, a quanto si afferma, di uccidere lo Czar.

Ieri è venuto da me il Generale de Roeder, il quale dopo avermi parlato con lode del servizio, che gli rendono gli agenti prussiani, ha creduto dovermi informare come egli avesse raccolto dai loro rapporti che stanno ora a Lucerna un Chiassi ufficiale garibaldino, un Casini, napoletano, ed un certo Rubini, i quali fanno colà incetta d'armi e sopratutto di revolvers per l'Italia, dove sono introdotti dal lato del Lago Maggiore, pel mezzo delle nostre guardie di finanza, dove sono molti antichi garibaldini. Uno degli agenti, di cui il Generale mi parlava, veniva dal Ticino. Sarà opportuno verificare i fatti, vegliare e provvedere.

A questo proposito delle communicazioni, che mi sono state fatte di tanto in tanto da miei colleghi, non devo dissimulare a V. E. che il Ministro Russo Signor di Giers, al tempo della recente ridicola sedizione calabrese, [mi riferì] che parecchi rifuggiati russi erano partiti di Svizzera e d'altrove per andar a prendere parte ai moti, che vi si preparavano; alcuni di essi sono già di ritorno altri no.

Lo stesso collega reputa potermi assicurare, adducendo testimonianze autorevoli, che il Re di Napoli avesse consigliato ai suoi a far causa comune coi republicani, pei quali dichiara avere la più grande simpatia. Simili alleanze si sono formate in altri tempi a danno sempre della libertà.

539

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 100. Lisbona, 27 maggio 1870 (per. il 2 giugno).

Ebbi già l'onore, col mio Dispaccio di jeri (1), d'informare V. E. della formazione del nuovo Ministero. Poco dopo scritto il Dispaccio, recandomi al Palazzo Reale per prender notizie, la Dio mercé buone, ed ossequiare la Regina, incontrai in cammino i nuovi Ministri che uscivano dal Re.

Avendo fatto sapere, particolarmente, a questo Sovrano che io non mi permettevo disturbarlo in momenti di affari ma che avevo l'onore di trovarmi

presso la Regina, il Re degnò venire a parlarmi Egli stesso negli appartamenti della Regina mostrandosi meco soddisfatto dopo tante difficoltà e ritardi, della costituzione d'un Ministero che permetteva agli affari pubblici di rientrare nella via regolare.

So infatti, anche da altre buone fonti, che il signor Sampajo, attuale Ministro dell'Interno già redattore di giornali accreditati e Vice-Presidente della Camera elettiva è personaggio che offre garanzie costituzionali ed assolutamente scevro da opinioni estreme, ma anzi ligio alle idee liberali conservative ed amico politico del partito rigeneratore, di cui è capo il signor Jontes, ai di cui consigli specialmente è dovuta l'accettazione, primieramente ricusata dal signor Sampajo, di far parte del Ministero Saldanha. Assicurasi pure che anche il Duca di Loulé ha gradito la nomina di questo Ministro.

Non avvi dubbio che dopo i fatti avvenuti e consumati è saggio consiglio prevenire mali maggiori e coadjuvare il Governo, accettato dal Re, a funzionare regolarmente e rientrare anzitutto nelle vie costituzionali. È questo il pensiero di diversi uomini politici influenti, parmi bene inspirati.

(l) Cfr. n. 531, in realtà del 25 maggio.

540

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 250/71. Londra, 27 maggio 1870 (per. il 31).

L'attitudine di questo Governo nel malaugurato affare della Grecia, non ha punto variato da ciò ch'io ebbi l'onore di riferire all'E. V. ne' miei precedenti Rapporti. I risultati dei dibattimenti parlamentari, essendo recati in Italia dalla ordinaria telegrafica corrispondenza mi astenni, anche per ragioni di economia, dal notificarle telegraficamente l'interpellanza che si fece in ambedue le Camere a riguardo di quest'affare. Se non che la discussione sopra un tale soggetto non fece altro che mettere vieppiù in chiaro che questo Governo mette in pratica i principii molto cauti e moderati che fin dal principio Lord Clarendon mi aveva manifestati.

Esso aspetta evidentemente che il tempo e la coscienza delle difficoltà pratiche agiscano per calmare lo spirito pubblico ed i giornali. Lord Granville, e qualche altro membro del Ministero, con cui ebbi occasione di parlare di questo soggetto, ne discorrono sempre nello stesso senso molto moderato e Lord Granville in ispecie mi disse che le ultime interpellanze avevano prodotto il buon effetto di calmare un poco gli spiriti. Il signor Otway, primo Sottosegretario politico del Foreign Office, parlò pure nel medesimo senso ieri al signor Conte Maffei. Ond'è che le parole dettemi dal signor Conte di Clarendon, e ch'io ebbi già l'onore di riferire a V. E. cioè «nous ne terons rien de violent » le quali caratterizzavano tutta la situazione, vengono ad avere la loro pratica applicazione.

Ella avrà rilevato dal rendiconto dell'interpellanza nell'alta Camera che il signor Conte di Clarendon fece, nel suo discorso, una allusione all'appoggio che non dubitava sarebbe venuto dalle grandi potenze e specialmente dalle potenze protettici al fine di indurre la Grecia a finirla definitivamente col brigantaggio. Quest'allusione, lungi dall'indicare il desiderio dell'Inghilterra per un'azione comune esplicita, era evidentemente diretta ad escluderla, poichè non vi si calcolava che sui buoni uffici e sulla influenza morale delle dette potenze. Parmi pure evidente che, con quella allusione, il signor Conte di Clarendon volle pure allontanare il timore che il Governo inglese volesse agire da sè ed isolatamente con mezzi violenti che potessero provocare le suscettività della Russia ed autorizzare il suo intervento positivo in quest'affare. Egli volle, a mio avviso, significare che il suo contegno sarà tale da poter sperare anche la buona influenza morale della Russia non nell'affare speciale dell'assassinio degli inglesi, ma pel miglioramento della sicurezza pubblica in Grecia, e che il suo contegno sarebbe stato tanto moderato da non autorizzare la Russia ad immischiarsi nell'affare particolare che riguarda solo l'Inghilterra e l'Italia. Fu questo, a mio avviso, il solo modo col quale il signor Conte di Clarendon poteva dire alla Russia ch'egli non le avrebbe dato il pretesto di assumere, anche in questa circostanza, la protezione della Grecia, ed all'opinione pubblica in Inghilterra di calmarsi un poco e di non pretendere le cose pericolose ed impossibili. E questa calma pur si va lentamente ristabilendo. Molti giornali, che avevano fatto declamazioni e mosso pretese, inspirate unicamente dal sentimento dello sdegno, tengono ora un linguaggio molto più moderato. Ve ne ha qualcuno ed in ispecie l'Observer (uno dei pochi giornali ch'escono qui la domenica) che, dopo di avere declamato come gli altri, già da due domeniche fa, in un articolo molto sensato e pratico, dopo di avere annoverato tutte le misure che si avrebbe potuto desiderare di prendere, e che provava per cadauna d'esse l'impossibilità di attuarle, finiva col fare un atto di rassegnazione.

Mi limito ad indicare a V. E. ciò che riguarda l'attitudine del Governo e dell'opinione pubblica in questo Paese, poicllè le notizie, la cui sorgente è in Atene, Le perverranno di colà direttamente e quelle che riceve qui Lord Clarendon risultano dai documenti stampati e presentati al Parlamento, che Le ho fin qui regolarmente spediti, immediatamente dopo la stampa dei medesimi, compresovi il n. 12 dei medesimi che Le spedisco oggi sotto fascia.

541

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

R. 115. Alessandria, 27 maggio 1870.

Essendo andato da Scerif pasc1a, lo trovai, con il ministro per la marina, leggendo un lunghissimo rapporto del governatore generale dell'Alto Egitto, che riferisce tutte le trattative del comandante di un bastimento italiano (dice

da guerra) con un capo di villaggio arabo per la compra di un territorio presso il capo Assab, il contratto fatto, la somma pagata, ed il disbarco di uomini e carbone con la intenzione di prenderne possesso.

Scerif pascià mi soggiunse che il Vicerè ne era rimasto sorpreso e dolente, e che gli aveva ordinato di protestare presso di me, siccome faceva intanto verbalmente, riservandosi di farlo per iscritto, contro una violazione cosi patente dell'integrità del territorio egiziano. A sostenere i propri diritti, Scerif pascià si appoggia sul fatto che il littorale a.fricano del mar Rosso, ed anche al di là dello stretto di Bab-el-Mandel, fino a Zeila, ha fatto parte integrante dell'impero turco fino dalla conquista sugli arabi (nel 12° secolo) operata dagli Osmanli; e che la sovranità ottomana non è stata mai contrastata. Citò il precedente della spedizione inglese contro l'Abissinia, per la quale il governo britannico ebbe a negoziare col Vicerè per essere autorizzato a sbarcare su quella costa e traversare il territorio egiziano. Soggiungeva essere quel territorio divenuto egiziano, dacché la Sublime Porta cedette con firmano imperiale al Vicerè i suoi diritti sovrani annettendo al vicereame d'Egitto le province di Souakim e Massawa.

Scerif pascià dichiarommi che il Vicerè non avrebbe mai potuto cedere alcuna parte del territorio dello stato, nè rinunziare ai suoi diritti di sovranità assoluta. Credeva, invece, possibile che si potesse indurlo, nell'interesse del commercio e della navigazione, a fare a qualche compagnia la concessione, o con prezzo d'affitto, o anche gratuita, di un punto del littorale da convenirsi, per potervi creare un deposito di carboni e di attrezzi; ciò, però, a patto che dei negoziati in proposito s'intavolassero col governo egiziano, con l'idea ben determinata che la concessione non avesse ad implicare la proprietà del territorio,

o ad intaccare i diritti di sovranità del Vicerè.

Credetti di non entrare in discussione con Scerif, né sulla questione di diritto, nè su quella di fatto. Mi limitai soltanto a dichiarargli che, nè le trattative coi capi indigeni, né la compra, eransi fatte per conto e nome del R. governo; sapevo bensì essersi operate dalla società Rubattino, con l'unico scopo di aver un luogo di rifugio per le sue navi. Conchiusi che avrei reso conto all'E. V. delle osservazioni fattemi, e chiesto delle istruzioni per poter rispondere.

* Scerif mi domandò se qualche agente della compagnia era rimasto su i luoghi, e se in tal caso non acconsentirei di scrivergli per richiamarlo. Gli risposi che dall'agente della compagnia Rubattino, qui, in Alessandria, avevo saputo casualmente non esservi rimasto nessuno.

Su questo argomento io non ho altre informazioni all'infuori di quelle fornitemi dall'E. V. col dispaccio del 16 aprile (1), che mi annunzia il fatto come compiuto. Ignoro tutti gli antecedenti, e quali elementi avessero le persone incaricate delle trattative del fatto stesso, per ritenere come padroni di quei terreni i capi tribù con i quali hanno trattato. Mi pare che questo sia il punto sostanziale della questione; perchè, se non si può contrastare alla Turchia, e quindi all'Egitto, la sovranità di quel territorio, non so quali ragioni si potrebbero addurre per sostenere il diritto di compra e di occupazione. Ignaro di tutto

ciò, non ho potuto intraprendere una discussione col ministro egiziano, e spero, perciò, che V. E. vorrà approvare il linguaggio che ho tenuto.*

Fino ad oggi non ho ricevuta la protesta per iscritto annunciatami da Scerif; ma, da ciò che mi disse verbalmente, argomento che sarà diretta contro l'occupazione di un territorio appartenente allo stato vicereale. Non posso supporre che il governo egiziano si lasci indurre ad atti che potrebbero complicare la questione, tanto più che nelle risposte, benchè evasive, date a Scerif gli ho manifestato la certezza che facilmente potremo pervenire ad intenderei, stante le cordiali relazioni che esistono tra noi; del che egli ha pienamente convenuto.

L'E. V. vorrà impartirmi con qualche sollecitudine quelle istruzioni che crederà opportune.

(l) Ed., ad eccezione del brano fra asterischi, in LV 34, pp. 1-2

(l) Cfr. n. 411.

542

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2256. Alessandria, 28 maggio 1870, ore 12 (per. ore 15,20).

Je n'ai pas reçu encore protestation écrite. Protestation verbale du Vice Roi a pour but de sauvegarder droit de souveraineté territoriale. Vice Roi s'oppose à l'achat du territoire et cession droit de propriété, mais il parait disposé à fournir concession par louage point de la cote, pour dépòt navigation. En attendant négociations avec celui il n'y a pas à craindre mésure fàcheuse. J'expédie aujourd'hui rapport (1).

543

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. R. CONFI;QENZIALE S.N. Lisbona, 28 maggio 1870 (per. il 3 giugno).

II mio telegramma di jeri sera (2) ha già informato il Governo del Re dello spiacevole incidente che forma l'oggetto della Nota indirizzatami dal Duca di Saldafiha, pervenutami jeri nel pomeriggio e di cui mi pregio qui unire copia tradotta.

Non ho peranco risposto alla comunicazione del Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri di S. M. Fedelissima, attendendo in proposito le istruzioni chieste telegraficamente al Governo del Re.

V. E. avrà scorto dal tenore dei miei ultimi Dispacci n. 98, 99, 100 (3) quale si'il. stato il mio modo di pensare e di agire circa i recenti e gravissimi avve

(l} Cfr. n. 541. (2} Cfr. n. 535. (3} Cfr. nn. 520, 531 e 539.

nimenti di Lisbona, come dal tenore di tutta la mia anteriore corrispondenza politica quale fu sempre la mia attitudine come Ministro del Re in Portogallo, di mai ingerirmi negli affari interni del Paese ove ho l'onore di essere accreditato, come neppure me ne ingerii affatto in questa occasione, benchè deplorandolo personalmente, di cambiamenti politici prodotti da rivoluzione militare. Relativamente alle accuse accennate, senza formularle, nella Nota Portoghese sopraindicata, eccole, Signor Ministro dettagli sulla mia attitudine officiale e personale, nulla scemando nulla esponendo che fatti veridici.

Già resi conto a V. E. come e perchè io mi recai ad Ajuda presso la Regina, appena ebbi sentore, la mattina per tempo degli avvenimenti occorsi nella notte del 19 al 20 e del conflitto armato innanzi al Palazzo Reale con morti e feriti, nè chiesi l'onore di vedere il Re poichè io sentivo che se la mia presenza presso l'Augusta Figlia del mio Augusto Sovrano era autorizzata in contingenze così gravi per la Famiglia Reale, quella presso il Re poteva dare un colore politico che era mio dovere di evitare, e ciò seppe Sua Maestà avendolo io dichiarato apertamente ai personaggi di Corte che trovai riuniti ad Ajuda.

Posteriormente ebbi l'onore di ritornare due volte presso la Regina per prendere notizie della Sua preziosa salute e ciò in seguito di un espresso e grazioso permesso di questa Sovrana, ed allora ebbi pur quello di osseauiare per brevi momenti il Re, avendo Sua Maestà degnato la prima volta chiamarmi per pochi minuti nel Suo Gabinetto e la seconda di venire personalmente a parlarmi negli appartamenti della Regina. Non ho d'uopo d'assicurare V. E. che i miei brevi colloqui con Sua Maestà non ebbero alcun carattere politico, come mai lo ebbero in precedenti e più frequenti occasioni. Successivamente alcun atto officiale od officioso avvi da parte mia che facesse la menoma opposizione alle conseguenze della rivoluzione militare ed all'avvenimento del Ministero Saldafiha, e qualunque sia la mia opinione personale sopra fatti che deploro e deplorerò sempre, come una rivoluzione militare che attentò ad armata mano alle prerogative Reali e Costituzionali, i miei Dispacci a V. E. e le mie personali appreziazioni qui espresse a persone intime, fra quali il proprio nipote del Maresciallo ed il Direttore Generale del Ministero Esteri, fanno fede che deplorando i fatti e la forma come, ripeto, li deplorerò sempre, non fui nè sono ostile al Ministero accettato dal Re, nè al Presidente del Consiglio. Infatti nel paragrafo del mio Dispaccio Politico n. 100, opinione che espressi puranche alle due persone sopraccitate ed ad altri, affermo, « non esservi dubbio che dopo i fatti avvenuti e consumati è saggio consiglio prevenire mali maggiori e coadjuvare il Governo accettato dal Re, a funzionare regolarmente e rientrare anzitutto nelle vie costituzionali. È questo il pensiero di diversi uomini politici influenti e, parmi, bene ispirati».

Il solo fatto che sembrami abbia potuto dare pretesto alla determinazione del Presidente del Consiglio a mio riguardo, senza volere indagare se motivi politici ve lo abbiano indotto, è il seguente:

Avant'jeri mattina per tempo incontrai passeggiando il signor Monteverde, Segretario Generale degli Affari Esteri, col quale ebbi sempre rapporti personali intimi ed amichevoli. Parlando insieme della situazione attuale, grave agli occhi di tutto il Paese come ai suoi ed ai miei, gli dissi per verità, senza alcuna intenzione ostile, che il Maresciallo non avea fin'ora voluto ricevere il Corpo Diplomatico (mio analogo Dispaccio Politico) che neppure aveva lasciato carte di visita ai Capi di Missione (i quali poi, meno io, la ricevettero l'indomani).

Allora il signor Monteverde, abbandonando il tuono amichevole ed intimo della nostra conversazione, rispose che non bisognava suscitare imbarazzi maggiori al Maresciallo nel suo compito, imbarazzi che erano già abbastanza difficili in se stessi e complicati in questi ultimi giorni dalle accuse d'Iberismo, che motivarono naturalmente le note spagnuole (mio Dispaccio n. 99). Io replicai con eguale vivacità che non fu giammai mia intenzione suscitare imbarazzi nè mischiarmi in politica portoghese od Iberica, ma che spiacevami il modo di procedere del Maresciallo nei recenti avvenimenti, come mi era spiaciuto il ritardo nel porsi in comunicazione col Corpo Diplomatico, e per mio proprio conto non potevo dimenticare il fatto di non avere S. E. mai risposto a due mie cortesi lettere officiali indirizzatele come Cavaliere della SS. Annunziata, la prima in Parigi nel maggio dell'anno scorso, la seconda qui in febbraio ultimo, per lo stesso oggetto di sollecitare l'invio dei suoi titoli nobiliari richiesti dal Governo del Re, lettera lasciata da me personalmente al Suo Palazzo con carta di visita officiale non mai restituita (mio dispaccio S. N. al R. Ministero). La nostra conversazione tra il signor Monteverde e me terminò in verità un po' vivamente ma per certo io non credevo parlare, alle 8 a.m. in mezzo della strada, al Segretario Generale degli Esteri ma al signor Monteverde, il quale sovente parlommi particolarmente e francamente anche di politica interna.

La sera stessa alle ore 11 seppi da alcuni miei Colleghi avere essi poco prima ricevuto una Circolare, accompagnata da carta di visita del Maresciallo con partecipazione officiale del nuovo Ministero costituitosi il giorno stesso sotto la Sua Presidenza ed invito di ricevimento al Corpo Diplomatico per l'indomani. Rientrando al Palazzo della Legazione non trovai la Circolare ma attribuii il ritardo alla mia lontananza dal centro, causa che talvolta mi fa ricevere più tardi le Note Ministeriali. Avendo io avuto conoscenza dai miei Colleghi del tenore della Circolare e nella quale oltre la partecipazione di cui sopra il Maresciallo notifica «che il nuovo Gabinetto avrà cura di mantenere e rendere più stretti i vincoli d'amicizia ed i buoni rapporti felicemente esistenti fra il Portogallo e gli altri Stati :l), io ritornando a casa preparai la mia risposta, combinata anticipatamente con alcuno dei miei Colleghi, che all'uopo potrebbe attestarlo, risposta di cui unisco qui copia e dalla quale V. E. scorgerà che il Ministro d'Italia si proponeva di terminarla col paragrafo finale, tutt'altro che ostile all'attuale Ministero e del tenore seguente: «Animé des memes sentiments que V. E. veut bien m'exprimer de la part de la nouvelle Administration, je continuerai de mon còté à mettre tous mes soins pour maintenir et resserrer davantage les bons rapports si heureusement existants entre l'Italie et le Portugal ».

Nella supposizione che riceverei jeri mattina la Nota Circolare del Duca di Saldafiha, mandai a pregare il Cavalier Patella, Primo Segretario di questa

R. Legazione, di venire più per tempo alla Cancelleria per copiare la mia Nota di risposta, di cui sopra, ed inviarla al Ministero prima delle ore 2 p.m. fissate pel ricevimento del Corpo Diplomatico. Non vedendo giungere a mezzogiorno alcuna comunicazione, scrissi un biglietto particolare al Segretario Generale del Ministero Esteri informandolo del fatto ed aggiungendo «que, dans le désir et l'espoir d'éviter tout malentendu, je m'empressais de le prévenir que la Légation d'Italie n'avait pas encore reçu à midi aucune communication ni pouvais-je sans la recevoir me rendre à l'invitation de S. E. le Ministre des Affaires Etrangères le mème jour à 2 heures ~. La risposta verbale al mio messaggio scritto, fu che il signor Monteverde non era al Ministero, che il mio biglietto gli sarebbe rimesso al suo imminente arrivo e la risposta mi sarebbe spedita per un corriere a cavallo. Alle ore 4 p.m., all'incirca giunse infatti 11 corriere annunziato, latore non della Circolare ma della Nota quì unita. Naturalmente fui sorpreso e molto spiacente del suo contenuto e poco dopo ebbi l'onore di telegrafarne il sunto a V. E., chiedendo istruzioni non peranco pervenutemi.

Quanto precede, Signor Ministro, è l'esposto veridico del mio operato e delle cause a me note, né sufficientemente gravi a mio credere, che indussero il Duca di Saldanha a prendere una determinazione gravissima verso il Ministro d'Italia, qual'è quella d'interrompere meco i rapporti officiaU.

Affermo di nuovo che nulla fuvvi nella mia attitudine officiale che possa giustificare tale determinazione, meno la colpa, se pure è colpa, di avere un'opinione personale che il paese generalmente divide e dividerà meco l'Europa liberale, quella cioè di deplorare qui come ovunque rivoluzioni militari con conflitti a mano armata contro la prerogativa della Corona e le istituzione costituzionali.

P. S. Oso pregare V. E. di volermi informare dell'arrivo del presente Dispaccio.

ALLEGATO l

SALDANHA A OLDOINI

(Traduzione dal Portoghese)

Lisbona, 26 maggio 1870.

Duolmi molto vedermi nella dura necessità di dichiarare a V. E. che il modo inatteso nel quale V. E. si è pronunziata contro gli ultimi avvenimenti politici che hanno avuto luogo in questo paese, non può essere indifferente al Presidente d'una Amministrazione che Sua Maestà onora con la Sua confidenza.

In tali circostanze credo sia mio debito incaricare il Ministro di Sua Maestà a Firenze di portare quanto di sopra ho esposto alla conoscenza del signor Ministro degli Affari Esteri di Sua Maestà il Re d'Italia, prevenendoLo nel medesimo tempo che non posso continuare i miei rapporti officiali con la persona di V. E. ed assicurandoLo nel modo più positivo che tale deplorabile incidente in nulla altererà l'armonia e la buona intelligenza che felicemente esiste tra i due Governi.

ALLEGATO II

OLDOINI A SALDANHA

PROGETTO DI NOTA. Lisbonne, 27 mai 1870.

Je m'empresse d'accuser réception de la Note en date de hier par laquelle V. E. m'a fait l'honneur de m'informer de la constitution du nouveau Ministère, qui vient

40 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. XII

de se former sous Sa Présidence, et je vous prie, M. le Ministre, d'agréer mes remerciements pour cette communication.

Animé des mémes sentiments que V. E. veut bien m'exprimer de la part de la nouvelle Administration, je continuerai de mon còté à mettre tous mes soins pour maintenir et resserrer davantage les bons rapports si heureusement existants entre l'Italie et le Portugal et les liens si intimes entre !es deux Cours de Famille.

544

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI

T. 1131. Firenze, 29 maggio 1870, ore 14,25.

De Castro nous a fait communication conforme à ce que Saldanha vous à écrit (1). Je vous ferai part de la réponse que je lui ferai. Vous ne devez pas considérer camme valablement interrompus les rapports officiels de la légation avec le ministère des affaires étrangères portugais. Je pense que vous pouvez rèpondre personnellement à Saldanha que vous connaissez trop bien vos devoirs de diplomate pour les avoir oubliés et que vous attendez les ordres du Gouvernement du Roi.

545

IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2261. Berna, 29 maggio 1870, ore 15,50 (per. ore 18).

Notre consul à Lugano me prévient que les réfugiés aux quels on avait intimé avant-hier l'ordre de passer le Cenere, sont partis, mais ne se sont pas présentés à Bellinzona. J'ai donné immédiatement connaissance de cela au président de la Confédération, le quel a de suite interrogé le Gouvernement du Tessin. Je viens de recevoir visite de M. Dubs, qui m'a lu deux télégrammes d'où il résulte qu'après ordre reçu les réfugiés ont protesté, en partant toutefois par la vaie indiquée, où ils ont fait déviation vers la valle Bolla en prenant la direction de Mont S. Lucio, où ils se sont arrètés. De là il parait qu'ils visent se porter sur le territoire italien. Un char chargé de sacs contenant des armes, à ce que l'an croit, est passé en mème temps par Val Bolla. Bolognini était à Misano, Grison, pour préparer expédition de Bellinzona qui paraissait dirigée sur Gravellona. Demain le président de la Confédération proposera au Conseil fédéral de faire interner au deça des Alpes, absolument, tous les réfugiés, et de livrer immédiatement à l'autorité italienne tous ceux qui étant sans papiers réguliers, déclarent toutefois n'ètre pas réfugiés politiques.

(l) Cfr. n. 535.

546

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 50 (2). Roma, 29 maggio 1870.

Hier, la séance du Concile n'a offert qu'un médiocre intéret. Les Infaillibilistes qui étaient inscrits pour cette séance, ont tous renoncé à la parole. Parmi les orateurs qui ont parlé, Monseigneur Bonnaz, éveque de Temesvar (Csanadensis) s'est distingué par un discours bref et succint contre le Schème et contre la doctrine de l'Infaillibilité, sans cependant alléguer rien de nouveau.

Monseigneur Dupanloup vient de faire imprimer à Naples une brochure nouvelle «De l'unanimité morale aux Conciles ». Quoique bien faite comme tous les écrits de l'éveque-académicien, cette brochure n'ajoutera guère à la gioire de son auteur. Son argument principal contre l'Infaillibilité est toujours l'inopportunité de la définition; de plus il s'est approprié la thèse de Monseigneurs Darboy et Strossmayer que les dogmes ne doivent pas etre définis par des majorités arithmétiques, l'unanimité morale de toute l'assemblée ayant. toujours été requise pour qu'un Concile put établir un dogme obligatoire pour l'Eglise universelle. Les faits historiques et les arguments allégués à l'appui de ces deux thèses n'offrent rien de nouveau ni d'inconnu.

Je me suis abstenu de parler à V. E. de la brochure « Ce qui se passe au Concile » parce que, publiée à Paris et chez l'imprimeur de l'Empereur, elle a du étre connue à Florence plus t6t qu'à Rome où la circulation en est défendue. J'en dois la communication à Monseigneur de Las Cases, éveque de Constantine, qui la distribue à ses amis. Il m'a dit confidentiellement que la brochure était faite dans l'entourage de Monseigneur Darboy; ici, on l'attribue à Monseigneur Maret. Je m'empresse d'appeler l'attention de V. E. sur ce que l'auteur dit au sujet des Eglises et des éveques orientaux; et ce qui rectifie mes informations antérieures que pour le plupart je tenais de Monseigneur Chiarchi, archeveque (latin) de Babylone qui, demeurant en Orient depuis plus de 40 ans, en connait les conditions ecclésiastiques mieux que tout autre Européen. Lui, et mon compatriote Monseigneur Ciurcija, Archeveque in partibus et Vicaire apostolique en Egypte, étaient et sont encore mes principales sources d'information sur les Eglises orientales. L'auteur de la brochure en question rectifie et complète mes informations de manière à me laisser regretter de n'avoir pu puiser mes informations à la meme source que lui.

Et puisque je parle de cette brochure, je ne saurais m'abstenir d'indiquer à v. E. les révélations indiscrètes de l'auteur sur les desseins de l'opposition épiscopale française au su.iet du pouvoir temporel page 51 au bas. «Des esprits conciliants et modérés avaient pensé que, si le Siège Apostolique devenait vacant pendant la réunion du Concile, il serait possible, avant l'éléction d'un nouveau pape, de reconstituer le pouvoir temporel sur des bases plus stables en le plaçant sous la sauvegarde des grandes nations chrétiennes, d'organiser les

subventions des fidèles et de rétablir ainsi les finances pontificales:. etc. etc. J'avoue étre bien satisfait de voir cette « Idée Napoléonienne, échouer comme tant d'autres. Comme les français réclament eux-mémes l'unanimité pour la fabrication de dogmes ils ne pourront pas admettre le dogme du pouvoir temporel, contre lequel se déclarent les évéques allemands, austro-hongrois et américains à la presque unanimité, comme n'ayant aucun caractère de dogme chrétien.

Monseigneur Strossmayer n'est pas nommé Archevéque d'Agram. Le gouvernement autrichien vient de faire l'énorme bévue de nommer à ce poste un prétre hongrois, Mikhailovitch, qui en 1848 avait été aumònier d'un régiment de Honveds. Abstraction faite de la personnalité de Monseigneur Strossmayer et de la réputation qu'il s'est créée au Concile, cette nomination fera du mauvais sang en Croatie dont elle blessera profondément le sentiment national. MM. Beust Andrassy et E6tv6s avaient tant de hate à faire ce faux-pas que le gouvernement autrichien a demandé à la Curie romaine d'instituer Monseigneur Mikhailovitch par simple bref pontificai et de n'en pas attendre la préconisation au prochain Consistoire du mois de juin. La Curie, ne voulant pas s'exposer au reproche de précipiter l'affaire par aversion pour Monseigneur Strossmayer, a refusé net en déclarant que, le Siège métropolitain d'Agram étant vacant depuis un an, il n'importerait pas de le laisser vacant un mois de plus. Il va d'ailleurs de soi qu'à la Curie on est charmé de l'élimination de Monseigneur Strossmayer.

(l) -Ed. in TAMBORRA, pp. 290-291. (2) -Non si pubblicano le l. p. 47, 48 e 49 di Tkalac, la prima del 24 maggio e le altre del 27 maggio.
547

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERNA, MELEGARI

T. 1132. Firenze, 30 maggio 1870, ore 15,30.

Ce qui se passe dans le Canton du Tessin prouve combien les ordres donnés par le Gouvernement fédéral, et les mesures prises par le Gouvernement cantonal sont insuffisants. On vous a promis le 18 d'interner les réfugiés au nord des Alpes et le 29 ils n'étaient pas méme internés à Bellinzona. L'internement des réfugiés au nord des Alpes, quoique tardif pourra, s'il est bien et rapidement exécuté remédier enfin à cette situation dont nous avons tout sujet de nous plaindre; mais appelez encore une fois la sérieuse attention du Gouvernement fédéral sur les suites graves qui pourraient résulter de ces facilités qui trouvent dans le Canton Tessin les auteurs d'attentats contre la sécurité du Royaume. Sans le demander formellement, faites comprendre que la situation est assez grave pour que le Gouvernement fédéral en vertu de la responsabilité qui lui incombe envoie un commissaire fédéral dans le Tessin (1).

(l) Si pubblica qui un brano del D. 48, pari data, di Visconti Venosta a Melegari: «Già per telegrafo la pregai, Signor Ministro di far sentire al Governo federale l'opportunità dell'invio di un suo Commissario nel Canton Ticino. Tale misura è resa indispensabile dalle circostanze attuali, e dalla responsabilità che ne incombe al Governo della Confederazione. È d'uopo infatti

548

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERNA, MELEGARI

T. 1134. Firenze, 30 maggio 1870, ore 16,40.

Le bande que vous avez signalée (l) est entrée dans le territoire italien.

549

IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2263. Berna, 30 maggio 1870, ore 17,44 (per. ore 21,55).

Le président de la Confédération vient de m'apporter une dépèche portant que la bande dispersée par les troupes royales, était rentrée dans le Tessin où une compagnie de milice, levée à cet effet, doit désarmer, arrèter les fuyards et les interner. Ce matin le Conseil fédéral a pris la détermination dont il est question dans ma précédente dépèche (l).

550

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFIDENZIALE 569. Berlino, 30 maggio 1870 (per. il 4 giugno).

Dans la visite que j'ai faite hier au Comte de Bismarck pour l'affaire du St. Gothard (dépèche N. 210 de la Série Commerciale) (2), j'ai amené la conversation sur la situation générale, en exprimant l'idée que les chances de paix semblaient à la hausse, ce dont l'Italie e~ la Prusse ne pouvaient que se féliciter, ayant l'une et l'autre, le plus grand intérèt au maintien des bons rapports entre les Puissances.

S. E. partageait cet avis, mais sous quelque réserve: «Si les noms ont quelque signification pour ce qui nous concerne nous ne devons pas oublier que le Président du Conseil dans le Ministère de la Cisleithanie est un polonals, le Comte Potocki, que dans le Cabinet du Comte Beust a été appelé un

che codesto Governo centrale si penetri della gravità della condizione presente delle cose e delle conseguenze che ne potrebbero derivare. La insufficienza delle misure prese, cosi dall'Autorità federale come dalle Autorità cantonali, finirà per costringere il Governo del Re ad adottare, a tutela della inviolabilità della frontiera e della sicurezza del Regno, provvedimenti che riusciranno inevitabilmente dannosi agli interessi delle popolazioni che stanno ai due lati del confine, ma la responsabilità dei quali ricadrà esclusivamente sul Governo federale».

juif lithuanien, M. Klazko, qui ne s'était signalé que par des articles très haineux contre la Prusse, publiés dans la Revue des deux Mondes. Dans ces conditions, nous pouvons, nous attendre à ce qu'on !ance des pierres dans notre jardin. D'un autre còté, le Due de Gramont, dont les sympathies sont hautement avouées pour l'Autriche devient Ministre des Affaires Etrangères. Il serait dépourvu, dit-on, de toute initiative, et ne serait qu'un instrument entre les mains de l'Empereur Napoléon. Mais encore, lorsqu'on choisit un instrument il est assez malaisé de le faire jouer à sa guise, quand il est monté sur un diapason fixe. Dans tous !es cas, avant d'inspirer une certaine confiance, il faudra qu'il donne d'autres preuves de bon vouloir que les simples assurances verbales qu'il a prodiguées, soit à notre Légation à Vienne, soit à notre Ambassadeur à Paris. Dans ces conditions, les règles élémentaires de la prudence nous prescrivent de veiller attentivement sur ces deux voisins, entre lesquels existe un courant contre lequel nous devons nous prémunir. Je pars dans quelques jours pour Ems, où je vais présenter mes hommages à l'Empereur de Russie. L'ayant déjà manqué deux ou trois fois à son passage à Berlin, il est convenable que je recherche l'occasion de m'aboucher avec Sa Majesté Impériale. Néanmoins j'aurais peut-étre pu me dispenser de cette course, mais j'y tiens précisément à cause du rapprochement qui parait se produire entre la France et l'Autriche. Il est bon qu'on se rappelle que la Prusse n'est pas isolée ».

Le Comte de Bismarck regrettait que le Comte Daru eùt donné sa démission. S. E. s'en expliquait méme pas le motif, car le plébiscite venait précisément en aide au principe que cet homme d'Etat représentait. Par le scrutin, le gouvernement personnel renonçait à bon nombre de ses prérogatives en faveur du système parlementaire. La liberté devait triompher tout autant que l'Empire. Il devait signifier que la France ne voulait point de révolutions violentes. Sous ce rapport, S. E. ne comprenait pas davantage pourquoi l'Empereur avait tiré le plébiscite du fourreau, lorsque rien ne l'y obligeait; il eùt peut-étre mieux valu se réserver de recourir à cet expédient, s'il se présentait jamais des circonstances graves, où le vote du Pays deviendrait nécessaire pour fortifier le pouvoir contre les passions démagogiques, contre les lmpatiences des partis.

Je cite ce jugement porté sur le Comte Daru, car des regrets n'eussent pas été émis sur la retraite de ce Ministre, si certains récits du Comte Benedetti et de Lord Loftus, (dépéches N. 562 e 564) (l) étaient d'une entière exactitude. Il se peut, quoique le Comte de Bismarck le nie, que M. Daru ait fait quelques réserves sur le programme politique énoncé par le Chancelier Fédéral devant le Reichstag, mais il faut alors qu'elles aient été présentées sous une forme bien plus adoucie, que celle reproduite par mes collègues de France et d'Angleterre.

Au reste, M. de Bismarck m'a répété à cette occasion que la Prusse n'avait nul empressement de s'adjoindre le Midi dans la Confédération du Nord. L'armée des Etats au delà du Mein ne serait pas encore en mesure de lui

rendre de grands services. D'ailleurs elle en dispose déjà, grace aux traités d'alliance offensive et défensive.

Voici quelle en a été l'origine. M. Benedetti, informé en aout 1866 qu'il s'agissait de démembrer la Bavière et la Hesse. déclara que la Prusse devrait alors céder Mayence à la France, et que, en cas de refus, ce serait la guerre. Il lui fut répondu que le Cabinet de Berlin était parfaitement résolu à se défendre à outrance, plutot que de consentir à une cession de territoire. Mais qu'alors, dans cette lutte formidable, on ferait jouer tous les ressorts, meme un appel à la révolution. Plutòt que de subir pareille humiliation, l'Allemagne préférerait s'ensevelir meme sous les décombres d'une république. En attendant, la Bavière, le Wiirttemberg, la Hesse et Bade furent gagnés aux traités d'alliance, trop heureux d'échapper ainsi à la première combinaison, pour le premier et le second des ces Etats, et, pour les autres, à une indemnité de guerre qui devait etre d'abord portée à un chiffre bien plus élevé. Ainsi il n'y a point eu de conflit, Mayence a été conservée, et les traités d'alliance, bien plus importants pour le Nord que l'acquisition de fractions de territoire au delà du Mein ont été conclus grace à l'ingérence de la France.

Continuant à m'exposer quelle est son attitude envers les Etats du Midi,

M. de Bismarck donnait à entendre que le Cabinet de Berlin se tenait sur la réserve. Il laissait murir la question, car le temps travaille pour lui; preuve en est que l'opinion publique s'est visiblement améliorée dans ces Etats, que les préventions tendent à disparaitre, et que le sentiment général de solidarité en Allemagne fait de notables progrès. Aussi, se garderait-il bien ici de provoquer des complications, lorsqu'on est certain d'arriver tot ou tard au but par la force seule des choses. Mais il est certain que le Gouvernement prussien et les Confédérés, s'ils ne cherchent querelle à personne, ne souffriraient ni une agression, ni meme des railleries, et que, si on leur jette le gant, ils le relèveront avec toute l'énergie du patriotisme. Ce serait alors la guerre, qu'ils ne craignent point, parcequ'ils sont prets à l'affronter. Certainement les armements pèsent sur les contribuables, mais ils resteront d'une nécessité absolue, tant que la nation n'aura pas le sentiment d'étre à l'abri de toute attaque de la part de l'étranger. Le Comte de Bismarck n'hésiterait pas à s'exprimer dans ce sens devant le Reichstag, si en 1872 une opposition se manifestait contre les dépense:s du budget de la guerre. «Il faut en effet, disait-il, que nous soyons en mesure de faire face, le cas échéant, à la France et à l'Autriche réunies. Or, avec notre million de combattants, nous sommes en mesure de résister, meme si la Russie gardait la neutralité. Si, au contraire, elle se décidait à nous preter son appui, elle pourrait se charger de l'Autriche, et nous n'aurions dès lors plus besoin de distraire de ce còté un seul de nos régiments ».

Le Chancelier Fédéral m'a renouvelé, sur notre compte, les mèmes assurances déjà mentionnées dans mon rapport commerciai de ce jour, en ajoutant que, vu nos intérets communs, nos adversaires communs, nous ne pouvions que bénéficier réciproquement de tout ce qui était de nature à fortifier l'une ou l'autre Puissance.

En lui exprimant ma reconnaissance de ces sentiments parfaitement amicaux, je lui ai donné l'assurance que, de notre coté, en suivant une politique éminemment italienne et animée des meilleures dispositions puur la Prusse, nous nous efforcerions, comme elle, de travailler à la conservation de la paix, dont nous avions l'un et l'autre besoin, pour consolider et assurer notre programme national.

Le Comte de Bismarck m'a exprimé sa satisfaction des résultats obtcnus dans le Parlement douanier et dans le Reichstag. «L'arbre planté en 1866 a pris racine; il grandira désormais de lui-mème ».

Sous ce rapport, V. E. aura lu le discours du Roi Guillaume à la clòture du Parlement Fédéral. Le langage de Sa Majesté en passant en revue les travaux accomplis depuis la création de la Confédération du Nord, se ressent du mème sentiment de satisfaction. Ce discours, quoique moins accentué que celui prononcé à l'ouverture du Reichstag, n'en est pas moins conçu dans un sens Iibéral et national. Sa Majesté ne cache pas sa résolution, de donner à la nation allemande la position à laquelle son histoire, sa force, et sa civilisation pacifique lui confèrent des droits, et quant aux traités, s'ils sont mentionnés, il ne faut pas perdre de vue que les signataires et médiateur sont loin d'ètre d'accord dans l'interprétation.

En terminant cet entretien, le Comte de Bismarck m'a prié, quand j'en aurais l'occasion, de présenter ses hommages respectueux à Notre Auguste Souverain, et de le rappeler au souvenir de V. E.

(l) -Cfr. n. 545. (2) -Non pubblicato.

(l) Cfr. nn. 512 e 517.

551

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 101. Lisbona, 30 maggio 1870 (per. il 6 giugno).

L'incidente diplomatico di cui è cenno nel mio Dispaccio, S.N., in data delli 28 corrente (1), non avendomi permesso di conferire come gli altri Colleghi, col Ministro degli Esteri non sono in grado di dare a V. E. sicure nozioni circa il pensiero governativo che informa il nuovo Gabinetto presieduto dal Duca di Saldafiha. Mi è noto però, da informazioni attinte a buona sorgente, che il Duca si tiene sicuro di dominare ormai la situazione e forte abbastanza anche politicamente e malgrado gli elementi poco omogenei del suo Ministero, per far fronte alle future opposizioni dei partiti, tra le altre segnatamente quella del partito Vizeu, senza dubbio la più temibile per esso al presente ed in futuro. So puranche che nelle regioni governative si mostra il dispiacere di non aver potuto in queste difficili contingenze associare il Vescovo di Vizeu, del quale non si disconosce punto la importanza politica e personale, ed i suoi amici politici, al Governo malgrado i maggiori sforzi fatti presso di lui e di essi come già ebbi l'onore di segnalarlo a V. E. Fui pure assicurato che il

Maresciallo nelle sue comunicazioni verbali, officiali ed officiose, si mostra interamente alieno da qualunque idea Iberica, lasciando scorgere che tal peri('.olo pel Portogallo non potrebbe nascere che dalle conseguenze d'una eventuale repubblica federativa in Spagna e dalla forza crescente d'un partito repubblicano in Portogallo, quale egli avea voluto precisamente combattere e rendere innocuo col suo avvenimento al potere.

I primi atti del Ministero attuale furono ricompense onorifiche di titoli e decorazioni ai suoi fautori, surrogazioni personali presso che generali nei posti politici e militari della Capitale e delle Provincie e cambiamenti dei titolari nelle maggiori Legazioni Portoghesi all'Estero, non peranco pubblicati, ma, credesi, già positivi. Fra questi avvi come Ministri di S. M. Fedelissima a Parigi il Conte di Asignaga, in luogo del signor Casal Ribeiro che è dimissionario, e D. Pedro da Costa a Madrid, attualmente a Pietroburgo, in luogo del signor Corbo, pure dimissionario: ambo i due nuovi precedenti titolari parenti del Duca di Saldafiha, il primo fratello ed il secondo nipote. Il posto di Roma sarà pure affidato subito ad un personaggio ma si ignora puranche quale come altresl la scelta dei nuovi titolari ad altre Legazioni.

Informazioni autorevoli ricevute testè da Oporto, città e provincia la più importante del Regno anche politicamente dopo Lisbona, mi pongono in grado di informare V. E. che i recenti avvenimenti della Capitale non trovarono adesione ad Oporto né la tranquillità pubblica venne ivi menomamente alterata. I sentimenti della popolazione furono però e sono ostili alla rivoluzione militare perfino tra i nemici del cessato Ministero, i quali applaudendo all'avvenimento del Gabinetto Saldafiha condannano pur sempre i mezzi che lo condussero al potere. Credesi inoltre che nelle disposizioni in cui trovasi la città di Oporto, sarebbe stata facile una contro-rivoluzione, ma l'opposizione ebbe il buon senso ed il patriottismo di evitare a qualunque costo la guerra civile e gli uomini politici d'ogni partito come tutte le Autorità civili e militari hanno molto lodevolmente contribuito a scongiurare ad Oporto gravi complicazioni che la crisi militare e politica di Lisbona avrebbe potuto colà facilmente produrre.

P. S. -Un annesso cifrato per V. E.

ALLEGATO

OLDOINI A VISCONTI VENOSTA

ANNESSO CIFRATO.

Graves dissensions viennent d'éclater déjà parmi les membres nouveau Ministère Portugais. Ministre de l'Interieur M. Sampajo voudrait légaliser révolution par les moyens constitutionnels. Comte Paniche et son parti du mouvement voudrait Gouvernement dictature avec mesures radicales jusqu'à la constituante. Le Roi malheureusement n'a plus aucun pouvoir actuellement ni de prestige personnel dans le pays. Les personnes les plus sérieuses de tout parti et mes collègues les plus à meme de juger la situation actuelle des choses envisagent d'une manière sombre présent et avenir.

(l) Cfr. n. 543.

552

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, BLANC, AL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI

T. 1135. Firenze, 31 maggio 1870, ore 13,35.

Dans le cas où vous devriez quitter Lisbonne l'état de la santé de M. Patella lui permettra-t-il de rester à son poste en qualité de chargé d'affaires?

553

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO, LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. R. Firenze, 31 maggio 1870 (per. il 1° giugno).

Esaminata la nota del Ministro del Re a Berna (1), comunicatami col foglio a margine indicato, mi affretto a significare all'E. V. che io non posso a meno di riconoscere l'utilità che ne verrebbe da una maggiore vigilanza, che esercitasse la Legazione italiana in Isvizzera, per mezzo di abili confidenti, sulle mene sovversive dei nemici del nostro paese; e, nel raccomandare anzi tale maggior vigilanza, non esito a soggiungere che, qualora i mezzi pecuniarii, di cui può disporre a tal fine codesto Ministero, non fossero sufficienti, io non mi rifiuterei certo a concorrervi, con quelli del bilancio di questo Ministero.

Ciò non può togliere però che, da parte sua, il Ministero dell'Interno eserciti, col mezzo de' proprii agenti e confidenti, la dovuta sorveglianza, massime nel Cantone Ticino, dove Mazzini ed i principali suoi aderenti sogliano ricoverarsi.

E qui mi corre l'obbligo di notare che non è esatto ciò che afferma il Mini.stro del Re a Berna, che, cioè, la sorveglianza esercitata dai Prefetti di Como e di Milano sia stata sempre inefficace; debbo anzi dire che molte volte le informazioni più importanti vennero al Ministero per loro mezzo, mentre, al contrario, fin qui dagli agenti e Rappresentanti del Governo, sì a Berna che a Lugano, nulla mai si venne a scoprire.

Nel mentre pertanto prego l'E. V. di voler dare le opportune istruzioni ai Rappresentanti residenti a Berna e a Lugano, per l'attuazione della maggior vigilanza, a cui appunto accenna lo stesso Ministro del Re a Berna, io non lascerò di tener conto e trarre partito delle importanti notizie contenute nella nota che l'E. V. si compiacque comunicarmi e di cui La ringrazio.

(l) Cfr. n. 538.

554

IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 87. Berna, 31 maggio 1870 (per. il 4 giugno).

In complemento de' miei ultimi telegrammi, concernenti l'aggressione, che il Mazzini ha tentato dal Ticino contro i nostri confini, ed in risposta a quelli, che sullo stesso oggetto, l'E. V. simultaneamente mi indirizzava, reputo dover fare le seguenti avvertenze.

Nella prima visita che il Presidente della Confederazione mi fece, dopo che si fu accertato, comecché imperfettamente, dei fatti, che quasi nello stesso tempo gli erano denunciati da me e dalle autorità ticinesi, mi espose il suo vivo rincrescimento di quanto era accaduto, e manifestò il desiderio che io mi facessi l'interprete dei sensi del Consiglio Federale a questo riguardo presso il Governo del Re. Aggiunse quindi che sarebbero fatti tali provvedimenti da non lasciar più temere che le ordinanze della Confederazione, per ciò che concerne la sicurezza dei confini, avessero a rimanere inefficaci.

Non si ha ancora rapporto alcuno particolareggiato dal Governo del Ticino. Il signor Dubs stima, e non sono alieno dalla sua opinione, che le autorità di questo Cantone in generale avevano a ritenersi in quest'occasione meno che conniventi, ingannate; ciò che del rimanente sarà dimostrato dalla severa inchiesta, che va a farsi in proposito.

Per ciò che tocca il fatto dell'aver il Consiglio federale sospeso l'ordine dato per l'internamento dei rifuggiti nel distretto di Bellinzona, ciò di che gli si facea appunto nel ministeriale telegramma di ieri (1), mi corre debito di porre nella sua vera luce tale fatto, che ebbe luogo a mia sollicitazione. L'ordine d'internamento non fu invero sospeso se non se quando sulle notizie venutemi da costì, io ebbi detto al signor Dubs che l'inviare ora i soldati mazziniani nel distretto di Bellinzona, era mandarli appunto nel luogo dove secondo i rapporti dei Prefetti di Como e di Sondrio doveva partire la colonna che il Mazzini intendeva spingere nella Valtellina. E veramente non fu se non se dopo che il Governo ticinese ebbe assunto sopra di sé rispetto all'Autorità federale, d'impedire ogni tentativo di spedizione da quella parte, che l'ordine di internamento fu intimato ai rifuggiti, il che, come ho assicurato altrove, se ha contribuito a precipitare l'aggressione, ha impedito altresì che non si faccia con una colonna più forte o meglio armata.

Questa mane prima che io avessi potuto communicare al signor Dubs il telegramma, col quale l'E. V. manifestava ieri il desiderio di provvedimenti idonei ad assicurare contro l'abuso, che gli ospiti della Svizzera potessero fare dell'asilo loro accordato per turbare l'ordine pubblico nel Regno, il Consiglio federale deliberava di rinviare un Commissario con pieni poteri nel Ticino, con mandato prima di provvedere su ogni cosa che riguardi l'aggressione contro

il Regno; secondo di informare sulla condotta delle autorità locali, e prima e dopo la formazione della guerilla italiana (1).

È stato eletto per quest'uffizio il Colonnello federale Hess da Zurigo, uomo universalmente stimato, e per le sue qualità di mente, e pel carattere suo aperto e fermo. È stato altra volta nel Ticino colle funzioni appunto di Commissario federale, conosce gli uomini principali del Cantone, e le parti cui servono, senza essere legato particolarmente con alcuno di essi, sa infine quanto voglia il paese.

La potestà esecutiva della Confederazione non si è arrestata a ciò, ma ha deliberato altresì che si abbia a procedere federalmente contro coloro, che si sono resi colpevoli della lamentata aggressione, questa deliberazione avrà per effetto di far tradurre dinnanzi alle Assise federali quanti saranno imputati di somigliante reato, senza distinzione di patria, alcuni di questi avrebbero forse potuto sfuggire al meritato castigo, ove avessero dovuto essere deferiti alla giustizia cantonale.

Sarà questa la prima volta che si userà qui di un'arma, che la legge pone in mano della Confederazione per premunirla contro i pericoli, che attesa la sua posizione può correre, o pel fatto dei suoi attinenti, o per quello dei suoi ospiti.

L'effetto di questa deliberazione sarà eccellente, ed avrà l'approvazione di tutti gli amici e di tutti i vicini della Svizzera.

Da lunga mano io dichiarava nei privati colloquii cogli uomini principali del Consiglio federale, che l'asilo, esercitato nobilmente e largamente in favore di tutti i fuorusciti politici, imponeva alla Svizzera di porre, quando che fosse, mano alle sanzioni penali, emanate contro coloro che espongono il paese a ostilità o a rappresaglie.

Spero che si starà fermi a questo proposito. Anche in politica necesse est ut eveniant scandala: così reputo che questa sarà l'ultima aggressione che Mazzini tenta dalla parte della Svizzera (2).

(l) Cfr. n. 548.

555

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERNA, MELEGARI

T. 1136. Firenze, 1° giugno 1870, ore 15.

Une quarantaine de réfugiés armés et dirigés par Nathan, Cecchini, Barberis et Paoletti, menacent d'entrer en Val'jellina. Le Gouvernement fédéral devrait faire survei'ller les environs de Poschiavo et donner des instructions catégoriques '3/U Gouvernement des Grisons. Si ces faits continuent nous prendrons sur les frontières des mesures dont les habitants des de,ux pays souffrlront, mais dont la responsabilité incombera au Gouvernemen'j fédéral. Informez

(l} T. 2266 del 31 maggio, non pubblicato.

celui-ci que parmi les réfugiés à Lugano est Maurice Quadrio l'alter ego de Mazzini et certainement miHé dans les conspirations. Il est aussi parmi eux un fourrier major qu'on ne désigne pas autrement et qui serait disposé à faire des révélations (1).

(2) Nota a margine: «All'interno».

556

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2271. Lisbona, 1° giugno 1870, ore 16,47 (per. ore 0,55 del 2).

Patella beaucoup mieux depuis quelque temps., et il est prét à renoncer à son congé si le service du Roi l'exige. D'après conseH amicai ici, dans no':.re intérét, je n'ai pB~s cru à propos d'écrire au due de Saldafiha ~a lettre dont il est question dans le télégramme de V. E. (2) parce que la duchesse a di t à mes collègues que l'affaire doit ètre traitée entre les Gouvernements. En outre, d'après la dictature de fait du maréchal, une réponse non acceptable pourrait compliquer davantage rapports entre les Gouvernements. Je crois aussi que mon congé serait le meilleur expédient, dans ce moment, si V. E. rle croit utile. Rien n'a encore transpiré dans le public à mon égard. On est sérieusement effrayé ici du présent et de l'avenir. Discussions graves ont eu lieu dans le conseil des ministres. Ministre de l'Intérieur ·va se retirer si Saldafiha persiste à adopter l'idée du comte Paniche pour dictature ministél·ielle et mème, dit-on, constituante. On espère conjurer danger, si non on prévoit contrerévolution du pays déjà mécontent ainsi que parmi l'armée.

557

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO E MINISTRO DELL'INTERNO LANZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

N. R. Firenze, 1° giugno 1870 (per. il 2).

Il tentativo fatto dai fuorusciti italiani implicati nei moti di Pavia, Piacenza, ecc., •andò fallito, per essere stati respin':.i dalle nostre milizie nel territorio svizzero. Difficilmente poteva succedere altrimenti; ma ognuno può domandarsi come sia avvenuto che, dopo reiterati reclami da parte del Governo Italiano, per l'internamento di quei fuorusciti, pericolosi alla sicurezza dello Stato, e dopo reiterate promesse del Governo svizzero di farli allontanare, essi abbiano po':.uto riunirsi in bande armate, varcare impunemente il confine ed aggredire armata mano.

Sembra che questa violazione delle nostre frontiere, lasciata consumare, se non con la connivenza, di certo per la trascuranza delle Autorità svizzere, non possa lasciarsi passare sotto silenzio e meriti alcune ·categoriche spiegazioni dal Governo federale. Ove poi queste non fossero soddisfacenti, vedrà l'E. V. se non sarebbe il caso di far sentire allo stesso Governo che, qualora non dia garanzie di sicurezza maggiori, l'Italia sarebbe costretta a s':.abilire un rigoroso cordone militare lungo i confini ticinesi.

(l) -Queste notizie erano state comunicate dal Ministero dell'Interno con nota riservata del 31 maggio. La seconda parte del telegramma fu inviata anche a Chiora con t. 1137 pari data perché fornisse informazioni in proposito. Per la risposta cfr. n. 559. (2) -Cfr. n. 544.
558

IL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 7. Washington, 1° giugno 1870 (per. il 19).

L'E.V. ha senza dubbio conoscenza dei fatti che fecero sorgere la questione dell'« Alabama» (1). Il Governo degli Stati Uniti stava facendo immani sforzi per abbattere l'insurrezione degli Stati del Sud. I Rappresentanti americani all'estero avevano ordine di usare ogni diligenza onde sorvegliare ed all'uopo impedire l'alles!:.imento di navi da guerra per conto dei Confederati. Il Ministro degli Stati Uniti a Londra, avendo avuto la ·Certezza che nei cantieri del signor Laird si stava costruendo un bastimento evidentemente destinato ad essere armato per tale scopo, ne forniva le prove al governo Inglese e ne domandava il sequestro. Questo, alLegando varii pretesti, indugiava ad ordinare il domandato sequestro fino all'indomani del giorno in 'cui la nave lasciava le acque di Liverpool, e « Alabama » percorreva poscia quella lunga carriera di depredazioni che è tuttora causa di vive controversie tra i due governi.

L'E.V. conosce enziandio i vari tentativi fatti dalla diplomazia ·per trovare una soluzione a questa pendenza, e come tutti i tentativi andassero falliti. L'ultima prova era stata fatta dal Ministro americano Reverdy Jonhson il quale aveva infatti conchiuso ·col Ministero inglese un trattato pel quale si stabiliva di sottomettere all'arbitraggio di persone scelte nel modo ivi specincato la determinazione dell'indennità che il governo britannico avrebbe a dare all'americano. Senonché influenze irresistibili in questi Stati indussero il Senato a rifiutare il suo assenso al trattato che era quindi abbandonato. E da due anni non si aprì più alcuna trattativa in proposito.

Quali furono queste influenze? Per quali ragioni il Governo americano non insiste per una pronta soluzione della controversia e lascia così pendenti i reclami dei privati che ebbero a soffrire i danni cagionati dalle scorrerie dell'« Alabama»? Come mai si lascia •così sospesa fra i due Stati questa costante minaccia di conflitto, tanto pregiudizievole agli interessi pubblici e privati delle due nazioni? Era interessante di trovare le vere spiegazioni a queste questioni, le quali riassumono l'avvenire delle relazioni fra l'America e l'Inghilterra, e vengo a

riferire all'E.V. quanto mi riuscì di trarre in proposito dalle conversazioni da me avute con persone di diverso colore e di non dubbia competenza.

Il Ministero Disraeli aveva finito per riconoscere la giustizia dei reclami degli Stati Uniti, ed aveva ammesso ·che una indennità era a questi dovuta. Fatta questa concessione non restava che da determinare il montante della somma dovuta, ed erasi convenuto di sottoporre questa determinazione alla decisione di ·arbitri che sarebbero nominati dalle due parti. Se veramente H governo degli Stati Uniti non avesse avuto altro scopo che quello di definire la controversia dell'« ALabama», la questione non presentava più alcuna difficoltà. Ma il Senato respingeva la proposta. Una delle ragioni allegate era che il riconoscimento da parte dell'Inghilterra dei Confederati come parte belligerante, che era stato la causa principale delle grandi proporzioni prese dalla lotta, era un segno di ostilità da parte dell'Inghilterra, e per quest'atto ostile si doveva pure esigere una riparazione. Di questa pretesa mi parlava in questi giorni il signor Sumner che nel Senato è l'arbitro supremo di quanto riguarda le questioni estere, cui f:acevo osservare non comprendere quale riparazione potrebbe dare l'Inghilterra, per siffatto procedere a meno che si volesse domandarle un'umiliante confessione di pentimento. Il signor Sumner mi replicava esservi ben altre concessioni >Che .l'Inghilterra potrebbe fare all'America, concessioni che sarebbero anche del suo interesse, e che malgrado gli sforzi di Lord Clarendon e del signor Thornton, finiranno pure per essere comprese dall'Inghilterra ed effettuate. Né altro aggiunge il signor Summ;r, ma sapevo d'altra parte che significavano le sue 'Parole. Una persona pure autorevolissima e che occupa un'alta posizione ufficiale mi aveva ·confessato franca:mente che l'America preferiva di tenere aperta la questione dell'Alabama. <<A che vale» mi diceva essa «sciogliere questa piccola controversia se resta sospesa la gran questione territoriale? L'America non può sopportare a lungo che per migliaia di miglia la sua frontiera sia scoperta e limitata da un dominio estero. Si combinino le due questioni, ne potrà uscire una soluzione che assicuri le relazioni amichevoli fra i due Stati sopra basi vere e definitive». E questa è l'idea che si trova nel fondo dell'anima di tutti gli uomini politici di questo paese e che si rende ogni giorno più generale.

Che fa l'Inghilterra in faccia a questa situazione di cose? Essa cerca di governare il Canadà meglio che può, e di soddisfare tutte le ragionevoli aspirazioni, né cederebbe alle violenti minacce degli Stati Uniti, né alle insensate dimostrazioni dei fuorusciti irlandesi. Ma io son convinto che, il giorno in cui le popolazioni del Canadà si dimostrassero desiderose di unire le loro sorti a quelle degli Stati Uniti, l'Inghilterra non resisterebbe seriamente alle loro brame. Finora però i Canadesi non hanno manifestato alcuna velleità di tal genere, che anzi si mostrano assai contenti della leggera dominazione che vi esercita la Gran Brettagna.

E' tuttavia possibile che quelle popolazioni ne vengano ad un'epoca non remota a desiderare un mutamento nelle loro sorti per ragioni industriali e commerciali.

La Francia vede queste cose né dà il menomo segno d'adombrarsene. Il suo Rappresentante ne parla colla massima imparzialità ed indifferenza ed è manifesto che, dopo la conclusione della malaugurata spedizione del Messico, il go

verno Imperiale ha adottato in America una politica di grande riserva. Né io reputo siffatta politica inopportuna imperocché sta di fatto che la gran potenza di espansione spiegata dagli Stati Uniti tende a diffondere la civilizzazione in tutte le parti del nuovo mondo. Immense ricchezze territoriali sono a:perte alla razza umana, milioni di selvaggi sono aggiunti al mondo civile, un avvenire immenso è assicurato a questo paese. Dimodoché si può dire che gli Stati Uniti compiano ora in America la missione che Roma compiva nei tempi antichi. Ed andrebbe contro il corso naturale delle cose umane ·Chi volesse opporsi a questo grande lavoro di trasformazione.

(l) Sulla questione cfr. A. CooK, The Alabama Claims, New York, 1975.

559

IL CONSOLE A LUGANO, CHIORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VESCONTI VENOSTA

T. 2272. Lugano, 2 giugno 1870, ore 9,15 (per. ore 9,48).

II Quadrio da più anni è qui in casa di Nathan. Furiere indicato non vi è. Segue rapporto (l).

560

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO (2)

D. 51. Firenze, 2 giugno 1870.

Mes communications précédentes vous ont mis à meme d'informer le Gouvernement de S. A. le Khédive de r,attention sympathique avec laquelle nous suivions ses efforts ·pour introduire en Egypte les bases d'une réforme générale de la 'législation et des institutions judiciaires. Le premier examen que nous avons fait des travaux de la Commission internationale réunie au Caire pour préparer le projet de la réforme judiciaire, nous a permis d'adhérer en principe à une modification de l'état actuel des choses, dont le changement paraissait répondre à un besoin généralement senti. Mais les questions que soulèvent les nouvelles lois organiques proposées par l'Egypte, en remplacement de la juridiction très-étendue exercée par les Consulats, doivent former chez nous l'objet d'une étude plus approfondie de la part de personnes particulièrement autori:sées. A cet effet, ainsi que je vous l'ai déjà annoncé, mon collègue, le Garde des Sceaux, d'accord avec moi, a nommé une Commission spéciale chargée d'éclairer l'opinion du Gouvernement sur les projets et les amendements qui nous ont été présentés jusqu'ici. Cette Commission, dont les travaux seront poussés

aussi activement que possible, a jugé de faire précéder l'examen du projet élaboré au Caire d'une déclaration dont je vous envoie une copie.

L'importance de ce document ne vous laissera aucun doute sur 1a nécessité d'en faire immédiatement l'objet d'une communication officielle au Gouvernement du Khédive. Nous espérons que cel.ui-ci s'empressera de son còté d'adhérer à la demande contenue dans la déclaration de la Commission italienne, et que dans le désir manifesté par celle~ci d'avoir sous les yeux les futurs Codes de l'Egypte, il ne verra ni une cause de retard, ni un obstacle à la réalisation d'une réforme pour la réussite de laquelle nous ne cessons de faire les voeux 'les plus sincères. Le Gouvernement de Son Altesse est trop éclairé en effet pour ne pas comprendre que la déclaration des Commissaires italiens est la meilleure garantie de notre concours efficace dans une oeuvre dont l'importance répond à l'intéret que nous y attachons. L'incertitude qui existe encore sur quelques points essentiels de la future organisation judrciaire explique certainement à nos yeux le retard apporté à la présentation des Codes. Mais lors meme que les décisions que l'on prendrait devraient rendre nécessaires des modifications de quelque importance dans les lois de la procédure nous pensons que les projets des Codes tels qu'ils ont été préparés devraient nous etre communiqués immédiatement afin que nous puissions etre complètement édifiés sur les principt)s qui formeront les bases de la nouvelle législation de l'Egypte.

Vous voudrez donc, M. l'Agent, vous attacher tout particulièrement à faire comprendre au Gouvernement de Son Altesse l'intéret, qu'il y a pour lui à nous communiquer dès à présent les projets des Codes, et à lui e:JGpliquer le sentiment amica! qui nous a dicté cette demande.

Veuillez donner lecture de cette dépeche à S. E. Schérif Pacha et lui laisser copie de la déclaration qui y est annexée.

ALLEGATO

Deliberazione della Commisione nominata dal Ministro di Grazia e Giustizia, d'accordo col Ministro degli Affari Esteri, sul progetto di riforma giudiziaria elaborato dalla Commissione internazionale riunitasi al Cairo.

Seduta del 10 maggio 1870

I singoli Commissari avendo esaminato individualmente gli stampati che erano stati loro distribuiti, scambiano le impressioni che ne ebbero, ed è unanimemente riconosciuto come siano da encomiarsi in massima i propositi del Governo egiziano. Ritiene infatti la Commissione che se finora il diritto spettante agli Europei di essere giudicati dai loro Consoli fu una preziosa guarentigia per essi, sarebbe assai più utile l'esistenza di tribunali regolari locali quando una efficace e stabile riforma delle leggi e delle condizioni del paese facesse sì che la buona trattazione degli affari fosse assicurata in Egitto come lo è in Italia.

Quindi la Commissione si accinge di buon animo allo studio delle singole parti del lavoro che le venne comunicato, ma intanto delibera di far presente al Ministero la convenienza che il Governo del Re, lodando le intenzioni del Khedive, faccia sentire al Governo egiziano che la riforma dell'ordinamento giudiziario in Egitto debba essere preceduta dalla pubblicazione di una legislazione completa la quale comprenda i Codici civile, commerciale, penale e di procedura civile e criminale. La Commissione, convinta della fermezza delle intenzioni del Khedive, fa voti perchè queste possano essere tradotte

41 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. XII

in atto senza ritardo, malgrado le difficoltà che le istituzioni proprie dell'Egitto potrebbero opporre alla formazione di alcune parti dei Codici. Essa troverebbe nella presentazione che le si facesse dei Codici stessi, od almeno dei progetti, che si ritiene formino già argomento di studio in Egitto, una base sicura per un apprezzamento delle proposizioni raccomandate ai rispettivi Governi dai Commissari riuniti al Cairo. Mentre infatti il progetto elaborato dalla Commissione internazionale non contiene i principii fondamentali di una completa legislazione civile e penale, abbraccia invece varie disposizioni sul valore delle quali è impossibile emettere un giudizio definitivo se non si conoscono prima le leggi che i nuovi tribunali egiziani dovranno applicare.

Il desiderio di corrispondere pienamente allo scopo per il quale fu istituita, muove la Commissione a deliberare che si abbia a chiedere al Ministero comunicazione dei progetti dei Codici egiziani. Dopo questa comunicazione, e dopo un esame sommario dei Codici stessi, inteso a riconoscere che nei medesimi siano stati seguiti i principiì generali delle legislazioni europee, la Commissione si troverà in grado di compiere il suo mandato, emettendo sul progettato ordinamento giudiziario un voto scevro delle restrizioni e delle riserve che nello stato attuale di cose si vedrebbe obbligata di fare.

(l) -Non pubbl!cato. (2) -Ed. in LV 21, pp. 96-98.
561

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA

D. 59. Firenze, 2 giugno 1870.

Ho preso in attenta considerazione il rapporto del 23 maggio (l) col quale Ella mi ha trasmesso un progetto di riforma giudiziaria che si vorrebbe introdurre nella Tunisia. L'esame sommario che ho potuto fare di quel progetto mi ha dimostrato la necessità di non pregiudicare alcune delle gravi questioni che converrebbe risolvere per sostituire allo stato attuale delle cose un altro che sia più soddisfacente. Ella dunque potrà far conoscere al Primo Ministro di S. A. il Bey di averci comunicato il progetto relativo alla riforma sovr'accennata aggiungendo che il Gabinetto di Sua Altezza può essere sicuro di trovare in noi ogni buona disposizione per aiutarlo a migliorare sotto ogni rapporto le condizioni della Tunisia. Ma nel tempo stesso Ella dovrà far intendere chiaramente al Kasnadar che, trattandosi di sostituire un altro regime a quello attualmente in vigore il Governo del Re non può promettere il proprio assenso se, mercé uno studio attento ed un esame minuto delle singole disposizioni che si vorrebbero adottare, non avrà prima avuto agio di persuadersi dell'utilità delle medesime.

Intanto la pregherei, signor commendatore di volermi riferire minutamente sul modo con cui viene ripartita in codesto paese la giurisdizione fra i Consoli esteri e l'autorità locale. Ella non ignora le sostanziali differenze che gli usi locali hanno introdotto nell'applicazione delle capitolazioni in varie parti del Levante e se il Ministro vorrà accingersi a studiare il progetto d'un nuovo ordinamento giudiziario a Tunisi bisognerà anzitutto che egli possa formarsi un concetto esatto dello stato di 'Cose che si vorrebbe riformare.

(l) Cfr. n. 525.

562

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 52. Roma, 2 giugno 1870.

Avant de parler de la séance du Concile d'aujourd'hui, je tiens à constater que l'éveque américain qui dans la dernière séance a soutenu la constitution républicaine de l'Eglise, était Monseigneur Purcell, éveque de Cincinnati (2). Sa harangue a toujours un grand retentissement, et ses collègues américains le comblent d'éloges et de marques de sympathie. On m'assure que l'influence jadis si grande de Monseigneur Spalding est tout à fait effacée.

La séance d'aujourd'hui a été fort intéressante. Ont parlé Monseigneur Dreux-Brézé éveque de Moulins pour et Monseigneurs Vancsa, archeveque roumain-uniate de Transylvanie, et Strossmayer contre l'Infaillibilité. Ce dernier eut encore un immense succès oratoire.

Monseigneur Dreux-Brézé est un des enfants terribles de la majorité, et son discours est vraiment un unicum sui generis. Je ne sais s'il a enthousiasmé les Infaillibilistes, mais ce qui est sur c'est qu'il a terriblement scandalisé l'opposition. Voici son argumentation: le Pape comme vicaire du Christ est roi, parce que Jesus-Christ a répondu à Pilate qu'il était roi, ce que Pilate luimeme a reconnu en faisant mettre sur la croix l'inscription: « Jesus Nazarenus Rex Judaeorum ». Or, Jesus-Christ a été infaillible comme Dieu et comme roi; donc, le Pape, étant roi, est aussi infaillible. En ce qui concerne les droits de ,l'Episcopat, Monseigneur Dreux-Brézé a été cruel pour ses conf.rères. Non seulement qu'il a ouvertement nié l'institution divine de l'Episcopat, mais il a dit -ce qui est parfaitement vrai -que le pouvoir spiritue! de l'éveque est en réalité nul, parce que l'éveque n'a la faculté d'absoudre de certains péchés dits reservés que si le Pape la lui accorde par bref. Cette théorie, conforme à la pratique séculaire de la Cour romaine, a piqué au vif l'opposition si pénétrée du sentiment de son institution divine.

Monseigneur Vancsa a fait un discours très-savant contre l'Infaillibilité du point de vue de l'Eglise orientale. Il a prouvé sans peine que l'Eglise orientale, les grands Conciles oecuméniques et les Pères de l'Eglise reconnus par toute l'Eglise n'ont jamais songé à une pareille absurdité, et que tout ce qu'ils admettent, c'est la primauté du Siège épiscopal de Rome. Jamais l'Eglise orientale ne fera à Rome d'autres concessions; l'acte d'union du Concile de Florence marque les limites du possible. Passer outre ce serait mettre en question l'union, et notamment pousser la nation et l'Eglise roumaines vers le schisme, d'autant plus que l'union n'est sympathique ni au clergé ni au peuple roumain.

Monseigneur Strossmayer a parlé pendant une heure et demi. Son discours, très-bien fait, a été prononcé avec la facilité et l'art oratoire qu'on connait à l'éveque croate. On me dit que son succès était enorme et que meme la majorité était fascinée de son éloquence. J'incline à croire que c'était un

succès purement oratoire, car le discours, quelque habilement qu'il soit fait, n'ouvre pas de nouveaux points de vue, son mérite intrinsèque consiste à résumer et à rédiger les arguments théologiques contre la prétention de l'Infaillibilité. Ce mérite est immense vis-à-vis d'une assemblée qui ne brille pas précisément par sa sagesse ni son érudition et je comprends aisément l'effet qu'il a produit. Monseigneur Strossmayer a commencé par défendre les droits divins de l'Episcopat menacés pas l'Infalllibilité et par la prétention papale de la jurisdiction ordinaire et immédiate du Pape sur toute l'Eglise et toute diocèse. La bataille qu'il a sur ce point livrée aux Infaillibilistes était d'autant plus brillante qu'il pouvait alléguer tous les grands Pères de l'Eglise à l'appui de sa thèse. Puis il passa à défendre les Conciles oecuméniques anéantis par l'Infaillibilité, et à prouver que l'Episcopat a toujours eu le droit de prononcer en juge sur toutes les questions relatives à l'Eglise universelle, et que l'Infaillibilité de l'Eglise est précisément fondée sur l'harmonie des convictions et du jugement de l'Episcopat réuni en Concile. Enfin il s'est attaché à démontrer que les dogmes ne pouvaient étre définis qu'à l'unanimité des votes, laquelle est d'autant plus requise pour un dogme tel que l'Infaillibilité, qui impose à l'Episcopat de renoncer à son droit divin, abdication qui n'est admissible qu'à la condition qu'elle soit unanime et spontanée. Il a termlné son discours en bHì.mant sévèrement la majorité qu'il appelait de nouveaux Manichéens (Monseigneur Valerga a qualifié de Monothélètes l'opposition) de formuler des sentiments mondains d'orgueil et d'ambition, sentiments condamnés par la conduite de Jesus-Christ qui, lorsque la porpulation voulait le proclamer roi, s'est esquivé pour s'y soustraire. Ce coup donné à Pie IX a provoqué des marques de reprobation et d'impatience dans la majorité qui il faut lui rendre cet éloge -s'est, pendant toute cette d1scussion, conduite avec dignité et modération. Deux évéques autrichiens que j'ai vus immédiatement après la séance, m'ont dit qu'aujourd'hui Monseigneur Strossmayer s'est dépassé lui-méme et que depuis St. Athanase il n'y a pas eu d'orateur chrétien plus grand que lui. J'allais le féliciter de san nouveau succès, il m'a dit que, si aujourd'hui il n'a pas réussi à enterrer l'Infaillibilité, c'est que Dieu veut perdre la Papauté. On lui a rendu de grands hommages a la séance, plus de trente cardinaux ont quitté leurs places et se sont approchés de la tribune pour l'écouter. Toute l'opposition était débout dans l'hémicicle. Quand il descendit de la tribune, on l'embrassait, félicitait, comblait d'éloges. Bref ce fut un succès qui ne saurait guère étre surpassé.

(l) -Ed. in TAMBORRA, pp. 292-294. (2) -Cfr. la !.p, 51 di Tltalac del 31 maggio, ed. in TAMBORRA, pp. 291-292.
563

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

D. 34. Firenze, 3 giugno 1870.

II Ministro d'Inghilterra mi lesse stamane un dispaccio scrittogli da Lord Clarendon intorno agli affari attuali di Grecia.

Il primo Segretario della Regina per gli Affari Esteri espone, in quel dispaccio, come V. E. gli abbia manifestato il desiderio nostro di procedere d'accordo col Gabinetto britannico, e com'egli, a sua volta, Le porgesse identica assicurazione. Sua Signoria nel dare incarico a Sir Augustus Paget di ripetermi la stessa dichiarazione gli dice che allora quando sarà giunto il momento, pel Foreign Office, di formulare le sue vedute e di enunciare le sue risoluzioni, il Gabinetto di Firenze ne sarà anticipatamente informato.

Voglia, Signor Ministro ringraziare Sua Signoria di questa sua comuni· cazione e riaffermare l'impegno, che già abbiamo preso, di mantenere con codesto Gabinetto uno scambio costante di notizie e di intendimenti.

564

IL MINISTRO A WASHINGTON, CORTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 8. Washington, 3 giugno 1870 (per. il 19).

Jeri mi venne fra le mani il dispa,ccio (Serie Politica n. 3) dell'8 dell'ora scorso maggio (l) pel quale l'E. V. mi faceva tenere le ultime corrispondenze scambiate colle R. Legazioni a Buenos Ayres Montevideo, e Caracas affine di ragguagliarmi esattamente dello stato delle nostre relazioni con quei Governi, ma,ssime per quanto riguardava la rivendicazione dei diritti degli Italiani colà residenti. Per esso l'E. V. mi ordinava inoltre chiamassi l'attenzione di questo Governo sulla spiacevole condizione di cose che era fatta ai nostri interessi dalla condotta seguita dall'Uruguay e dal Venezuela al nostro riguardo, dichiarassi la ferma intenzione del R. Governo di venirne a quelle estreme misure che fossero per avventura giudicate necessarie affine dì ottenere giustizia, ma prima di prendere una risoluzione definitiva desiderare d'avvisarne il Governo degli Stati Uniti affine di vedere se l'interposizione dei suoi buoni uffici, potesse condurre ad un risultato soddisfacente. Desideroso di dare pronto corso agli ordini impartitimi da V. E. io non indugiai a trasferirmi presso questo Segretario di Stato al quale feci una succinta narrazione dei fatti occorsi. Aggiunsi il R. Governo desiderare d'esaurire tutti i mezzi possibili prima di adottare più efficaci rimedj, epperò rivolgersi a questo Governo per vedere se egli volesse adoperarsi affine di ottenere da quei Governi il riconoscimento e la soddisfazione dei nostri diritti.

Il signor Fish disse avere il Governo degli Stati Uniti analoghi richiami verso quelli dell'Uruguay e di Venezuela, non essere bene al fatto dei primi perché da un anno incirca il Rappresentante d'America fu assente da Montevideo, sebbene quello che fu recentemente nominato sia già partito per la sua destinazione. Ma potermi fornire ogni ragguaglio su quanto concerne il Venezuela.

I richiami dei cittadini degli Stati Uniti nel Venezuela costituivano nella loro totalità una somma assai ragguardevole, che per la convenzione del 25 aprile 1866 erasi deciso sarebbero sottomessi all'arbitraggio di una Commissione mista. La Commissione aveva pronunziato il suo verdetto, ma il Governo di Venezuela erasi rifiutato alla sua esecuzione allegando che il giudizio degli arbitri non era stato imparziale. Il signor Fish desiderando lasciare a quel Governo l'agio ed i mezzi di verificare se veramente alcuni dei richiami fossero stati esagerati oltre misura, non volle spingere le cose con precipi';;azione, e ne seguì una lunga corrispondenza diplomatica che non fornì alcuna soluzione.

Il Governo del Venezuela intaccava la probità degli arbitri; il signor Fish rispondeva non potere entrare in siffatta discussione finché non fossero effettuati i versamenti scaduti, potersi frattanto esaminare le prove che potessero essere fornite delle concussioni allegate. E così trascorsero due anni, allorché il Ministro di America a Caracas avendo ottenuto un congedo, ne venne a Washington dove si trova attualmente, né lasciò alcuno incaricato di quella Legazione.

Il signor Fish frattanto penetrato deUa gravità della situazione e della necessità di adottare misure coercitive se si voleva ottenere giustizia da quel Governo, né volendo assumerne la responsabilità, consigliò il Presidente della Repubblica d'indirizzare al Congresso un messaggio sopra questa questione. E questo documento datato del 1° marzo ultimo, è accompagnato da una lettera del signor Fish stesso la quale contiene le seguenti parole: «Risulta parimenti esservi poca probabilità che questo Ministero possa persuadere il Governo di Venezuela di soddisfare gli impegni assunti per la Convenzione del 1866 ».

Aggiunse il signor Fish essere ora insorta l'ulteriore complicazione di una nuova rivoluzione, essere assai probabile che il Generale Bianco sospenda ogni pagamento, né sapersi per anco che specie di Governo sarà per stabilire. In ogni caso egli non prenderebbe alcuna risoluzione in proposito prima di conoscere il risultato della deliberazione del Comitato degli Affari Esteri, cui il messaggio e la relativa corrispondenza erano stati riferiti.

Ed alla mia domanda, qual fosse il suo avviso sulla nostra posizione, egli replicò: «Dichiarate a quel Governo che, se non fa piena ragione ai richiami Italiani, prenderete misure coercitive. Se non basta, mandate navi e polvere, e la sola presenza della polvere basterà per indurre a rendervi giustizia, né avrete bisogno d'usarla. Il Venezuela è ricco, e colle sue dogane, se sono bene amministrate, e si voglia prelevarne la parte convenuta a benefizio dei richiami esteri, può soddisfarli senza alcuna difficoltà».

Le quali cose io credetti dover riferire all'E. V. onde farle comprendere come nelle presenti circostanze questo Governo non sia in grado di interporre i suoi buoni uffici in nostro favore presso il Governo di Venezuela.

Siffatte ragioni non esistevano per l'Uruguay, però gli domandai se non

avrebbe difficoltà ad impiegare l'influenza che il suo Governo aveva in quelle

regioni affine di tentare di fare intendere ragione a quello di Montevideo. Il

Ministro accolse assai benignamente la mia proposta, e si convenne gli indi

rizzerei un breve memorandum sulla questione ed egli farebbe quanto dipenderebbe da lui affine di agire conformemente ai nostri desiderj. Né io dubito, dalle parole piene di simpatia pel R. Governo pronunziate dal Segretario di Stato in questa occasione, che egli sarà per adoperarsi seriamente per vedere di ottenere una soluzione della controversia. Bensì dubito, dalla lettura della corrispondenza nostra, che i buoni ufficj d'altre potenze siano per condurre a risultati reali.

Non mancherò per parte mia di seguire questi negozi nelle loro fasi ulteriori, e di tutto renderò pronto ed esatto ·conto all'E. V ...

(l) Cfr. n. 478.

565

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

R. 116. Alessandria, 3 giugno 1870.

Ho l'onore di trasmettere a V. E. la copia di una nota direttami da Scerif pascià per la compra, fatta dalla compagnia Rubattino, di un terreno sul littorale egiziano del mar Rosso. A questa nota non risponderò finché non mi pervengano le istruzioni di V. E.

Da alcune parole di un ufficiale superiore del ministero ho potuto desumere che altre società hanno seguito l'esempio della Rubattino, ma non mi è riuscito sapere di quali nazionalità. Potendo accertare questi fatti, li riferirò all'E. V.

ALLEGATO

SCERH, PASCIA' A G. DE MARTINO

Alexandrie, t•• juin 1870.

Aux termes d'une com111unication que j'ai reçue du ministère de la marine. la compagnie italienne Rubattino, par l'intermédiaire de ses agents, a occupé un morceau de terrain vers le cap Assab, sur le litoral égyptien de la mer Rouge, et établi sur ce terrain un dépòt de charllon pour le besoin de son service.

Ce terrain dépendant du gouvernement égyptien, l'autorité rechercha les titres en vertu desquels avait pu avoir lieu l'occupation et il fut constaté que les agent:;; de h compagnie le tenaient de quelques pècheurs dE' la cote qui l'avaient vendu comme leur propriété.

Evidemment, M. l'agent et consul général, cette vente est radicalement nulle, car les pècheurs n'ont pu vendre la propriété d'autrui, la propriété de l'état.

Le gouvemement s'élève donc absolument contre cette occupation arbitraire, et je viens, en son nom, vous prier, M. l'agent et consul général, de vouloir bien pourvoir à ce que la compagnie, respectant les droits incontestables du véritable propriétaire, laisse les lieux libres dans le plus bref délai.

J'ajoute que, pour la facilité des compagnies de navigation qui poussent leurs opérations jusque dans l'extrème Orient, le gouvernement égyptien ne se refust"rait pas à leur acco::der, le cas échéant, la jouissance des terrains dont elles croiraient devoir disposer sur le litoral dont il s'agit, mais cela à titre de location, et sous Ies conditions qu'il indiquera lui-meme à ces compagnies.

(l) Ed. in LV 34, pp. 2-3.

566

IL J\IIINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERNA, MELEGARI

T. 1141. Firenze, 4 giugno 1870, ore 11.

D'aprés Ies nouvelles .reçues par le ministre de l'intérieur une partie des émigrés qui ont quitté le Canton Tessin se trouvent maintenant à Samaden préparant une expédition pour la Valtelline sous la direction de Ricciotti Gariba1di. Il faut absolument que le séjour dans !es Grisons soit interdit aux réfugiés, comme on vient de le faire tardivement pour le Tessin. Faites-en la demande formelle au Gouvernement fédéral. Une nouvelle invasion provoquerait immédiatement de notre part les mesures les plus énergiques, sur toute la ligne de la frontière suisse.

567

IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2283. Berna, 5 giugno 1870, ore 9,28 (per. ore 10,15).

Le président de la Confédération a ordonné hier au soir par voie télégraphique aux Grisons de faire partir immédiatement de Samaden et vallée Ies réfugiés qui pourraient s'y trouver. Le commissaire fédéral en a fait arrèter deux, l'un de Plaisance, l'autre de Bologne. Le comte Bolognini a été envoyé à Zurich ave·c la défense de quitter la viUe.

568

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2284. Pietroburgo, 5 giugno 1870, ore 11 (per. ore 14,20).

Le projet français de réforme judiciaire en Egypte a été remis au Gouvernement russe. Le prince Gortchakoff l'a trouvé acceptable en principe, mais avant de donner son approbation définitive a voulu le soumettre à l'examen de l'ambassadeur de Russie à Constantinople où le projet a été transmis maintenant. Détails par lettre (l).

(l) R. 144 dell'a giugno, non pubblicato.

569

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL CONSOLE A CORFU', TRABAUDI FOSCARINI

T. 1142. Firenze, 5 giugno 1870, ore 11,10.

D'après nos informations Ricciotti Garibaldi serait arrivé le 30 du mois de mai à Corfou. Il aurait pris son logement dans une maison de campagne et il serait ensuite reparti. Tàchez de contròler ces informations et faites-moi connaitre avec promptitude le résultat de vos recherches (l).

570

IL CONSOLE A CORFU', TRABAUDI FOSCARINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2286. Corfù, 5 giugno 1870, ore 19,30 (per. ore 22,45).

Prefettura e polizia assicurano Ricciotti non essere venuto. Faccio privatamente ricerche con grande diligenza. Le mie informazioni mossero sospetto che per la persona creduta essere Flourens, giunta qui in maggio, potesse essere Ricciotti. Prefettura fa attive indagini.

571

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (2)

L. P. Parigi, 5 giugno 1870.

Il Generale Cucchiari che parte oggi da Parigi e che s'incarica d'impostare questa lettera a Susa, m'offre l'occasione di scrivervi di cose che non vorrei confidare alla posta francese.

La nomina di Gramont al Ministero degli Affari Esteri è un indizio che l'Imperatore N. non ha abbandonata la sua idea di un'alleanza tra la Francia, l'Austria e l'Italia. Gramont non entrò l'anno scorso nella confidenza delle pratiche secrete che ci furono allora; ma ne seppe abbastanza perché abbia potuto indovinare che cosa si voleva e dove si tendeva. Si dice ora che abbia recato una lettera autografa dell'Imperatore d'Austria all'Imperatore N. Io non lo credo. O almeno se la lettera ci fu, non penso che questa contenga altro che frasi generali d'amicizia, buon volere, e forse un complimento per Gramont. Ma questo è certo ad ogni modo, che le relazioni fra i Gabinetti di Parigi e di

Vienna sono intime e cordiali. Per ora l'Imperatore N. non pensa certamente ad interrompere la pace d'Europa. Ma aspetta un'occasione, e se questa si presenta buona, non la lascerà sfuggire. Se il plebiscito avesse avuto un esito infelice o mediocre, so positivamente che fra i mezzi ventilati nell'animo dell'Imperatore per uscire dalla cattiva posizione che ne sarebbe risultata per lui, v'era in primo luogo quello della guerra. Anche adunque sotto questo aspetto l'esito insperato del plebiscito fu ottima cosa per tutti.

La regina di Spagna scrisse ultimamente all'Imperatore Napoleone una lettera nella quale essa dichiarava di essere pronta ad abdicare in favore di suo figlio sempre quando l'Imperatore lo credesse, ed in certa guisa poneva sé e suo figlio e i destini di Sua Casa nelle mani dell'Imperatore stesso. L'Imperatore rispose colla solita riserva, evitando di pigliarsi un impegno qualsiasi e di dare anche un semplice consiglio. Intanto sopraggiunsero gli affari di Portogallo ove Saldanha fece le belle cose che sapete. È ormai indubitato che fra Saldanha, Prim, Olozaga ed altri era stata combinata una cospirazione tendente a far proclamare l'unione Iberica. La flotta spagnuola doveva presentarsi a Lisbona. I timori e l'impazienza del Maresciallo od altre cause precipitarono le cose, e tutto si ridusse alla sciagurata e deplorevole scena di Lisbona. Voi sarete certamente informato di quanto si passò. Ma forse non sapete ancora che secondo le affermazioni di Olozaga, l'Imperatore Napoleone era stato messo a giorno del progetto. Ciò è possibile. Ma è certo d'altro lato che l'Imperatore non fece né disse nulla che implicasse per parte sua un appoggio o una semplice approvazione. Intanto mi si assicura che l'Imperatore stesso, forse anche per rendere più evidente la mancanza d'ogni sua complicità, si rifiuta ad ammettere presso di sé come Inviato del Portogallo il fratello del vecchio Maresciallo. Olozaga s'è !agnato meco d'Oldoini il quale, secondo lui, avrebbe preso una attitudine decisamente e notoriamente ostile a Saldanha, e servirebbe d'intermediario fra la Corte e il Duca di Loulé. Vi segnalo ciò per ogni buon fine. Voi saprete d'altra parte ciò che si passa laggiù, e suppongo che Oldoini non agirà alla stordita e senza chiedere istruzioni.

Dopo il plebiscito la situazione dell'Imperatore migliorò e si rassodò. Oramai la sua persona e fino ad un certo punto la dinastia non sono più messe in giuoco pel momento. A questo riguardo c'è una padficazione grande. Ma se la posizione dell'Imperatore migliorò, quella del suo Ministero peggiorò. Ollivier non si rende ancora ben conto del significato del plebiscito che ha tanto contribuito a fare. Buffet e Daru che se ne resero conto, un po' tardi è vero, se ne andarono. Mi sembra di vedere un lento ritorno ad un Ministero Rouher fra qualche mese. Tale almeno sembrami essere il desiderio di molte persone che avvicinano l'Imperatore.

Fatto è che è credenza generale che il Ministero attuale non durerà a lungo così. Si accusa Ollivier di non aver nessuna attitudine di governo, malgrado il suo immenso ingegno di oratore. La più parte de' suoi colleghi hanno eguale inesperienza. Si va perfino ad affermare che il Ministero non giungerà alla fine della sessione. Io in verità non sono cosi pessimista e credo che Ollivier traverserà la sessione presente, consentendo all'uopo a modificare parzialmente il Gabinetto.

P. S. Mi sono !agnato qui presso l'Agenzia Havas, di certi telegrammi datati da Lanslebourg, relativi all'Italia e pieni di notizie confuse di brigantaggio, di bande ecc. Mi si rispose che l'Agenzia Stefani non mandava sufficienti notizie nei suoi telegrammi e che perciò qui erano forzati a provvedere altrimenti alla curiosità pubblica. Però mi fu promesso che non si ricorrerebbe più a questo sistema di telegrammi di Lanslelourg o di Chambéry, se l'Agenzia Stefani da Firenze mandasse telegrammi più frequenti e più completi. Vi segnalo il fatto e vi prego di parlarne a Lanza, affinché dia o fa·ccia dare a Bacchioloni le istruzioni a ciò necessarie. È importante che quel servizio sia fatto bene, giacché i telegrammi Havas fanno il giro del globo.

(l) -crr. n. 570. (2) -Da AVV,
572

IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2287. Berna. 6 giugno 1870, ore 13 (per. ore 14,55).

A la demande que le Conseil fédéral avait faite aux Grisons de veiller à ce que nouvelle bande ne se forme dans Engadine pour tomber sur la Valtelline,

o n a répondu par la dépeche suivante: «A Samaden et dans toute la vallée il n'y a aucune trace de8 réfugiés. Il est de méme de Poschiavo et Bregallia. La préfecture de Sondrio fait mention d'une bande de 15 à 25 hommes qui étaient poursuivis par les troupes italiennes et se disperseront probablement dans la direetion de Bregallia. Nous y avons envoyé ordres nécessaires. Signé, Gouv·ernement des Grisons ». Le Gouvernement fédéral n'a pas d'autres détails.

573

IL CONSOLE A CORFU', TRABAUDI FOSCARINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2291. Corfù, 6 giugno 1870, ore 19,15 (per. ore 20,05).

Polizia nelle sue ricerche fini per trovare il De Martino (l) e insospettita lo fece chiamare. Egli dichiarò apertamente essere Ricciotti. Però desidererebbe restare incognito onde evitare dimostrazioni. Prefetto mi ha testé informato di questo. Risposi non aver ordini chiedere disposizioni contro di lui, ma chiedere solo stretta sorveglianza parendomi probabile stia qua per portarsi momento opportuno segretamente in qualche punto d'Italia per disordini. Prefetto promise sorveglianza. Sorveglio anch'io.

(l) Con t. 2289, pari data, non pubblicato, Trabaudi aveva informato che Rlcclotti Garibaldi si nascondeva sotto il nome di Rosario De Martino.

574

IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTEHI, VISCONTI VENOSTA

T. 2294. Ber,na, 7 giugno 1870, ore 15,55 (per. ore 17,55).

Bande Nathan composée de 27 individus a cherché refuge dans la valle Bregallia où elle a été désarmée. Nathan lui méme qu'on croyait ailleurs est arreté. Le Conseil fédéral a donné ordre de !es conduire et de les garder en lieu slìr pour que l'on puisse procéder contre eux. Bolognini qui s'était échappé pour retourner à Misocco a été également arrété pour étre jugé à Zuri-ch. En me donnant ces nouvelles le président du conseil fédéral à demandé réponse a mon dernier télégramme du 4 courant (l) concernant note à ... {2).

575

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2298. Lisbona, 7 giugno 1870, ore 23 (per. ore 13,55 dell'B).

Ce qui suit est très confidentiel. L'opinion publique et diplomatique étant unanime que la détermination du due de Saldafiha, à mon égard, a été plutòt à l'adresse de la Reine, par délìcatesse je me suis bien gardé d'aller voir Sa Majesté depuis la note officielle du ministre des affaires étrangères, malgré que la Reine m'y eO.t engagé. Aujourd'hui la Reine a demandé Patella au palais d'Ajuda et l'a entretenu longuement àe mon incident. Je suis obligé d'informer V. E. de l'entretien de Sa Majesté avec le secrétaire de la légation, tout en lui laissant la rédaction suivante: <<La Reine s'est montrée très inquiète de ne pas connaitre décision du Gouvernement du Roi; elle est entièrement convaincue que l'opinion publique ne se trompe en ce que Saldafiha a visé plus haute en s'adressant, camme il l'a fait, au ministre du Roi. Sa Majesté a ajouté que le départ de Oldoini la contrarierait beaucoup, car il serait donné satisfaction au maréchal contre elle méme ». Depuis quelques jours toute la presse s'occupe de mon incident, mais sans détails ni jugements; quoique je me tienne naturellement dans la plus grande réserve, ma position pour la suite de ce qui se passe, devient toujours plus délicate jusqu'à décision du Gouvernement de Sa Majesté. Thomar chef du parti conservateur, ira ministre du Portugal à Roma.

(l) -Nel registro del telegrammi in arrivo non esistono telegrammi di Melegari del 4 giugno. (2) -Gruppo indecifrato.
576

IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R 88. Bema, 7 giugno 1870 (per. il 10).

Il Presidente della Confederazione reputa che la missione affidata al Colonnello Hess sarà sufficiente ad assicurare la nostra frontiera contro le intraprese, che volessero ulteriormente tentare i mazziniani, e stima che il Governo reale non avrà quindi mestieri di aver ricorso a provvedimenti eccezionali, sempre egualmente dannosi pei due paesi, allo scopo di guarentire il suo territorio contro simiglianti intraprese, le quali finora non hanno avuto altro risultamento che di proca·cciare ampia messe di vergogna ai loro promotori, e di chiarire nello stesso tempo l'antipatia ben pronunciata delle nostre popolazioni contro la forma politica, per la quale essi hanno fatto negli ultimi tempi cotanto miserabili levate di insegne in diverse parti del Regno.

Il Commissario federale, nel quale, secondo una giurisprudenza già ferma, si riassumono temporaneamente tutti i poteri necessari per eseguire il mandato che gli viene conferito dalla suprema potestà esecutiva della Confederazione, non trova nella storia riscontro che nell'istituzione del Dittatore, onde nei casi di gravi pericoli si provveda alla cosa pubbUca. Così al fine di conseguire l'intento, per cui è stato eletto, il Commissario federale è investito di poteri assai più estesi di quelli, onde ha costituzionalmente in possesso la potestà stessa che lo elegge e glieli conferisce.

Questa istituzione che conterrebbe sempre una grave minaccia per le pubbliche libertà in una repubblica unitaria, non porta con sé gli stessi pericoli in uno Stato federativo. Ciò non pertanto essa non potrebbe mantenervisi se la potestà, che ha facoltà di renderla operativa, abusasse di tale facoltà. Egli è per dò che non si ricorre se non di rado a questo mezzo straordinario così ostico all'indipendenza cantonale, che in generale poco confacente alle condizioni della libertà. Non vi si ricorre invero che quando il paese o qualche parte di esso si trovi evidentemente in un pericolo imminente esterno od interno, o quando, come nel caso presente si tratti di provvedere nell'interesse di tutta la Confederazione all'insufficienza di fatto e di diritto del Governo di alcuno degli Stati Confederati.

Appena quindi il Consiglio federale ha creduto che fosse il caso di usare di un tal mezzo rispetto al Ticino, non ha esitato. Non avrebbe potuto ciò fare prima, perchè la riunione di pochi rifugiati italiani in quel Cantone, non sarebbe mai sembrata d'indole a rendere necessario un provvedimento di questa specie. I decreti federali dell'anno scorso, e gli ordini del potere esecutivo della Confederazione parevano sufficienti allo scopo. Non è stato invero se non dopo che il tentativo mazziniano ebbe dimostrato l'impotenza e l'incapacità del governo locale, che il Consiglio ha potuto credersi moralmente autorizzato a deputare nel Ticino un Commissario federale; ciò cui hanno applaudito anche quelli, che più acerbamente l'avrebbero biasimato se anzi tratto avesse pigliato una simile risoluzione.

In quanto concerne il Ticino, il quale possede senza dubbio più libertà che non può sopportare, giustizia vuole si consideri che se il suo governo può usare eventualmente di una certa energia contro i violatori delle leggi, si trova, come altri, per ragione costituzionale affatto impotente per prevenire le violazioni, onde le sue leggi e la sua costituzione possono essere minacciate.

È vero che egli avrebbe potuto e dovuto non permettere che i rifugiati prendessero stanza nel Cantone, tanto più che era avvertito delle loro intenzioni, doveva almeno interdire il suo territorio ai più pericolosi. Ma come risulta da una lettera di un Magistrato di colà avverso per animo di parte a coloro che si tengono il governo, non è sempre agevole lo scernere chi abbia la qualità di emigrato politico fra i molti di ogni condizione, ed in maggioranza popolani che quotidianamente entrano, soggiornano in quel cantone,

o ne escono pei varii esercizi e impieghi dell'agricoltura, dell'industria e del commercio. I più pericolosi o non sono conosciuti, o vi vivono, com'è il caso di Mazzini nascosti ora in un punto ora in un altro punto di quel territorio.

Si noti altresì a questo proposito che il partito, il quale è in maggioranza nel Ticino, e tiene ufficii importanti, caldeggia gli emigrati, e cerca nasconderli al Governo. Non cessava egli invero dal chiedere sempre che gli si fornissero gli indizii che gli erano necessarii per isc01prire dove e quali fossero gli emigrati da internare.

Nella giacitura topografica del Ticino, e nei suoi mi.lle anfratti più assai che nella mala voglia delle autorità locali verso l'Italia, vuolsi invero cercare le cause per cui tutti i governi, che hanno tenuto la Lombardia, ora per ragioni di mene politiche, ora per ragioni di frodi finanziarie, hanno avuto sempre a muover lagno alla Svizzera contro quanto si faceva a loro pregiudizio in quel Cantone mirabile domicilio, di una popolazione in generale poco raccomandabile. Dati a professioni girovaghe i Ticinesi prendono ordinariamente il peggio delle nazioni, cui sogliono visitare; quei che non escono sono di buon'ora corrotti dal contrabbando e dalle altre sorgenti di illeciti lucri, che vi fa scaturire l'asilo usurpato dai tristi avventurieri, che il nostro suolo respinge, e che la nostra giustizia minaccia. Non si sa proprio quali presagi si possano fare per l'avvenire di questo paese, che è pure una picciola parte d'Italia.

Gli Svizzeri, razza fedele ed onesta, hanno spesso ad arrossire di questi loro concittadini, dei quali non cercherebbero certamente di fare oggi la conquista, ma cui tengono assai per le attinenze e pei sentimenti, che la storia della Confederazione ha confortato.

Finchè la Svizzera, che Dio conservi, durerà, noi non avremo ragione di invidiarle, fuori che per impedire il contrabbando, quel Cantone.

Dai miei telegrammi, come dalla stampa svizzera l'E. V. avrà scorto come il Governo federale proceda colla più lodevole diligenza in tutto ciò che possa rassicurare la nostra frontiera contro novelli insulti.

Parecchi fra gli amici, che abbiamo in Svizzera, lamentano che fra

giornali italiani, cui si crede qualche attinenza col governo reale, ve ne siano stati alcuni, 'che senza tema di offendere i sentimenti di un popolo amico, abbiano dato passo ad insinuazioni tendenti a porre in dubbio la lealtà del Governo federale.

Se fosse fondato, ciò che non ho rpotuto verificare, il lamento non sarebbe senza ragione, poiché dalla costituzione del Regno d'Italia in poi, noi non abbiamo avuto migliore e più disinteressato amico del governo federale, la cui simpatia per noi è spesso cagione d'acerbe censure per parte dei suoi avversarii politici.

Da che sono accreditato presso di Lui, ho fatto, in quanto è da me, opera per mantenerlo in queste buone disposizioni, e ciò a tutela dei nostri interessi politici ed economici, ed a vantaggio speciale degli italiani molti che vivono in !svizzera; ed è sempre con rammarico che veggo disconosciuto da non pochi fra i nostri lo stato delle nostre relazioni colla Confederazione, e l'interesse che noi abbiamo a consolidare le condizioni di esistenza di una Nazione libera e forte, che assisa sopra un gran arco della cerchia delle Alpi presidia l'Italia contro nemici di tempra e pazienza altrimenti formidabili, che non sono i mazziniani, divenuti oramai troppo ridicoli per essere temibili.

Così stando le cose mi fo lecito di esprimere il desiderio che V. E. o, secondo i casi, il Presidente del Consiglio prendendo occasione della discussione cui darà luogo la ·convenzione di Berna, voglia con qualche parola amichevole correggere l'impressione fatta qui in questi giorni dalla nostra stampa.

577

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 55 (2). Roma, 7 giugno 1870.

Hier, lundi, a commencé la discussion spéciale du Schème sur le Pape, sous de fort tristes auspices. Ont parlé cinq orateurs de l'opposition contre le « Proemium »; les Infaillibilistes ont gardé le silence. Le premier qui a pris la parole, fut le brave évéque de Savannah, Monseigneur Verot, qui joue de malheur dans la vénérable assemblée; car toutes les sept fois qu'il a parlé, on lui a imposé silence. Hier, il en fut de méme. Grand mathématicien, homme de bonne foi, il est sévère contre les pieuses supercheries romaines. Il protesta donc aussi ·contre la fraude de parler dans le Proemium de l'absolution papale comme d'une doctrine ancienne et universellement reçue dans l'Eglise. Jamais, s'écriait-il, l'Eglise n'a reçu de pareille doctrine, jamais Concile, jamais Père de l'Eglise, jamais homme sensé ne l'ont approuvée ni ne l'accepteront jamais. Ce que faussement vous dites croyance ancienne et universelle, n'est qu'une de

599 vos doctrines ultramontaines qu'au moyen de faux, de supercheries, d'intrigues et d'intimidations vous tachez à imposer à l'Eglise universelle. « Assez, assez 1i, s'écrie le Cardinal Bilio, vous blasphémez, vous calomniez, on ne peut pas tolérer ce langage en ce lieu ». «C'est que vous ne supportez pas la vérité 1i, replique l'américain. « Vous n'avez plus la parole, taisez-vous ,, crie le Cardinal. « Descendez, descendez de la tribune» lui écrie-t-on des rangs de la majorité. « Oui, je descends volontiers, dit Monseigneur Verot, car j'ai constaté l'absence de toute liberté dans ce Concile ,. Et il descendit. Les autres orateurs n'ont pas été interrompus; ils n'ont cependant rien dit d'important ni de choquant.

Je me suis jusqu'ici abstenu de parler à V. E. d'une nouvelle note verbale française que M. de Banneville aurait communiquée au Cardinal Antonelli, il y a quinze jours environ. Je n'en ai rien siì. de positif et, pour cela, j'ai préféré m'en taire. A présent on en parle de nouveau dans les cercles français et d'une façon qui, franchement, sent de la réclame et de l'intimidation: réclame, pour M. de Gramont et intimidation, par la menace de l'abolition du Concordat français et du rappel des troupes françaises si l'Infaillibilité est votée. Quoi qu'il en soit, M. de Banneville n'en a pas parlé a ses collègues dont aucun n'en veut savoir plus long que moi, et le Cardinal Antonelli a, hier soir encore, assuré à un de ses amis qui est dans son intimité qu'il n'a reçu aucune communication de cette nature. La reserve de l'ambassadeur de France et les dénégations du Cardinal Antonelli n'excluent, naturellement, pas la possibilité d'une communication diplomatique désagréable a tous les deux; mais cela prouve du moins que vis-à-vis de tierces on compte de part et d'autre sur la plus scrupuleuse discrétion.

Je suis dcux fois allé trouver Monseigneur Youssouff, mais je l'ai manqué et je n'ai pas voulu déposer ma carte. Je le chercherai un de ces jours prochains.

En ce moment j'apprends que M. de Banneville qualifie de roman une communication que la Gazette Universelle d'Augsbourg a donnée de la note fran·· çaise. C'est, dit-il, une fable trop absurde pour mériter qu'on en parle sérieusement. Je donne cette notice pour ce qu'elle vaut.

(l) -Ed. in TAMBORRA, pp. 297-298. (2) -Non si pubblicano le l. p. 53 e 54 di Tkalac rispettivamente del 3 e 6 giugno.
578

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

T. 1144. Firenze, 8 giugno 1870, ore 14,30.

Veuillez vous procurer et m'envo:;-cr le plus -tòt possible le livre bleu concernant le renvoi de sir H. Bulwer de Madrid en 1848 et télégraphiez-moi si le renvoi de ce diplomate avait été prècédé de démarches de l'Espagne à Londres aux quelles le cabinet anglais avait réfusé de faire droit (1).

{l) Per la risposta cfr. n. 581.

579

IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2301. Berna, 9 giugno 1870, ore 9,40 (per. ore 12,15).

Bande qu'on amène maintenant à Coire était sans armes, elle les a cachées peut étre dans les montagnes encore couvertes de glaces, qu'elle a du traverser pour tomber dans la valle Bregallia. Au point de Vicosoprano on lui a barré le chemin. Probablement ce:s armes sont sur notre territoire, dans ce cas il n'est pas difficile de les trouver si on le juge à propos.

580

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI

T. 1145. Firenze, 9 giugno 1870, ore 14.

J'écris aujourd'hui au vicomte de Castro pour lui dire que le Gouvernement portugais ne nous ayant fait connaitre aucun fait qui justifie suffisamment sa rupture avec le marquis Oldoini, rupture qui ne s'est d'ailleurs pas bornée aux rapports personnels, mais à suspendre de fait le fonctionnement de notre représentation ofHcielle à Lisbone, je vous rappelle en congé et je charge

M. Patella des affaires courantes en attendant que le Gouvernement portugais nous donne des explications sati:sfaisantes, en regrettant vivement que par une conséquence inévitable de cet état de choses dont la responsabilité n'est pas à nous les rapports personnellement si amicaux du Gouvernement du Roi avec le vicomte de Castro doivent cesser d'avoir un caractère officiel jusqu'à ce que la situation anormale créée entre les deux Gouvernements par la décision du maréchal Saldanha se trouve régularisée. Veuillez vous comporter en conséquence.

581

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2302. Londra, 9 giugno 1870, ore 17,40 (per. ore 23,10).

L'incident Bulwer de 1848 à Madrid fut précédé de longues disputes aux quelles ont été intéressés les deux Gouvernements. Du livre bleu il résulte que le Gouvernement espagnol avait demandé vainement le rappel de Bulwer, allé

42 -Documenti diplomatici -Serle I -Vol. XII

guant intrigues avec le parti politique et asil accordé aux ennemis du Gouvernement; que les passeports on été donnés soudain à Bulwer sans en prévenir lord Palmerston; en méme temps une note à M. Isturiz, ministre espagnal à Londres, le charge de communiquer ce fait à lord Palmerston, de manifester intention d'en faire une chose personnelle à Bulwer sans troubler les rapports avec l'Angleterre, et de justifier le fait par l'urgence et par la sécurité personnelle de Bulwer. Le comte Mirasol est envoyé en méme temps de Madrid pour explications. Lord Palmerston refuse de le recevoir et demande à Isturiz ou justification ou excuses immédiates par écrit. Après 19 jours Isturiz sur invitation de lord Palmerston quitte Londres, et les rapports diplomatiques sont interrompus. Cette affaire a eu une longue suite. J'ai eu communication du livre bleu du Foreign Office. C'est très difftcile le trouver à cause d'ancienneté. J'enverrai demain tout ce que je pourrait trouver. Je vous ai écrit.

582

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 57 (2). Roma, 9 giugno 1870.

La séance du Concile d'aujourd'hui s'est occupée du chapitre 3e du Schème sur l'Infaillibilité. De 24 orateurs inscrits ont parlé quatre: un infaillibiliste, dont je ne sais pas le nom, pour, le Cardinal Rauscher et Monseigneur Landriot archévéque de Rheims tous deux fort bien contre le Schème. Leurs discours purement théologiques n'ont cependant pas d'importance pratique. Enfin, Monseigneur Deschamps a fait un discours aussi brillant que fanatique pour le Schème, ou pour mieux dire contre l'opposition, un véritable requisitoire de procureur général du Saint-Office. Selon lui, l'Infaillibilité n'est plus une question ouverte, ce n'est pas une pieuse opinion libre, pas une croyance « proxima fidei », mais un article de fai révelée aussi bien que la croyance en Dieu. Elle se trouve dans l'Evangile; aussi qu'importe que les Pères de l'Eglise et les Conciles anciens n'en aient pas parlé? Ils ne parlent pas plus de l'existence de Dieu. C'est que personne n'en a jamais douté. Si l'opposition d'aujourd'hui prend l'air de mettre en doute l'Infaillibilité, c'est qu'elle craint les moqueries des impies de toutes sortes; mais au fond du coeur elle y croit, elle en est convaincue, elle n'en peut pas douter. Ainsi, elle agit de mauvaise fai en réniant sa fai par peur du monde en la subordonnant à des égards mondains. Plus de trève; le Concile a le devoir d'en finir une bonne fai. Dans ce but Monseigneur Deschamps propose trois canons nouveaux contre les évéques qui s'opposent à la dogmatisation de l'Infaillibilité et en donne lecture. Quiconque osera re

pousser les principes sur lesquels est fondé le Schème, nier l'Infaillibilité camme vérité révélée, etc. etc. «anathema sit ».

L'opposition frémissait de fureur qu'elle ne pouvait pas manifester; la majorité se pamait de plaisir, et les Cardinaux-présidents écoutaient le discours avec une sorte d'extase, sans apercevoir que Monseigneur Deschamps n'était pas à la question et qu'il parlait de choses toutes autres que du Chapitre 3•. Néanmoins, on le laissa parler, mentir et insulter à son gré. Cela a fait du mauvais sang; il faut s'attendre à des scènes violentes dans la séance de demain. A titre d'indice des sentiments de l'opposition, je remarquerai que Monseigneur Ketteler, le plus incalculable caractère de l'orpposition, a dit après la séance à un éveque français qu'après le discours de l'archevèque de Malines aucun honnète homme ne pourrait voter l'Infaillibilité.

Hier soir je me suis rencontré avec Monseigneur Maret et nous eùmes une longue conversation sur l'attitude de l'Episcopat français. Il croit toujours que l'opposition française ne flechira pas et qu'il n'y aura pas de défections. J'avais soutenu l'avis contraire, et il me répondit avec beaucoup d'assurance. Puis il me donna quelques notices sur la philippique que le Cardinal Bilia a prononcée contre son discours. Je complète ainsi mon résumé. Le Cardinal a dit que le Concile n'a rien à donner au Pape, rien à conférer, rien à definir ainsi que tout son droit c'est de reconnaitre solennellement des droits indubitables et imprescriptibles qu'il ne peut pas nier ni restreindre. Particulièrement il avait déjà en maintes occasions critiqué l'érudition théologique de Monseigneur Maret, mais à la séance en question il disait que Monseigneur Maret ne possédait pas mème les éléments de la foi catholique. Monseigneur Maret ne l'avait pas entendu, mais plusieurs évèques français le lui disaient, et il écrivit au Cardinal Bilio une lettre des plus fortes dans laquelle il insista sur une satisfaction immédiate. Le lendemain vint le Cardinal Bilio chez Monseigneur Maret et jura ses grands dieux que jamais il n'a dit les paroles imputées et que, tout au contraire, il en admirait l'immense érudition théologique et historique!

(l) -Ed. ln TAMBORRA, pp. 299-300. (2) -Non si pubblica la l. p. 56 dl Tkalac dell'B giugno.
583

IL MINISTRO A LISBONA, OLDOINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2304. Lisbona, 10 giugno 1870, ore 14,55 (per. ore 20,1u).

Reçu ce matin le télégramme de V. E. (1). D'après l'ordre je partirai demain pour Florence via Madrid. Je vais aujourd'hui au palais d'Ajuda prendre congé particulièrement de Leurs Majestés.

(l) Cfr. n. 580.

584

IL SEGRETARIO GENERALE AGLI ESTERI, BLANC, AI RAPPRESENTANTI DIPLOMATICI ALL'ESTERO

CIRCOLARE 74. Firenze, 10 giugno 1870.

Chiamo la di Lei attenzione sui documenti qui uni:ti dai quali risulta che il Maresciallo Saldanha, senza aver 1Jreventivamente fatto pervenire le sue lagnanze al Governo del Re, ha creduto di poter rifiutarsi ad entrare in rapporti uffLciali col Marchese Oldoini. Per questo fatto, sinora non giustificato, e per tal modo di procedere il Governo di Sua Maestà si è trovato nella necessità di togliere ogni carattere ufficiale alle sue relazioni colla legazione portoghese in Firenze. Ciò nondimeno il R. Governo non intende per ora ritirare la facoltà concessa ad alcuni suoi Agenti Consolari e Diplomatici per la gestione degli affari del Portogallo in vari paesi.

585

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 573. Berlino, 10 giugno 1870 (per. il 14).

Le Secrétaire d'Etat m'ayant engagé à m'adresser au Conseiller intime M. Ki:inig spécialement chargé du travail relatif à la réorganisation judiciaire en Egypte, c'est à cet Employé que j'ai parlé hier dans le sens de la dépéche de V. E.

n. 153 -Série politique -en date du 27 Mai échu (1). Je lui ai demandé en meme temps s'il se contentait de cette communication verbale, ou s'il préférait recevoir une note de cette Légation pour notifier la réunion de la Commission Royale et donner connaissance de sa délibération préliminaire. D'après son désir, j'ai transmis aujourd'hui méme au Département fédéral des Affaires Etrangères la note dont je joins ici copie.

Quand je lui ai donné lecture du document annexé à la dépéche précitée de

V. E., M. Ki:inig m'a déclaré que le Département des relations extérieures partageait la méme manière de voir, et qu'il s'était exprimé dans un sens analogue en s'adressant soit au Ministère de la Justice, soit à la Chancellerie fédérale pour demander leur avis sur le projet élaboré par la conférence internationale au Caire, et sur le contre projet présenté récemment par la France. Comme nous, on tient sutout à ce que la réforme judiciaire soit précédée de la publication des Codes civil, commercia! et de procédure civile. La France opinant pour qu'on laisse encore de còté tout ce qui se rapporte au jugement des délits et des crimes, on pourrait s'abstenir d'insister pour la présentation préalable des Codes pénal et de procédure criminelle.

Ce ne sera que lorsque le Ministère de la Justice et la Chancellerie Fédérale auront émis leur parere, que le Cabinet de Berlin, comme tel, prendra une détermination. En attendant pour se prononcer en parfaite connaissance de cause, il accepte avec empressement notre proposition d'un échange d'idées sur cette matière importante, et il prend acte avec reconnaissance de notre intention de lui communiquer en son temps le résultat des travaux de notre commission. Il ne semble pas qu'on veuille réunir ici une Commission ad hoc (1).

Me souvenant de différents points sur lesquels nous désirions des éclaircissements (document diplomatique n. 145) je les ai énuméré, camme suit, et je mets en regard les réponses de M. Ki:inig, quoiqu'il n'entend1t émettre qu'une opinion tout à fait particulière:

Demandes

lo Quelle attitude conviendrait-il d'observer vis-à-vis de la Porte, si celle-ci demandait d'étendre à tout l'Empire Ottoman les concessions qui seraient faites à l'Egypte seulement en vue des conditions particulières de ce Pays?

2° Dans l'exécution des jugements prononcés contre des étrangers par les nouveaux tribunaux, continuera-t-on à considérer comme indispensable le concours ou la simple assistance du Consul ou d'un Délégué?

3° La réforme de la législation, ne devra-t-elle pas en tout cas précéder l'entrée en fonction des nouvaux tribunaux?

4° Vu la position des Consuls en Egypte après l'introduction de la nouvelle juridiction sur les étrangers, ne conviendrait-il pas de pourvoir quand il en est temps encore, afin d'assurer aux Consulats l'exercice de quelques attributions qui, à défaut de clauses précises, pourraient dans la suite leur etre contestées?

Réponses

1° Cette éventualité n'est pas prévue mais si la Turquie, contre toute attente, consentait à admettre elle aussi des Tribunaux où des Magistrats étrangers siègeraient dans une certaine proportion à còté des magistrats indigènes, il y aurait là pour les étrangers des garanties qu'on piace aujourd'hui dans la justice consulaire.

2° Si on modifiait le status-quo ce serait sans doute une dérogation aux capitulations, mais on pourrait y consentir du moment où la nouvelle législation serait inspirée et fonctionnerait selon les principes généraux de mise dans les Etats Européens. Sur ce point, camme sur tant d'autres, il paraitrait que l'on ne saurait passer outre sans obtenir l'approbation du Parlement fédéral (Reichstag).

3° Cela va sans dire car il faut qu'avant de fonctionner les Tribunaux sachent en vertu de quelles lois ils devront juger. Au reste Nubar-Pacha lui-méme avait reconnu camme condition préalable et nécessaire la réforme de la législation. Et

meme d'àpres ce que le Ministre du Khédive a dit à l'Ambassade de Prusse à Paris, les Codes Civil et de procédure sont déjà achevés et livrés à l'impression, et seront incessamment communiqués aus divers Cabinets.

4° Les prérogatives consulaires seraient il est vrai réduites sur certains points touchant à la juridiction, mais d'autres privilèges leur restent assurés par les capitulations. Ce n'est pas moins une question qui mérite examen.

Pour fournir à M. Konig des données plus précises encore sur nos vue&, j'ai cru à propos de lui communiquer confidentiellement et à titre d'information personnelle le remarquable travail contenu dans un mémoire joint à la dépeche que v. E. m'a transmise en date du 11 Mars dernier (1). C'était précisément le document diplomatique précité n. 145. Je n'ai pas manqué cependant d'ajouter que le Gouvernement du Roi réservait encore entièrement son opinion sur les différents points qu'il ne voulait pas préjuger.

J'ai I'honneur d'accuser réception des documents diplomatiques qu'Elle a bien voulu me transmettre le 22 du mais dernier, ainsi que de ceux qui accompagnaient la dépèche n. 153 -Série Politique -du 27 mai dernier: le premier de ces envois comprenait les documents du n. 214 au n. 291, moins les nn. 215, 242, 275 et 278, ainsi que la copie d'une dépèche de la Légation Royale à Stuttgard en date du 10 Mai 1870 (2): le second comprenait ceux du N. 292 au 345, moins les nn. 294, 302, 303, 307, 308, 309, 337, 338 et 339.

En remerciant V. E. de ces envois...

(l) Cfr. n. 536.

(l) Fin qui ed. in LV 21, pp. 98-99.

586

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (2)

L. P. Parigi, 10 giugno 1870.

Ieri il Duca di Gramont diede la sua seconda udienza diplomatica dopo il suo ritorno da Vienna. Mi ci recai. Il discorso cadde sulle interpellanze fattevi in Senato e sulla vostra risposta, di cui il telegrafo aveva recato un sunto. Vi dirò anzitutto che sembra a me che sarebbe stato impossibile il parlare in termini migliori e più corretti di quel che avete fatto sia rispetto al Concilio, sia rispetto all'occupazione. Il vostro linguaggio trova qui l'approvazione di tutti gli uomini di senno. Il Duca di Gramont se ne mostrò meco soddisfatto. A questa occasione prese egli stesso l'iniziativa d'una conversazione confidenziale, di cui vi dò qui il sunto con lettera particolare, giacché, secondo il desiderio dello stesso Duca di Gramont, le sue parole per ora non devono far oggetto di corrispondenza ufficiale. Egli mi disse adunque che pel momento sarebbe molto imbarazzato a risponderei se gli facessimo una domanda di evacuazione. Questa domanda l'imbarazzerebbe mentre le Camere sono aperte, e men

tre il Concilio è nel fervore dell'opera sua. Di più l'apparizione di bande mazzin1ane in Italia, benché non voglia attribuire grande importanza al fatto, renderebbe inopportuna una discussione. Ma più tardi il Duca di Gramont si propone di esaminare il modo d'arrivare all'evacuazione. Se è interpellato alle Camere risponderà che la questione dell'occupazione e dell'evacuazione è subordinata ai termini d'una Convenzione internazionale e che quando l'Italia presenterà le guarentigie necessarie la Francia non può esimersi dal ritirar le truppe. Io risposi al Duca di Gramont in questi termini: «Il Governo del Re non vuol suscitarvi imbarazzi intempestivi. Finché dura la sessione legislativa attuale in Francia e in Italia, non solleverà la questione. Ma passato ques':.o termine converrà esaminarla e risolverla col ritiro delle truppe. Quanto a guarentigie, l'Italia non può darne di nuove. Essa non può che riferirsi a quelle date colla Convenzione, ed a quelle morali che risultano dallo stato presente di cose in Italia, stato che è assolutamente soddisfacente». Ed a questo proposito domandai a Gramont che cosa intendesse per guarentigie nuove. Egli mi disse p.e. uno scambio di dispacci o una votazione del Parlamento che confermasse le promesse della Convenzione potrebbe costituire una tale guarentigia.

La conversazione rimase lì su questo punto, non essendoci per ora utilità a continuarla. Però il Duca di Gramont si mostrò vivamente soddisfatto di quanto gli dissi per assicurarlo che finché dura la sessione non gli sporgeremo nessuna domanda. Qualche vaga parola del mio interlocutore (che non rilevai) mi fa credere che la questione dell'evacuazione voglia connettersi a qualche questione più grossa. Il Duca di Gramont mi disse poi, prima che pigliassi congedo da lui, che era anche possibile che l'evacuazione potesse risolversi ed operarsi col consenso della stessa Corte di Rom..<>.

(l) Non pubblicato.

(2) Da AVV.

587

IL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

R. R. 348. Atene, 11 giugno 1870 (per. il 17 ).

Confermo il mio telegramma in data d'oggi (2). Il R. Console a Corfù mi aveva per telegrafo annunziato l'arrivo di Ricciotti Garibaldi in quella città. La coincidenza di quell'arrivo con quello del signor Flourens diede luogo a pensare che ciò non fosse a caso, e che questi due agitatori avessero qualche progetto a combinare in terra ave l'asilo è illimitato.

Il signor Flourens, non avendo trovato in Atene terreno favorevole, si è deciso di starsene tra Patrasso e Missolunghi. Quest'avvicinarsi a Corfù diede maggior consistenza all'idea che egli volesse abboccarsi col Ricciotti Garibaldi.

Il Governo greco, avendo già un affare abbastanza grave per le mani quali si è quello dell'inchiesta per il massacro d'Oropos, ha creduto di non dover

aumentare i suoi imbarazzi col permettere che a corfù o nel Regno si stabilisse un focolare di perturbazione contro un Regno vicino o contro potenze amiche.

Si è perciò che ieri sera nel Consiglio dei Ministri si presero le deliberazioni seguenti, che mi vennero comunicate questa mane a voce dal Ministro degli Affari Esteri: si scriverà al ff. di Nomarca a Corfù di far sentire al Ricciotti Garibaldi, che in vista non solo degli imbarazzi attuali della Grecia, ma altresì delle condizioni attuali in Italia, la di Lui presenza in Corfù sia considerata inopportuna e pericolosa, e che quindi lo si pregava di voler partire. Ove poi egli si rifiutasse il Nomarca aveva ordine di farlo sorvegliare attentamente, ed al primo motivo, che il Ricciotti avesse dato di tentativi contro la sicurezza in Italia, di farlo immediatamente partire.

So che il R. Console a Corfù sorveglia attentamente gli andamenti del Ricciotti, e quindi sono persuaso che egli non mancherà di tenerne esattamente e con prontezza informato codesto Ministero.

P. S. -Il Cavaliere Trabaudi-Foscarini mi annunzia per telegrafo l'arrivo dell'Avviso «Giglio» a Corfù.

(l) -Nota a margine: «All'Interno». (2) -T. 2310, non pubblicato.
588

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 58. Roma, 11 giugno 1870.

Les séances d'hier et d'aujourd'hui ont été très-animées, sans avoir beaucoup contribué à faire avancer la discussion du Chapitre 3e du Schème. On se passionne de part et d'autre et ne prouve rien qui ne soit mille fois prouvé et généralement connu.

Hier Monseigneur Dupanloup a pris la parole pour fai.re le panégyrique de l'Eglise Gallicane contre Monseigneur Valerga. Malgré son esprit et son éloquence, l'évèque d'Orléans a été fort malheureux. Au lieu de défendre la constitution de l'Eglise Gallicane contre l'envahissement de l'absolutisme papal, Monseigneur Dupanloup n'a fait que rééditer les éloges dont les papes ont comblé l'Eglise de France. Par surcroit de malheur Monseigneur Dupanloup eut la malencontreuse idée de faire l'apologie de sa propre personne. «Pie VI l'a appelée (l'Eglise Gallicane) l'unique tout camme on m'a appelé, moi l'unique » (paroles de Pie IX). « Les indignes polissonneries que quelqu'un (Monseigneur Valerga) a crachées contre une si grande Eglise ne méritent pas d'étre repoussées méme par le dernier des évéques français ». (Ipsissima verba de l'évéqueacadémicien!). L'agitation maladive où se trouve Monseigneur d'Orléans expliquè assez ce langage peu parlementaire.

Plus heureux que son célèbre confrère d'Orléans a été Monseigneur Sola éveque de Nice, un vieillard octuagénaire. Dans un discours fort érudit, il s'est attaché à prouver que la doctrine exposée dans le Schème n'a jamais ni nullepart été la doctrine de l'Eglise catholique. Cette démonstration très-réussie

parait avoir fait quelque impression, parce que le Cardinal Capalti a trouvé bon de lui répondre sur le champ que les doctrines soutenues par l'éveque de Nice, étaient depuis longtemps condamnées par l'Eglise, et que qui les soutenait était hérétique.

Monseigneur Verot, de Savannah, a eu, comme d'habitude, l'heur et le malheur d'etre encore une fois interrompu et chassé de la tribune «Embeté du verbiage de Monseigneur Deschamps, dit-il, je me bornerai à relever les plus grosses bévues de son dernier discours », et après l'avoir malmené avec autant d'esprit que d'érudition, il a ajouté « Aux trois canons proposés par l'archeveque de Malines, je propose d'ajouter un quatriènne que voici: «Si quis dixerit Papam in Ecclesia omnia pro arbitrio suo posse-anathema sit. ». Immense éclat de rires et d'imprécations; Monseigneur Verot descend de la tribune; la séance est levée.

Aujourd'hui, Monseigneur Parpp-Szilàgyi, éveque ruthène-uniate de Grosswardein, s'était proposé de ménager les choux et la chevre. Il a tout approuvé ce qui est dit dans le Schème; mais, pour etre agréable à ses collègues de l'opposition, il a ajouté que, si le Schème est voté, il faudra à tout jamais désespérer de la conversion des schismatiques orientaux.

Les éveques de Marseille, de Briançon et d'Oran ont fait des discours savants contre le Schème; Monseigneur Gastaldi a, une fois de plus, défendu le Schème contre les impies de l'opposition. Il a parlé en fanatique furibond et, par cela, enthousiasmé la majorité. Sa principale doctrine est celle ci: Les Conciles sont aussi inutiles qu'inopportuns. Le Pape en convoquera un quand bon il lui semblera; «secus providebit ipse solus »; l'Eglise c'est le Pape. Assurément il n'y a rpas de théologie plus compendieuse que cela!

On parle beaucoup et avec éloges de la conversation que V. E. a eue au Sénat avec M. Mamiani. Hier, vendredi, un de mes amis est allé voir le Cardinal Antonelli. Il causait avec le Cardinal, entre autres, aussi de ,cette conversation. Le Cardinal n'en a pas été trop édifié. Il y a, dit-il, quelque chose au fond du panier. La réserve de V. E. cache quelque dessein sinistre, mais il faut attendre. Il était très-prudent de ne rien faire pour ne pas s'exposer a une fin de nonrecevoir; mais ne rien dire «latet anguis in herba », et cela peut-etre pis que les menaces françaises qui ne font que rire. Son Eminence s'est cruellement rnoquée de l'adhesion du général Menabrea. C'est là, disait-il, le superlatif d'ef.fronterie que de dire que c'était sa politique. Lui qui a fait écrire et imprimer tant de brochures, qui a tenté de mutiner toutes les puissances européennes contre le Concile; qui a voulu meme empecher la réunion du Concile; qui a insistè sur le droit des puissances d'envoyer des Légats au Concile et d'en contròler les délibérations -lui approuve aujourd'hui la politique de la plus stricte abstention suivie par V. E.! Voilà la substance de la philippique du Cardinal contre M. Menabrea; j'en passe volontier les passages moins significati! s. Aussi m'a-t-on dit, que le Cardinal a exprimé à son interlocuteur des sentiments très-sympathiques à l'égard de V. E., et qu'il lui a manifesté certaines craintes au sujet des desseins hostiles à l'Eglise qu'il attribue à MM. Lanza et Sella, je ne sais si à tort ou à raison. Quoi qu'il en soit, la politique d'abstention et de reserve n'est pas du gout du Cardinal Antonelli: il aurait préféré que V. E. s'en fiì.t compromise en se faisant satellite de la politique française et en participant à son immense «fiasco». M. d'Arnim racheterait aussi sa note au prix du sang s'il le pouvait, car tout le monde, en tant qu'il n'y est pas intéressé, reconnait que dans cette malencontreuse campagne française le Cardinal Antonelli l'a emporté de la manière la plus éclatante.

(l) Ed. in TAMBORRA, pp. 300-301.

589

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LISBONA, PATELLA

D. R. 50. Firenze, 12 giugno 1870.

Nel telegramma che ho diretto al signor Marchese Oldoini per richiamarlo in Italia in congedo (l) gli ho indicato eli lasciare la S. V. incaricato di trattare gli affari correnti della Legazione di Sua Maestà a Lisbona. Ora Le confermo quel telegramma e le istruzioni in esso contenute.

Come già Le è noto in seguito al dispaccio telegrafico diretto a codesta Legazione fino dal 9 corrente, il Governo del Re ha stimato dover togliere il carattere ufficiale ai suoi rapporti colla Legazione di Portogallo in Firenze. A quest'effetto ho rivolto al signor Visconte de Castro una nota di cui Ella troverà qui unita copia (2). Conseguenza naturale di tale provvedimento era poi ch'io lo notificassi ai rappresentanti del R. Governo all'estero, e ciò feci con una circolare di cui parimenti le invio il testo (3). Ella osserverà come in questa circolare io abbia mantenuto la facoltà accordata ad alcuni agenti Diplomatici e Consolari di fare gli affari del Portogallo all'estero.

Alla nota ch'io gli ho indirizzato il signor Visconte de Castro ha fatto la risposta che Ella troverà annessa a questo dispaccio (2). In quel documento mi compiaccio di veder una prova sempre più manifesta del modo veramente distinto col quale questo diplomatico ha ognora cercato di rendere più stretti ed amichevoli i rapporti del suo col nostro paese.

Oggi poi lo stesso signor de Castro mi ha comunicato ufficiosamente d'aver ricevuto da Lisbona un telegramma nel quale il Maresciallo Saldafiha dichiara che entrerà molto volentieri in relazioni ufficiali colla S. V. e che intende di mantenere e consolidare i vincoli d'amicizia esistenti fra il Portogallo e l'Italia. Ella comprende però, signor Cavaliere, che queste dichiarazioni generiche del Maresciallo non valgono a dare spiegazioni o soddisfazione per il contegno da lui assunto verso il Marchese Oldoini. Epperò esse non possono distruggere gli effetti naturali di una situazione che noi non abbiamo provocato né contribuito a creare. v. S. uniformandosi dunque alle istruzioni precedentemente tracciate vorrà strettamente limitarsi alla trattazione ufficiosa degli affari correnti.

(l) -Cfr. n. 580. (2) -Non pubblicata. (3) -Cfr. n. 584.
590

L'INCARICATO D'AFFARI A LISBONA, PATELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. RR. 103. Lisbona 12 giugno 1870 (per. il 21).

Come gli pervenne il dispaccio telegrafico di V. E., del 9 corrente (1), il Marchese Oldoini, conforme alle istruzioni ivi contenute, prese immediatamente tutte le disposizioni opportune per poter partire il giorno seguente. Credette quindi, anzitutto, suo dovere recarsi a prendere congedo dalle LL. MM. Fedelissime, invitandomi ad accompagnarlo, per presentarmi officialmente nella mia qualità di Incaricato d'A:ffari di Sua Maestà.

Trovandosi il Palazzo di Necessidades a mezza via di quello d'Ajuda fummo prima dal Re Don Fernando che mostrassi molto dispiacente per la partenza del Marchese Oldoini, ma compiaciutissimo per la risoluzione del Governo di Sua Maestà d'interrompere le relazioni officiali col Visconte de Castro, come il Maresciallo Saldafiha lo ha fatto col Ministro del Re presso questa Corte. Sua Maestà dichiarò che non avea punto nascosta la sua indignazione, al Maresciallo, per gli ultimi avvenimenti sui quali d'altronde non era possibile avere una opinione diversa. Prima di congedarci il Re disse al Marchese Oldoini le seguenti parole: «Dites à v otre Roi et à v otre Gouvernement que je suis bien aise de la détermination prise et j'espère qu'ils tiendront ferme et ils ne cèderont pas du tout devant les absurdes prétentions du Maréchal. J'espère aussi qu'on ne pensera pas à nommer un autre titulaire pour la Légation Italienne à Lisbonne, car ce serait toujours avoir l'air de céder et puis le Marquis Oldoini doit revenir ici où il est si généralement apprécié et estimé ». Avendo il Marchese Oldoini fatto osservare a Sua Maestà che sarebbe molto difficile per esso di ripetere a Firenze tali espressioni a lui si favorevoli, il Re, volgendosi a me, degnò dirmi: «en ce cas c'est vous que je prie de faire une telle communication au Roi Vietar Emmanuel et à Son Gouvernement ».

Recatici dipoi al Palazzo di Ajuda fummo prima ricevuti dal Re Don Luigi, che fu graziosissimo col Marchese Oldoini, esprimendogli il più vivo rammarico per lo spiacevole incidente che ha prodotto tali conseguenze. Avemmo quindi l'onore di essere ammessi ad ossequiare la Regina. Sua Maestà fu lietissima ed oltremodo compiaciuta, anche per Sua personale soddisfazione, della ferma attitudine del Governo del Re e della determinazione da esso presa, degnando, del resto, esprimersi presso a poco come lo avea fatto il Re Don Fernando.

Fui testé informato da parecchi membri del Corpo Diplomatico, che il Maresciallo l'altro jeri, all'occasione del ricevimento dei Capi di Missione, li ragguagliò semplicemente del richiamo del Marchese Oldoini, senza dar loro contezza alcuna della misura adottata dal Governo Italiano verso il Visconte de Castro. Tale comunicazione produsse un effetto oltremodo spiacevole, ma quando jeri seppesi il complesso delle determinazioni del Governo di Firenze, presso

che tutto il Corpo Diplomatico si felicitò meco pel modo dignitoso col quale il Governo di Sua Maestà ha risposto allo strano modo di agire del Maresciallo verso il Ministro d'Italia.

(l) Cfr. n. 580

691

IL MINISTRO A MADRID, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 98. Madrid, 12 giugno 1870 (per. il 17).

Ieri alle 3 pomeridiane l'aula delle Cortes Costituenti presentava l'aspetto il più animato. Tutte le tribune erano piene di gente, un numero straordinario di deputati si trovava al suo posto ed i membri del Gabinetto erano tutti presenti al loro banco. La seduta era presieduta da Don Manuel Ruiz Zorilla.

Il Presidente del Consiglio Signor Generale Prim prese la parola e pronunziò il discorso di cui le mando copia qui acclusa quale fu riprodotto dalla Gazzetta Ufficiale (1).

Il linguaggio del Presidente del Consiglio fu chiaro e moderato. Cominciò egli col dire che v'ha chi aspetta da questa Seduta una tempesta, ma che egli non lo crede perché conosce la prudenza, la discrezione e l'elevatezza dei Signori Rappresentanti.

Dopo aver discolpato se stesso e i suoi colleghi di Gabinetto dall'accusa d'aver favorita la continuazione dell'interinità entra in materia e passa in rassegna quanto appunto fece il Gabinetto per sortire da questa condizione provvisoria. Dice che credeva il suo mandato più agevole, ma che l'esperienza gli ha insegnato quanto sia difficile il trovare un Re: E' qui interrotto da alcuni Repubblicani, che ironicamente gridavano « muy bien! » risponde che se è difficile trovare un Re è molto più difficile il fare una Repubblica là ove non esistono repubblicani.

«I nostri primi sguardi si volsero al Portogallo, perché vedevamo nel candidato Portoghese il compimento di una grande idea gradita ugualmente alle Cortes ed alla nazione. Era un pensiero elevato -una nobile aspirazione per gli Spagnuoli, senza spirito di dominio sui nostri vicini -· che avrebbe creato la grandezza dei due paesi conservando la storia, la brillante tradizione, e il glorioso stendardo di entrambi. In Portogallo vi è un grave errore nelle masse. L'unione Iberica è confusa coll'idea di una incorporazione alla Spagna, la quale farebbe di quel paese una provincia Spagnuola. Noi invece pensiamo ad una alleanza federativa che conservi ad ambi i paesi le sue camere il suo Governo, la sua autonomia. I negoziati col Re Don Fernando furono puramente privati; durarono alcuni mesi; ma quell'illustre Principe dichiarò che in nessun caso poteva accettare.

Con una confidenza senza limiti fui autorizzato ad altre pratiche senza obbligo di riferimento al Consiglio dei Ministri. Le pratiche fatte colla Casa di Savoia furono pure d'indole riservata. E qui devo tributare le più sincere grazie all'illustre e valoroso Re d'Italia Vittorio Emanuele per la sua benevolenza verso di me e per il nobile desiderio e buona volontà che mostrò nel corso di quei negoziati per cooperare ad una soluzione soddisfacente. Però la persona del Principe al quale mi diressi credette, per ragioni che io non devo spiegare, di non poter accettare la Corona di Spagna. Questo candidato era il Duca d'Aosta. Credetelo, signori Deputati, si è fatto quanto era umanamente possibile e dovevamo tanto più aspettare un buon risultato che l'Augusto Suo Padre Gli consigliava d'accettare.

Non ci demmo vinti per questo e ci rivolgemmo allora ad un Principe minore di età -il Duca di Genova. I Signori Deputati conoscono le discussioni che qui ebbero luogo all'occasione di quella candidatura, ma io devo dire che quel Principe non ricusò certamente. Però essendo minore di età rispose in un modo che onora una prematura prudenza dicendo che dipendeva dagli ordini della madre e da quello del suo tutore il Capo della Famiglia. Ciò che ebbe luogo allora presso la Corte d'Italia è conosciuto da molti Signori Deputati. Gli intrighi messi in opera dai nemici del consolidamento di Spagna, i messaggi colà mandati, le esagerazioni spinte all'orecchio della Duchessa di Genova, dipingendo la situazione del paese coi più neri colori, e col ferire la tenerezza materna per mezzo di supposti pericoli, furono spinti al punto di dirle: "Madame, si vous envoyez votre enfant en Espagne priez pour lui ". Dal che risultò che la Signora Duchessa, preoccupata dei pericoli del figlio si oppose in modo assoluto e prevalse la sua influenza a quella del Re. Il risultato lo conoscono i Signori Deputati -e fu questo il terzo contrattempo ».

A malgrado di questa contrarietà noi non rinunziammo alla speranza di trovare un Sovrano. l Signori Deputati aspettano che io pronuzj un quarto nome, ma il silenzio mi è imposto da una parola di onore. Avevamo un candidato che riuniva tutte le condizioni volute dalla Spagna. Era di stirpe regia, cattolico e maggiore di età. Arrivò qui un commissario un uomo illustre; ma giunse in un momento poco opportuno. I successi di Barcellona ebbero luogo allora. Il commissario ne rimase profondamente impressionato. Tentai spiegare la natura di quei fatti, ma non riuscii a convincerlo. Quindici giorni dopo ricevetti una sconsolante risposta concepita in termini di benevolenza per la Nazione Spagnuola, ma che dichiarava che quel Principe non poteva accettare per il momento la Corona di Spagna.

Fu allora che il Governo decise di sospendere ogni ricerca. Non abbiamo perciò alcun candidato da presentarvi. Se le Cortes ne hanno uno accetto alla maggioranza possono presentarlo ed avrà il nostro concorso.

Questo è un transunto del discorso del Generale Prim, il quale premise alle altre spiegazioni la convinzione del Gabinetto che la ristorazione della caduta dinastia è assolutamente impossibile.

Dopo un breve discorso del Signor Rios Rosas l'incidente fu dichiarato esaurito (' si passò alla discussione di altre materie.

(l) Non pubblicato.

592

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 574. Berlino, 13 giugno 1870 (per. il 16).

L'entrevue d'Ems, quelle que soit l'interprétation qu'en donnent les journaux officieux, ne reste, pas moins un des faits caractéristiques de la situation européenne. D'après leurs assertions, le Roi Guillaume n'avait d'autre intention que celle de rendre à l'Empereur Alexandre sa dernière visite à Berlin. Mais, au dessus de ces sentiments de courtoisie planent en ce moment certaines conformités d'intérèt politique qui, selon les éventualités, pourraient unir la Prusse et la Russie. Je me réfère à mon rapport confidentiel n. 569 (1). A en juger d'après les commentaires d'une partie de la presse française et autrichienne par le simple fait de la présence à cette rencontre, le Comte de Bismarck aurait atteint le but qu'il se proposait, à savoir celui de rappeler aux Cabinets de Vienne et de Paris que, le cas échéant, on serait peut ètre à mème d'opposer à leur entente une coalition des deux Puissances du Nord. Ce n'est là qu'un avertissement motivé, à tort ou à raison, par les sympathies autrichiennes attribuées au Due de Gramont, et par le courant polonais qui chercherait à se faire jour dans les régions officielles à Vienne. Mais si ces sympathies si surtout cette propagande polonaise, devaient se traduire par des actes directement hostiles aux intérèts de la Prusse et de la Russie, celles-ci se trouveraient alors, à leur tour dans la nécessité d'aviser pour que leurs bons rapports cessassent d'ètre envisagés, au moin par les esprits superfi:ciels, camme n'étant qu'une simple coquetterie.

Je n'ai point au reste la prétention de deviner ce qui aura été dit entre les principaux interlocuteurs à Ems. Les raisonnements qui précèdent ne sont basés que sur un aveu, assez significatif, qui m'a été fait par le Chancelier Fédéral, dans une conversation dont j'ai rendu compte par ma dépèche précitée

n. 569. Mes Collègues n'ont pu me fournir aucune explication digne de remarque, et celle qui m'a été donnée par le Ministre de Russie ne sortait pas des généralités. Il niait cependant que Sa Majesté Impériale eut fait une allusion quelconque aux fortifications entreprises par la Prusse sur les còtes de la Baltique. Il niait également qu'il eut été question d'un projet de mariage entre le Grand Due Wladimir et la Princesse Marie, fille du Prince Frédéric-Charles.

Je n'ai pas encore réussi à voir M. le Comte Benedetti, de retour de Paris depuis avant hier. Mais j'apprends, d'une manière indirecte, qu'il s'applique à représenter san Gouvernement camme étant animé des intentions les plus pacifiques. Néanmoins, il transpirerait de san langage que ces intentions pacifiques sont subordonnées au maintien du status-quo en Allemagne. Cette réserve serait peu rassurante pour l'avenir, car le traité de Prague est manifestement une oeuvre inachevée et qui poursuit san développement. II n'est pas vieux de quatre années, et l'an peut voir déjà combien il a dépassé ses limites au profit de

l'idée nationale, pour ne citer que les traités d'alliance offensive et défensive qui ont fait l'union militaire avec le Sud, en établissant ainsi une solidarité de guerre. Maintenant, on procède par voie d'assimilation législative et commerciale. Bref, depuis 1866, il a été déjà apporté aux choses un changement énorme. Il n'en est pourtant pas résulté de conflit sérieux avec la France, peut etre parceque les transitions ont été ménagées ici avec beaucoup d'habilité. A moins de circonstances imprévues, il en sera de meme dans l'avenir, et cette Puissance trouvera difficilement le joint pour intervenir dans des conditions favorables. Pour le moment, il n'est pas à supposer que le Comte de Bismarck veuille brusquer les événements en franchissant la ligne du Mein avec bannière déployée. Il attend que les quatre Etats du Sud, ou la majorité d'entre eux, prennent eux-memes l'initiative. Or, ni la Bavière, ni le Wtirttemberg, ne semblent disposés à faire de sitòt un pas décisif dans cette direction. C'est là une garantie pour un ajournement des complications. Il ne faut donc pas perdre de vue que le traité de Prague a bien plus le caractère d'une trève que les conditions d'une paix définitive. C'est la paix armée avec ses lourdes charges, et avec tous ses dangers. Au reste, camme je l'ai souvent mandé à V. E., ici on est prét, s'il devenait inévitable, à affronter l'orage. Tout récemment encore, le Ministre des Finances m'assurait que, si la Prusse ne cherchait querelle à personne, elle disposerait au besoin, si on la provoquait, de ressources suffisantes pour combattre ses ennemis.

Il vient de paraitre dans la National-Zeitung, qui s'imprime dans cette capitale, un feuilleton intitulé « trois jours à Caprera». Il est signé Elpis Melena, pseudonyme d'une dame allemande. Cet article contenant quelques indications curieuses, j'en joins ici la traduction (1).

P. S. -L'Ambassadeur de France sort de chez moi. Il assure que ses impressions, recueillies à Paris, sont très pacifiques. Il avait pris sur lui, dans ses entretiens avec le Due de Gramont, une certaine responsabilité, en énonçant que la Prusse ne songeait point, pour le moment, à précipiter le cours des choses et à créer ainsi des embarras à la France, car tel ne serait point l'intérét de la politique prussienne dans les conjonctures présentes.

(l) Cfr. n. 550.

593

IL MINISTRO A BERNA, MELEGARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 90. Berna, 14 giugno 1870 (per. il 17).

Il Colonnello Hess è venuto a Berna per rendere personalmente conto della sua missione al Consiglio federale.

Dalla sua relazione risulta, quanto in altro mio rapporto io ebbi già a presignare all'E. V., che se, cioè, si può censurare il Governo ticinese del non aver saputo prevenire in tempo la spedizione del Nathan, non gli si può muovere accusa alcuna di connivenza coi mazziniani; e che lo stesso debba dirsi in generale degli ufficiali che lo rappresentano nel sotto-Ceneri.

Il Commissario federale, al fine di attenuare la sua censura, ha aggiunto che i rifugiati componenti quella banda erano stati prima abilmente dispersi, sotto mentiti nomi, nei varii Comuni dei distretti di Lugano e di Mendrisio, talché, se è stato agevole il sapere chi fossero dopo il fatto, era oltremodo difficile il poterli riconoscere innanzi.

A scusa poi degli uomini che tengono ora colà la somma delle cose politiche, vuolsi tenere conto altresì della viva agitazione, da cui è presentemente travagliato il paese, a cagione delle imminenti e serie mutazioni che stanno per compirsi nella costituzione cantonale.

Usando delle facoltà straordinarie, che gli erano state conferite, il Commissario non ha pretermesso nulla di quanto poteva condurre alla scoperta del vero; così ha fatto diligentemente visitare le case sospette di aver ricettato i capi della impresa; non vi si è trovato però indizio alcuno d'onde si potesse argomentare che il J:amoso agitatore vi fosse stato, negli ultimi tempi, a stanza.

Del resto l'espulsione inevitabile del Nathan avrà per effetto di impedire che la sua casa continui più oltre ad essere un centro di cospirazione contro l'ordine stabilito nel Regno.

Meno infruttuose riuscirono le indagini fatte per venire in chiaro del come la banda abbia potuto armarsi. Si è scoperto, in vero, che i fucili furono forniti da diversi armaioli del Cantone esercenti il loro commercio sia in Bellinzona sia in Lugano. La maggior parte di queste armi erano di vecchia forma; non vi erano infatti che quattro fucili a retrocarica, e questi pure di diverso sistema; non ve ne era alcuno del nuovo modello tederale. E' rimasto poi assolutamente escluso che nessuna di tali armi sia uscita dagli arsenali cantonali.

Ora non vi è più nel Cantone alcun rifugiato. Saremo meglio informati di quanto in proposito ci resta ancora a sapere dall'inchiesta che si sta facendo a Coira.

Il signor Hess, ciò non pertanto, è stato rimandato nel Ticino; la sua missione dichiarata riguarda sempre unicamente la necessità di assicurare la nostra frontiera. Reputo però che il Governo federale, oltre a questo scopo, abbia, con prudente consiglio, in mira di mantenere in quel Cantone chi lo rappresenti durante l'agitazione, che vi eccita per l'appunto, non senza qualche minaccia di disordine, l'imminente riforma costituzionale.

Bellinzona e Lugano, ciascuna colle sue naturali attinenze, sono colà in lotta acerba fra loro. Aspirano entrambe all'onore di divenire la sede permanente del Governo cantonale; sede, che il progetto di riforma assegna alla seconda di queste città; rompendo così col sistema giusto il quale, dall'erezione del Cantone fino ad ora, un tale onore passava per turno e per un certo spazio di tempo ad ognuna delle due rivali ed a Locarno, la quale, smessa ogni ambizione per sè, sembra caldeggiare Bellinzona.

Il Consiglio federale, quantunque si astenga dal manifestare la sua opinione su ciò, preferirebbe che non si innovasse in proposito, ma, penso che la maggioranza dei voti nello scrutinio popolare sarà per Lugano.

L'E. V. apprezzerà le ragioni politiche che m'inducono a desiderare che da noi non si abbia più ad andare in cerca della capitale del Ticino al di là del Monte Ceneri (1).

(l) Non si pubblica.

594

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A TUNISI, PINNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 170. Tunisi, 14 giugno 1870 (per. il 18).

Rispondendo al riverito dispaccio in data 2 corrente n. 59 della presente serie (2), ho l'onore di somministrare a V. E. le chiestemi informazioni sul modo in cui viene amministrata la giustizia in questo paese.

In materia civile e commerciale la massima che l'attore segue il foro del convenuto, riceve qui in pratica la più estesa applicazione, qualunque sia la natura della causa, ed in materia penale è pure la nazionalità dell'imputato che determina la competenza. Accade, è vero, talora, in occasione di reati commessi da europei a danno di tunisini, che il Bey accenni di volerne esser egli il giudice a tenore delle capitolazioni; ma anche in quei casi si tratta piuttosto della rivendicazione teorica d'un principio, che del deliberato proposito di modificare uno stato di cose avvalorato da lunga consuetudine e dalla tacita acquiescenza del Governo locale. Infatti Sua Altezza non suole mai insistere in quei reclami presentati verbalmente e solo pro torma, da un funzionario del Ministero degli Affari Esteri.

Da quanto ho sopra esposto risulta che il sistema attuale presenta tutte le più desiderabili guarentigie dal punto di vista degli europei qui residenti ogni volta che tocca loro la parte di convenuti; ma la cosa cambia interamente d'aspetto quando devono farsi attori in confronto d'indigeni. Chi giudica è allora il Bey in persona e, facendolo egli in via affatto sommaria e senz'alcuna istruzione di processo, non è meraviglia se pronunzi spesso sentenze da non poter essere prese come testo di giurisprudenza, ed alle quali non sono per soprassello sempre estranee le simpatie personali ed i pregiudizi locali.

Aggiungasi che il Bey suole applicare la legge musulmana che non è in armonia coi tempi e coi costumi nostri.

Gli è per rimediare a siffatti sconci, resi più gravi dalle difficoltà che s'incontrano per l'esecuzione delle sentenze quando il tunisino è soccombente, che si pensò alla istituzione di un tribunale misto, nel quale la maggioranza assicurata agli europei, la introduzione d'un nuovo codice ed i mezzi di esecuzione

43 -Documenti diplomatlct -Serie I -Vol. XII

in potere del tribunale stesso costituirebbero, parmi, veri e reali vantaggi in pro delle colonie estere qui stabilite, ed in particolare della nostra a gran pezza più numerosa e più ricca delle altre.

(l) -Nota a margine: «Copia per l'Interno». (2) -Cfr. n. 561.
595

IL MINISTRO A PIETROBURGO, CARACCIOLO DI BELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

R. 146. Pietroburgo, 15 giugno 1870 (per. il 22).

Comunicai a S. E. il Principe Cancelliere, col vivo della voce, quanto è contenuto nella pregiatissima Nota dell'E. V. speditami il 27 maggio u.s. serie Politica n. 74 (2), pervenutami con qualche ritardo; e gli significai altresì, con la maggior precisione possibile, i sensi della dichiarazione della Commissione nominata ad esaminare la proposta della riforma giudiziaria in Egitto.

Il Principe mi confermò quello che il signor vVestmann avevami già det':.o, alquanti giorni prima, e che io ebbi l'onore di render noto all'E. V. col mio dispaccio di questa serie n. 144 in data 27 maggio/8 giugno (3): cioè la proposta emendata dal Governo francese, e a lui stata rimessa, come agli altri Governi, essergli, nella somma, paruta accettabile ma quanto ad un più ragguagliato giudizio, che essa potesse ricercare nei particolari, doverne rinviar l'esame al Generale Ignatieff, Ambasciatore di Russia a Costantinopoli, da cui più direttamente, e più sollecitamente se ne sarebbero, ad un bisogno, potute ricevere informazioni.

La dichiarazione della Commissione nostra fer.e nell'animo del Principe Gortchakow una non lieve impressione ed Egli ebbe a giudicarla di tal natura da rimandar, forse, ad un tempo remoto la soluzione ultima della vertenza, come quella che veniva, in certo modo, a suscitare una abbiezione preliminare alla quale non si poteva dar recapito se non dopo molti lavori e lungo spazio di tempo. Ad ogni modo, Egli disse, ove una questione siffatta, che fu accennata ancora da qualche altra potenza, dovesse poi prevalere definitivamente nel Consiglio dei negoziatori, per suo avviso, la sede propizia delle trattative sovra tale soggetto, esser dovrebbe nella Conferenza diplomatica a Costantinopoli.

Quanto al merito della controversia, soggiunse il Cancelliere, che Egli non poteva ,peranche significare in esplicita forma il suo concetto prima d'aver raccolto, in modo chiaro e preciso, su questo argomento l'opinione degli altri Governi e che a lui importava, specialmente il sapeTe in modo certo l'opinione che ne portava il Gabinetto delle Tuileries dal quale bramava di non avere a dipartirsi in tutto il corso di questo negoziato.

Accusandole, in pari tempo, Onorevolissimo Signor Ministro, ricevuta di n. 130 documenti diplomatici che accompagnavano il succitato dispaccio n. 74...

(l) -Ed., con varianti, in LV 21, p. 100. (2) -Cfr. n. 536, nota. (3) -Non pubblicato.
596

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LISBONA, PATELLA

T. 1151. Firenze, 16 giugno 1870, ore 13,15.

Vous devez vous abstenir de paraitre aux réceptions oficielles de Saldanha et vous borner à donner cours aux affaires sous forme de pro-memoria que vous pourrez remettre personnellement aux mains de Saldafiha ou des fonctionnaires compétents.

597

L'INCARICATO D'AFFARI A LISBONA, PATELLA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 106. Lisbona, 16 giugno 1870 (per. il 24).

I periodici portoghesi si sono molto occupati dell'incidente diplomatico che ha occasionata la partenza del Ministro d'Italia, manifestando il loro rincrescimento per la situazione anormale creata dal Maresciallo Saldafiha e dichiarando al tempo stesso ignorarne la vera causa. Però due di essi, il Popular che è l'organo del Presidente del Consiglio, ed il Commercio, giornale radicale il cui redattore è il Signor Latino Coelho, hanno fatto a più riprese delle malevoli insinuazioni sull'accaduto, chiamandolo intrigo del Palazzo. Jeri venne pubblicato un articolo, in forma di comunicato, il quale pretende spiegare i motivi che hanno indotto il Maresciallo ad agire come lo ha fatto, verso il Ministro d'Italia, e che mi pregio di trasmettere qui unito alla E. V., tradotto in Italiano.

Credo inoltre mio debito informare V. E. d'un fatto che sorprende tutto il Corpo Diplomatico, come molto significativo, cioè che, eccetto i pochi partigiani interessati del Maresciallo, i Portoghesi, di tutti i partiti, si mostrano giubilanti pel modo dignitoso ed energico del Governo del Re, in risposta all'inqualificabile procedimento del Maresciallo. V'ha molti che vengono giornalmen'.;e a vedermi, chiedendomi se si terrà fermo a Firenze, poiché essi sono persuasi che in tal caso, specialmente essendo l'Italia una Potenza sotto tutti i riguardi simpatica ai Portoghesi, sempre più si commoverà l'opinione pubblica, già avversa al Maresciallo, e ne affretterà la rovina.

Conscio che le attuali circostanze m'impongono la più grande riserva e poiché si è voluto, e vuolsi, far credere che il Minis!.ro d'Italia con i suoi consigli eccitava la Corte a reagire contro l'attuale stato di cose, io mi sono astenuto e mi asterrò dal recarmi ad ossequiare le Loro Maestà Fedelissime come d'abitudine lo facevo ogni settimana. Inoltre per evitare le continue visite ed interrogazioni, dianzi mentovate, credo più prudente anticipare di pochi giorni la mia partenza per Cintra ove la Corte ed il Corpo Diplomatico si recano sempre alla fine del corrente mese.

Intanto la situazione politica è sempre la stessa: il Maresciallo ed il signor Dias Ferreira sono obbligati ad avere ciascuno 3 portafogli, non potendo affatto trovare chi voglia alleviarli di tale peso.

Le transazioni commerciali e gli affari sono sospesi -un malessere ed un malcontento generale esistono in tutte le classi -niuno crede alla durata del presente stato di cose ed avvi perfino chi crede che fra poche settimane il Maresciallo dovrà ritirarsi.

ALLEGATO CAUSE DEL CONFLITTO DIPLOMATICO (Traduzione dal portoghese)

Ecco come sono esse narrate in Lisbona e come le riferisce un corrispondente sempre ben informato. Quando la Regina svegliassi la mattina del 19 e seppe ciò che avea avuto luogo alle porte del Palazzo d'Ajuda ne fu, com'era naturale, oltremodo sorpresa e giunse fino a porre in dubbio la veracità di quanto le si diceva, ciò che è anche molto naturale poiché il caso era realmente incredibile. La sua prima domanda fu di chiedere contezza dei Suoi Augusti figliuoli e dello Sposo, meravigliandosi che non l'avessero svegliata poiché quando suo marito correva un pericolo era suo dovere di essergli accanto. Tranquillizzarono Sua Maestà provandole che non si era corso il pericolo da essa supposto, e spiegandogli che le palle entrate per le finestre del Palazzo non erano state colà dirette. La Regina volle subito vedere i figli e lo sposo e nell'abbracciarli non poté contenere le lagrime pensando ai pericoli cui erano stati esposti tutti e mostrando una certa indegnazione contro quelli che aveano posto in pericolo la vita di persone preziose per Sua Maestà. La Regina recassi in seguito a vedere le sale ove erano penetrate le palle di moschetto e fu costernata pensando che il Re ed i RR. Principi avrebbero potuto esserne colpiti etc. etc. È da supporsi che in quel giorno non si parlò d'altro a Palazzo che dei fatti della notte e l'animo della Regina non poteva essere molto sereno né tranquillo allora quando più tardi fu annunziato a Sua Maestà il Maresciallo Saldafiha. La Regina ricevette il Maresciallo, a quanto dicesi, con tale freddezza che non gli dette neanche la mano a baciare. Nel giorno susseguente furono al Palazzo la Duchessa di Saldafiha e la figlia Contessa di Favaredo e la Regina sebbene le ricevesse, essendo ancora agitata pei fatti del giorno innanti, non fu con esse così amabile come il consueto. Nello stesso giorno il Maresciallo fu al Palazzo di Necessidades, con i nuovi Ministri, ad ossequiare il Re Don Fernando e nell'entrare negli appartamenti di Sua Maestà s'incontrò col Ministro d'Italia che ne usciva ed il quale accolse freddamente i saluti del Maresciallo. In seguito di tale incontro e del modo col quale la Regina ricevette la Duchessa di Saldaii.ha e la Contessa di Favaredo, il Maresciallo si convinse che il Marchese Oldoini andava ad influire sull'animo di S. M. la Regina e del Re Don Fernando contro l'imboscata del 19 Maggio e quindi contro gli autori di essa. Pare che tale opinione fu espressa od insinuata dal Maresciallo in una Nota da esso diretta al Ministro d'Italia, Nota alla quale questo diplomatico rispose in termini cortesi ma energici. Aggiungesi anche che il Maresciallo si rifiutò a ricevere il Marchese Oldoini, allegando che non potea avere rapporti officiali con un Ministro Estero che faceva degli apprezzamenti sfavorevoli agli atti del Governo del nostro paese.

598

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA

D. 111. Firenze, 17 giugno 1870.

I rapporti che V.S. mi diresse finora intorno ai provvedimenti presi dal Governo ellenico in seguito ai casi di Maratona e di Oropo, non fanno cenno alcuno di ricerche che siansi istituite per conoscere con esattezza e convenientemente apprezzare il contegno tenuto dalle autorità in quella triste congiun

tura. Importa, infatti, di ben distinguere tra il processo che si ebbe ad iniziare e si avrà a proseguire contro gli autori ed i complici direttamente od indirettamente implicati nei fatti criminosi, e l'inchiesta severa e minuta che avrebbe dovuto aprirsi intorno al modo nel quale i funzionarli ellenici si comportarono -a questo riguardo noi abbiamo fatto pervenire a codesto Governo una domanda formale, e ci sembra che questa nostra domanda avrebbe dovuto essere accolta con tanta maggior premura in quanto che una inchiesta seria e rigorosa è il solo mezzo acconcio ad eliminare l'opinione, diffusa in Italia ed altrove, che la catastrofe di Maratona non sarebbe accaduta se le autorità elleniche si fossero condotte come strettamente avrebbero dovuto.

La prego, signor Ministro, di voler fare all'uopo nuove sollecitazioni presso il signor Vallaoriti, non dubitando ch'Ella avrà, anche per questi officii, la cooperazione del Ministro d'Inghilterra.

599

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A LONDRA, CADORNA

L. P. Firenze, 17 giugno 1870.

In una lettera privata del Conte della Minerva, si dice che il Duca di Gramont ha scritto al signor Baude, Ministro di Francia in Atene, che vi sono delle pratiche fra le potenze per fare una démarche riguardo alla Grecia.

Alcuni giorni sono Sir A. Paget mi parlò di una lettera particolare direttagli da Lord Clarendon, nella quale si prevedeva il caso in cui le potenze protettrici della Grecia riconoscessero la necessità di fare di comune accordo qualche passo presso il Governo elleno.

La condizione interna in cui si trova la Grecia, condizione sulla quale l'eccidio di Oropo ha chiamato cosi vivamente l'attenzione dell'Europa, formerebbe probabilmente l'oggetto delle rimostranze collettive delle tre potenze, ma Sir Paget mi diceva ch'era desiderio del suo Governo di restringere più che si poteva i limiti dell'azione diplomatica, accia ché dall'incidente di Oropo non si risvegliasse una questione europea. Ed il mio interlocutore mi faceva quindi sentire che l'Inghilterra temeva che il concorso dell'Italia in questo affare, potesse dare appiglio ad altri Governi per pretendere d'intervenirvi.

Siccome poco prima Sir Paget ci aveva letto un dispaccio ufficiale del suo Governo, contenente l'impegno di farci conoscere preventivamente le risoluzioni ch'egli troverà opportuno di adottare così io risposi a Sir Paget, che se egli doveva render conto a Lord Clarendon della nostra conversazione, lo pregavo di volergli dire che l'Italia aveva preso atto della dichiarazione fattale dall'Inghilterra, e che aspetterebbe conseguentemente di conoscerne le risoluzioni. In quanto al prender parte ad un'azione comune delle potenze protettrici, l'Italia non aveva motivo alcuno di volere assumere un contegno che non le competeva dai trattati che costituiscono un titolo speciale per le tre potenze, ma io doveva far osservare che la condotta da noi seguita sin dal principio nell'affare di Oropo, era stata tale da dare piena sicurtà all'Inghilterra che dall'Italia non si susciterebbero difficoltà, né si avanzerebbero pretese che potessero avere per conseguenza di dare le proporzioni di una vertenza europea ad una questione che interessa particolarmente i Governi ai quali appartenevano le vittime. Soggiunsi, che, a mio avviso, lo escludere l'Italia dalle trattative e dai passi da farsi, avrebbe dato alla vertenza quel carattere europeo che mi sembrava volersi evitare dall'Inghilterra, mentre invece la nostra presenza avrebbe contribuito a mantenere la questione entro i suoi giusti limiti. Il titolo per il quale l'Italia sarebbe intervenuta era quello di una Potenza direttamente interessata, e nessun altro Governo avrebbe potuto addurne uno simile se l'incidente di Oropo continuava ad essere considerato come la causa principale delle rimostranze da farsi, e se non si generalizzava di troppo la questione.

Parlando con Lord Clarendon, sarebbe bene ch'Ella potesse tenergli un linguaggio conforme alle cose da me dette a Sir Paget, perché queste mi sembrano tali da poter esercitare qualche influenza sulle decisioni dell'Inghilterra nelle comunicazioni ufficiali che ci dovrà fare.

Desidererei anzi ch'Ella cercasse di avere, il più presto possibile, un abboccamento in proposito con Lord Clarendon per evitare che nelle trattative che si dicono intavolate fra le potenze protettrici, abbiano a prodursi dei fatti compiuti senza che il nostro intervento venga richiesto. Ella comprende che ciò produrrebbe nel nostro paese una pessima impressione, giacché non si mancherebbe d'interpretare il contegno dell'Inghilterra a nostro riguardo come una mancanza di quella considerazione nella quale giustamente l'opinione pubblica vuole che il Governo sappia mantenere l'Italia.

Non è mestieri ch'io insista presso di Lei sulle considerazioni che ci farebbero ritenere la nostra esclusione nei passi da farsi verso la Grecia, come uno dei fatti più dispiacevoli per la nostra posizione diplomatica rispetto alle Potenze dell'Europa. Sono quindi convinto ch'Ella metterà tutto in opera perché ciò non abbia ad accadere.

600

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A PARIGI, NIGRA

T. 1155. Firenze, 19 giugno 1870, ore 16.

Veuillez me dire si les bruits répandus sur la santé de l'Empereur ont quelque fondement, et à quelles causes peut-on attribuer dernières oscillations de bourse.

601

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2319. Parigi, 19 giugno 1870, ore 21

L'Empereur a simplement la goutte. Il a pu présider le Conseil des ministres. La cause principale de la baisse de la bourse est la persistance de la sécheresse.

602

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 64 (2). Roma, 20 giugno 1870.

Je me plais à pouvoir faire amende honorable au Cardinal Guidi, car d'après les recherches les plus cosciencieuses, le Cardinal n'a pas seulement eu aucune part à l'intrigue ourdie par Monseigneurs Manning et Deschamps, mais c'est bien plus lui qui en a empèché le succès. Car informé par un ami de l'abus que les Infaillibilistes faisaient de son nom en désignant le Cardinal Guidi comme le personnage qui proposerait au Concile leur formule nouvelle de l'Infaillibilité, tandisqu'en réalité ce fu t le Cardinal.Cullen qui en était chargé, il assemblai t en toute hàte les 14 évèques dominicains qui siègent au Concile et déliberait avec eux de se déclarer ouvertement contre l'Infaillibilité personnelle. Ses confrères y adhérèrent, et alors il prit l'initiative. Son discours que je résumerai ci-dessus a tellement surpris et étonné l'auditoire que trois évèques de l'opposition qui m'en parlèrent, en eurent les impressions les plus opposées; l'un en était tout enchanté, l'autre présumait une fourberie ou un nouveau piège tendu à l'opposition et le troisième m'avouait en ètre confondu à ni pouvoir se faire une idée juste de la tendance de l'orateur et de l'arrière-pensée qu'il cherchait au-dessous du panier. Quoi qu'il en soit, c'est grand événement qu'un Cardinal italien a osé en plein Concile tenir le langage qu'a tenu le Cardinal dominicain archevèque de Bologne.

Avant de passer au compte-rendu de la Séance, il me faut remarquer que l'intrigue Deschamps-Manning avait déjà gagné tant de terrain que son succès paraissait tout à fait assuré. Avant Monseigneur Deschamps il se presentait à Monseigneur Dupanloup Monseigneur Franchi avec trois formules différentes de l'Infaillibilité si grossièrement conçues que l'évèque d'Orléans lui déclarait n'en pouvoir accepter aucune. Cet essai fait, vint Monseigneur Deschamps en personne et en proposa une quatrième que Monseigneur Dupanloup s'empressa d'accepter immédiatement. Mais Monseigneur Dupanloup n'avait garde de parler de sa paix séparée avec les Infaillibilistes car j'en avais informé un évèque de nos amis communs qui lui reprochait son illoyauté. Monseigneur Dupanloup ne pouvait nier le fait et était assez confondu, mais il disait n'avoir rien conclu avec Monseigneur Deschamps. Monseigneur Manning était moins reservé; il avouait non-seulement que 61 évéques de l'opposition lui avaient déclaré leur adhésion, mais que Monseigneur Maret lui a di t de plus qu'il ne combattrait plus contre le majorité; en outre il disait qu'après Monseigneur de Malines l'évéque (infaillibiliste) de Poitiers Monseigneur Pie était voir Monseigneur Dupanloup qui lui disait qu'il était sur toutes les grandes questions d'accord avec Monseigneur Deschamps. Quant au Cardinal Rauscher, Monseigneur Manning disait que. sauf quelque question de détail, l'accord le plus parfait était rétabli entre eux. La plupart des évè

ques allemands nient d'avoir participé à ces pourparlers. Bref, ce triste gàchis s'embrouille de sorte que, n'étant pas en relations intimes avec les Infaillibilistes, je n'ose exprimer aucune opinion sur son dénouement. Toujours est-il cependant qu'après le ravage qu'a causé le discours du Cardinal Guidi, le Cardinal Cullen a trouvé bon de ne pas produire la formule nouvelle de l'Infaillibilité. Les Canons du Cardinal Guidi n'ont rien de commun avec la formule Deschamps-Manning et constituent un incident tout nouveau qui pourrait donner lieu à une formation toute nouvelle des partis qui se trouvent en présence.

Pour revenir à la séance du 18 dernier je dirai que le Cardinal Pitra a fait un discours aussi plein d'érudition que dépourvu de bon sens pour l'Infaillibilité qu'il recherchait dans ces mémes Canons grecs qu'il avait déclaré naguère tous faussés, adultérés, interpolés et mutilés. Pas un mot sur la terrible leçon que lui a donnée Monseigneur Vancsa. Il lui succédait à la tribune le Cardinal Bonnechose dont le discours, infaillibiliste à outrance, était selon l'expression d'un évéque français si bete que la plupart des éveques français s'esquivèrent de honte.

Après lui, la parole échut au Cardinal Guidi. Son discours aussi bien fait que prononcé fut l'événement du jour et est le sujet de toutes les conversations. Les versions que j'en avais entendues ne m'en donnaient pas une idée exacte; c'est pour cela que j'ai cherché et réussi à m'en procurer de l'orateur (en voie indirecte cela va sans dire) le texte d'après lequel je le resume ici. L'infaillibilité personnelle et isolée était inconnue dans l'Eglise jusqu'au 14e siècle. Elle ne saurait etre prouvée ni par la révélation ni par la tradition. Il n'y a pas d'exemple que jamais Pape ait défini un seul dogme chrétien, et ces 14 siècles étaient précisément l'époque des dogmes dans l'Egllse. Parler de l'Infaillibilité, ce serait déclarer Dieu un simple mortel, sacrilège d'autant plus inconvenant que jamais personne n'a osé soutenir la thèse « de doctrina infusa ~ à un mortel. Il peut donc y avoir des faits infaillibles (?), mais il n'y a pas d'hommes infaillibles. Pour qu'un acte soit infaillible dans l'Eglise, il doit étre puisé (doit émaner) à l'Eglise tout entière, il se fait ou par le « Concilium Ecclesiae dispersae ~ ou par le « Concilium reunitum ~. Afin de savoir ce que toutes les Eglises croient toujours et partout, et si elles s'accordent au sujet d'une doctrine quelconque avec l'Eglise romaine, il est indispensable de leur demander préalablement des informations, de les examiner et de prononcer le jugement que le Pape ratifie et sanctionne « finaliter ~. au dire de St. Thomas d'Aquin, «quia omnes per Papam docemus ~. L'orateur prouve des écrits de Bellarmin et du Père Ferrone que jamais Pape n'a défini de dogmes à son bon plaisir. Il éclate à ces paroles un tumulte indescriptible. Quelques évéques italiens, Monseigneur Spaccapietra en téte, crient comme des forcenés: «ladro, birbante, traditore, eretico, Monacaccio f...to », l'opposition crie «bravo, excellent, c'est ça, à merveille etc.». Monseigneur Strossmayer, assis entre le banc des Présidents et la tribune, se lève, òte sa calotte et fait à l'orateur trois révérences. Monseigneur Connolly d'Halifax embrasse Monseigneur Strossmayer et crie à haute voix: « Aujourd'hui je voudrais etre Strossmayer car Dieu vous a donné le courage du héros ~ -paroles qui provoquent une véritable bacchanale et rendent à l'orateur impossible de continuer. Les Cardinaux-Présidents n'intervinrent pas, le Cardinal Guidi rétablit l'ordre, en décriant ses interrupteurs, et continua ainsi:

«Le chapitre 4e doit étre tout refondu; il doit ressortir de la rédaction nouvelle que le Pape ne peut agir dogmatiquement qu'avec le consentement des évéques, sur leur demande, après des recherches faites dans toutes les Eglises, après un mllr examen et selon les conseils et le jugement des frères qu'il doit leur demander ou chez eux par écrit, ou au Concile, car si le Pape, selon St. Thomas d'Aquin, décide c finaliter ~. il doit y avoir quelque chose antérieure à sa décision definitive, et puisqu'il est « judex et magister supremus ~. il faut présumer l'existence et l'autorité d'autres maitres et juges, des instances inférieures qui traitent et décident une cause avant que le Pape la juge en maitre et juge suprème ~-Il finit par proposer les deux Canons dont voici le texte (ils n'ont pas été communiqués aux Pères et leur rédaction timide et vague justifie l'impression défavorable qu'ils ont faite sur un grand nombre des éveques de l'opposition).

CanonI.

Si quis dixerit decreta seu constitutiones a Romano Pontifice tamquam Beati Petri successore editas, continentes aliquam fi:dei vel morum veritatem vel :proscribentes aliquem errorem contra fidem, easque Ecclesiae universae ab ipso pro sua auctoritate suprema apostolica propositas, non esse illico et sta~im toto affectu venerandas et toto corde credendas, vel posse reformari -anathema sit.

Canon II.

Si quis dixerit Pontificem, cum talia edit decreta agere posse ex arbitrio et ex se solo, non autem ex Consilio Episcoporum traditionem Ecclesiarum exhibentium -anathema sit.

Descendu de la tribune, le Cardinal Guidi fut immédiatement entouré des éveques de l'opposition, embrassé et accompagné jusqu'au vestibule de St. Pierre. On avait tout à fait oublié que le Cardinal Cullen devait encore parler. Il a parlé dans la salle toute dépeuplée; je ne sais ce qu'il a di t, mais il est sur qu'il n'a pas proposé la formule Manning-Deschamps.

Dans l'après-midi, le Pape a mandé le Cardinal Guidi et eut avec lui une conversation de plus d'une heure. Jusque demain j'espère etre en mesure de transmettre à V. E. un résumé de cette conversation dont on dit des merveilles. Dans la soirée, toute la place de la Minerve était encombrée d'équipages, parce que grand nombre d'éveques sont allés présenter ·au Cardinal Guidi leurs félicitations.

Vendredi dernier, anniversaire de l'élection de Pie IX, il y a eu Te Deum au Vatican et le Cardinal Patrizi, suivi d'un énorme nombre d'évéques, a présenté au Pape les félicitations d'usage. Le Pape lui a répondu par un de ces discours mystiques et insipides qui lui sont familiers. Demain, 21, anniversaire de son intronisation, il y aura au Vatican grande Cour, félicitations, illuminatlon et distribution du « grossetto » aux pauvres privilégiés. C'est toujours l'ancienne histoire de « panem et circenses 1>.

Aujourd'hui, séance du Concile. Occupé de cette Iettre je ne puis aller prendre des informations. J'en écrirai demain.

L'affaire du Père Theiner continue a causer beaucoup d'émotion. L'éveque de Breslau, l'archeveque de Vienne, l'éveque Strossmayer et l'archeveque de Rheims, lui ont offert un asyle, mais il a refusé. Il va à Naples pour quelque temps, mais je crois qu'il songe à s'y fixer. Le roi de Bavière lui a fait dire qu'il se chargeait des frais de publication des Actes du Concile de Trente que le Père Theiner a commencée mais qu'il a du suspendre sur l'ordre exprès du Pape.

P.S. -En ce moment j'apprends une version nouvelle de l'incident Guidi. Les Infaillibilistes disent que, lorsqu'ils surent d'une volte-face prochaine du Cardinal Guidi, ils se dépechèrent de la prévenir par le projet Manning-Deschamps. Quoique contraire à mes informations puisées aux meilleures sources, je m'empresse de la communiquer a V. E. à titre de bruit circulant dans !es cercles infaillibilistes.

(l) -Ed. in TAMBORRA, pp. 310-313. (2) -Non si pubblicano le l. p. 60, 61, 62 e 63 di Tkalac, rispettivamente del 14, 16, 17 e 18 giugno.
603

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 65. Roma, 21 giugno 1870.

La défection du Cardinal Guidi -voilà toujours la grande préoccupation de tous les cercles qui s'intéressent au Concile! Majorité et opposition en sont ébranlées; la confusion est au cambie. Monseigneur Deschamps déclare adhérer au Cardinal Guidi; Monseigneur Manning l'appelle une « tete confuse~; Monseigneur Pie, infaillibiliste pur sang accepte et propose quelque modification; Monseigneur Ketteler rejette. Monseigneur Tizzani, «grand Aumonier de l'armée pontificale ~ y adhére et dit à Monseigneur Valerga que le Cardinal Guidi a di t la verité; Monseigneur Valerga lui répond que « il Guidi si è sguidato; ha detto la verità, sì; ma non conviene sempre dire la verità~ (textuel)! Le Cardinal Guidi demande au Cardinal Mathieu quelle est l'impression que san discours a faite sur les Cardinaux au milieu desquels le Cardinal Mathieu étai';; assis. Celui-ci répond qu'il a été accueilli « cum seria, silentiosa approbatione ».

Dans l'après-midi le Pape a fait appeler le Cardinal Guidi. « Vous etes ma créature, sans mai, vous seriez encore l'obscur moine qui vous avez été, je vous ai comblé de gràces et de bienfaits -et à présent vous passez au camp de mes ennemis et des ennemis de l'Eglise vous vous faites hérétiques. Vous avez fait un discours qui mérite que vas confrères du Saint-Office vous condamnent au feu ».

Le Cardinal lui répond que sa gratitude envers le Saint-Père ne saurait ni ne devrait éteindre la Iumiére de sa raison ni la voix de sa conscience. Pré

voyant les calomnies de ses adversaires (Jésuites) il a eu la précaution de déposer le texte authentique de son discours, aussitòt qu'il [l']avait prononcé, entre les mains des Cardinaux-Présidents. « Que le Saint-Père le lise, et qu'il en parle après l'avoir lu. Le discours ne contient pas un mot qui ne soit conforme à la révélation et à la tradition de l'Eglise ~

-« Che rivelazione, che tradizione ~. l'interrompt le Pape, «la tradizione sono io~

Le Cardinal hausse les épaules et se tait. «Vous ètes tous corrompus, s'écrie le Pape, ces protestants allemands et américains vous ont inspiré des i:dées hérétiques, et vous particulièrement, vous conférez avec ce misérable "caposetta" croate qui est l'ennemi de Dieu et le mien ~.

-« Je jure que je ne le connais pas, que je ne lui ai jamais parlé ». -« Mais, quoique Cardinal, vous ètes toujours moine, je vous ordonnerai de faire une nouvelle profession de foi, je puis vous òter le chapeau de Car

dinal et vous traduire devant le Saint-Office ».

« Saint-Père, vous pouvez tout faire, on sait cela».

«Ah, monacaccio, tu veux m'insulter, tu veux dire que je suis despote».

«Non, Saint-Père, je connais mes devoirs ».

«Eh bien, si vous les connaissez comment avez vous pu tenir ce langage? ».

-« C'est le langage de la verité, de l'Eglise catholique, de notre grand Saint Thomas d'Aquin, le langage de ma conscience ».

-« Assez, hérétique, assez hypocrite, je vous dirai pourquoi vous avez tenu ce langage. Vous avez parlé pour plaire au monde, aux libéraux, à la révolution, pour plaire au gouvernement de Florence».

-« Assez, Saint-Père, assez, dis-je à mon tour, vous n'ètes pas Dieu, vous ne voyez pas ce qui est dans les coeurs et dans les consciences des hommes; vous n'ètes pas autorisé à en parler, à moins que ... ».

-«Addio, addio, allez-vous-en ».

Voilà le résumé exacte de cette conversation que le Cardinal Guidi, rentré chez lui, a immédiatement esquissée pour mémoire.

V. E. sait que je ne m'arroge par de donner des conseils au gouvernement du Roi, le cas étant cependant tout extraordinairement grave, je me crois obligé de dire que je suis convaincu que le gouvernement ferait un acte de bonne politique, s'il voulait, par l'intermédiaire de M. le Ministre du Culte, exprimer au Cardinal Guidi la satisfaction que son attitude et sa conduite ont causée au Gouvernement, très-content de voir un Cardinal italien et son évèque se faire champion de la raison humaine contre ses détracteurs. Que le gouvernement veut oublier le passé et prendre le Cardinal sous son efficace protection si le Cardinal veut retourner à Bologne dont la population, informée de la courageuse conduite de son archévèque, ne manquera pas de lui faire un bon accueil. Que si le Cardinal perd la protection du Pape, il a gagné l'appui plus solide de sa patrie et l'estime de tous les patriotes et qu'il n'a pas à craindre de se voir abandonné à la merci de ses anciens amis devenus ses adversaires etc.

Ce qui suggère ce conseil, c'est la ferme conviction que le Cardinal Guidi s'est fait en cette occasion l'organe de cette fraction des cardinaux italiens qui, indignés des influences fatales de ces fanatiques cosmopolites aux quelles le Pape a succombé, sentent le besoin de se rapprocher de l'Italie et de s'assurer une position politique dans le cas que la mort de Pie IX changerait la situation problèmatique du pouvoir temporel. Je suis bien loin de croire que leur patriotisme est le seui mobile de leur attitude, mais j'aime à croire que des sentiments patriotiques y sont aussi pour quelque chose, et partant je pense que toute parole d'encouragement adressée confidentiellement au Cardinal Guidi exercerait une influence favorable à la cause italienne sur tous les cardinaux italiens de ses amis. Telle est mon opinion personnelle et je m'en remets à la sagesse du gouvernement du Roi de l'apprécier.

La séance du ConcHe d'hier a eu quelque intéret par une petite comédie qui me semble etre le prélude de la clòture prochaine de la discussion sur l'Infaillibilité quoique -ou parce que? -tous les éveques de l'opposition se soient inscrits contre ce chapitre. Monseigneur Valerga a parlé contre le Concile de Trente, le Cardinal De Angelis l'interrompt et le rappelle à la question. Monseigneur Valerga ne demord pas. Le Cardinal le rappelle à l'ordre. Monseigneur Valerga continue à foudroyer la Hì.cheté des Pères de Trente qui n'ont osé proclamer cette salutaire vérité de l'Infaillibilité. Troisième interruption et rappel à l'ordre. Monseigneur Valerga continue malgré cela. Enfin le Cardinal lui coupe la parole et lui commande de descendre de la tribune. Monseigneur Valerga descel'ld murmurant. C'était là sans aucun doute une comédie arrangée d'avance, afin qu'on puisse dire que les Infaillibilistes sont exposés aux mémes rigueurs que l'opposition. Je pense que la clòture sera demandée et votée après le premier mot vif qu'un orateur de l'opposition aura prononcé contre l'Infaillibilité.

(l) Ed. in TAMBORRA, pp. 313-315.

604

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY

D. R. 156. Firenze, 22 giugno 1870.

La ringrazio delle interessanti comunicazioni contenute nel di Lei carteggio politico regolarmente pervenutomi sino al n. 575 inclusivamente.

Ha fermato particolarmente la mia attenzione la conversazione da Lei avuta col Conte di Bismarck sulle condizioni generali della politica Europea. (l) Queste fortunatamente continuano a non avere il carattere allarmante che si temeva potessero acquistare pochi mesi or sono. Si riferisce forse a quella situazione, che attualmente pare molto migliorata, l'invio di vari funzionari prussiani in Tunisi ed Algeri. Un rapporto del R. Agente, signor commendator Pinna, che riguarda appunto la presenza di questi funzionarli nella Reggenza,

e le supposizioni alle quali questo fatto ha dato motivo, merita di essere conosciuto da v. S. A questo fine le ne trasmetto riservatamente una copia (l).

La risposta del Ministro a quel R. Agente fu concepita nel senso di sorvegliare, ma di astenersi assolutamente da qualunque passo che potesse lasciar supporre inquietudine e desiderio da parte nostra di avere spiegazioni.

(l) Cfr. n. 550.

605

IL MINISTRO A LONDRA, CADORNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

T. 2324. Londra, 23 giugno 1870, ore 19,50 (per. ore 22,50).

A l'égard de l'affaire de Grèce le dernier résultat de ma conversation avec lord Clarendon est, qu'aucune entente n'existe entre les trois puissances protectrices et que si, contre toute probabilité, cela avait lieu, la chose ne pourrait pas etre violente et que en tout cas lord Clarendon croit que l'Italie serait appelée à y concourir avec les trois puissances. Je vous ai écrit.

606

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. XLIV. Berlino, 23 giugno 1870 (per. il 28).

Peu de jours avant le départ du Roi Guillaume pour Ems, M. d'Arnim, Ministre de Prusse à Rome a mandé ici quelles étaient les préoccupations de ses Collègues sur rattitude qu'ils auraient à observer lors de la proclamation du dogme de l'infaillibilité. Si on n'y procède pas le jour de la fete de Saint Pierre et de Saint Paul, il est certain que le concile s'achemine d'heure en heure vers le dénouement principal pour lequel il a été convoqué. L'Ambassadeur d'Autriche émettait l'idée que, à cette occasion, les chefs des missions devraient quitter Rome, en laissant de simples Chargés d'Affaires, M. d'Arnim sollicitait les ordres de son Gouvernement.

Il lui a été répondu par le télégraphe de rester à son poste, mais de s'abstenir de tout ce qui pourrait avoir l'air d'une approbation de la décision conciliaire. Ainsi, il ne devra point paraitre ce jour là à la tribune diplomatique du

Il ratto si è che il Signor Botmlllau n'è rimasto impensierito... ».

Vatican, ni illuminer l'Hotel de la Légation. Une démonstration telle que celle dont la paternité était attribuée à M. de Trauttmansdorff dépasserait le but, et ne produirait d'ailleurs d'autre effet que de provoquer les sarcasmes du parti ultramontain.

D'après une dépeche dont le Comte de Wimpffen vient de donner lecture à M. de Thile, le Comte de Beust a instruit dans un sens analogue le représentant Austro-Hongrois près le Saint Siège.

Le Secrétaire d'Etat avait lieu de croire que l'Ambassadeur Français n'agirait pas autrement.

Quant à l'attitude du Cabinet de Berlin, elle restera e~pectante, sauf à recourir aux lois du Royaume, s'il devenait nécessaire de s'opposer à des empiètements sur le pouvoir civil.

M. de Thile se montrait peu édifié de la conduite de certains membres de l'épiscopat allemand, nommément de Monseigneur de Ketteler. II suspendait néanmoins tout jugement, ses données n'étant puisées que dans les récits des journaux, et non dans les rapports, extremement réservés, de M. d'Arnim.

L'Assemblée générale annuelle de la Société berlinoise de l'union protestante a eu lieu ici, le 17 de ce mois. L'objet principal de la réunion était l'examen de la conduite à suivre, par l'Allemagne, en ce qui concerne le Concile Oecuménique. Il va sans dire, vu l'esprit qui dirige cette Assemblée opposée à toute orthodoxie, dans la religion réformée comme dans la religion catholique, qu'elle s'est prononcée très vivement surtout contre la doctrine de l'infaillibilité, laquelle, en modifiant la constitution actuelle de l'église catholique, remettait légalement en question les droits accordés à cette église par les Etats Allemands, ainsi que son indépendance consentie dans des circonstances autres que celles d'aujourd'hui. L'Assemblée rendait surtout l'ordre des Jésuites responsable du trouble croissant des consciences et des dangers que court la paix religieuse. La suppression de cet ordre par l'Etat serait un acte de légitime défense.

(l) Non sl pubblica. Si tratta del R. confidenziale 168 del 31 maggio con cui Pinna aveva informato della visita a Tunlsl del generale Schweinitz, aiutante di campo del Re di Prussia e cugino dell'ambasciatore di Prussia a Vlenna ed aveva osservato: «lo non sarei lontano dal credere che il Generale Schwelnitz sia piuttosto venuto per vedere davvicino la posizione e per preparare ln certe eventualità il terreno col Bardo, perché sarebbe sempre una diversione favorevole di tenere occupato nell'Algeria un corpo di armata francese, non fosse che di 30/m uomini con un movimento arabo da questa parte e da quella del Marocco.

607

L'AGENTE E CONSOLE GENERALE A BELGRADO, JOANNINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 70. Belgrado, 23 giugno 1870 (per. il 1° luglio).

Se nei miei dispacci io mi tenessi stretto agli affari del Principato, essi sarebbero senza il minimo interesse; perché non essendo qui stesso pubblica l'azione politica del Governo, e questa riassumendosi in una passiva aspet~anza, e nel paese ristrettissimo di confini e di popolazione non osservandosi alcun fatto meritevole di studio nel ramo commerciale, il lavoro nostro non può esservi continuo e s'avrebbero troppo lunghi intervalli di scoraggiante inoperosità.

La commozione nei confini militari svolgesi nel modo stesso che io ebbi l'occasione di accennare a V.E. in dispacci anteriori. Il colonnello Konig, che presiede in Vienna alla direzione centrale dei confini, pare sia stato il promotore della doppia deputazione stata inviata a Vienna, e che le osservazioni del Conte Andrassy valsero ad impedire fosse pubblicamente accolta dall'Imperatore. I raggiri continuano ed il danaro corre per mantenere viva quella commozione, e fummi detto di un arciprete di Sirmium, serbo di nazionalità al quale fu offerta moneta per indurlo ad essere l'uno dei deputati.

Giunsermi alcuni nuovi ragguagli intorno al partito nazionale croato, a capo del quale sta il Vescovo Strossmayer. Non solamente questi negò di venire a patti col ministero ungherese e di accettare il seggio arcivescovile di Zagabria, ma parrebbe, (e ciò toglierebbe ai miei occhi a quel prelato il prestigio di personaggio risoluto e patriota si, ma in un tempo assennato e prudente) che per impedire o fare al sommo difficile una riconciliazione coll'Ungheria, quel partito siasi posto in relazioni coi rivoluzionari europei e colle pazze fazioni che diconsi appartenere alla alleanza universale repubblicana. Questa può essere una calunnia, ma non potei ritenermi da una qualche meraviglia quando l'Orescovic, usci, conversando meco ma senza alcun ragionevole legame di discorso, in parecchie interrogazioni o riflessi intorno alle bande che comparvero in Italia: mi ricordai che anche in Grecia simili alleanze furono tentate ai tempi scorsi e con qual grave malanno nostro, ognuno lo rammenta; ed anche il lontanissimo sospetto, che a me in Belgrado non è possibile il certificare, che ciò sia od abbia ad essere in Croazia, mi travaglia alquanto. Chi mi disse sapere che quell'alleanza è un fatto, e saperlo in modo positivo, fu il generale Kriz che comanda in Semlino. Se non fosse l'autorità sua, avrei posto l'accusa contro il Strossmayer a paro con l'altra che lo vuole venduto alla Russia.

Scrissi dell'agitazione croata, rallegata in parte a quella che commuove i confini militari e rimanmi a scriverle alcune linee intorno al congresso della nazione serba radunatosi a Carlovatz. Per la prima volta, in questa riunione di deputati eletti con suffragio generale dai Serbi ortodossi dell'Ungheria e chiamati a statuire sulle faccende della chiesa e dell'istruzione e sulla distribuzione delle ricchezze grandi che a questi fini sono attribuite, per la prima volta il Miletic poté disporre del maggior numero delle voci. Approffittonne per proporre e far approvare modificazioni arditissime alla costituzione presente, ma non ottenne, ciò che tentò, che il congresso dichiarasse se stesso costituente politica uscendo dalla sfera di attribuzioni riconosciutale nello Stato. La principale derogazione agli usi della Chiesa fu che la scelta del Patriarca è tolta alla sinodo e devoluta al popolo; si vuole perfino con argomenti tolti dalla storia ecclesiastica che il Patriarca potesse essere laico; tutti questi sforzi di trasformare la chiesa in istituzione nazionale e politica ed il Patriarca in Voivoda romperannosi contro il veto assoluto del Governo ungherese. L'azione del Miletic fassi sentire, debole e contrastata non tanto dal Governo quanto dalla borghesia commerciante, anche in Belgrado, ove fuvvi una rissa in pubblico luogo di ritrovo fra chi volea che l'inno di Miletic fosse suonato e chi vi si opponea. Non dannosi pensiero gli Ungheresi dei Serbi del loro regno finché quelli del Principato non li sostengono o finché quelli non agiscano concordemen':.e agli Slavi dei confini e della Croazia. Le dottrine del Miletic e della sua fazione sono nazionali ma eziandio repubblicane; so n poco temute a Pest perché propagansi in luoghi ove il numero dei serbi cede ogni giorno all'immigrazione g·ermanica, ed ove questa diviene pronto veicolo di civiltà creando in pari tempo,

cosa un po' strana, ma verissima, un potente senso della nazionalità ungherese.

Son piccoli questi affari, è vero, ma bastano ad impedire la forte consolidazione e la fiducia in se stessa dell'Ungheria. L'inquietudine negli affari orientali fu sempre mantenuta da simili fatti, ma a differenza di altri tempi i sintomi del male non abbracciano la Turchia sola, estendonsi oggi al nord e minacciano uno Stato nascente al quale sarebbe devoluta una parte dei doveri dell'antica Polonia mentre gli sovrasterebbero pericoli di una stessa natura. Il pensiero sarà certamente sorto nella mente degli uomini di Stato occidentali che desiderano pace e progresso all'Oriente, e che quando una lotta fosse inevitabile la vorrebbero per quanto è possibile breve e circoscritta, che il solo modo in cui questi fini sarebbero ottenuti, ed il solo modo di prevenire ciò, a che a Pest si fissa quasi una data precisa cioè un'aggressione russa, sarebbe una intima unione fra l'Ungheria e la Turchia, cercata ed ottenuta col fissare una base comune nell'accontentare i popoli delle due monarchie e non averli a nemici ovvero a spettatori malvolenti, come accadrebbe al dì d'oggi, se quella lotta che credesi a Pest quasi certa dovesse scoppiare.

608

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO A COSTANTINOPOLI, ULISSE BARBOLANI

D. R. 50. Firenze, 24 giugno 1870.

Il bisogno di avere uno stabilimento marittimo sulle coste del Mar Rosso, dove la Francia e l'Inghilterra hanno fondato delle fattorie, era talmente sentito anche in Italia, che il Governo del Re ha stimato dover inviare nel settembre dello scorso anno un suo distinto ufficiale di marina insieme ad un incaricato della casa Rubattino di Genova per vedere in qual punto di quelle coste si sarebbero potuti acquistare i terreni necessari.

Dopo varie ricerche, e dopo aver tentato di acquistare la baia di Amera, che fu trovata già occupata dagli Inglesi, quella commissione italiana si rivolse ad Assab ed ivi stipulava coi capi della popolazione indigena l'acquisto di un territorio abbastanza vasto per la fondazione dello stabilimento commerciale e dei depositi marittimi.

Dalle informazioni assunte sui luoghi risultava che quella località non era compresa nella Caimacania di Massawah e faceva parte invece del paese che <1l di sotto di quella Caimacania è abitato da tribù indipendenti.

La Compagnia Rubattino si accinse dunque all'acquisto del territorio di Assab, ne pagò il prezzo ai capi delle tribù locali, vi fece un deposito di carbone e vi edificò un casolare sul quale sventolò la bandiera italiana in segno della protezione che l'Italia naturalmente era chiamata ad accordare allo stabilimento che si andava a fondare.

Il R. Ministero ha informato a tempo debito il R. Console Generale in Alessandria di quanto si venne sopra esponendo ed ha sollecitato quel R. Agente ad interessare il Governo egiziano allo stabilimento di una fattoria italiana nel

Mar Rosso come quella da cui il traffico dell'Italia attraverso l'Egitto molto si avvantaggerebbe.

Le disposizioni del Governo del Kedive non furono però favorevoli come lo si sarebbe potuto ragionevolmente sperare. Non ammettendo dubbio che Assab faccia parte della Caimacania di Massawah, Scherif pascià ha indirizzato al Console Generale signor de Martino una protesta in cui sostanzialmente dichiara che la casa Rubattino non ha ben acquistato perché ha comperato da pescatori della costa un terreno che a questi non apparteneva.

Quando questa protesta ci fu comunicata, noi abbiamo trovato necessario di riscontrare anzi tutto l'esattezza dei fatti sui quali essa si fonda; ma, mentre da noi si studiava la quistione, si è ricevuta da Aden la notizia che una Corvetta egiziana si era recata in Assab, vi avea sbarcato un distaccamento di soldati, abbattuta la porta del casolare, ricercati e molestati gli indigeni che aveano avuto relazioni cogli agenti della Casa Rubattino.

Questi fatti sono gravi ed il Governo del Re è deciso di far rispettare l'acquisto fatto da una compagnia italiana e di tutelarne i diritti.

Noi non ci ricusavamo ad entrare in trattative coll'Egitto tanto per !spiegare i fatti occorsi quanto per es!llminarne la regolarità. Non abbiamo contestato all'Amministrazione egiziana i suoi diritti sovrani; ci accingevamo soltanto a ricercare fin dove si può estendere il diritto di una sovranità più nominale che effettiva trattandosi di un acquisto che avea un carattere affatto privato. Ma la quistione è ora posta in tutt'altri termini. In seguito allo sbarco fatto dagli Egiziani in Assab, si tratta per noi di non lasciare invadere i diritti i più incontestabili di cui gli Italiani sono in possesso in Egitto; epperò facendo le più ampie riserve sopra ogni altro punto di quistione, intendiamo chiedere al Governo egiziano una riparazione ed un risarcimento per la violazione di una proprietà privata italiana, riparazione e risarcimento che dovranno essere proporzionati alla gravità dell'offesa ed alle difficoltà che il R. Governo prova per dare una protezione effettiva agli stabilimenti che i suoi sudditi fondano nelle regioni lontane.

Di questi cenni Ella potrà valersi nel caso S.A. Aali Pacha Le tenesse discorso dell'incidente sovra narrato.

609

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1157. Parigi, 24 giugno 1870 (per. il 27).

Il Giornale ufficiale d'oggi pubblica la seguente nota, sul tenore della quale mi pregio di chiamare l'attenzione dell'E. V.:

«Risulta da una recente pubblicazione che la Nunziatura apostolica avrebbe comunicato alla redazione di un giornale francese una lettera del Segretario dei brevi di Sua Santità, con cui invitasi S. E. il Nunzio a rispondere agli indi

44 -Documenti diplomatici • Serie I • Vol. XII

rizzi inviati .al S. Padre in occasione del Concilio da diversi punti della Francia. Il nostro diritto pubblico interdicendo formalmente nell'interno dell'Impero questo genere di comunicazioni e assimilando per ogni verso il Nunzio della S. Sede a un ambasciatore estero, il Ministro degli affari esteri si è trovato in dovere di chiamare l'attenzione di Monsignor Chigi sopra una tale irregolarità. Le spiegazioni di Monsignor Chigi hanno stabilito che la detta pubblicazione ebbe luogo in seguito d'un errore. Egli ne ha espresso il suo rammarico, dichiarando che in avvenire un simile incidente non si rinnoverebbe».

Non è la prima volta che questa Nunziatura apostolica, con prevaricazioni siffatte, si attira le osservazioni del Governo imperiale. Ma merita menzione il tuono preciso e sommario in cui la nota ch'ebbi l'onore di riferirle è concepita.

610

IL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 353. Atene, 25 giugno 1870 (per. il 1° luglio).

Accuso ricevuta del Dispaccio che V. E. mi fece l'onore di dirigermi in data 17 corrente n. 111 di questa serie (1).

Io ebbi già a riferire a V. E. come appena successi i luttuosi fatti di Oropo il Governo greco, e per propria iniziativa ed anche per mio consiglio e per impulsione del Ministro d'Inghilterra, avesse non solo attivato il processo contro i briganti caduti in mano della forza, ma avesse ancora dato subito principio all'inchiesta per rintracciare le fila che potessero condurre ad iscuoprire quali rapporti e quali ramificazioni il brigantaggio, e principalmente la banda degli Arvaniti, avessero in città o altrove.

Quando ricevetti il dispaccio del 14 maggio n. 105 (2) non mancai di comunicare al Ministro degli Affari Esteri le serie riflessioni che inducevano il R. Governo ad insistere per quell'inchiesta amministrativa, dalla quale si potesse conoscere la condotta dei funzionari ellenici.

Come V. E. bene avvertiva nel succitato dispaccio il fatto di Maratona noa fu che una lugubre manifestazione delle tristissime condizioni in cui si trovava la pubblica sicurezza in Grecia. E si fu appunto su queste tristi condizioni che

-o per negligenza o per insipienza si erano pure estese ai dintorni di questa capitale che io ho basato la responsabilità che secondo il mio modo di vedere doveva ricadere sul Governo ellenico. Fatti però individuali che provassero una vera colpabilità per parte di pubblici funzionari non ve n'erano. Si fu dunque pendente la prigionia e dopo la morte dei nostri amici che fu istituita un'inchiesta generale dalla quale doveva e dovrebbe emergere la verità quand'anche questa dovesse colpire persone e funzionari di grado elevato a qualunqu classe appartengano.

11! Cfr. n. 598.

Quest'inchiesta continua e non potrei prevedere quando e quale potrà essere il suo risultato finale. Talvolta giungono informazioni o testimonianze, che al primo momento credute importanti e conducenti a qualche pratico risultato, si trovano poi mancanti di quella esattezza, che si richiede in un affare sì delicato e così grave. Si è dunque con una grande pazienza e con non poca perseveranza che l'inchiesta procede. E tanto il signor Vallaoriti come Ministro, quanto i legali Inglesi nei loro rapporti col Procuratore del Re danno prova continua di quelle buone qualità.

Ciò malgrado io volli ieri intrattenere il Ministro degli Affari Esteri parlandogli nel senso del sopracitato dispaccio del 17 corrente ed il signor Vallaoriti mi disse che la miglior risposta, che per ora egli potrebbe dare alle nostre insistenti proposte, si era il fatto stesso di cui io era testimonio, vale a dire, che dopo i tristi avvenimenti di Oropo vi era stata sollecita punizione dei rei, la persec:-zione di altre bande si era spinta con maggior vigore e con non poco successo, c che per l'inchiesta, pella quale i due Governi d'Italia e d'Inghilterra tanto s'interessavano e del di cui andamento io era sempre esattamente tenuto a giorno, egli ne aveva fatto la sua principale preoccupazione, perché la credeva necessaria ed utile alla Grecia stessa, e nulla dal suo canto era tralasciato perché procedesse fino a che fosse fatta la luce.

P. S. Il Re partirà lunedì per ritornare a Corfù. Ogni modificazione ministeriale di cui si parlava sarebbe così sospesa.

(2) -Cfr. n. 496.
611

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 67. Roma, 25 giugno 1870.

Hier, le Comité international a délibéré d'adresser au Pape une petition pour lui demander la prorogation du Concile jusqu'à l'hiver prochain, parce qu'il serait impossible de terminer la discussion sur l'Infaillibilité avant six semaines au moins et que les chaleurs du juillet et de l'aoùt décimeraient les pères, hommes plus ou moins agés et mème vieillards pour la plupart, et pas habitués au climat ardent de Rome. J'avoue que cette pétition me fait perdre tout espoir de voir l'affaire terminée dans deux ou trois semaines camme j'avais pensé. Car quiconque connait l'obstination et la malice de Pie IX, peut deviner la réponse qu'il donnera à ses « protestants » camme il dit.

Cette petition acceptée, le Comité a compté les évèques qui refuseront toute transaction avec la Curie. On en a trouvé 98, chiffre tellement exagére que je le trouve ridicule. V. E. verra que le Comité a déjà abandonné 30 évèques de ces 128 qui s'étaient engagés à voter contre; il finira par rabattre encore. Pas un mot des négociations entamées par Monseigneurs Deschamps et Man

ning; l'abandon de 30 éveques en di t assez. Mais on se console que le Cardinal Guidi et ses 14 (d'après d'autres renseignements 16) éveques dominicains ne tarderont pas à se rallier avec l'opposition.

La volte-face du Cardinal Guidi a réellement ébranlé la majorité. Sa réputation de grand théologien exerce une forte pression sur la conscience de ceux qui jurent à la doctrine de St. Thomas d'Aquln sans la connaitre. Ce qui est sur c'est que le Cardinal a reveillé de graves soupçons contre l'érudition théologique des Jésuites, auteurs des Schèmes et réputés eux-memes infaillibles et impeccables. C'est pour cela que le Pape veut obtenir du Cardinal Guidi une retractation. Il lui a ordonné de s'entendre là-dessus avec l'un des CardinauxLégats, et l'on m'assure que le Cardinal Guidi est réellement allé voir le Cardinal Bilio, l'infaillibiliste le plus résolu parmi eux. Ils n'ont rien conclu; le Cardinal Guidi dit lui avoir répondu qu'il ne se retracterait jamais et à aucun prix. Sur l'ordre exprès du Pape il lui est defendu de voir personne de ses amis, et de recevoir des éveques de l'opposition; il le menace d'un procès à la d'Andrea. Ce ne sont, pour le moment, que des paroles; toutefois je crois qu'il serait bon que le Cardinal fut rassuré de la protection du gouvernement du Roi, s'il en a besoin.

On me parle de la distribution prochaine d'un nouveau Schème sur l'Infaillibilité, beaucoup plus fort que celui qui est en discussion. Cette nouvelle me vient trop tard pour la vérifier en temps utile. J'y reviendrai.

(l) Ed. in TAMBORRA, pp. 316-317.

612

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO

D. 52. Firenze, 26 giugno 1870.

La Commissione istituita d'accordo fra il Ministero della giustizia e quello degli affari esteri per l'esame del progetto di riforma giudiziaria in Egitto, mi ha comunicato un suo voto preliminare intorno alla disposizione contenuta nell'articolo 7 dello schema elaborato al Cairo.

La Commissione ha considerato che tanto in quello schema, quanto nei progetti emendati dalla Turchia e dalla Francia, nulla è stabilito circa il numero dei magistrati e degl'impiegati delle segreterie e cancellerie dei nuovi tribunali che dovranno essere scelti nei singoli paesi d'Europa. Essa comprende quanto questo punto di questione sia delicato, ma nel tempo stesso ritiene indispensabile che al medesimo sia data tostamente una soluzione. A questo proposito fu osservato in seno alla Commissione che un positivo accordo fra l'Egitto e le Potenze per determinare il numero ed il grado dei magistrati e degl'impiegati che ciascun paese dovrà somministrare, riesce tanto più indispensabile in quanto che sono palesi gl'inconvenienti che deriverebbero se la scelta dei magistrati e degl'impiegati stessi potesse divenire argomento di rivalità fra le Potenze che hanno Colonie stabilite in Egitto. Giova avvertire che l'anzidetta questione si presenta sotto diverse forme quando si tratta di sapere come verranno ripartiti i magistrati europei fra le varie sedi dei nuovi tribunali, come saranno composte le singole Camere giudicanti delle Corti d'appello e dei tribunali di prima istanza, ecc. Perciò la Commissione ha trovato, nelle difficoltà pratiche che presenta la soluzione di questo problema, un motivo di serio riflesso, ed ha dichiarato essere per lei evidente che dalle risoluzioni che si presenteranno in proposito, dipende in gran parte il valore delle guarentigie contenute all'articolo 7 il quale forma una delle basi essenziali della riforma giudiziaria. Opinarono quindi unanimemente i Commissari che intorno a ciò debba essere interpellato il Governo del Khedive anche per impedire che egli abbia a prendere risoluzioni ed impegni che altererebbero il progetto di riforma presentato alle Potenze.

È desiderio della Commissione ed intenzione del Governo del Re di lasciare al Governo egiziano la cura di far conoscere in qual guisa egli intenda applicare in pratica il principio contenuto nell'articolo anzidetto; ma la Commissione, trattandosi di cosa di tanta importanza, ha creduto opportuno di ricercare essa stessa e poscia suggerire i criteri che dovrebbero guidare l'Egitto nel proporre il contingente dei magistrati ed impiegati da scegliersi nei singoli paesi. Si trovarono d'accordo tutti i Commissari nel riconoscere che questi criteri sono tre:

1° L'importanza politica dello Stato;

2° Il numero dei coloni;

3° La quantità degli affari di ciascuna Colonia.

E volendo ridurre ad una forma precisa i concetti sui quali i singoli Commissari si erano unanimemente trovati d'accordo, venne formulata ed accettata una proposizione cosi concepita:

«La formation du personnel des Tribunaux et des Cours, y compris les membres des greffes et les huissiers, sera réglée par accord international de manière à avoir égard à l'importance de chaque nationalité et au nombre de la population et des affaires de chaque Colonie. »

Sopra questa proposta preliminare, Ella vorrà chiamare al più presto l'attenzione del Governo egiziano invitandolo a farci conoscere l'accoglienza che egli sarà per farvi. Ella comprende l'importanza speciale che ha per noi l'assicurarci contro il pericolo che nella Corte e nei tribunali abbia a prevalere l'uno

o l'altro degli elementi stranieri che l'Egitto dovrà chiamare a concorrere alla formazione di quelle magistrature.

La Commissione ha esaminato minutamente tutta la parte del progetto di riforma che si riferisce alla giurisdizione civile; ha anche esaminato alcune questioni generali relative alla giurisdizione penale. Spero di poterle mandare fra non molto la parte del lavoro già compiuto; ma debbo prevenirla, e sarà bene che Ella ne avvisi il Governo egiziano, che tutti i voti emessi in seno alla Commissione sono subordinati alla condizione che i futuri codici, dei quali fu promessa la presentazione, abbiano a corrispondere effettivamente alle esigenze di un perfetto ordinamento giudiziario.

Nell'occasione adunque in cul Ella dovrà domandare al Governo egiziano di accettare la proposizione della Commissione italiana intorno alle disposizioni dell'articolo 7, Ella dovrà ricordare a Scherif Pascià la promessa fattaci di comunicarci i codici, dicendogli che, sino a che questa comunicazione non ci sia stata fatta, le nostre risoluzioni non potranno essere definitive, ma sempre subordinate all'esito dell'esame dei codici stessi.

613

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI, VENOSTA, ALL'AGENTE E CONSOLE GENERALE IN EGITTO, G. DE MARTINO (1)

D. 53. Firenze, 26 giugno 1870.

Le 27 mai (2) vous m'avez rendu compte d'une conversation que vous aviez eue avec S. E. Schérif pacha au sujet d'un terrain acheté, à Assab, par une société italienne de navigation. Schérif pacha vous disait que le Gouvernement de S. A. R. le Khédive avait été informé par le Gouvernement de la Haute Egypte que des négociations avaient été entamées par le commandant d'un vaisseau de guerre de la marine italienne avec le chef d'un village arabe pour acquérir ce terrain, que le versement du prix convenu avait eu lieu, et que quelques matelots et une certaine quantité de charbon avaient été débarqués, tout cela dans l'intention d'effectuer une prise de possession.

Dans ma dépéche du 16 avril, (3) je vous avais informé que la société Rubattino et C., de Génes, avait acheté un terrain à Assab, et Vous avlez reçu l'ordre de faire comprendre, le cas échéant, au Gouvernement du Khédiv,e combien il doit s'intéresser au développement de notre commerce maritime dans la mer Rouge, et conséquemment à la fondation d'un établissement privé de commerce italien sur ces còtes. En vous conformant fidèlement à ces instructions il vous aura été facile de faire ressortir, dans votre réponse à Schérif pacha, le caractère essentiellement commerciai de l'acquisition faite à Assab, non pas par un commandant de la marine de guerre italienne, mais, par un mandataire de la société Rubattino et C. Vous avez certainement ajouté que, si la nouvelle propriété de cette importante compagnie de navigation a été visitée par un aviso de la marine royale, c'est un pyroscaphe de la société Rubattino qui en a pris possession et qui y a débarqué des employés et du charbon.

Ces explications devaient effacer toute fàcheuse impression que S. A. le Khédive pouvait avoir ressentie en lisant les rapports du gouvernement de la Haute Egypte. Nous étions, d'ailleurs, autorisé à croire que l'Egypte, ne s'inspirant que des sentiments d'amitié sincère et de réelle sjmpathie dont I'Italie a fait preuve en maintes circonstances à son égard, aurait compris qu'une justL>

(-2) Cfr. n. 541.

réciprocité l'engageait à user, envers nous, de procédés analogues, soit en reconnaissant le bien fondé de nos explications amicales sur le véritable caractère de l'acquisition dont il s'agit, soit en offrant de prendre avec nous les arrangements nécessaires pour qu'elle fut régularisée s'il y avait lieu.

Aussi avons nous été surpris en apprenant, par votre dépéche de 3 juin (1), que Schérif pacha a jugé à propos de vous adresser une note par laquelle le Gouvernement égyptien déclare nul et d'aucune valeur l'achat fait par la société Rubattino du terrain en question. Dans cette note le Gouvernement du Khédive n'a envisagé la question qu'au point de vue des droits des vendeurs du terrain. D'après lui, la soeiété Rubattino l'a acheté de quelques pécheurs de la còte, qui n'y avaient aucun droit de propriété. Schérif pacha donne à entendre que, le gouvernement égyptien étant le seui propriétaire des territoires de la còte africaine de la mer Rouge, c'est à lui que les acheteurs auraient dù s'adresser.

Nous n'avons aucune difficulté à discuter une question posée en ces termes; c'est au Gouvernement Egyptien de nous faire connaitre le droit qu'il peut avoir, soit à titre de souveraineté territoriale, soit à titre de propriété de l'Etat, de contester une acquisition consentie par les occupants effectifs du sol, dans des contrées où, faute d'une organisation administrative régulière, les populations indigènes jouissent d'une indépendance de fait complète. Il est aisé de démontrer à l'Egypte que les acquéreurs du terrain en question ont traité de bonne fai avec les chefs des tribus qui, étant en possession du territoire, auraient certainement refusé de reconnaitre toute cession, vente ou location de ce territoire, effectuées par l'administration égyptienne.

En droit commun, le vendeur ou le bailleur d'un terrain est tenu de garantir la possession à l'acheteur ou au fermier. L'Egypte était-elle à méme de donner cette garantie à la société Rubattino, et aurait-elle pu se charger de la faire respecter?

Le Gouvernement du Roi, prét à tenir compte de toutes les questions de fait et de droit que peut impliquer l'achat fait par la société Rubattino, recueillait les éléments nécessaires pour s'entendre, au besoin, avec qui de raison, lorsque des lettres d'Aden lui ont appris qu'une corvette égyptienne, le Kartoum, avait été envoyée à Assab et que l'équipa:ge de ce vaisseau avait forcé la porte de la maisonnette batie sur le territoire acheté par la société Rubattino, recherché 1es chefs indigènes qui avaient traité avec elle, et menacé le patron d'une barque nolisée à Aden pour le compte de la méme société. Ces faits ont regrettablement compliqué l'état des choses.

Nous nous trouvons en présence d'une violation, par la force armée, d'une propriété dont une société italienne a pris possession d'une manière privée, et nous venons demander des eXJplications satisfaisantes de ce fait, et faire les réserves de droit sur les dommages effectifs qui auraient pu en résulter.

C'est pourquoi, sans préjudice des questions relatives aux droits de souveraineté et de propriété invoqués par l'Egypte, nous devons déclarer au Gouver

nement du Khédive que les actes accomplis par ses agents et par l'équipage du Kartoum n'ont pu changer, ni modifier, à nos yeux, l'état des choses résultant de la prise de possession particulière par les mandataires de la société Rubattino.

Le Gouvernement du Roi ne saurait admettre que les propriétés de ses sujets, soit en Egypte, soit dans les régions habitées par des populations insoumises ou indépendantes, puissent étre endommagées par des soldats égyptiens. Nous sommes tenu d'exiger le respect des immunités dont la propriété des étrangers doit jouir dans ces contrées éloignées.

Le gouvernement de S. A. le Khédive comprendra aisément que l'Italie ne saurait adopter d'autre manière de voir en cette affaire, et il voudra, je l'espère, en acceptant les déclarations contenues dans cette dépéche, nous prouver qu'il désire écarter toute difficulté des bonnes relations établies entre l'Italie et l'Egypte.

Vous voudrez, vous expliquer dans ce sens avec S. E. Schérif pacha, et lui laisser copie de cette dépéche, s'il le désire.

(l) -Ed. in LV 34, pp. 3-5. (3) -Cfr. n. 411.

(l) Cfr. n. 565.

614

IL MINISTRO A BERLINO, DE LAUNAY, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 577. Berlino, 26 giugno 1870 (per. il il 30).

D'après les renseignements qui m'ont été fournis par le Secrétaire d'Etat, la situation s'était légèrement améliorée dans la Moldo-Valachie. Mais les rapports restaient toujours assez tendus vis-à-vis de la Porte, ensuite de l'émission de la nouvelle mannaie à l'effigie du Prince Charles. Un autre fait assez marquant c'est l'attitude, beaucoup plus accentuée que celle de ses collègues, prise par le Consul Général de Russie, le Baron d'Offenberg, dans la question des Juifs. Quoique le langage du Prince Gortchakow continue à étre des plus corrects, certaines données porteraient à croire que des Agents russes ne sont pas étrangers à l'agitation des esprits dans les Principautés Danubiennes. Si tel est en effet le cas, le Prince Charles doit doublement regretter d'avoir nui, par une conduite inconsidérée, aux bonnes relations qu'il lui importait de conserver avec le Suze<rain.

Comme je l'ai déjà écrit à V. E., on observe ici une grande réserve à cet égard, réserve dictée par la position du Prince de Roumanie vis-à-vis de la Cour de Prusse, et par le peu de cas, fait par lui, des conseils de prudence transmis d'ici, en voie particulière, sur l'affaire de la mannaie. C'est déjà là un indice que le Cabinet de Berlin n'est nullement enclin à le soutenir en tout état de cause. D'ailleurs, le Comte de Bismarck, lors de son séjour à Ems, aurait laissé entendre à M. d'Oubril, Ministre de Russie, que si on ne voulait plus du Prince de Hohenzollern à Bukarest, il faudrait le dire, pour que Son Altesse se mit en mesure de retourner à Dusseldorf auprès de son Auguste Père.

615

TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 68. Roma, 27 giugno 1870.

La séance du Concile tenue samedi, 25 dernier, a été intéressante en tant que Monseigneur Ketteler a non seulement parlé très-vigoureusement contre l'Infaillibilité, mais aussi personnellement attaqué le Pape. V. E. salt que le Pape a dit au Cardinal Guidi «la tradition c'est moi '>. Tout le monde s'est scandalisé de cette application du mot de Louis XIV sur la matière de la foi catholique; mais Monseigneur Ketteler seul eu t le courage de le relever en public. Après quelques fleches perçantes décochées contre l'ambition maladive du Pape, il a dit qu'il était trop absurde de dire que le Pape porte dans l'écrin de son coeur la tradition quand on salt que cet écrin de son coeur est rempli d'idées et de sentiments tant contra~res à la tradition catholique. Tout le monde comprit; l'opposition approuve, la majorité commence à hurler et à menacer l'orateur qui, non obstant, continue et finit son discours. On recommence à croire à la persévérance de Monseigneur Ketteler dans l'opposition. L'éveque de Trieste, Monseigneur Legat, a aussi fait un bon discours contre l'Infaillibilité. Cinq autres éveques, parmi lesquels l'archeveque de Parme, ont parlé pour le Schème.

Hier, je me suis trouvé chez le Cardinal prince Schwarzenberg en société avec un grand nombre d'éveques allemands et autrichiens. On parlait de la conduite à tenir en présence de la votation sur le chapitre 4e et sur le Schème entier. Monseigneur Hefele nous a lu un mémoire -je ne sais à qui le mémoire est adressé -dans lequel il propose que l'opposition vote contre le Schème seulement dans la Congrégation générale et qu'elle quitte Rome en masse sans attendre la séance solennelle. Monseigneur Hefele a appris que le Pape s'est proposé de !aire distribuer dans la séance solennelle a chaque éveque deux formulaires imprimés, dont l'un contiendrait l'acceptation absolue et irrévocable du dogme de l'Infaillibilité, et l'autre la renonciation de l'éveque à son siège. Tout éveque serait tenu à signer à son gré l'un ou rautre de ces deux formulaires. Monseigneur Hefele croit que dans ces circonstances à peine 15 ou 20 éveques auront le courage de dire dans la Séance solennelle non placet. Pour éviter ce scandale, il veut que les éveques de l'opposition s'en aillent avant la Séance sollennelle, pour continuer la lutte contre la Curie romaine et contre les jésuites, aussitòt qu'ils seront rentrés dans leurs diocèses, et avec l'appui des fidéles et des gouvernements. Chez soi, on pourra braver l'excommunication et les violences romaines, protester contre la vaHdité du Concile actuel et en appeler à un futur Concile libre, et en attendant convoquer des Synodes diocésains et provinciaux pour qu'ils se prononcent contre le Concile actuel et en condamnent les doctrines et les décrets.

Les conseils de Monseigneur Hefele ont beaucoup plu à l'auditoire et auraient de chances s'il entendait les proposer au Comité International. Mon

selgneur Strossmayer les a trouvé plus prudents que courageux, il voudrait que l'opposition donnat son non-placet en séance solennelle, protestat contre tout ce qui se faisait au Concile actuel et s'en allat de Rome après ce coup d'éclat. Son avis a été écouté avec déférence, mais il ne me parait pas avoir fait une impression favorable. Un évéque américain, dont je ne me rappelle pas le nom en ce moment, a dit que le Pape a juré, il y a quelques jours, en présence de Monseigneurs Spalding, Manning, Cardani et d'autres, qu'il proclamerait le dogme de l'Infaillibilité quand bien méme 200 évéques voteraient par nonplacet. Je n'en doute point.

Aujourd'hui, il n'y a pas séance parce que le Pape tient le consistoire habituel de la St. Pierre pour la préconisation d'un bon nombre d'évéques.

Le schème refondu sur l'Infaillibilité n'est pas encore distribué. On douterait de son existence, si Monseigneur Dupanloup n'affirmait l'avoir vu et feuilleté.

(l) Ed. in TAKBOR!IA, pp. 317-318.

616

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LISBONA, PATELLA

T. 1161. Firenze, 29 giugno 1870, ore 14,10.

Les bruits que les journaux font courir au sujet de l'affaire Oldoini sont inexacts. Rien n'est changé dans la situation que vous connaissez.

617

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1162. Parigi, 29 giugno 1870.

L'attitudine della Francia rispetto al Concilio continua ad essere interamente passiva. Come ebbi l'onore di annunziare all'E. V. con dispaccio del 6 maggio scorso (1), il Governo francese fin da quell'epoca stabilì di non dare seguito alle pratiche ch'erano state intavolate con molta vivacità dal Conte Daru. A conferma di quest'attitudine presa dal Governo francese dopo che il Conte Daru lasciò il Ministero degli affari esteri viene ora la pubblicazione fatta dalla Gazzetta d'Augsburgo d'un telegramma che il Signor Ollivier, allora Ministro interinale degli affari esteri, mandò al Marchese di Banneville a Roma in data del 12 maggio scorso, e di cui ho l'onore di qui unire la copia. Non potrei affermare che questo documento sia testualmente esatto nella forma; ma posso assicurare l'E. V. ch'esso è esattissimo nella sostanza.

64Z

ALLEGATO

OLLIVIER A BANNEVILLE

T. Parigi, 12 maggio 1870.

Le gouvernement de l'Empereur ne s'est pas fait représenter auprès du concile, quoique ce droit lui appartienne en sa qualité de mandataire des lai:ques dans l'Eglise.

Pour empecher que les opinions excessives ne devinssent des dogmes, il a compté sur la sagesse des évéques et sur la prudence du saint-père. Pour délfendre nos lois civiles et politiques contre les empiétements de la théocratie, il a compté sur la raison publique, sur le patriotisme des cathoHques français et sur les moyens ordinaires de sanction dont il dispose. Il s'est conséquemment préoccupé de ce qu'a d'auguste une réunion de prélats assemblés pour décider des grands intéréts de l'ame et de la foi, et ne s'est donné qu'une mission: assurer et protéger l'entière liberté du concile.

Averti par les bruits de l'Europe des dangers que certaines propositions imprudentes feraient courir à l'Eglise, désireux de ne pas voir augmenter les forces d'agression organisées contre les croyances religieuses, il est sorti un moment de sa réserve pour donner des conseils et présenter des observations.

Le souverain pontife n'a pas cru devoir écouter nos conseils ni accueillir nos observations. Nous n'insistons pas et nous rentrons dans notre attitude d'abstention et d'attente. Vous ne provoquerez et n'accepterez désormais aucune conversation soit avec le

pape, soit avec le cardinal Antonelli sur les affaires du concile. Vous vous bornerez à vous renseigner, à vous tenir au courant des faits, des sentiments qui les ont préparés ou des impressions qui les ont suivis.

Veuillez dire à nos évéques français que notre abstention n'est pas de l'indifférence; c'est pour eux du respect, c'est surtout de la confiance. Leur défaite serait bien amère, si, par son intervention, le pouvoir civil ne l'avait pas empèchée, et leur victoire aura tout son prix s'ils ne la doivent qu'à leurs propres efforts et à la force de la vérité.

(l) Non pubbllcato.

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TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 69. Roma, 29 giugno 1870.

La séance du Concile d'hier a été l'une des moins intéressantes. Ont parlé quatres infaillibilistes pour, et Monseigneur Ginouilhac, archeveque de Lyon, contre le Schème. Tous ces discours sont si ennuyeux que je n'ose les résumer par peur d'en ennuyer V. E. Les discours infaillibilistes ne sont que des paraphrases d'articles de l'Unità cattolica et de la Civiltà cattolica et je crois que les originaux en sont préférables à ces copies. Dans les cercles de l'opposition j'ai souvent regretté que les Infaillibilistes ne disposent ni d'un seul grand talent ni d'un seul grand savant, ni d'un grand orateur. En tant que ce parti se manifeste dans le Concile, il est au-dessous de la plus commune mediocrité; le mérite de ses succès revient évidemment à des gens qui ne siègent pas dans la vénérable assemblée, mais qui la dirigent en secret et dont les conseils, suggestions et ins1Jructions sont pour la plupart très-maladroitement exécutées.

Ces jours derniers je n'ai point eu de nouvelles au sujet des négociations ou, pour mieux dire, des intrigues engagées entre les Infaillibilistes et l'opposition. On me dit que la défection du Cardinal Guidi les a croisées; Monseigneur Manning persiste cependant à dire que l'affaire va bien et que l'adhésion

de 61 éveques à «sa formule» est un fai t acquls. Il n'a garde de dire les noms de ces déserteurs, et personne ne veut connaitre cette merveilleuse formule. Il m'est impossible de voir clair dans cette trame; en présence de tant de contradictions je suis tenté de penser que le langage de Monseigneur Manning pourrait bien avoir le but de briser l'opposition en reveillant des soupçons des uns contre les autres et en semant la défiance génerale dans l'esprit de tous. En ce cas, il n'y aurait pas d'équilibre entre le but et les moyens, car on peut atteindre à ce but sans mettre en action un appareil si compliqué d'intrigues et de mensonges. Mais Monseigneurs Deschamps, Manning, Cullen etc. n'ont pas la finesse de la prélature romaine, et sans leur faire tort on peut les croire capables de mettre le feu aux quatre coins du monde pour anumer un cierge à leur Saint de prédilection. Au demeurant, personne ne doute qu'ils ont agi, sinon sur l'ordre, du moins avec le consentement du pape.

Le Cardinal Guidi est réellement traité en prisonnier à la Minerve et ne peut recevoir personne. Hier il a envoyé son théologien chez un éveque de mes amis pour lui demander conseil. L'éveque lui a conseillé de retourner dans son diocèse et d'y attendre le résultat du procès que le Pape entend lui !aire, si le Cardinal ne se retracte pas. Le dominicain a dit que le Cardinal ne se retracterait en aucun cas, mais qu'il craindrait de trouver en Italie un mauvais accueil. L'éveque lui a répondu qu'un personnage officiel italien s'intéressait vivement au Cardinal depuis son évolution et qu'il espérait obtenir pour le Cardinal l'oubli de son passé et la protection du gouvernement. Le dominicain était aussi surpris, que ravi de cette espérance et s'est dépeché de porter cette bonne nouvelle à son Cardinal. Je me permets encore une fois de recommander à v. E. la cause du Cardinal Guidi, cause qui me parait digne de la plus sérieuse attention du gouvernement du Roi.

M. d'Arnim a écrit -je crois sous la dictée du professeur Gelzer de Berlin qui demeure à Rome et m'a été chaleureusement recommandé par M. d'Usedom un mémoire sur l'attitude que les gouvernements allemands devraient prendre vis-à-vis de l'Eglise catholique après la dogmatisation de l'Infaillibilité. M. d'Arnim le tient encore secret; mais si V. E. désire le connaitre, j'espère en avoir la copie dans quelques jours.

(l) Ed. in TAMBORRA, pp. 318-319.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, ALL'INCARICATO D'AFFARI A LISBONA, PATELLA

D. 52. Firenze, 30 giugno 1870.

Il visconte di Castro è venuto a leggermi un dispaccio del Maresciallo Saldafiha, che mi pare non essere altro che la riproduzione ampliata di un telegramma di parecchi giorni or sono, ed al quale si riferisce il mio dispaccio del [12 giugno] (l).

Il Maresciallo Saldaftha conferma in quel dispaccio le dichiarazioni con~ tenute nel Suo telegramma al Visconte de Castro del 17 giugno, dicendo che

S. M. Fedelissima, animato come fu sempre dai sentimenti i più amichevoli a nostro riguardo, non ebbe e non potea avere l'intenzione di rompere le re~ !azioni ufficiali colla Legazione di Sua Maestà; esso intese solo di rompere i rapporti personali col Marchese Oldoini, rapporti aggiunge il Maresciallo Saldaftha, senz'altra spiegazione, che non poteano continuare a persistere. Il Ministro degli affari Esteri di S. M. il Re di Portogallo si appoggia a queste dichiarazioni e sul fatto che il Cavaliere Patella venne spontaneamente riconosciuto come Incaricato d'Affari, per affermare che la rappresentanza diplo~ matica dell'Italia in Lisbona non subì infatti alcuna alterazione o diminuzione, e per esprimere la fiducia che il Governo italiano si dichiarerà soddisfatto e si deciderà a ristabilire le sospese relazioni ufficiali.

Ho risposto al visconte De Castro che avrei riferito a S. M. il Re il contenuto della comunicazione fattami.

È evidente che le dichiarazioni contenute nel dispaccio del Maresciallo di Saldaftha non modificano in modo alcuno lo stato at~uale della questione. Nella nota ch'io diressi il 6 dello scorso mese di giugno al visconte di Castro (l) ho chiaramente esposto le ragioni che aveano consigliato al Governo del Re di sospendere i rapporti ufficiali col Governo Portoghese. II Maresciallo Saldaftha interruppe le relazioni ufficiali col Ministro d'Italia a Lisbona, senza far prima conoscere al Governo rappresentato dal Marchese 01doini i motivi delle sue lagnanze, senza procedere col mezzo di quegli uffici che si richiedono in simili casi tra Governi regolari e che, nell'attuale occasione, doveano altresì essere suggeriti dai vincoli dinastici e d'amicizia esi~ stenti tra i due Stati. È questo il fatto che, qualunque fossero le intenzioni del Maresciallo Saldaftha, il Governo italiano non ha trovato conforme né alla pratica internazionale, né ai riguardi dovuti verso uno Stato amico. Non è ammissibile, secondo gli usi diplomatici, il sistema pel quale il Maresciallo Saldaftha, sembra credere che si possa di proprio arbitrio cessare dall'amme~tere il titolare d'una Legazione estera nell'esercizio delle proprie funzioni, rimanere in rapporti ufficiali col Segretario che resta incaricato di fatto della gestione degli affari correnti, e affermare, al tempo !stesso, che la rappresentanza diplomatica del paese a cui quella Legazione appartiene non ha subito alcuna alterazione o alcuna diminuzione. Il Maresciallo Saldaftha troverà difficilmen:e nella storia dei nostri tempi e delle relazioni attuali fra gli Stati un precedente che giustifichi la condotta tenuta dal Governo Portoghese in questa circostanza.

II Maresciallo Saldaftha non ha adunque né giustificata la sua risoluzione di non avere più ra,pporti personali col Marchese Oldoini, né ci ha dato spiegazioni le quali valgano a correggere l'irregolarità commessa col rompere ufficialmente le relazioni del Governo portoghese colla Legazione di Sua Maestà.

In tale stato di cose il Governo del Re non ha a prendere una nuova risoluzione, né a mutare le is';ruzioni che Le furono in addietro impartite.

(l) La data manca nel registro dei dispacci. C!r. n. 589.

(l) Non pubblicata.

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IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. CONFI!)ENZIALE 1165. Parigi, 30 giugno 1870.

In previsione della votazione e della promulgazione a Roma del dogma sulla infallibilità del Papa, il Marchese di Banneville chiese recentemente istruzioni al Governo francese onde sapere in qual guisa dovesse all'uopo regolare il suo linguaggio e la sua condotta. Il Duca di Gramont gli confermò, in risposta, le istruzioni generali che erangli state impartite precedentemente dal signor Ollivier; ma aggiunse che ove il dogma dell'infallibilità fosse promulgato, l'Ambasciatore di Francia avesse ad astenersi dal prender par'je ad ogni dimostrazione o cerimonia festiva che si facesse in Roma per solennizzare un tal fatto, non facesse illuminare il palazzo dell'Ambasciata, ed anzi trovasse modo, facendo una corsa fuor di Roma, di non trovarsi presente in città per la solennità della celebrazione del dogma.

645

IL MINISTRO A PARIGI, NIGRA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 1168. Parigi, 1° luglio 1870 (per. tl 4).

Ieri fu all'ordine del giorno nel Corpo legislativo la discussione del progetto di legge relativo all'appello di 90.000 uomini sulla classe del 1870. Questo numero costi';uisce una riduzione di 10.000 uomini sui contingenti ordinari. Eravi dunque materia a vive contestazioni tra coloro che cedono unicamente a sentimenti di rivalità internazionale e di gelosia, sopratutto verso la Confederazione della Germania del Nord, e tra gli amici sinceri della pace che propugnano gli uni il disarmo, gli altri la riforma radicale del sistema militare e l'imitazione dell'organizzazione tedesca e svizzera.

Il Conte di La Tour, i signori Garnier Pagès, Picard, Giulio Favre e Thiers presero parte alla discussione mossi da quei diversi in"..endimenti, e risposero pel Governo il Ministro della Guerra, Maresciallo Le Boeuf, ed il Guardasigilli signor E. Ollivier, senza che però la votazione sul progetto di legge potesse aver luogo in quella stessa seduta, levata dal Presidente in mezzo ad una straordinaria animazione.

La questione fu più volte condotta sul terreno della politica estera, ed il signor Thiers segnatamente non mancò d'evocare il nome di Sadowa, riassumendo le sue argomentazioni in favore del man'jenimento di un'armata numerosa quanto possibile nella dichiarazione che la Francia poteva farne a meno prima di Sadowa, ma che non lo può più dopo Sadowa.

Il Guardasigilli fece le più esplicite proteste sulle intenzioni pacifiche del Governo. Disse che pel Governo la pace non era né la condiscendenza né

621

l'abdicazione; ma ch'esso si studiava a raffermarla collo sviluppare il progresso e •la libertà all'interno. «Abbiamo fatto più ancora, diss'egli, che consolidare e rendere definitiva la libertà; abbiamo reso apparente agli occhi del mondo intero l'accordo sempre più intimo, devoto, perseverante tra la nazione ed il suo Sovrano. Abbiamo fat'.;o il Sadowa francese, il plebiscito».

Il signor Ollivier giustificò poi il Governo di non aver presentati finora documenti diplomatici alla Camera affermando che dal 2 Gennaio una sola questione grave era stata trattata all'estero, quella del Concilio, sulla quale una prematura comunicazione di documenti sarebbe inopportuna.

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TKALAC AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L.P. 70. Roma, 1° luglio 1870.

J'ai eu une longue conversation avec Monseigneur Dupanloup, parce que plusieurs éveques de nos amis communs m'avaient prié d'essayer de lui arracher un aveu quelconque au sujet de l'a'.;titude définitive qu'il prendrait vis-à-vis de la question de l'Infaillibilité. Ce fut bien à contre-coeur que j'acceptais cette ingrate mission. Monseigneur Dupanloup, qui sait que je n'ambitionne pas le ròle de père laYque du Concile, prit l'air de la plus grande franchise, et déclamait bravement contre l'Infaillibilité -mais il m'avoua qu'il l'accepterait, bien qu'à grand regret pourvu qu'on trouvà'.; une formule qui la concilierait avec l'Infaillibilité de l'Eglise réunie en Concile. Je lui obiectai que, pour le Pape, ce serait manquer, sans y etre contraint, le seul but du Concile, puisqu'il prétend précisément à la séparation de sa propre Infaillibilité d'avec celle de l'Eglise réunie en Concile, son but évident étant de l'émanciper des Etats-Généraux de l'Eglise et de faire sanctionner irrévocablement la despotie de la papauté. Que je comprends parfaitement cette tendance que je trouve plus que justifiée par la déférence que l'Episcopat depuis des siècles et surtout dès nos ~emps manifeste envers toutes les velléités de la Curie romaine. Pour mai, c'est le couronnement de l'édifice de Grégoire VII, de Boniface VIII, d'Innocent III, d'Innocent IV, etc. Malheur à qui n'a pas prévu ni prévenu cette extrème conséquence d'un développement sept fois séculaire! Aujourd'hui c'en est fini: la résistance est devenue impossible, car on défend une position insoutenable. Ce courage de la dernière heure m'inspire des symphaties pour ces braves; mais quand on est pret à mourir, on peut dire la vérité tout entière. Voilà ce que, à bien peu d'exceptions près, l'opposition n'a pas fait! Pas un éveque français n'a défendu les droits de l'Eglise gallicane; on s'est borné à en precher la sainteté et le dévouement pour le Saint-Siège, tout camme si dans des personnages tels ques Jean Gerson et Bossuet il n'y

avait quelque chose de plus à vanter que cela. Que j'étais très-profondement impressionné de cet oubli des traditions les plus glorieuses de la liberté ecclésiastique, et de la servilité inconcevable dont l'épiscopat de la nation la plus jalouse de sa grandeur et de sa liberté a fait épreuve à la discussion sur l'Infaillibilité.

Je mesurais la portée de chacune de ces paroles qui me semblaient etre autant des poignards. Monseigneur d'Orléans rougissait et palissait tour a tour; je m'attendais à un éclat de colère, mais il ne dit mot. Quand j'avais fini ma petite harangue, il se levait sans mot dire, et prit de son bureau une lettre. «De votre point de vue, fit-il, vous avez raison; mais lisez cette lettre, et vous comprendrez notre attitude ». C'était une lettre de M. Emile Ollivier à Monseigneur Dupanloup. Le ministre français admire l'opposition conciliaire; il lève ses bras vers le ciel pour que tout finisse pour le mieux, mais le gouvernement de l'Empereur ne peut rien faire pour parer au coup mortel qui menace l'Eglise et la société catholique. Document déplorable, mais des plus précieux pour la caractéristique de l'impuissance et de la confusion de la politique française! Je haussais les épaules -«chaque nation, disais-je, a le gouvernement qu'elle mérite; mais quant à l'épiscopat français, je ne me suis jamais imaginé qu'il aurait besoin de l'appui d'un gouvernement, qu'il méprise, pour faire son devoir ». Monseigneur Dupanloup protestait qu'il n'en était pas ainsi; qu'au contraire l'épiscopat français a bravé toutes les colères du pape, bien qu'il ait su que le gouvernement ne l'appuyerait pas etc. etc. « Mais, Monseigneur, dis-je, quand je vous parlais, à vous et à Monseigneur Darboy, d'insister sur le rappel de vos troupes de Rome comme seule condition raisonnable de la liberté du Concile et comme seul moyen de parer au coup dont l'Eglise était et est menacée -qu'avez-vous fait, vous et Monseigneur Darboy? Avez-vous daigné appeler l'attention de votre gouvernement sur cette source de la faiblesse et impuissance de sa politique envers la Curie romaine? Pas du tout. Vous écriviez, vous et Monseigneur Darboy, pour M. de Daru des brouillons de notes pour amuser le Cardinal Antonelli et lui donner occasion de triompher de toute la diplomatie européenne, excepté l'italienne et la russe».

Il m'était si facile de sortir victorieux de ce débat que je n'avais qu'à continuer sur ce ton, mais, par déférence pour l'illustre vieillard, je donnais à notre conversation une autre tournure et quelques compliments bien placés eurent l'effet de calmer Sa Grandeur. Il me concédait que l'opposition a fait fausse route; mais il l'excusait, pour mieux accuser la politique de son gouvernement et se moquer de M. Ollivier, qui, en levant ses bras vers le ciel, fait le métier des éveques au lieu du sien qui serait d'agir etc. Je ne pouvais me contenir de rire de cette nai:veté toute française de demander toujours au gouvernement d'agir au lieu de faire soi-meme son devoir. Nous descendions dans le jardin de la villa et continuions notre conversation encore longtemps, mais elle ne portait que sur des choses dont j'ai déjà eu l'honneur d'informer

V. E., et nous nous séparàmes en bons amis.

Le séance du Concile d'hier était sans autre intéret que celui d'un discours de Monseigneur Verot, éveque de Savannah, qui a pour la première fois parlé sans etre chassé de la tribune. ~lheureusement, je ne suis pas en mesure de résumer son discours parce qu'aucun de mes amis ne l'a entendu parler. Cinq autres orateurs ont parlé en faveur de l'Infaillibilité.

Dans l'après-midi d'hier, la Conférence allemande-autrichienne a tenu séance chez le Cardinal Rauscher. Monseigneur Hefele a soutenu qu'à cause des chaleurs d'été les éveques seraient autorisés à retourner chez eux. Tous les Conciles se sont prorogés pendant l'été; mais les autorités romaines d'aujourd'hui ne portent aucun intéret au bien-etre de l'épiscopat. Il faut agir en conséquence; qu'on proteste contre la continuation des séances pendant les mois de juillet et d'aout et que tous les éveques de l'opposition quittent Rome. Le Cardinal Rauscher n'est pas de cet avis qui démentirait le passé de l'opposition et la rendrait ridicule si, par le départ de plusieurs éveques, elle était reduite à une dixaine ou vingtaine de présents. Aucun éveque ne doit partir à aucune condition. Le Cardinal sait trèspertinemment que tout sera fini dans 15 jours. Pour ne plus trainer une discussion inutile, les orateurs inscrits de l'opposition doivent se borner à dire qu'ils n'acceptent aucune formule de l'Infaillibilité qui émanciperait le Pape du consentement de l'Episcopat (formule de St. Antonin de Florence) et qu'ils voteront par non placet. Cette proposition est acceptée, mais les éveques qui ont déjà obtenu un congé n'ont pas promis de rester. Monseigneur Melchers, archeveque de Cologne, notifie que la Commission « pro excusationibus » a reçu l'ordre de n'accorder plus de congé qu'à des éveques gravement malades. Cette communication a provoqué autant d'hilarité que d'indignation. Monseigneur Strossmayer a énergiquement protesté contre cette façon de priver les éveques de la liberté et de les traiter en prisonniers du Pape contrairement aux règles du droit international. Il proposerait une protestation s'il ne savait qu'elle serait inutile. C'est d'autant plus vrai que la plupart des éveques continuaient à se pamer de rire des congés accordés aux éveques si malades à ne pouvoir partir. L'armée de l'opposition est toute démoralisée.

Aujourd'hui il y a séance, mais je n'en savais rien avant la soirée. On fait courir le bruit que le Cardinal Panebianco aurait publiquement approuvé le Cardinal Guidi et se serait déclaré contre l'Infaillibilité d'une manière plus énergique encore que Guidi. Je tàcherai de m'en informer, mais j'avoue que je n'en crois rien.

(l) Ed. !n TAMBORRA, pp. 319-321.

623

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA, AL MINISTRO AD ATENE, DELLA MINERVA

T. 1163. Firenze, 2 luglio 1870, ore 16,30.

Je vous ai écrit hier (l) que les sympathies de l'Italie pour la Grèce et la situation de la Grèce devant les puissances dépendent de ce que le Gouvernement hellénique saura faire pour que la vérité entière se fasse jour sur l'affaire

45 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. XII

des brigands. C'est pour la Grèce une question de loyauté, de dignité et de devoir envers les puissances. Elle encourrait la plus grave responsabilité si des négligences ou des discussions empechaient l'enquete d'avoir tous ses résultats. Faites connaitre notre manière de voir a M.M. Zaimis et Villaoriti.

(l) Non pubblicato.

624

TKALA:C AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA (l)

L. P. 71. Roma, 2 luglio 1870.

Hier, dans l'après-midi, trois éveques de la majorité sont venus chez Monseigneur Haynald pour lui proposer au nom de leur parti la clòture de la discussion sur l'Infaillibilité. La majorité, disaient-ils, ne voudrait pas terminer la discussion par un vote de clòture ni priver la minorité de son droit de parler; mais si l'opposition renonce spontanément à la parole, la majorité est disposée à faire autant pour que cette irritante discussion cesse de creuser l'abime qui sépare les deux partis. Monseigneur Haynald répondit qu'il était dégouté et embeté de cette triste discussion, mais qu'avant se prononcer sur la proposition il devrait conférer avec ses amis; en outre, il leur offrit de les accompagner chez Monseigneur Darboy, son voisin, pour lui parler de ce~te proposition.

En ce moment chez l'Archeveque de Paris était assemblée la Conférence française. Aussitòt faite, la proposition fut acceptée. Monseigneur Haynald court chez le Cardinal Rauscher et chez Monseigneur Strossmayer qui aussi acceptèrent sauf l'adhèsion de leurs amis. Aujourd'hui, avant la séance du Concile, l'affaire devait etre reglée à St. Pierre.

A cet effet on allait à St. Pierre à 8 heures du matin. Après deux heures perdues en verbiages inutiles, on convint que Monseigneur Strossmayer rédigerait une note informant les Cardinaux-Légats du compromis intervenu entre les deux partis. Cette note constatait que le compromis était conclu en suite de l'initiative prise par la majorité. Les Cardinaux-présidents après une longue délibération refusèrent d'accepter la note et demandèrent que l'opposition seule en prit l'initiative. L'opposition refusa, à son tour, de se preter à un mensonge et revoqua le compromis, tout en laissant libre aux éveques de l'opposition de renoncer à la parole s'ils le voulaient et si les évèques de la majorité en faisaient autant. Grand nombre d'éveques des deux partis firent se rayer immédiatement de la liste des orateurs inscrits sur le chapitre 4•. Les Cardinaux-présidents ne s'y opposérent pas. De cette façon la discussion sera close lundi ou mardi prochain.

Dans la séance d'hier ont parlé trois orateurs infaillibilistes, et Monseigneurs Maret et David, de St. Brieuc, de l'opposition. Monseigneur Maret a déclaré qu'il n'accepterait aucune autre formule de l'Infaillibilité que celle de St. Antonin de Florence. Monseigneur David a fait un brillant et savant discours contre l'Infaillibilité, et a, le premier, défendu avec un énorme succès, les droits de l'Eglise gallicane. Il a victorieusement prouvé que les quatres articles de la déclaration

de 1683 sont parfaitement conformes à l'ancienne doctrine de l'Eglise catholique, et que, non obstant la guerre que la Curie romaine dans l'intérét de l'absolutisme papa! n'a cessé de leur faire, aucun pape n'a osé les condamner camme hérétiques; et que méme la Pénitencerie romaine dans un décret resté célèbre a déclaré qu'il ne fau'j pas refuser l'absolution aux prétres qui avouent adhérer aux quatre articles gallicans. Pour ce qui concerne l'Infaillibilité, Monseigneur David a trèsbien dit que, si l'Eglise pendant dix-huit siècles y eùt cru, elle n'aurait pas hésité à la déclarer dogme, parce qu'elle n'aurait pu exister sans une pareille règle de la fai, si cette règle était nécessaire pour le salut de l'Eglise et des fidèles. L'Ecriture, la tradition et l'histoire ecclésiastique n'en savent rien; cela n'est qu'une fraude d'un certain parti qui espère en tirer profit, et qui veut sacrifier l'Eglise à ces buts égorstes et tout à fait mondains. Le discours de Monseigneur David a produit une profonde sensation, et peut bien avoir inspiré la majorité à chercher le compromis ci-dessus mentionné avec l'opposition.

La séance d'aujourd'hui était toute aux négociations dont je viens de rendre compte a V. E. Après quatre heures ainsi perdues, deux infaillibilistes, Monseigneurs Freppel, d'Angouléme, et de Saluzzo ont fait des discours fanatiques et insipides camme d'habitude.

On a distribué aux Pères les amendements proposés au Chapithe 3e. C'est un fascicule d'une trentaine de pages; je l'ai parcouru sans y trouver rien de remarquable. Les amendements ne remédient pas au mal; il faudrait proposer une rédaction toute nouvelle du Schème et affirmer des principes diamétralement opposés a ceux de la Curie romaine. Personne n'a eu ni le courage ni l'abnégation de faire un travail de cette nature. Lundi prochain aura lieu la votation sur ces amendements.

M. Odo Russell me dit avoir reçu une lettre de M. Gladstone qui le prie de l'informer s'il était vrai que le gouvernement italien avait, par une circulaire de

M. le Garde-Sceaux, assuré les évéques italiens de san appui et de sa protection s'ils votaient contre l'Infaillibilité. Je lui ai répoundu que je n'en savais rien; mais qu'en l'état je le trouverais tout nature! si le gouvernement donnait san appui et sa protection aux évéques qui, en suite de leur attitude libérale, se brouilleraient avec la Curie romaine et se ra'Pprocheraient franchement du gouvernement du Roi. La position que le gouvernement a prise à l'égard du Concile me parait exclure l'idée d'une circulaire, mais elle n'excluerait pas la possibilité d'une réponse que M. le Garde-Sceaux aurait pu donner a quelque éveque en suite d'une interpellation ou d'une demande particulière. M. Russell croit la distinction que j'ai faite exacte et conforme à la situation.

En parenthèse je dirai encore à V. E. que tous les membres du corps diplomatique ont fait à M. Russell des visites de condoléances à cause de la mort de san beau-père, lord Clarendon. Mes relations avec M. Russell étant les plus amicales, je n'ai pu m'abstenir de lui exprimer mes regrets aussitòt qu'il m'avait informé de ce decès qui, personnellement, ne m'a pas trop ému, parce que je crois que l'Italie n'a pas perdu un grand ami dans la personne de Lord Clarendon. Ce matin M. Russell m'a dit que le Cardinal Antonelli était assez contrarié de la prétendue nomination de Lord Granville au poste de ministre des affaires étrangères, mais qu'il continuait à se fier à M. Gladstone et à ses sympathies papistes.

(l) Ed. in TAMBORRA, pp. 321-323.

625

IL MINISTRO A MADRID, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

R. 107. Madrid, 3 luglio 1870 (per. l'B).

L'abdicazione della Regina Isabella II in favore del Principe Alfonso avendo avuto luogo fuori del territorio spagnuolo, ho creduto non fosse di mia competenza di rendere conto a V. E. dei particolari che la accompagnarono. Credo però dover mio di darle qualche cenno sugli effetti qui prodotti da quella determinazione.

Precursore di quell'atto solenne fu qui una specie di manifesto del Marchese di Miraflores, grande di Spagna di prima classe, già Ambasciatore a Parigi, più volte Ministro e Presidente del Consiglio ed uno dei Capi del partito in allora liberale che, alla morte di Ferdinando VII, si pronunciò pel mutato ordine di cose in favore della giovane erede contro Don Carlos.

Due giorni dopo i giornali di Madrid annunziavano l'abdicazione della Regina Isabella e pubblicavano il suo manifesto agli Spagnuoli.

Questo manifesto fu pure affisso in grossi caratteri sugli angoli delle principali strade e non lacerato in alcun luogo, fu letto da varj gruppi di persone senza produrre alcuna manifestazione né favorevole né ostile.

Ma questo fatto diede luogo a proteste solenni sui pubblici fogli per parte dei diversi partiti e specialmente del Repubblicano.

Il partito Carlista cominciò pure ad agitarsi ed il Governo senza ricorrere a misure repressive non mancò di inquietarsene. Avanti jeri sera ebbe luogo nel Casino Carlista un fatto che poteva avere serie conseguenze per i suoi autori, se la popolazione di Madrid fosse meno moderata. Vari Carlisti dei più ardenti, ed alla loro testa il deputato Ochoa avevano organizzato una dimostrazione, ed affacciati al poggiuolo del Casino mostrarono al pubblico con grande illuminazione un ritratto di Don Carlos (Carlo VII), ed in quel momento stesso una musica apportata davanti all'edifizio suonò la famosa marcia « Tragala perro », ed alcune voci gridarono «Viva il Re Carlo VII». In pochi momenti una folla minacciosa si condensò alla porta del casino, ed i membri del Club ebbero difficoltà a salvarsi traversando la moltitudine e ricevendo poco lusinghieri saluti. Il Signor Ochoa non si salvò che invocando la sua qualità di Deputato alle Cortes, Costituenti e membro dell'attuale Commissione permanente delle Cortes, ma fu scortato fino a casa sua dai cosidetti « Serenos » o guardie notturne.

Alcuni fogli che si dicono bene informati annunziano che si tenne jeri un Consiglio di Ministri nel quale si sarebbe deciso di adottare le misure le più urgenti per uscire dal provvisorio e proporre un Candidato accettevole alla Nazione pel trono di Spagna. Si parla nuovamente del Principe Leopoldo Carlo Hohenzollern-Sigmaringen cognato del Re di Portogallo, e si crede che il Governo, il quale non ha la facoltà di riconvocare le Cortes, si adopererà presso la Commissione Permanente affinché questa per mezzo del suo Presidente inviti i membri dell'assemblea Sovrana a tenersi pronti per una convocazione prima dello scadere di questo mese.

Il paese è in questo momento tranquillo; il Reggente si trova a San Ildefonso; si crede che il Generale Prim farà una breve corsa a Vichy come l'anno scorso e che sarà data la Presidenza interinale del Consiglio al Signor Rivero Ministro dell'Interno.

626

IL MINISTRO A MADRID, CERRUTI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, VISCONTI VENOSTA

L. R. Madrid, 2 luglio 1870.

Domani i membri del Gabinetto Spagnuolo anderanno alla Granja assieme al Pre·sidente delle Cortes Signor Zorrilla e si terrà un Consiglio dei Ministri presieduto da S.A. il Reggente nel quale si discuterà se convenga determinare una pronta e straordinaria riconvocazione delle Cortes per occuparsi della questione di candidatura.

Pare cosa certa che in mezzo alla divisione di partiti resi tutti più attivi in seguito all'abdicazione della Regina il Principe Leopoldo Carlo di HohenzollernSigmaringen, nuovamente sollecitato dal Generale Prim, siasi creduto impegnato a sortire dalla sua esitazione e a dare la sua parola che venendo eletto dalle Cortes alla maggioranza voluta dalla nuova legge accetterebbe il trono di Spagna.

Nel Consiglio dei Ministri tenutosi jeri, che durò dalle 2 fino alle 7 pomeridiane, si discusse a lungo questo interesse nazionale e credo che il Generale Prim abbia fatto valere le seguenti ragioni. Antecedenti onorevoli dell'Augusto Candidato -Sua giovane età -Sua facilità nel parlare la lingua Spagnuola Discendenza assicurata -Religione cattolica -Sua parentela con diverse case Regnanti -e specialmente con quella del Portogallo.

Or sono due mesi non credetti dover attribuire grande importanza ad una breve apparizione del giovane Conte di Bernstorff il quale, come tanti altri viaggiatori visitò la Spagna nella solita stagione di primavera. Pare che le prime aperture fossero fatte da lui, e se ciò è vero possiamo arguirne che L.N. non sia personalmente avverso a questa combinazione, poiché il giovane B. si trovò in intima relazione col mio collega Sig. Barone M. e pranzò con lui in intimità di famiglia con uno o due loro amici comuni. Ma allora la cosa cadde per terra per i tristi fatti di Barcellona. Ora la questione è ripresa e tutto porta a credere che questo Principe avrà una maggioranza nelle Cortes, e si denotano già alcuni influenti membri del partito progressista ed unionista pronti a dargli il loro voto per uscire da uno stato d'incertezza che rende audace ogni giorno più il partito repubblicano.

(l) Da ACS, Carte Visconti Venosta.

<
APPENDICI

APPENDICE I

LEGAZIONE DEL REGNO D'ITALIA ALL'ESTERO

(Situazione al 15 ottobre 1869)

ARGENTINA

Buenos Aires -DELLA CROCE DI DoJoLA conte Enrico, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

ASSIA

Darmstadt -MIGLIORATI marchese Giovanni Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Monaco).

AUSTRIA-UNGHERIA

Vienna -PEPOLI marchese Gioacchino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CURTOPASSI Francesco, segretario; BALBI SENAREGA marchese Giacomo, segretario; VISCONTI n'ORNAVASSO barone Carlo Alberto, addetto; TERZAGHI Carlo, addetto; 0DESCALCHI principe Baldassarre, addetto onorario.

BADEN

Carlsruhe -ARTOM !sacco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LITTA-BIUMI-RESTA conte Balzarino, segretario.

BAVIERA

Monaco -MIGLIORATI marchese Giovanni Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CENTURIONE marchese Enrico, segretario; MocENIGO conte Alvise, addetto.

BELGIO

Bruxelles -DE BARRAL DE MoNTEAUVRARD conte Camillo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MAROCHETTI barone Maurizio, segretario; ScoTTI Alberto, segretario.

BOLIVIA

GARROU Ippolito, incaricato d'affari (residente a Lima).

BRASILE

Rio de Janeiro -CAVALCHINI-GAROFOLI barone Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

BRUNSWICK

DE LAUNAY conte Edoardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Berlino).

CILE Santiago -N.N.

CINA

SALLIER DE LA TouR conte Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Yedo).

CITTA' ANSEATICHE

Amburgo -QuiGINI PuLIGA conte Efisio, incaricato d'affari.

COSTARICA

ANFORA, dei duchi di Licignano, Giuseppe, incaricato d'affari (residente a Guatemala).

DANIMARCA

Copenaghen -RATI OPIZZONI 'conte Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PRAMPERO conte Ottaviano, segretario.

FRANCIA

Parigi -NIGRA Costantino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RESSMAN Costantino, segretario; FRANCHETTI Giulio, segretario; AVARNA, dei duchi di Gualtieri, Giuseppe, addetto; DE NITTO Enrico, addetto.

GIAPPONE

Yedo -SALLIER DE LA TouR conte Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GALVAGNA barone Francesco, segretario.

GRAN BRETAGNA

Londra -CADORNA Carlo, inviato straordinario e ministro 'Plenipotenziario; MAFFEI m BoGLIO conte Carlo Alberto, consigliere; CoTTA Francesco, segretario: CATALANI Tommaso, addetto.

GRECIA

Atene -PES DI SAN VITTORIO conte DELLA MINERVA DomeniCO, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BoYL m PUTIFIGARI conte Alberto, segretario.

GUATEMALA Guatemala -ANFORA, dei duchi di Licignano, Giuseppe, incaricato d'affari.

HONDURAS

ANFORA, dei duchi di Licignano, Giuseppe, incaricato d'affari (residente a Guatemala).

MAROCCO Tangeri -ScovAsso Stefano, incaricato d'affari.

MECKLEMBURGO (Granducati di)

DE LAUNAY conte Edoardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Berlino).

MESSICO Messico -CATTANEO Carlo, incaricato d'affari.

NICARAGUA

ANFORA, dei duchi di Licignano, Giuseppe, incaricato d'affari (residente a Guatemala).

OLDEMBURGO

DE LAUNAY conte Edoardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Berlino).

PAESI BASSI

Aja -CORTI conte Luigi, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MARTUSCELLI Ernesto, segretario.

PERU' Lima -GARROU Ippolito, incaricato d'affari.

PORTOGALLO

Lisbona -OLDOINI marchese Filippo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PATELLA Salvatore, segretario.

PRUSSIA E CONFEDERAZIONE DELLA GERMANIA DEL NORD

Berlino -DE LAUNAY conte Edoardo, inviato straordinario e ministro plenipo':.enziario; Tosi Antonio, segretario; TUGINI Salvatore, addetto; SONNINO barone Sidney Costantino, addetto.

RUSSIA

Pietroburgo -CARACCIOLO DI BELLA marchese Camillo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; INcONTRI marchese Ludovico, consigliere; CONELLI DE PROSPERI Carlo, segretario; PATERNÒ DI RADDUSA Michele, addetto.

S. SALVADOR

ANFORA, dei duchi di Licignano, Giuseppe, incaricato d'affari (residente a Guatemala).

SASSONIA (Regno dD

DE LAUNAY conte Edoardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario residente a Berlino).

SASSONIA (Granducato e Ducati di)

DE LAUNAY conte Edoardo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario residente a Berlino).

SPAGNA

Madrid -CERRUTI Marcello, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE MARTINo Renato, segretario; CAVRIANI marchese Antonio, addetto.

STATI UNITI DELL'AMERICA DEL NORD

Washington -BERTINATTI Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; AVOGADRO DI COLLOBIANO ARBORIO LUigi, segretario.

SVEZIA E NORVEGIA

Stoccolma -GIANOTTI Carlo Felice, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ZANNINI conte Alessandro, segretario.

SVIZZERA

Berna -MELEGARI Luigi Amedeo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CovA Enrico, segretario; CANTAGALLI Romeo, segretario; DE BoJANI Ferdinando, addetto; BECCARIA INcisA marchese Emanuele, addetto.

TURJCHIA

Costantinopoli -ULISSE BARBOLANI DI CESAPIANA conte Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PASSERA Oscarre, segretario; BOBBIO Ettore, addetto; HIERSCHEL DE MINERBI Oscarre, addetto; NICOLINI marchese Carlo, addetto onorario; VERNONI Alessandro, GRAZIANI Edoardo, BARONE Antonio, CHABERT Alberto, ANINO Giovanni, interpreti.

VICEREAME D'EGITTO Alessandria -DE MARTINO Giuseppe, agente e console generale.

REGGENZA DI TUNISI Tunisi -PINNA Luigi, agente e console generale.

PRINCIPATI UNITI DI MOLDAVIA E VALACCHIA Bucarest -FAVA barone Saverio, agente e console generale.

PRINCIPATO DI SERBIA Belgrado -JoANNINI CEVA DI SAN MICHELE ·conte Luigi, agente e console generale.

URUGUAY Montevideo -RAFFO Giovan Battista, incaricato d'affari.

VENEZUELA Caracas -VIVIANI Giovanni Battista, incaricato d'affari.

WURTEMBERG

Stoccarda -GREPPI conte Giuseppe, inviato straordinario e ministro plentpotenziario; DE SoNNAZ Carlo Alberto, segretario.

APPENDICE II

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

(Situazione al 15 ottobre 1869)

MINISTRO

MENABREA conte Luigi Federico, luogotenente generale, senatore del Regno, presidente .del Consiglio dei Ministri.

SEGRETARIO GENERALE

BLANC Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario, incaricato delle funzioni di segretario generale.

DIVISIONE POLITICA

ToRNIELLI-BRUSATr conte Giuseppe, consigliere di legazione, reggente la divisione.

UFFICIO I

Corrispondenza politica -Corrispondenza particolare del Ministro

Trattati politici -Pubblicazioni diplomatiche -Cifra e telegrammi.

MALVANO Giacomo, segretario di 2a classe.

JACQUIER Vittorio, applicato di P classe.

MARTIN-LANCIAREZ Eugenio, applicato di 2a classe.

PANSA Alberto, applicato di 3a classe.

BIANCHI DI LAVAGNA Francesco, applicato di 3a classe.

DEL CASTILLO DI SANT'0NOFRIO marchese Ugo, applicato di 4a classe.

UFFICIO II

Personale del Ministero, delle Legazioni e dei Corrieri di Gabinetto Ordini cavallereschi nazionali ed esteri -Atti pubblici -Notariato della Corona -Cerimoniale di Corte -Cancelleria dell'ordine della SS. Annunziata -Archivi della divisione.

BERTOLLA Giuseppe, segretario di l a classe.

CrcERO Carlo Federico, applicato di la classe.

SEVEZ Lorenzo, traduttore.

LATTES Giuseppe, vice console di l a classe, addetto all'ufficio.

DIVISIONE DELLA CONTABILITA' E DELL'ARCHIVIO

CoRso Edoardo, direttore capo di divisione di P classe.

UFFICIO I

Bilancio -Contabilità generale dei RR. Agenti diplomatici e consolari Mandati -Rendiconti -Corrispondenza relativa -Protocollo ed archivio della divisione.

CARRERA Angelo, capo sezione di 2a classe. MIRTI DELLA VALLE Achille, segretario di la classe. PAPINI Andrea, applicato di l a classe. BERNONI Luigi, applicato di l" classe. GUGLIELMINETTI Giuseppe, applicato di 2a Classe. D'ONCIEUX DE CHAFFERDON conte Paolo, applicato di 4a classe. FossATI Giuseppe, applicato di 4a classe.

UFFLCIO II

Spese d'ufficio -Contratti -Servizio interno -Cassa -Uscieri -Passaporti -Legalizzazioni -Biblioteca -Custodia degli archivi del Ministero.

CANTON Carlo, capo sezione di la classe. DoRIA DI DoLCEACQUA marchese Andrea, segretario di 2a classe. LONGO-VASCHETTI Giovanni Battista, applicato di la classe. ALBERGOTTI SIRI barone Tito, applicato di 2a classe. DE NoBILI Achille, applicato di 3a classe.

DIREZIONE GENERALE DEI CONSOLATI E DEL COMMERCIO

PEIROLERI Augusto, direttore generale.

DIVISIONE I

FALCONET Giuseppe, direttore capo di divisione di 2a classe,

UFFICIO I

Corrispondenza coi RR. Agenti diplomatici e consolari residenti presso i diversi Stati d'Europa e loro colonie, eccettuata la Turchia e la Grecia e cogli Agenti diplomatici e consolari di detti Stati in Italia; coi Ministeri, colle Autorità e coi privati in tutte le materie non politiche né commerciali.

SANTASILIA Nicola, capo sezione di 2a classe. ScHMUCKER barone Pompeo, capo sezione di 2a classe. BRASCHI conte Daniele, segretario di l a classe. CAVACECE Emilio, segretario di l a classe.

BARRILIS Diego Lorenzo, segretario di l 8 classe. MoNTERSINO Francesco, segretario di 2a classe. CAPELLO Carlo Felice, segretario di 28 dasse. 0DETTI DI MARCORENGO Edoardo, applicato di 28 classe. DE MARI marchese Giovanni Maria, applicato di 28 classe. CAPuccro Alessio, applicato di 2a classe. PIRRONE Giuseppe, applicato di 48 classe. VACCAJ Giulio, volontario.

UFFICIO II

Corrispondenza coi RR. Agenti diplomatici e consolari residenti in Grecia, nell'Impero Ottomano, in Asia, Africa ed America, e coi R.R. Agenti diplomatici e consolari degli Stati di detti paesi in Italia; coi Ministeri, colle Autorità e coi privati in tutte le materie non politiche né commerciali.

DE GoYZUETA Francesco, capo sezione di 28 classe. BIANCHINI Domenico, segretario di 4a classe. MILIOTTI Luigi, segretario di 2a classe. BAZZONI Augusto, segretario di 28 classe. MASSA Nicolò, applicato di 48 classe.

UFFICIO III

Corrispondenza riservata e confidenziale della Direzione generale Personale consolare e dragomannale -Esami -Exequatur agli agenti esteri -Protocollo della Direzione generale.

CATTANEO Angelo, segretario di l a classe. BROFFERIO Tullio, applicato di 38 classe. RIVA Alessandro, vice console di 3a classe, addetto all'ufficio.

DIVISIONE II

SPINOLA marchese Federico Costanzo, consigliere di legazione, reggente la divisione.

UFFICIO I

Corrispondenza relativa alla stipulazione dei trattati e delle convenzioni commerciali, navigazione, consolari, monetarie, doganali, postali e telegrafiche, ecc. -Pubblicazioni commerciali -Bollettino consolare.

DE VEILLET Francesco, capo sezione di 2a classe. BOREA n'OLMO marchese Giovanni Battista, segretario di 28 classe. PuccroNI Emilio, applicato di 4a classe. BARDI Alessandro, applicato di 48 classe. BARILARI Federico, applicato di 48 classe.

UFFICIO II

Corrispondenza relativa alle successioni di nazionali all'estero ed agli atti di stato civile rogati all'estero.

GAL Giovanni Battista, capo sezione di P classe.

MARGARIA Augusto, applicato di 1a classe.

ORFINI conte Ercole, applicato di 4a classe.

BERTOLLA Cesare, volontario.

NEGRI Cristoforo, console generale di l a classe, incaricato delle funzioni di consultore legale presso il Ministero e di quanto concerne l'ispezione dei consolati all'estero.

UFFICIALI CONSOLARI TEMPORANEAMENTE ADDETTI AL MINISTERO

ToRRE Giorgio, vice console di la classe.

CASTELLI Pietro, vice console di la classe.

Pucci BAUDANA Giulio, vice console di P classe.

CORRIERI DI GABINETTO Corrieri di Gabinetto di 1a classe: ARMILLET Giuseppe, ANIELLI Eugenio. Corrieri di Gabinetto di 2a classe: VILLA Antonio, LONGO Giuseppe.

CONSIGLIO DEL CONTENZIOSO DIPLOMATICO

Questioni di diritto internazionale, di nazionalità, leva, interpretazione di trattati, ecc.

PRESIDENTE DES AMBROIS DE NEVACHE Luigi, cav. dell'Ordine Supremo della SS. Annunziata, ministro di Stato, presidente del Consiglio di Stato, senatore del Regno.

VICE PRESIDENTE VIGLIANI Paolo Onorato, senatore del Regno, primo presidente della Corte di Cassazione di Firenze.

CONSIGLIERI

Il Segretario generale del Ministero degli Affari Esteri.

RAELI Matteo, consigliere di Stato.

TABARRINI Marco, consigliere di Stato.

D'ONDES REGGIO barone Vito, deputato. GUERRIERI-GONZAGA marchese Anselmo, deputato.

FoRNETTI Tommaso, segretario.

SEGR.ETARIO AGGIUNTO FALCONET Giuseppe, direttore capo di divisione di 2a classe.

46 -Documenti diplomatici -Serie I -Vol. XII

APPENDICE III

LEGAZIONI ESTERE IN ITALIA

(Situazione al 15 maggio 1870)

Austria-Ungheria -VoN KuBECK barone Aloys, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ZALUSKI conte Karl, consigliere; VoN SALM-REIF-FERSCHEIDT-KRAUTHEIM altgravio Eric, consigliere; VoN WREDE principe Raoul, segretario; VoN SEILERN conte Maximilian, addetto; LoscHNIGG Edmund, addetto; VoN POLAK Alexis, tenente colonnello di stato maggiore, addetto militare.

Baden -ALESINA voN ScHWEIZER barone Ferdinand, ministro residente.

Baviera -VoN DONNIGES Wilhelm, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VoN GIETL Maximilian, addetto.

Belgio -SoLVYNS Henri, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; HOORICKX Frederic, primo segretario; VANDERLINDEN D'HOOGWORST barone Adrian, addetto.

Brasile -ALVES LOUREIRO Juan, ministro residente; DE MACEDO A., addetto.

Danimarca -DE BILLE-BRAHE barone P. F., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Francia -DE MALARET barone Joseph, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE LA VILLESTREUX barone, primo segretario; DURIEZ DE VERNINAC, secondo segretario; SEYnoux, terzo segretario; Du PoNCEAU visconte Henri, addetto; BALNY, addetto; DE LA ROCHEFOUCAULD, addetto; DE BROCAS, addetto; DE LA HAYE, tenente colonnello di stato maggiore, addetto militare.

Gran Bretagna -BERKELEY-PAGET sir Augustus, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; HERRIES Edward, primo segretario; PLUNKETT Francis, secondo segretario; MouNSEY Augustus, secondo segretario; LOFTUS ToTTENHAM, rev. Robert, cappellano.

Grecia -CoNDURIOTIS Andreas, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SALACHAS Gheorghis, segretario.

Ntcaragua -DE FRANCO Tomaso, incaricato d'affari (residente a Parigi).

Paesi Bassi -HELDEWIER Mauritius, ministro residente.

Portogallo -FERREIRA BORGES DE CASTRO visconte José, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE LANCASTRE Y SALDANHA visconte A. E., primo segretario.

Prussia e Confederazione della Germania del Nord -BRASSIER DE S. SIMON conte Anton Maria Josef, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VoN WESDEHLEN conte Ludwig, consigliere; HASPERG, maggiore, addetto; VoN LATTRE, maggiore, addetto militare.

Repubblica Argentina -BALCARCE Mariano, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Parigi).

Russia -VoN UxKULL GYLLENBANDT barone Karl, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GLINKA, primo segretario; OGAREV, secondo segretario; SEVIG, addetto; BENKENDORF conte A., addetto; VoN RICHTER, maggior generale, addetto militare; NECAEV M., colonnello, addetto militare; AsTASIEV, capitano, addetto militare.

San Salvador e San Domingo -ZHIRION Julio, incaricato d'affari (residente a Parigi).

Sassonia Reale -VoN SEEBACH barone Albin Leo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Parigi).

Spagna -DE MoNTEMAR Francisco da Paola, inviato straordinario e ministro plen1potenziario; BALLESTREROS Alberto, primo segretario; RicA Y CALVO José, addetto; PIZZARRO Fernando, addetto; SusiNI visconte Edoardo, addetto; VICTORIA DE LECA Leonardo, addetto.

Stati Uniti D'America -PERKINs MARSH George, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; WURTs George, segretario.

Svezia e Norvegia -DE PIPER conte Carl Edward, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; D'AMINOFF Gregor Wilhelm, segretario.

Svizzera -PIODA Jean-Baptiste, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BRUN Gabriel, addetto.

Turchia -RusTEM bey, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CHUKRI effendi, primo segretario; MOREL effendi, segretario.

Wiirtemberg -VoN Ow barone Maximilian Adolf, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.